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Ritorno

La carrozza procedeva lentamente lungo la strada lastricata, incespicando tra le vie tenebrose della capitale.
Una pioggerella sottile faceva da sfondo in quella notte di fine novembre, in un picchiettio ritmico e cadenzato.
A muso chinato fino a terra, stremati e con il respiro pesante, due cavalli procedevano con lentezza lungo le vie scarsamente illuminate dei quartieri alti di Mayfair, attraverso una sottile coltre di nebbia. Tutto appariva cupo, ma al contempo caldo, grazie al contrasto tra le tinte scure della notte e le luci di fiammelle e candele, provenienti dalle finestre di case ingrigite dal maltempo.

L'ambiente appariva triste e malinconico, valutò il ragazzo seduto in carrozza con lo sguardo rivolto in direzione delle villette che gli sfilavano accanto.
«Siamo quasi arrivati» annunciò l'uomo di fronte a lui, ridestando il giovane dai pensieri con i quali aveva rimuginato per gran parte del viaggio.
Era già stato a Londra, benché raramente. Si era iscritto all'università di Edimburgo, dove ancora studiava e risiedeva la maggior parte dell'anno, benché solitamente non mancasse di uscire dal Regno Unito per dedicarsi ai viaggi e ai tour, in tutto il mondo.
La capitale era sempre stata visitata di rado, perlopiù obbligato in quanto visconte, sebbene tale per titolo di cortesia.
«Siete sicuro della vostra scelta, Signore?» domandò nuovamente l'uomo di fronte a lui, osservandolo dubbioso e spostando poi l'attenzione sulla carpetta da disegno che il ragazzo teneva tra le mani.

«Non posso rimandare ancora, Cody. Bisogna fare ciò che è giusto» rispose l'interlocutore, abbassando anche lui lo sguardo sulla teca. «Sono passati quindici anni...» valutò, rialzando il capo e voltandosi nuovamente in direzione del finestrino. «Credo di essere ormai pronto per parlare con mio padre. Temo solo che nel rivederlo mi manchino le parole. Inoltre sono all'oscuro di quella che sarà la sua reazione. Forse ho più paura di questo che di tutto il resto.»
«Sono certo che il conte sarà felice di rivedervi, Signore.»
«Non mi ha mai scritto...»
«Conoscete i motivi. Ve li ho sottolineati in molte occasioni» replicò Cody, inarcando un sopracciglio. «Vostro padre non ha mai voluto imporvi nulla, tantomeno rendersi presente se non foste stato voi a richiederlo. Nondimeno, non vi ha mai fatto mancare niente.»
«Lo so!» sbuffò seccato il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli neri. «Sono solo nervoso, molto nervoso.»

«Lo capisco,» annuì il domestico accennando un sorriso stanco «ma sono felice che finalmente abbiate deciso di parlarci. Credo che il conte attendesse da molto tempo questo epilogo.»
«Da bambino non sarei mai riuscito a capire. Lo sai che la mia decisione è stata presa dopo che ho visto Ben qualche giorno fa, vero?»
«So che siete stato da lui di ritorno da Lipsia. Christine mi ha detto che eri passato a salutarli.»
Thomas sbuffò di nuovo, seccato, stiracchiandosi contro lo schienale della carrozza. Avevano viaggiato per giorni, da Whitesand's fino a Londra, e il maltempo era stato loro compagno di viaggio. «Speravo che quella ragazzina non dicesse nulla. Volevo solo parlare con Benjamin» sottolineò.
«La figlia di Ben è ancora piccola. Immagino che anche voi a sette anni non foste tanto ligio a mantenere segreti» commentò sarcastico il domestico.
«Ho sempre mantenuto i segreti» replicò invece il visconte, lanciando un'occhiata infastidita verso il proprio interlocutore che ridacchiò, scuotendo il capo e voltandosi a guardare l'esterno. «Siamo arrivati, a ogni modo.»

