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Ritorno

Avevano raggiunto il porto di Charleston, nel South Carolina, in una fredda e gelida mattina, poco più di una settimana dalla decisione di tornare in Inghilterra.
Non erano stati facili quei giorni per Ben ed Elaine; Thomas non aveva preso per niente bene la scelta dei genitori nel voler partire senza di lui, obbligato a restare per un tempo indefinito nella canonica della chiesetta, assieme al prete.
Per quanta delicatezza e tatto provato nel cercare di spiegarne i motivi, da parte del giovane non c'era stato modo di accettare la scelta dei genitori, ribellandosi con rabbia. Aveva inutilmente tentato di cambiare quella decisione in tutti i modi possibili, facendo il bravo bambino un giorno e scappando di casa quello successivo, adirato come un lupo inferocito.
Ogni suo tentativo era fallito, aumentando solamente la frustrazione dei due genitori e il senso di abbandono del giovane Tommy.

Ben si era sentito sempre dubbioso di fronte a tali suppliche, per quanto davanti al ragazzino non avesse mai desistito, mostrandosi ferreo sulle proprie volontà, tentando tuttavia di convincere Elaine a cambiare idea nei momenti in cui si era trovato da solo con lei senza però riuscirci.
Gli aveva promesso che una volta tornati in America e sistemata tutta la situazione, in un momento di calma e serenità, avrebbero affrontato con Thomas l'argomento spiegandogli tutto, raccontandogli ogni verità.
Il ragazzino non l'avrebbe presa bene e sarebbe stata una situazione complessa da gestire, ma era giusto che lui sapesse. Era un suo diritto.

Entrambi, in quel giorno dove le prime luci dell'alba illuminavano pigramente il porto attraversando grigie nubi che minacciavano pioggia incombente, sentivano tutto il peso di quella scelta: lasciare Thomas in America e di ritornare nello stesso luogo che si erano giurati di lasciarsi alle spalle.
Sebbene per motivi diversi la coppia restava nel proprio silenzio, ambedue con i propri pensieri su ciò che in Inghilterra avevano abbandonato e a cui stavano tornando.
Solo qualche pesante colpo di tosse da parte di Benjamin ruppe i pensieri della donna accanto a lui, mentre salivano la passerella che portava sul ponte della Spice, un piroscafo a elica.
L'espressione di Elaine si fece perplessa, allarmata più del dovuto.

«Stai bene? Non ti sentivo tossire così da parecchio» valutò, mettendo piede sul ponte di legno laccato, seguita dall'uomo che portava alcune borse con i loro averi per il viaggio.
«Il tempo sembra aver iniziato a dare fastidio anche a me, ma non ti preoccupare. Smetterà come ha fatto la tua» le rispose accennando un sorriso tirato.
«Sono sempre stata cagionevole, lo sai, ma tu... non tossisci mai» osservò, tenendo lo sguardo su di lui, mentre le rivolgeva in risposta un sorriso affettuoso.
«Va tutto bene, Elaine. Sarò solo stanco per il viaggio e per ciò che ci attende. Magari è solo l'ambiente marino a cui non sono più abituato» spiegò poggiandole una mano sulla spalla. «Non pensarci.»
Lei annuì, benché il sorriso di rimando lasciava intendere il sospetto non ancora svanito, dirigendosi sotto coperta agli alloggi di terza classe.

«Almeno questa volta non ci faremo il viaggio tutti ammassati» valutò l'uomo, lasciando giù i bagagli.
La nave non era uno squallido mercantile come quello su cui avevano viaggiato molti anni prima, stipati nella stiva, assieme a casse impilate e pochi altri clandestini che avevano pagato una fortuna per farsi portare nelle Americhe. Ventisette giorni di viaggio che erano sembrate un'eternità.
Sul piroscafo avrebbero dovuto dividere la cabina con qualche altro passeggero, ma almeno ci sarebbe stato un letto sul quale dormire e l'attraversata sarebbe stata molto più veloce del previsto.

