Pioggia e lacrime
In principio era sempre stato il Nero!
In epoca dove le malattie si diffondevano rapidamente, e dagli ospedali uscivano più esanimi che sanati, non era raro che si passasse da un lutto all'altro e il colore di tale ricorrenza non poteva che essere il nero.
Tuttavia, nonostante il frequente passaggio delle carrozze trainate da corsieri neri in livrea funebre, nessuno si abituava mai a perdere i propri cari.
C'era chi avrebbe gioito per una dipartita, felice di ciò che ne avrebbe guadagnato, ma c'era invece chi ne avrebbe sofferto, andando a perdere una parte di sé stesso che mai avrebbe potuto colmare.
Alla privazione di un proprio caro, genitore, moglie o figlio che fosse, nessuno sarebbe mai stato più lo stesso.
La vita sarebbe continuata, ineluttabile, affiancata da un'assenza spettrale, e nulla avrebbe potuto prendere il posto di coloro che erano scomparsi.
Per decine di anni Viktor aveva osservato la Morte attraverso la medicina e la chirurgia, studiato le sue armi mortali e tentato di impedire alle sue sinuose dita scheletriche di sfiorare chi avesse in cura, impedendole di mietere vittime.
In guerra aveva salvato soldati incapaci di tenere ancora in mano un fucile, uomini, donne e bambini, permettendo ad essi di iniziare una nuova vita.
In cambio aveva ricevuto solo ripetuti ringraziamenti dei quali poco gli era importato, muovendosi in ciò che sapeva fare meglio, solo per trovare una pace mai trovata.
Centinaia di vite erano state salvate e altre decine erano spirate quando ogni tentativo era stato vano per sconfiggere una Dea fredda e imparziale.
Il conte non aveva mai sofferto di quelle sconfitte, conscio di quanto la vita fosse realmente legata a un filo tanto sottile da risultare invisibile.
Bastava solo il tocco di quella falce per dichiarare la gelida sentenza che portava alla disperazione, ai pianti e al dolore; emozioni a cui lui era rimasto sempre spettatore, senza davvero capire come quelle persone potessero sentirsi.
Spezzati, divisi e tormentati da una perdita straziante.
Persino alla morte di suo padre, il Conte Cedric Lloyd Mattihas di Lancashire, la sua reazione era stata fredda e distaccata, legata alla frustrazione per non essere riuscito a salvarlo dalla tubercolosi, piuttosto che nell'aver perso definitivamente il suo genitore.
Aveva da sempre avuto notevoli difficoltà con la sfera delle proprie emozioni, quasi fossero troppo fosche, confuse e difficili da gestire, cercando spesso un modo per tentare di sopprimerle.
I sentimenti lo avevano sempre spaventato, soprattutto se spingevano verso sensazioni avverse e potenzialmente dolorose.
In passato, quella sua condizione lo aveva portato a chiudersi con chiunque fosse a lui troppo vicino, con coloro ritenesse tanto importanti da poter diventare pericoloso per il suo equilibrio mentale, benché la sua follia lo avesse spinto in direzione di chi, quel male, lo aveva solo alimentato.
I tentativi per eludere la sofferenza avevano solo creato una fragile gabbia di cristallo, capace di andare in frantumi alla prima reale ferita, dalla quale non avrebbe potuto fuggire.
Alla morte di Elaine quel dolore lo colpì come un mare in tempesta, lasciandolo in un uragano di incredulità, in balia di emozioni incontrollate capaci di abbattere e affondare anche la nave più salda, abbandonandosi infine alla deriva, incapace di capire e di accettare quanto fosse appena accaduto.
La Nera Mietitrice aveva posato lo sguardo sulla contessa nel giorno delle Idi di marzo, allungando su di essa le proprie dita ossute, in un gelido invito dal sapore di epilogo.
La sua salute era peggiorata nel corso dell'intera giornata, tra stati febbrili farneticanti e momenti di tosse convulsa che aveva lasciato Elaine rantolante e con il respiro irregolare.
Viktor aveva sentito l'ansia crescere di minuto in minuto, senza mai lasciare il suo capezzale, cercando inutilmente una soluzione per poterle salvare la vita, vedendola spegnersi istante dopo istante, impotente.
Ormai in preda al sottile delirio della malattia, la contessa non era stata neppure in grado di capire cosa davvero le stesse accadendo, troppo debole e consumata dalla febbre, sussurrando di tanto in tanto il nome di Viktor e Thomas e limitandosi e brevi momenti di lucidità.
In quel pomeriggio che si avvicinava alla primavera, il cielo da limpido si era fatto terso, annunciando pioggia e oscurità, riportando la magione a quella tenebrosa atmosfera scomparsa nei mesi precedenti, quasi volesse preannunciare ciò che da lì a poco sarebbe accaduto.