La carrozza voltò in direzione dell'ampia cancellata bianca, sulla quale spiccava lo stemma della casata Lancashire.
Al passo le due bestie avanzarono lungo il viale alberato che portava verso la villa, immersa nella più totale oscurità, resa appena visibile solo da alcune tiepide luci provenienti dalle finestre.
Thomas non aveva mai visto Villa Lloyd; era sempre stato distante dai quartieri di Mayfair, timoroso di incontrare l'uomo che lì vi abitasse e trovarsi là, davanti al palazzo della propria famiglia, non poteva che procurargli una leggera ansia.
Cody, a suo agio rispetto al proprio protetto, fu il primo a muoversi come la carrozza terminò il proprio percorso, fermandosi di fronte al palazzo. Aprì la porta, scendendo per primo e aspettando che il giovane nobile lo seguisse.

«Temo proprio che questa sia stata una pessima idea» mormorò scontroso Thomas tra sé e sé, mentre scendeva a sua volta, sistemandosi il collo del giaccone.
«Credo sia invece una delle vostre migliori idee, Signore» replicò il maggiordomo, con velato sarcasmo, chinando appena il capo in un cenno rispettoso.
Cody aveva tenuto una fitta corrispondenza con il conte, aggiornandolo di tutti i movimenti, le scelte e le novità che interessavano il giovane Lord. Tuttavia di quella visita non aveva avuto tempo di metterlo al corrente. Neppure lui immaginava come Viktor avrebbe potuto reagire nel trovarsi di fronte suo figlio, dopo ben quindici anni di attesa. Sapeva quanto il conte attendesse di poter finalmente rivedere il figlio, nonostante non avesse mai tentato di approcciarlo lui stesso, inserendosi nella vita di quest'ultimo passivamente e in maniera silenziosa quanto rispettosa.
Il ragazzo però non aveva mai dato segni di volerlo vedere o parlarci, cambiando solitamente argomento qualora ne uscisse il discorso.

Solo di recente aveva iniziato a fare delle domande, per le quali Cody si era trovato in difficoltà a rispondere in maniera diretta, non volendo prendere iniziative che, a suo avviso, sarebbero spettate a suo padre. Di certe cose, gli disse, avrebbe potuto parlargliene solo Viktor.
E ora erano lì entrambi.
Si fermò a guardarlo mentre gli passava accanto, avanzando con passo sicuro verso l'ingresso, sospettando quanto in realtà il giovane stesse celando i suoi veri sentimenti.
Ricordò quando, una settimana prima, Thomas avesse espresso il desiderio di partire per incontrare il conte, suscitando in lui notevole sorpresa.
Per quanto il visconte assomigliasse al proprio genitore come una goccia d'acqua, la sensibilità era stata per sua fortuna ereditata dalla madre. Tuttavia l'arguzia e una lingua tagliente del padre avevano di tanto in tanto prevalso su una natura pura di cuore. La vicinanza di Benjamin negli anni, si era reso conto Cody, gli aveva dato l'opportunità di apprendere l'umiltà, valore sconosciuto tra i nobili.
Aveva viaggiato a lungo, esplorato il mondo e scoprendone il fascino sconosciuto, nonostante avesse cercato di sfruttare il suo status sociale il meno possibile, legato ancora agli usi e costumi con i quali era cresciuto fin da quando era bambino.
Era stata forse quella sua stessa libertà, assieme ai valori insegnati da chi gli era stato sempre vicino, ad aver plasmato una natura e un carattere unico nel suo genere.

Il visconte si fermò alla porta, sospirando a fondo prima di suonare il campanello che avrebbe destato l'attenzione della servitù.
Non rimasero molto in attesa, difatti, prima che una domestica apparisse alla porta guardando dubbiosa chi all'uscio aspettava, passando dall'espressione esitante a un'incredula, diventando poi pallidissima.
«Signor... visconte...» farfugliò, facendo un inchino sbieco per l'agitazione. «Oh Signore! Prego... accomodatevi».
«Celestine...» la salutò Cody a seguito di Thomas, entrato per primo all'interno senza nascondere il proprio nervosismo.
«Non vi aspettavamo, non c'è giunta nessuna missiva riguardo il vostro arrivo» farfugliò la domestica altalenando lo sguardo tra i due, completamente presa alla sprovvista. Fu solo dopo un cenno del capo del Valletto in direzione di Thomas che la donna si voltò subito verso di esso, approcciandolo per recuperare i suoi abiti.
«Perdonate se non abbiamo avvisato del nostro arrivo» si scusò il ragazzo, porgendole la cappa di lana e il proprio cilindro. «Il conte... il conte è in casa?» domandò, cercando il più possibile di sembrare autoritario.
«Il conte... sì, sì certo! Il conte è in casa» annuì la donna guardandolo ancora con stupore quasi avesse di fronte a sé un fantasma. «Accomodatevi, lo avviserò subito del...»