Dopo solo sedici giorni difatti, nel rosso bagliore del tramonto, si iniziò a scorgere la costa Britannica, mentre la nave avanzava placida verso il porto di Plymouth.
L'aria era diversa, l'ambiente stesso richiamava quel passato che la donna e l'uomo avevano cercato di dimenticare senza successo.
Elaine scese dalla nave avvolta da un'ansia crescente e al contempo una sensazione di soffocamento e malinconia. Neppure lei avrebbe potuto dire come realmente si sentisse nel rimettere piede sul suolo da cui proveniva.
Benjamin, invece, appariva più stanco di quando erano partiti, come se l'attraversata per mare lo avesse spossato più di quanto ci si potesse aspettare, abituato un tempo a vivere per mare a caccia di quei grossi cetacei che valevano quanto l'oro.

«Riposiamoci qui oggi» decise Benjamin dando un altro colpo di tosse che fece tornare in sé la donna. «Tra poco farà buio e credo che ormai alla stazione non passeranno più treni. Ci andremo domani mattina.»
«Hai davvero una brutta cera, Ben» valutò lei osservandolo con maggiore attenzione. «Sei sicuro di sentirti bene?»
«Il mare, sai come è. Le navi su cui viaggiavo erano decisamente diverse e il clima di qui è uno schifo!» valutò seccato, nervoso per il viaggio, la sensazione di malessere e la situazione che stavano affrontando.
«Hai bisogno anche di mangiare. Non hai toccato molto cibo questi giorni» insistette lei scuotendo la testa. «Andiamo a cercare una locanda e riposiamo. Siamo entrambi stanchi.»

Si fermarono alla prima stamberga che trovarono, una sorta di tugurio dove marinai e mercanti sostavano per la notte, prima di ripartire per mare o l'entroterra. Nessuno sembrava fare caso a loro, vestiti con abiti blandi e celati dai cappucci, mescolati ormai con la gente stessa che abitava quei luoghi.
Dormirono a fatica, tra le risate e la musica che proveniva dalla taverna del locale, che non smise di servire cibo e bevande fino alle prime luci dell'alba.
Segnati dalle ombre nere delle occhiaie, il pallore del viso e il mesto silenzio di chi è stato privato del sonno, lasciarono di buon mattino lo squallido posto, pallido fantasma di quello che era stato la notte precedente.

La stazione di Plymouth presentava due banchine: la prima che fungeva da biglietteria e la seconda dalla quale si accedeva al treno, già fermo e fumante, in partenza per Londra.
Ci avrebbe messo poco meno di una giornata, facendo scali nelle varie città incontrate sul percorso.
Mentre Ben si dedicava ai biglietti per il viaggio Elaine si soffermò a guardare il convoglio; la locomotiva nera dal cui camino usciva già una vaporosa nube di fumo, le carrozze che lo seguivano, decorate di rosso egiziano e bordate di bianco. Le prime erano adibite alle classi meno agiate, utilizzate da chi poteva permettersi l'accesso a un costo effimero, come loro. Le ultime, invece, erano per nobili, borghesi o mercanti che si potevano permettere i biglietti più costosi.
Aveva già viaggiato in treno in America, anche se solo in poche occasioni, ma sapere dove quel mostro di metallo l'avrebbe portata al fine della giornata la fece rabbrividire.
Fece un passo indietro, andando a sbattere contro Ben che l'aveva raggiunta. L'espressione del ragazzo si fece dubbiosa, percependo quell'incertezza accrescersi in maniera sempre più agguerrita.
«Lo so che sei nervosa» mormorò con tono calmo e un sorriso d'incoraggiamento, passandole un braccio attorno alla vita. «Quello che stai affrontando non è facile, lo so. Pensa solo che cercheremo di fare il più in fretta possibile e poi ce ne torneremo a casa, da Thomas. Qui non dovrai più tornarci.»
«Ci vorrà tornare lui quando saprà la verità. Vorrà sapere chi è davvero» controbatté lei con un sospiro.
«Affronteremo la situazione quando accadrà, ora è stupido pensarci.»

L'accompagnò sul treno, in un lungo vagone dalle panche in legno per due persone, suddivise in due file lungo i lati.
Per quanto potesse essere di classe inferiore a quelle adite all'aristocrazia gli interni erano curati ed eleganti, come se il treno fosse praticamente nuovo. Il rosso dei velluti dominava come colore predominante, con qualche bordatura bianca o verde oliva.