Viktor non era uscito dalla stanza l'intera giornata, se non per obblighi fisici. Non aveva mangiato, troppo angosciato per provare anche solo lontanamente i morsi della fame, incapace di concretizzare la situazione che stava affrontando.
Elaine era di fronte a lui, cinerea e adagiata sul letto, il volto madido di sudore e il respiro via via sempre più affaticato, segno certo del progredire celere della malattia.
Sul tavolino accanto all'ampio letto a baldacchino rimaneva una bacinella d'acqua, usata per detergerle il viso e il collo. Era stato inizialmente compito dei domestici farlo, ma negli ultimi giorni era stato il conte stesso a occuparsi delle necessità della moglie, prendendosene cura come poteva, conscio della verità pur non volendo accettarla.
Lampi e tuoni riecheggiarono come rintocchi pesanti di un pendolo, illuminando brevemente la stanza scarsamente illuminata, segnalando i secondi di una vita che si affievoliva lentamente.
«Quando starò meglio voglio visitare altri luoghi» mormorò Elaine con un filo di voce che Viktor faticò a sentire.
«Altri paesi?» domandò confuso, senza capire se fosse uno dei rari momenti di lucidità o se stesse tornando a farneticare dai deliri di una febbre bruciante.
«Sì, la Francia o la Spagna. Ho letto che anche l'Italia è molto bella» rispose in un sussurro, accennando un lieve sorriso prima di venir scossa da alcuni colpi di tosse, prendendo a tremare leggermente.
«Confermo che l'Italia è splendida. Ci andremo, insieme, appena ti sarai rimessa» annuì il conte, passandole il fazzoletto umido sul volto. «Parlare però peggiora la tua situazione, devi riposare, Elaine.»
«Non mi hai mai raccontato dei tuoi viaggi, mi sarebbe piaciuto sentirteli narrare» rispose senza dargli retta.
«Lo farò, appena starai meglio» replicò cercando di tenere la voce il più ferma possibile, mentre al petto percepiva salire una sensazione di disagio sempre più aggressiva e spaventosa, tanto da fargli aumentare il battito cardiaco.
Era come se quella conversazione fosse del tutto irreale. Elaine parlava di un futuro che entrambi avrebbero voluto, un'altra opportunità di vita che sembrava troppo lontana.
«Devi portarci Thomas. Sono sicura che a lui piacerebbero città come Roma, Parigi o Madrid» insistette la donna, aprendo a fatica gli occhi e cercando di guardare suo marito, benché il suo sguardo appariva velato e spento. Sorrise, quanto gli fu possibile, alzando una mano verso quella di Viktor, osservandolo deglutire nel guardarla con apprensione.
«Andremo tutti e tre» rispose lui a fatica, prima di distogliere lo sguardo e chinare il capo, lasciando il panno bagnato e prendendo la mano della donna. «Andremo assieme, noi tre» ripeté, stringendo le dita della moglie tra le sue, tremanti, prima di portarsele alle labbra in un bacio lieve, chiudendo gli occhi.
«Non essere triste, Viktor, ti prego» frusciò Elaine con voce sempre più rantolante.
«Mi sembra tutto incomprensibile, impossibile. Non è giusto, né tantomeno corretto. Non adesso che sei tornata. Non capisco perché, non ne capisco il motivo. Avrei dovuto essere al tuo posto. Io me lo meritavo, non tu» replicò lui con voce spezzata. «È solo mia la colpa di tutto questo.»
A fatica Elaine si sottrasse alla presa delle sue mani, alzando la propria verso il viso del marito, chinato e celato alla donna. «Non vivere nel passato, Viktor, e non darti colpe. Questo è solo un passaggio, ricordi? Te lo sentii dire in passato. Sono parole tue. Non è questa la fine.»
«Per me lo è. Con te, termina tutto quanto ho di più caro.»
«Dimentichi Thomas...»
«Un figlio che non mi riconosce come padre...»
«Lo farà, devi solo dargli il tempo necessario. Lo capirà da solo. Thomas è intelligente, ha preso da entrambi e adesso è solo un ragazzino spaventato. Devi essere paziente.»
«Io ho bisogno di te, Elaine. Non posso prendermi cura di lui se neppure riesco a farlo con me stesso. Non ne sono capace. Non puoi lasciare me, né lui.»
Un singhiozzo di sofferenza ruppe le parole pronte a uscire dalle labbra della donna, seguito poi da uno spasmo del petto e un tossire profondo. La mano che delicata accarezzava la guancia di Viktor si spostò alla bocca, coprendo i colpi di tosse in un gesto istintivo, prima che la donna ricadesse sul letto più pallida ed esausta di prima.