«Che succede, Celestine?» domandò una voce profonda e stanca alle spalle dei nuovi arrivati, seguita dal tocco di un bastone sul marmo.
Cody si voltò immediatamente, riconoscendo il padrone di casa, assieme a Thomas e la povera governante che lo guardò impietrita, senza sapere cosa rispondere.
Tuttavia, se mai avesse detto qualcosa, Viktor non la sentì minimamente. Era bastato vedere in volto i due ospiti per capire chi fosse appena entrato, e la sua espressione, a quella vista, si era fatta di puro sgomento.

«Signore,» lo salutò Cody, chinando il capo in cenno di rispetto. «Perdonate il mancato preavviso del nostro arrivo. La decisione di venire qua è stata... inaspettata» spiegò, lanciando un'occhiata a Thomas che fissava il padre con fermezza, benché vacillasse visibilmente nel mantenerla.
«Capisco» confutò Viktor a voce bassa e lenta, del tutto diversa dal tono precedente, restando a guardare il figlio come se il resto dei presenti non fosse presente. Neppure si accorse dei domestici che avevano fatto capolino dai piani superiori per vedere cosa stesse succedendo.
Thomas si schiarì la voce, distogliendo lo sguardo dal padre. «Chiedo scusa per l'ora tarda. Se siamo di fastidio possiamo tornare domani.»
«No! Non siete di nessun fastidio e questa è casa tua. Potete andare e venire a vostro piacimento» specificò Viktor, volgendo poi l'attenzione verso la governante. «Celestine, fate preparare la camera del visconte e quella di Cody. Nell'immediato possibilmente.»
La donna annuì, chinando il capo e facendo una piccola riverenza, prima di sgattaiolare via risalendo la scalinata a falcata rapida, palesemente sollevata di togliersi finalmente di torno.
I tre rimasero soli, benché solo due di loro si osservassero, chi con dubbio di parola e chi con l'imbarazzo e l'incertezza se quel viaggio fosse stato una buona idea.

Viktor fu il primo a distogliere lo sguardo, socchiudendo gli occhi; fece un respiro profondo, appoggiandosi al proprio bastone, nient'affatto pronto per quell'incontro.
In quindici anni il tempo era scivolato su di lui, privandolo delle energie e ingrigendogli i capelli, un tempo neri come quelli del figlio. Appariva ben curato, dal forte ascendente come da consueto. Gli abiti scuri, atti a richiamare il lutto che mai sarebbe per lui terminato, conferivano autorità alla sua snella figura dal portamento elegante e raffinato, benché non più nel fiore degli anni.
Tuttavia nell'espressione si evidenziava la stanchezza e la malinconia, sebbene in quel momento mitigata dalla sorpresa di quell'arrivo tanto atteso.
«Sono... decisamente sorpreso di vederti qui, Thomas» ammise incerto, dopo qualche secondo di esitazione.

Il visconte chinò il capo, stringendo appena le labbra in un gesto che a Viktor ricordò dolorosamente Elaine, portandolo a stringere inconsapevolmente le dita attorno al pomolo del bastone. Sospirò nuovamente nel vederlo rialzare lo sguardo su di lui, senza però tradire le proprie emozioni.
«Era una cosa che volevo fare ma... avevo bisogno di tempo» spiegò il ragazzo. «Ho bisogno di parlarvi, e immagino che voi vogliate lo stesso.»
«Immagini bene, difatti» concordò il conte, voltandosi in direzione della porta aperta alle sue spalle che dava al suo studio, tornando poi a guardare suo figlio. «L'ora è tarda, me ne rendo conto, ma sono abituato a trovare sollievo nel sonno solo a tarda notte. Suppongo, tuttavia, che tu voglia riposare.»
«Il sonno, temo, mi sia stato portato via nel momento in cui sono entrato qui dentro, inoltre...» disse per poi portare l'attenzione sulla teca che aveva tra le mani «...c'è qualcosa che voglio darvi. Se quindi non vi reca fastidio, ne vorrei approfittare, Signore.»
Viktor annuì, spostandosi di lato e mostrando l'ingresso del suo studio. «Prego, sono sicuro che Cody sappia trovare la strada per la sua stanza da solo» aggiunse, guardando per la prima volta il suo vecchio maggiordomo, che annuì senza aggiungere altro.