Si accomodarono l'uno accanto all'altra, Elaine vicino al finestrino, mentre lui sul lato corridoio, guardando di tanto in tanto gli altri passeggeri, per lo più coppie con bambini e qualche uomo solitario. Ognuno posizionava i suoi bagagli sulla cappelliera, si sedeva mettendosi comodo prendendo il giornale che avevano portato sotto braccio, si toglievano il cappello e attendevano la partenza.
Il lungo fischio della locomotiva diede annuncio e dopo poco il treno iniziò lento a muoversi, trascinandosi lungo i binari che portavano verso l'uscita della città.
Pochi istanti dopo Ben era già crollato dal sonno, cullato dal movimento dondolante del treno.
Elaine era tornata sveglia, attenta a ogni cosa che vedeva passare oltre il vetro del finestrino. Guardava ma non vedeva, come se ogni immagine che scorreva veloce a mano a mano che tutto prendeva velocità la facesse tornare con i ricordi a quel passato funesto, portando a galla memorie che aveva accuratamente dimenticato.

Tossì con discrezione, assicurandosi di non svegliare l'uomo che aveva accanto.
L'attraversata in mare e il cambio del clima non sembrava averla aiutata come le era sembrato, ma anzi era tornata a farsi sentire con ancora più veemenza.
Non si stupì, difatti, nel vedere sul fazzoletto piccole macchioline di sangue che spiccavano vermiglie, nascondendolo poi rapidamente per evitare che il suo accompagnatore se ne accorgesse.
Non era la prima volta che le accadeva, dopotutto. Sapeva la verità. Sapeva già cosa significasse.
Era stata da un medico, a Maryville, in un momento in cui Ben era via e Tommy a dare una mano a dei vicini a cui aveva chiesto di accudirlo per qualche giorno. Conosceva la Tisi, avendone spesso sentito parlare nella sua vita vissuta tra i nobili che quasi ricercavano di apparire con quei sintomi per la semplice estetica.
Conosceva la tubercolosi in quanto lo stesso genitore di Viktor aveva perso la vita proprio per quel male che lo aveva lentamente divorato.
Il dottore di Maryville gli aveva proposto alternative di ogni tipo e costo, lasciandola ancora più nello sconforto e con l'unica scelta di attendere il suo decorso.
Non aveva avuto cuore né coraggio di avvisare Benjamin, tantomeno Tommy, benché sapesse che presto avrebbe dovuto farlo.
Il fatto che anche il suo compagno tossisse non gli piaceva e ogni volta che sentiva lui o il ragazzino, per quanto fortunatamente da parte di quest'ultimo sembrava fosse piuttosto raro, non poteva non sentirsi oppressa dal timore.

Il viaggio fu lungo, anche se confortevole. Raggiunsero nel tardo pomeriggio Waterloo Station, situata nel quartiere di Lambeth, nell'abituale e grigiastra atmosfera Londinese.
Scesi dalle carrozze, avvolti dal fumo della locomotiva e da un via vai di gente, restarono spaesati a guardarsi attorno, come se non capissero dove si trovassero.
Ben si voltò a guardare Elaine, ancora più pallida di quanto già non lo fosse di solito, poggiandole una mano sulla spalla. «Calmati, va tutto bene. Troviamoci un posto dove passare la notte qui vicino. Ho mandato un telegramma a Podraig e Noel prima di partire. Sta sera andrò da loro per sapere se sanno qualcosa di nuovo e se ci possono aiutare» spiegò passandole poi un braccio attorno alla vita, prima che lei si scostasse.
«Siamo a Londra ora, non più in un villaggio sperduto del Tennessee» spiegò la donna guardandosi attorno, conoscendo fin troppo bene l'ipocrisia di quei luoghi e trovandosi terribilmente insofferente ad essi. «Non voglio attirare l'attenzione» mormorò infine lanciandogli un'occhiata, vedendolo sospirare prima di annuire.
«Andiamo a cercare un posto per la notte» rispose lui.

Trovarono una locanda in una delle strade parallele al Tamigi, per quanto poco salubre e umida potesse essere l'atmosfera che aleggiava sulla città dalle temperature autunnali, ma migliore del posto in cui avevano alloggiato la sera precedente.
Come già avvisato, Ben si assentò appena accomodati nella loro stanza, lasciando la donna da sola per il tempo necessario per ritrovare i due vecchi amici, farsi un bicchiere insieme a loro, scoprire qualche novità e tornare poi da Elaine.