Il conte prese celere uno dei bicchieri disponibili, sempre sul tavolo accanto, riempiendolo a metà di acqua fresca per poi aiutare la moglie a bere. «Calmati, agitarti e parlare non ti fa bene.»
«Non ce n'è bisogno» mormorò lei spostando con il dorso della mano il calice. «Sei un uomo buono, Viktor. Thomas lo capirà» sussurrò a stento, tornando a guardarlo. «Io ti amo, l'ho sempre fatto, anche quando non c'eri.»
Il conte distolse lo sguardo, respirando profondamente un'altra volta, fremendo dall'ansia sempre più grave. Sentiva gli occhi pizzicargli da lacrime che bruciavano salate, ma che controllò a stento, tornando a guardarla. «Anch'io ti amo, non smetterò mai di farlo.»
Elaine sospirò, paga nel sentirsi dire quelle parole, riuscendo a respirare per un istante a pieno, prima di farsi di nuovo affaticata e tossicchiante, cercando la mano del marito per stringerla con la sua.
Richiuse gli occhi, tornando nello stato ansante e malato di pochi minuti prima, lasciando il conte a riflettere su quelle parole, mentre il tempo rubava le forze alla donna distesa di fronte a lui.
Ore, minuti e secondi, mentre nuovamente i segni della tempesta battevano il tempo di una vita che si spegneva definitivamente, lasciando che dita leggere ormai fredde perdessero la presa su quelle calde dell'uomo, che cadde nella disperazione più oscura.
Thomas si accorse che qualcosa non andasse all'ultimo pasto della giornata, notando le facce tese e preoccupate dei domestici, per quanto cercassero di elargirgli sorrisi gentili. Il sospettò aumentò nel constatare che persino Cody fosse distante, accigliato e preoccupato. Un atteggiamento decisamente sospettoso.
Il maggiordomo era già stato messo al corrente di quanto accaduto qualche ora prima, senza sapere di conseguenza come comportarsi con il ragazzo affidatogli; annunciare la triste la notizia era fuori questione, oltre che non aspettava a lui farlo, sebbene il giovane fosse abbastanza sveglio da capire che qualcosa fosse accaduto.
Vinto dal dubbio, giocò distrattamente con il proprio piatto, privato della fame, prima di riportare per l'ennesima volta l'attenzione sul proprio assente tutore. «Che cosa succede?» chiese diffidente e con un pessimo presentimento che gli pungolava il petto.
Cody a quella domanda tornò alla realtà, constatando che il giovane visconte non avesse toccato cibo da quando si era seduto alla lunga tavolata preparata solo per lui, visto che ormai i rapporti con il padre si erano del tutto incrinati. A quel tavolo era praticamente stato sempre da solo, tranne per qualche raro momento dove Elaine era riuscita a condividerlo assieme a lui.
«Nulla, sono solo... pensieroso. Perdonatemi, Signorino. Non succederà più.»
«Siete tutti troppo pensierosi» valutò guardandosi attorno. «Rimuginate tutti sulla stessa cosa?» incalzò, tornando a guardarlo e accigliandosi in un modo che a Cody ricordò terribilmente Viktor quando poneva domande velate di sarcasmo.
«Credo... sia il tempo, Signore. Non amo la pioggia e sembra che metta di cattivo umore me tanto quanto il resto della servitù» constatò il domestico restando in piedi accanto al ragazzo. «Non avete fame?» aggiunse, sperando di spostare la sua attenzione sul piatto immacolato.
Ma il suo protetto scosse il capo, alzandosi in piedi. «Voglio mangiare con mia madre» esordì. «Non la vedo dall'altro ieri.»
«Il Conte è stato chiaro, Signorino: vostra madre non sta bene e non ritiene sia opportuno...»
«Non me ne importa niente di quello che dice lui!» replicò rabbioso alzando la voce, spostando indietro la sedia fino a farla cadere alle sue spalle. «Voglio vedere mamma, adesso!»
Si voltò, tra lo stupore dei pochi domestici presenti e del proprio tutore rimasto raggelato sul posto per la sua reazione del tutto inaspettata, guardandolo allontanarsi a passo deciso verso l'uscita dalla sala da pranzo prima di muoversi e richiamarlo, nel vano tentativo di fermarlo.
Al piccolo visconte non era mai stato vietato di vedere la madre con tanta decisione, e quando raggiunse la porta di ingresso di Elaine l'ansia si fece tanto pressante da diventare angoscia.
Cody fu celere a fermarlo definitivamente proprio sul varco di quella stanza, bloccandolo di forza per evitare che entrasse, con il risultato di trovarsi tra le braccia un urlante e agitato ragazzino che si dimenava in maniera frenetica, intimandogli di lasciarlo andare.