Lo studio di Viktor era rimasto intatto, come se là dentro gli anni non fossero mai passati. Era, assieme alla camera da letto, il luogo nel quale aveva trascorso maggiormente il tempo negli ultimi quindici anni, mentre il resto della residenza non era stato più preso in considerazione, tranne in qualche rara occasione.
Nel suo studio riusciva a compensare la mancanza di sua moglie, grazie soprattutto all'unico quadro in cui la contessa era stata ritratta, dandogli la mera sensazione che lei fosse ancora lì.
In passato quella tela era stata impossibile da guardare, ma dopo la morte della contessa le cose erano cambiate, tanto da non riuscire più a farne a meno. Era l'unico ricordo che gli fosse rimasto di lei.

Non fu sorpreso nel vedere Thomas attratto da quel dipinto appena messo piede nella stanza. Aveva fermato il suo incedere, osservando rapito il ritratto, mentre alle sue spalle Viktor chiudeva la porta, scrutandolo con attenzione.
«Lo commissionai molto tempo fa, poco prima che assieme a Benjamin lei fuggisse in America» spiegò con tono basso, velato di malinconia. «È ciò che mi rimane di lei» aggiunse, rivolgendo a sua volta l'attenzione sulla donna che da dietro una tela dipinta li osservava entrambi.
«Mi aveva detto che aveva posato per un solo quadro e che avrebbe voluto vederne il risultato» aggiunse il ragazzo, senza distogliere lo sguardo. «È molto diversa qui, da come la ricordo.»
Viktor si spostò con passo claudicante e lento, sedendosi su uno dei divanetti. «Il ricordo che hai di tua madre è di una persona diversa da quella che conoscevo io» valutò avvicinando a sé un bicchiere e versandoci dentro del liquido trasparente da una brocca di cristallo. «Io conoscevo la contessa, tu invece la donna che è diventata senza di me.»

Thomas tornò a rivolgere l'attenzione al padre, senza replicare o aggiungere alcunché, abbassando lo sguardo sul tavolino occupato da libri impilati, fogli rigorosamente ordinati e una brocca di vetro mezza piena.
In cima alla pila di libri non poté fare a meno di notare "The origin of Species", di Charles Darwin.
«Se desideri un liquore, non hai che da chiedere, sebbene non abbia solo che acqua,» specificò Viktor alzando il bicchiere in sua direzione «ma se volessi qualcosa di più sensibile al palato, posso farlo portare.»
«Credo che seguirò il vostro esempio.» Si sedette a sua volta, dopo un'ultima occhiata verso il quadro. Prese poi il bicchiere, versandovi l'acqua. «Millantavano che foste un accanito bevitore, o quantomeno queste erano le voci che sentivo sussurrare tra i corridoi di Whitesand's» rammentò il visconte, mettendosi poi comodo sulla propria seduta.
«Un tempo lo facevo, ma sono più di ventitré anni che non gusto un Brandy o un qualsiasi alcolico. Da quando vostra madre partì, per l'esattezza» spiegò Viktor distogliendo lo sguardo e osservando il bicchiere. «Da quella notte.»

Il giovane non aggiunse nulla, incerto su come intavolare quella discussione. Aveva immaginato e fantasticato su quell'incontro, volendo presentarsi preparato e sicuro di sé, deciso e autoritario come l'immagine che da sempre gli avevano dipinto di suo padre.
Fu proprio Viktor però, a rompere il silenzio. «Tuttavia, immagino che tu non sia qui per chiedermi se mi diletto ancora a centellinare liquori» valutò con tono basso.
«No, infatti» ammise Thomas. Lasciò il bicchiere sul tavolo e strinse la cartellina che aveva ancora con sé, guardandola qualche secondo prima di rialzare lo sguardo su Viktor.
«Voglio sapere la verità, cosa sia successo e cosa abbia vissuto mia madre. Benjamin ha cercato di darmi qualche spiegazione, ma molto vaga. Non ha mai voluto specificarne i dettagli, come se gli facesse male o se ne vergognasse. Affermava che non spettasse a lui dirlo, anche in memoria di mia madre e per rispetto al suo ricordo. Mi ha raccontato quanto poteva, quanto voleva e sì, anche con lui sono molto arrabbiato per avermi omesso la verità!»