Nell'abbandono della sua stanza, all'interno della locanda, Elaine attese il ritorno dell'uomo. Si gustò un tè caldo, ben differente da quelli degustati in America, ritornando con la mente ai vecchi usi e costumi della sua patria, ormai da lei quasi del tutto dimenticati.
A fatica aveva nascosto il suo disappunto nell'accettare che Benjamin uscisse da solo piuttosto che restare con lei o portarla con sé, ma era consapevole di quali erano i dettami di quei luoghi e che una donna in compagnia di un uomo, a tarda ora e in un pessimo locale, avrebbe attirato troppo l'attenzione.
Attese diligente che tornasse, senza riuscire a chiudere occhio e limitandosi a osservare le fredde e cupe vie del quartiere di Lambeth, dove donne di malaffare e uomini di dubbia moralità si aggiravano loschi.

L'americano tornò presto, senza farla attendere troppo.
«Che cosa ti hanno detto?» domandò appena lui riapparve, aiutandolo a togliersi gli abiti umidi.
«La villa dei Lancashire è chiusa da parecchio tempo, a lutto dalla dipartita del Conte. Tuttavia vi sono i domestici all'interno. Sembra che al momento si stia occupando di tutto una lontana parente che ora dimora a Whitesand's Hall. Non sono riusciti a dirmi il nome, ma si tratta di una cugina, o qualche nipote.»
«Ovviamente, le casate nobiliari sono piuttosto estese, sciacalli scesi a banchettare con ciò che fu nostro... che era di Viktor» si corresse immediatamente, tornando a guardare dalla finestra.
Pensare a colui che aveva sposato faceva sempre male e nel sentirsi nominarlo di nuovo, quasi a voler sottolineare il suo decesso, fu opprimente da farle mancare il respiro.
Per quanto non volesse ammetterlo non c'era istante dove in cuor suo sperasse che la notizia fosse una menzogna, un errore di chi aveva magari frainteso, auspicando che Viktor fosse ancora vivo.

«Non dovrebbero esserci problemi, giusto? Anche se al momento sembra che i diritti delle proprietà li abbia un parente tu sei l'erede effettiva» valutò l'uomo passandole un braccio attorno alla vita.
«Thomas è l'erede. Non io» replicò voltandosi a guardarlo. «Ma penso che sia meglio non dire subito della sua esistenza. Sarebbe complicato dare spiegazioni sul perché si trovi in America, visto che stando a quello che mi hai detto tutti sanno che mi trovavo in India.»
«Va bene, domani per prima cosa andremo a Villa Lloyd, ma ora devi riposare, Elaine. Sei molto più pallida del solito e sembri esausta» insistette lui afferrandole le spalle e dandogli un bacio sulla fronte. «Lo so che per te stare qui è difficile. Prima finiamo, prima ce ne andiamo. Ora puoi solamente dormire e riposare per essere pronta ad affrontare il domani» la rassicurò, o tentò quantomeno di farlo, accompagnando le parole con un sorriso d'incoraggiamento.
«Domani,» annuì lei «domani faremo ciò che è necessario fare» annuì, quasi per convincere sé stessa alle parole appena pronunciate dall'americano, prima di sottrarsi al suo abbraccio, ignorando il disappunto apparso sul volto dell'uomo.

Il blu della notte lasciò posto all'azzurro del giorno, permettendo a timidi raggi di entrare attraverso le finestre della stanza dove i due stavano riposando.
Ben si alzò per primo, scosso da qualche colpo di tosse che destò anche la donna che dormiva al suo fianco, di spalle a lui.
«Stai bene?» Domandò cercando di celare il proprio allarmismo, mettendosi seduta osservandolo mentre si avvicinava alle finestre per aprirle.
«Dimenticavo quanto questa città fosse invivibile» commentò in risposta, tenendo lo sguardo fisso verso l'esterno, dove una sottile cortina di nebbia sembrava nascondere l'intera città sotto i flutti di un mare di grigie nuvole. «Qui non si riesce mai a respirare decentemente.»
«Non in questi quartieri, ma in altri è anche peggio» spiegò la donna alzandosi e iniziando a prepararsi.
«Già!» ammise l'uomo guardando in direzione dei comignoli caliginosi di Lambeth, iniziando a vestirsi anche lui e aiutando poi Elaine a finire di prepararsi.
«Sei nervosa?» domandò allacciandole la parte alta della veste sopra il corsetto.
«Ovviamente lo sono. Qui ho troppi ricordi» rispose per poi soffocare un colpo di tosse, sentendo alle sue spalle sospirare l'uomo. «Questo posto non giova a nessuno dei due. Speriamo di chiudere la situazione entro oggi.»