Aveva parlato con celerità, lasciando che ogni parola uscisse dalle labbra come un fiume in piena e a Viktor aveva di nuovo ricordato Elaine. Il conte tuttavia non replicò, aspettando che Thomas proseguisse, dandogli tempo.
Il ragazzo bevve, prendendosi una pausa prima di continuare. «Di mia madre in realtà non so quasi nulla. La sua famiglia d'origine, i baroni Dietrich, non ho potuto neppure conoscerli, scoprendo della loro dipartita quando sono andato a trovarli. A stento mio zio ha voluto ricevermi, non credendo neppure che fossi suo nipote.»
«Non abbiamo avuto buoni rapporti con i baroni» ammise il conte distogliendo lo sguardo. «Io, quantomeno, li ho rovinati. Ho subito accettato la tua paternità e dato la notizia che avevamo avuto un erede, ma...»
«Ma la famiglia di mia madre vi odia,» osservò il ragazzo, serio «e questo ovviamente ha portato astio e diffidenza nei miei confronti, in quanto, purtroppo, sono praticamente uguale a voi.»
«Beh, per tua fortuna non del tutto» contestò a bassa voce il conte lanciandogli un'occhiata sghemba, sorseggiando.

Thomas lo guardò con ostilità, senza celare la stizza all'udire quell'ultima frase. «Non prendetevi gioco di me!»
«No, affatto. Sei uguale a me, quantomeno nell'estetica. Tuttavia hai molte somiglianze ereditate da tua madre» specificò Viktor severo, senza distogliere lo sguardo. «Ti chiedo scusa se sono sembrato offensivo. Purtroppo...» tergiversò qualche istante, come a voler trovare le parole adatte «...fatico a capire le emozioni di chi ho d'innanzi. Sono carente di quella che molti chiamano empatia. Mi viene difficile intendere se le mie parole e le mie azioni possano ferire o risultare sgradevoli.»
Distolse lo sguardo al termine di quella spiegazione, sorseggiando di nuovo l'acqua prima di versarsene dell'altra. «Questo è uno dei motivi del perché tua madre ha sofferto. Ho molte colpe di quanto accaduto, lo ammetto, benché qualcuno dall'esterno manovrasse i fili di una congiura ai miei danni. A quel tempo sono stato cieco e tua madre ne ha pagato il prezzo.»

Il visconte si morsicò di nuovo le labbra, prima di riportare lo sguardo sulla cartellina che aveva in grembo, poi tornò a guardarlo. «Volete raccontarmi tutto dall'inizio?»
Viktor accennò un sorriso stanco. Alzò il capo in direzione di Elaine, osservandone il dipinto prima di sospirare.
«Conobbi tua madre ventisette anni fa, all'Almack's Assembly Room. Ne avrai sicuramente sentito parlare, benché il palazzo fu vittima delle fiamme nel '71, se non vado errato. Probabilmente se fosse ancora in piedi avresti già ricevuto da tempo un invito.»
«Ne ho ricevuti parecchi qui a Londra per altre feste e convivi, ma non ho mai partecipato» specificò il ragazzo. «Nondimeno ho sentito molto parlare dell'Almack. Era un luogo importante, all'epoca.»
«Lo era, in quegli anni ci potevi trovare la corte intera, occupata a pettegolare dell'ultimo scandalo o di quanto gli abiti di alcuni invitati fossero sciatti e della stagione precedente» spiegò con disappunto. «Un luogo tedioso e sedativo per la mente, tuttavia tra i migliori ambienti per imparare a muoversi nella società e conoscere chi, nel nostro mondo, muoveva i primi passi.» Bevve un lungo sorso, guardando qualche istante il bicchiere, quasi a voler rammentare quei ricordi passati. «Per tua madre era la prima volta, un uccellino spaventato appena in grado di volare, rinchiusa in una gabbia di rapaci pronti ad affondarci gli artigli.»