Il quartiere di Mayfair era come la donna lo ricordava: pulito ed elegante, dalle strade larghe e selciate grazie alle quali carrozze fatiscenti procedevano senza sobbalzi. Lungo i lati della strada correvano banchine dal lastricato bianco, dove placide figure passeggiavano in abiti aristocratici che ne riflettevano il lignaggio.
Non si stupì delle occhiate curiose e al tempo stesso stizzite che rivolsero gli astanti a lei e a Ben. Elaine non aveva più indossato un abito raffinato o elegante da quando era partita, rivendendo l'unico che le era rimasto addosso per guadagnarci qualche soldo.
Aveva ormai scordato la sensazione della seta e del velluto sulla pelle, o l'odore di un tessuto appena uscito da una confezione sartoriale. Il bianco candido delle vesti era solo un vago ricordo, divenuto crema o avorio, ingiallendosi sempre di più con il tempo.
Non era più lei, non si sentiva più tale, stretta in un corsetto consunto e vecchio, avvolta da abiti sgualciti e dai colori spenti, con i capelli raccolti fugacemente sotto una cuffia ormai desueta. Ma il portamento restava lo stesso, anzi, più risoluta e determinata di quanto mai fosse stata.

Ben invece non sembrava per nulla a suo agio, come se quegli sguardi inquisitori li percepisse fin sotto ogni strato di pelle. Aveva come la sensazione spiacevole che li, attorno a lui, tutti sapessero la verità di ciò che era accaduto in passato, che qualcuno potesse riconoscere la Contessa e urlarle in faccia la verità.
La donna, ignorando le occhiate furtive, si diresse verso la cancellata di casa Lloyd, sentendo le gambe tremarle. «Saremmo dovuti arrivare in carrozza ed entrate con quella. Avremmo dato meno nell'occhio» valutò guardando avanti a sé, mentre invece Benjamin stringeva le labbra dal nervoso.
«Non potevamo permettercela, ormai siamo qui!»

Nessuno era di guardia al cancello, solitamente costudito da qualche domestico della villa la quale, dopo un'attenta osservazione, agli occhi di Elaine apparve diversa.
Il giardino era lasciato incustodito, permettendo alle erbacce di prosperare libere e incolte; edere avevano germogliato attecchendo ai tronchi dei pioppi, tigli e carpini bianchi. L'erba, una volta ben curata e fresca di taglio si era fatta tanto alta da ondeggiare silenziosa a ogni piccola brezza, dando l'impressione che tra gli steli si nascondesse qualche misteriosa creatura.
La villa era sempre la stessa, sebbene la sua cornice d'abbandono la rendeva antica, come se appartenesse a un'epoca passata. Per colei che in quel luogo visse da Contessa fu una stretta al cuore nel considerare le condizioni di quel luogo.
Viktor era morto relativamente da qualche mese ma quello stato di abbandono, si accorse, non era affatto recente, stimabile piuttosto in anni di assenza e disinteresse.

Nessuno venne loro incontro, come se fossero passati del tutto inosservati, sebbene invece chi passeggiava lungo le strade si voltasse a guardarli con curiosità e ben poca discrezione.
Con un lungo respiro che richiamava coraggio Elaine salì le scale, fermandosi alla porta di legno intarsiato e laccato, bussando poi alla porta con uno dei battenti in metallo posti sull'uscio, e attese.
Passarono diversi minuti prima che qualcuno arrivasse con un passo agitato e frettoloso, borbottando qualcosa di incomprensibile e rendendo la situazione ancora più inverosimile per ciò che Elaine ricordava, dandole la sensazione di essere in uno posto del tutto sconosciuto.