Il fruscio della seta sul marmo, l'orchestra di violini che suonava i primi valzer, alimentando un'atmosfera di elegante giubilo. Fiori e piante che adornavano l'ambiente, rammentando di profumi mai dimenticati in una cornice di colori e precisa raffinatezza.
Uno sguardo rubato; un morso del labbro dettato dal nervosismo di chi in quella situazione si trovava per la prima volta. Di nuovo quel fruscio di tessuti, sottovesti e sete, assieme al tocco delicato di due mani strette per la prima volta in una danza.

Viktor tornò alla realtà con un respiro profondo, poggiando il bicchiere sul tavolo e alzandosi con fatica dalla poltrona, rivolgendo l'attenzione alla fiamma crepitante del camino acceso.
Lo sguardo del visconte rimase su di lui per tutto il tempo, senza proferire parola. Era come se percepisse l'amarezza suscitata dai ricordi che il padre aveva iniziato a narrare, sebbene a fatica.
L'uomo si schiarì la voce, chinando appena il capo, ma senza voltarsi. «Temo avrò bisogno di alcune pause durante questo racconto. Voglio essere preciso nei dettagli, sebbene su alcuni passaggi sarà per me piuttosto difficile tornare ad affrontarli.»
«Non ho nessuna fretta, padre. Voglio solo conoscere la vostra storia.»
Viktor tornò a guardarlo, per poi annuire. Si voltò nuovamente verso il fuoco, facendo appello a quei ricordi foschi e dolorosi, riprendendo a narrare quel passato, dal loro primo ballo fino al momento in cui Thomas era entrato a far parte della sua vita.

Quando Viktor finì, i primi raggi di un'alba azzurra avevano iniziato a illuminare l'interno della stanza.
Non aveva lesinato sui dettagli, rispondendo alle domande del figlio nelle rare volte in cui era intervenuto. Un ventaglio di espressioni si era aperto di fronte al conte in progressione alla sua narrazione, alternando emozioni di rabbia, dolore, ira, sorpresa e incredulità, apparse sul volto del giovane visconte.
«Spero che ora tu sia soddisfatto» mormorò il nobile, stanco e con voce bassa, ancora rivolto in direzione del camino ormai spento.
«Sì, direi di sì» rispose Thomas con il medesimo tono, a sua volta sfinito, sia dal tempo quanto da ciò che aveva ascoltato. Ancora stordito chinò il capo sulla cartellina, sfiorandone il bordo con la mano. «Voi invece non avete domande da farmi?» domandò, sempre con voce flebile.
«Con Cody ho mantenuto una buona corrispondenza. Mi ha sempre reso noto ogni vostro successo o lode ricevuta attraverso i tuoi studi. Conosco ogni tuo viaggio e dove tu sia stato. Sono a conoscenza di come tu stia amministrando la tenuta. So che ancora ti vedi con il Signor Collins, nonostante adesso abbia una famiglia tutta sua.»
«Mi ha cresciuto lui» sottolineò il ragazzo osservando con attenzione Viktor e senza nascondere una sfumatura di contrarietà.

Il conte rivolse a lui nuovamente l'attenzione, piuttosto perplesso. «Avresti preferito che ti costringessi a vivere con me? Nonostante tu non volessi ed io non fossi capace di essere quello che avresti voluto? Per quanto mi sforzi, non sono capace di essere diverso da ciò che sono. Non avremmo ricucito nessuna ferita ma solo peggiorato la situazione. Avevo appena perso Elaine e tu tua madre. La mia decisione è stata la più logica e razionale.»
«Non è la carne e il sangue, ma il cuore che ci rende padri e figli»  citò Thomas. «Avete scelto per me ciò che per voi era giusto.»
«Ho scelto ciò di cui pensavo avessi bisogno. A quel tempo non sarei stato capace di darti quello che ti serviva, di essere un padre. Probabilmente non ne sarei in grado neppure adesso» replicò piccato e con fermezza. «Mi restavi solo tu e non... non riuscivo a sopportare anche il tuo rifiuto e l'odio che mi dimostravi. Per te ero un mostro, ed io non avevo nessuna idea di come affrontare quella situazione.»