Aveva la sensazione di trovarsi in un luogo estraneo, persino la donna che le aprì, restando a guardarla interdetta alternando lo sguardo su di loro.
L'espressione della domestica passò dal perplesso all'infastidito. «Andatevene, non compriamo nulla e non facciamo la carità a nessuno!» esclamò già pronta a serrare la porta, ma Ben fu più celere, posando una mano sul lato del grosso portone per impedirle di chiuderli fuori.
«Non siamo qui per cercare elemosina o vendervi qualcosa» spiegò serio l'uomo, nonostante la donna lo guardasse contrariata.
«Il Signor Stoks è impegnato. Lo avviserò del vostro passaggio» insistette lei con tono arcigno e a quel nome Ben impallidì.
Elaine invece la guardò con un'espressione incredula, interdetta dall'astio e maleducazione della donna, come se non si aspettasse di essere accolta a quel modo, nonostante gli abiti che portava, ma si riprese celere, schiarendosi appena la voce prima di parlare. «Dite a Stoks, a Cody,» si corresse Elaine «che portiamo informazioni da parte di Lady Lancashire. Se non ci volete far entrare lo aspetteremo qui!» chiarì, notando l'espressione stupita della domestica dopo aver sentito le sue parole.
«Lady Lancashire?» domandò scuotendo il capo e cambiando all'istante espressione, alternando lo sguardo tra lei e l'uomo che restava ancora in silenzio, ammutolito.
Si era dimenticato completamente del Maggiordomo del Conte di Lancashire e si rese conto immediatamente del pericolo che poteva diventare. Era stato uno sciocco a non pensare che grazie a quell'uomo potevano venire a galla scomode verità.

«Andate a chiamare Cody, per favore» insistette Elaine, senza accorgersi dell'angoscia dipinta sul volto di Benjamin.
«Sì, vado... vado subito» annuì lei, lasciando poi la presa sulla porta, prima di allontanarsi a passo svelto, tenendosi le sottane.
Ben fu lesto a impedire la chiusura dell'uscio, permettendo a Elaine di entrare. Fece pochi passi all'interno della villa, rapita da quello che era stata un tempo e ciò in cui si era trasformata. Tutto era in ordine, come al solito, perfettamente pulito e ordinato, ma avvolta da un'atmosfera fredda e asettica.
I quadri sembravano quasi del tutto scomparsi, sebbene ne ricordasse molto pochi, tranne per quelli più grandi, coperti con teli di pesante tessuto. Ogni cosa sembrava ridotta al minimo indispensabile e oggetti di valore di cui ricordava l'attaccamento di suo marito erano spariti, assieme ai tappeti. Sembrava che la casa fosse stata derubata della sua stessa anima.

Lo sguardo le cadde verso l'ingresso chiuso dello studio di Viktor, iniziando a incamminarsi verso di esso, con il cuore che prendeva a galoppargli nel petto, ghermita da sensazioni via via sempre più dolorose e con gli occhi brucianti dalle lacrime che ancora teneva nascoste a stento.
Quella stanza l'aveva sempre percepita come un muro tra lei e suo marito, raramente aperto per permetterle di condividerci la loro stessa essenza.
Arrivò quasi a toccare la maniglia, prima di sentire i passi affrettati lungo le scale e voltarsi a guardare le figure che scendevano celeri dalla scalinata, fermatesi poi all'improvviso nell'osservare in direzione dei due ospiti appena arrivati.
Una di esse era la domestica venuta ad aprire la porta, mentre l'altro, unica figura che Elaine riconobbe ineluttabile in quel contesto, Cody.

Il ragazzo, evidentemente cresciuto nell'aspetto, non sembrava cambiato di un giorno: sempre impeccabile e curato nei suoi abiti, nel portamento e nell'eleganza che aveva sempre preteso l'uomo che aveva servito.
Tuttavia la sua espressione era tutto fuorché composta mentre osservava Elaine, come se vedesse un fantasma, perdendo praticamente del tutto il suo contegno.
«Lady... Santo Iddio, siete voi?» domandò con un sussurro, vinto dall'incredulità.
Elaine sorrise, con gli occhi umidi, riprendendo quasi senza volerlo la postura elegante che aveva perso con gli anni passati in America, ma che le era bastato poco per ritrovare.
«Ben trovato, Cody.»

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