Thomas scosse il capo, distogliendo lo sguardo. «Non fraintendetemi. La scelta che avete preso non la rinnego. Crescere con Benjamin mi ha insegnato molto. È stato il padre che voi probabilmente non sareste mai stato, è vero.»
«Quindi perché sei qui?» domandò l'uomo abbassando il tono di voce, improvvisamente allarmato, come se quella discussione tutto a un tratto fosse completamente sfuggita alla sua comprensione. «Ti ho raccontato tutto e la tua reazione è stata quella di chiedermi se non avessi io delle domande per te.»

Il visconte rimase a guardarlo qualche istante. Si apprestò a replicare, scuotendo poi la testa e rimanendo qualche attimo in silenzio, prima di rispondere. «Ho posto una domanda sciocca» si giustificò. «Sono venuto qua per i motivi già detti e per portarvi qualcosa di mia madre» spiegò guardando la cartellina. «In realtà ero a conoscenza della vostra esistenza ancora prima di venire in Inghilterra.»
Thomas sfiorò con le dita la custodia, prima di riportare l'attenzione su Viktor. «Sono venuto qua perché voglio e posso ricucire quella ferita» spiegò, allungando la carpetta in direzione del conte.

L'uomo si rese conto di cosa fosse appena la prese tra le mani, tremanti dal nervosismo, riconoscendo la custodia da disegno. Era logora e vecchia, ma con l'arabesco stampigliato con il quale solitamente si era sempre firmata Elaine. Sfiorò con le dita quel disegno in rilievo, un piccolo cavallino rampante stilizzato, sospirando profondamente.
«Era il suo album da disegno» costatò Viktor con voce atona, celando le proprie emozioni benché con estrema fatica.
«Lo trovai per caso, un giorno, nascosto in uno degli armadi della nostra casa, in America. Mia madre amava disegnare e suonare. Questo immagino lo sappiate anche voi.»
«Perché me lo hai portato?»
«Apritelo» lo invitò il ragazzo con un cenno della mano, sporgendosi di poco in avanti. «Lo capirete da solo.»

Il conte lo sfogliò con deferenza, osservando i disegni costuditi all'interno. Erano per lo più ritratti di Thomas e paesaggi delle Smokey Mountain, oltre a qualche animale perfettamente raffigurato. Li esaminò con lentezza, fino ad arrivare agli ultimi ritratti, disegni che raffiguravano il conte stesso.
Ingiallite dal tempo e con i bordi frastagliati, come se fossero stati tenuti in disparte rispetto agli altri, ben tre fogli avevano come soggetto il conte di Lancashire.
«Quando trovai uno dei vostri ritratti mia madre e Ben litigarono. Era la prima volta che sentivo toni tanto accesi, anche se penso che il problema principale fosse proprio perché li avevo trovati io. Ben non sapeva che lei avesse fatto quei disegni. Sperava vi avesse dimenticato.»
«E non lo aveva fatto.»
«Mi domando tuttora il perché, a essere sincero» ammise Thomas, attirando su di sé l'attenzione del genitore. «Ora che sono a conoscenza di tutta la storia mi chiedo perché, nonostante tutto, non fosse riuscita a voltarvi le spalle.»
«La nostra somiglianza di certo non ha giocato a favore del Signor Collins.» replicò il conte con una punta di sarcasmo, valutando quello che con tutta probabilità avrebbe desiderato Benjamin. «Probabilmente l'averti vicino non le ha permesso di cancellare il mio ricordo» aggiunse serio infine.

«C'è dell'altro» intimò Thomas, ignorando le parole del conte, il quale rimase a guardarlo qualche secondo prima di sfogliare gli altri suoi due ritratti, trovandosi tra le mani una vecchia foto.
Ritraeva Elaine e Thomas a mezzo busto, in bianco e nero. Il bambino doveva avere circa cinque anni, valutò, tenendo la foto tra le mani tremanti ancora più di quanto già non fossero.
«L'aveva fatta fare Benjamin come regalo per Elaine. Gli era costata parecchio, da quello che ho capito. È sempre stata uno dei suoi tesori» mormorò il ragazzo a bassa voce.
«Che significa, perché me l'hai portata?» domandò il conte nervoso, senza però distogliere lo sguardo dalla foto.
«Preferiva l'aveste voi. Così ha detto. Avete un altro ricordo di mia madre... e di me.»
Il tono basso e incerto di Thomas ruppe l'incantesimo della foto, lasciando al conte la libertà di tornare a guardare il figlio, il quale lo fissava con nervosismo pari al suo. «Non è un quadro, ma c'è chi dice che una foto sia...»
«... un secondo rubato al tempo, eternato sulla carta» terminò per lui il conte, senza alcuna inclinazione particolare nella voce.

Rimasero così, a fissarsi l'un l'altro per un tempo indistinto, prima che Thomas distogliesse lo sguardo, schiarendosi la voce. Si voltò verso la finestra, dalla quale ormai il sole illuminava l'intera stanza.
«La fotografia è un regalo di Benjamin. La cartellina e il suo contenuto sono un mio dono» spiegò il ragazzo, rivolgendosi poi di nuovo al padre. «Non so se il legame tra noi potrà mai essere al pari di quello di un padre e un figlio, ma come mia madre vi ha voluto dare diverse possibilità, voglio farlo anch'io. Inoltre, in quanto vostro erede, ciò che è di vostro possesso in futuro sarà mio di diritto, ma per farlo voglio e pretendo il vostro aiuto» spiegò tornando a guardarlo. «Non ho avuto nessuno che m'insegnasse a muovermi della vostra società.»
«Posso insegnarvi quanto mi è possibile» mormorò il genitore, confuso da tutta quella situazione.
Thomas invece sorrise «È un inizio.»

Viktor tornò ad abbassare lo sguardo sulla foto, sfiorandone i contorni con le dita prima di stringere per un attimo gli occhi per via delle emozioni ingestibili che gli graffiavano l'animo.
Tornò in sé pochi istanti dopo, sospirando profondamente e guardando verso la finestra, celando il suo reale stato d'animo al ragazzo rimasto in rispettoso silenzio. «Immagino tu sia stanco. Avrai bisogno di riposare.»
Thomas annuì. «Sì, decisamente sfinito.» ammise il ragazzo alzandosi «Questa serata è stata... è stata molto interessante. Non sapevo cosa aspettarmi.»
«Sei però soddisfatto» valutò Viktor sempre senza guardarlo, ancora vinto dall'attrattiva della foto.
«Molto soddisfatto» confermò, annuendo. «Con il vostro permesso, credo che andrò a cercare la mia stanza per la notte.»
Viktor annuì, sempre osservando altrove e sentendo il figlio iniziare ad allontanarsi. Solo quando fu praticamente alla porta, si alzò, voltandosi a guardarlo, richiamandolo e attirando su di sé l'attenzione.

«Ti fermerai ancora per qualche giorno?» domandò con apprensione, temendo improvvisamente che partisse nella stessa giornata, scoprendosi timoroso di quell'evenienza.
Non voleva che partisse, ma che restasse. Ora, dopo quindici anni che non lo aveva più visto, dopo aver finalmente parlato, l'idea che scomparisse nuovamente sfiorava l'angoscia.
«Volete che rimanga?»
«Sì, vorrei che restassi. Io...» a fatica sospirò, chiaramente in difficoltà a trovare le parole corrette che la sua mente sembrava non trovare, ma Thomas rimase in silenzio, intenzionato a non dargli nessun suggerimento.
«Farebbe male, se tu andassi via. Voglio al pari tuo ricucire quella ferita» riuscì a dire sforzandosi, tornando a guardare quella foto. «Credo che di cose da dirci e raccontarci ce ne siano ancora molte.»
Il ragazzo annuì, chinando il capo. «Sono d'accordo» confermò, accennando mezzo sorriso, molto simile a quelli che un tempo appartenevano a Viktor. «Mi fermerò qualche giorno, se non sarà di vostro disturbo.»
«Non sarai mai un disturbo» replicò Viktor guardandolo. «E questa notizia mi fa...piacere» ammise, accennando un sorriso tirato. «Buona notte, Thomas.»
«Buona notte, padre.»

Note dell'autrice:

Chiedo scusa a tutti quanti per l'enorme ritardo, ma ringrazio moltissimo chi continua a seguire questa storia e chi mi ha scritto per avere aggiornamenti.
Un grazie di cuore a tutti voi. 

I ringraziamenti veri e propri li scriverò nel prossimo aggiornamento, che sarà nell'effettivo l'epilogo di questa storia. 
Spero di riuscire a pubblicare a breve e portarvi con me a vedere la fine di questo romanzo. 

Grazie ancora per il vostro sostegno!

Raffaella
  

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