Le scuse e le richieste di calmarsi non avevano effetto, almeno fino a quando la porta non venne aperta dal conte, che ne scivolò fuori lentamente, socchiudendo dietro di sé il passaggio tanto da lasciarne visibile solo uno spiraglio.
Alla vista di Viktor, Thomas si bloccò, forse per lo sguardo indecifrabile che l'uomo gli rivolse o perché non si aspettava di vederselo comparire davanti, soprattutto viste le sue condizioni.
L'aspetto del nobile era scarmigliato: portava solo gilet e camicia, sbottonata al colletto e priva del fazzoletto di seta che teneva solitamente al collo. Sembrava non ci fosse traccia d'emozione nello sguardo rivolto al figlio, sebbene apparisse piuttosto penetrante, particolarità che lo rendeva ancora più inquietante.
Il conte tenne l'attenzione sul ragazzino a lungo, senza dire nulla e limitandosi a fissarlo con un'intensità mai avuta prima, almeno fino a quando non si rivolse all'uomo che lo accompagnava.
«Cody, portate via Thomas. Al momento... Al momento è meglio che non stia qui» ordinò, tornando a spostare l'attenzione sul ragazzino spaventato da quella voce, tanto da fargli persino venire i brividi e fomentare le sue paure; era una voce debole e stanca, priva della solita caratteristica autorità.
«Signorino, è meglio andare via...» sussurrò il maggiordomo, speranzoso di risparmiargli almeno per quella sera la verità, ma Thomas non si mosse, continuando a fissare il padre, tornato a guardarlo.
«Posso vedere la mamma... per favore?» domandò con tono incerto e tremante, combattuto dai suggerimenti della mente e da ciò che mormorava, lasciando che il sospetto diventasse sempre più concreto.
Viktor chiuse gli occhi, sospirando in risposta a quella domanda, spostando lo sguardo di lato per sottrarsi al figlio. Era giusto che lui sapesse e che piangesse la perdita, si disse, ma al contempo non aveva idea di come dargli quella notizia, senza cadere maggiormente nel proprio sconforto.
«Non potete... non... non puoi vederla, Thomas» mormorò chinando appena il capo. «Ora... non penso sia il momento.»
Il ragazzino lo fissò in silenzio, sentendo Cody prenderlo per mano «Tommy, andiamo» insistette a bassa voce, senza successo.
Il piccolo visconte si liberò della presa, avvicinandosi a Viktor di pochi passi, obbligandolo a tornare con l'attenzione su di lui.
«La mamma... la mamma sta bene, vero?» chiese con un filo di voce, cercando di apparire ancora padrone di sé.
Ha capito, lo sa, comprese l'uomo, senza rispondere e vedendo gli occhi del figlio inumidirsi di lacrime consapevoli.
Occhi così simili a quelli della madre; identica espressione di Elaine sofferente o quando l'aveva vista piangere. Mai come in quel momento il conte aveva notato le somiglianze tra il figlio e sua moglie, con l'unico risultato di provare un dolore ancora più acuto che lo obbligò di nuovo a distogliere lo sguardo.
«Mi dispiace, Thomas. Mi dispiace davvero» susurrò dopo diversi istanti, chiudendo gli occhi e restando con il capo chino. «Portalo via, Cody, per favore.»
«Ti prego...» insistette il ragazzo con la voce rotta dal pianto, ormai incontrollata. «Dimmi che la mamma sta bene...» singhiozzò senza più trattenersi, iniziando a piangere.
Viktor non rispose, voltandosi e dandogli le spalle, mentre Cody tentava di nuovo con gentilezza di trascinarlo via, in cupo silenzio, anche lui vinto dallo sconforto.
«Ti prego...» chiamò di nuovo Thomas con il viso ormai rigato dalle lacrime. «Ti prego... Padre... Ti prego... dimmi che la mamma sta bene!»
Viktor si bloccò esitando, poggiandosi con la mano allo stipite della porta quasi d'improvviso gli fossero mancate le forze per stare in piedi. Passò le dita tremanti tra i capelli, stringendoli appena in un gesto nervoso e frustrato, vinto da emozioni che lo stavano facendo a pezzi senza pietà.
Per quanto fosse solo stato un vano tentativo per convincerlo, sentirsi chiamare Padre in quel momento gli aveva provocato solo una stilettata di dolore ancora più intensa, sottolineando la consapevolezza di una fine che ancora faticava ad accettare.
Avrebbe deluso suo figlio per non essere riuscito a salvare sua madre.
Aveva deluso sé stesso per non essere riuscito a impedire la morte di chi amava.
«Non posso... Thomas» replicò in tono basso e tremante, tanto inusuale che persino Cody stentò a riconoscere la voce del suo signore.
Nell'istante successivo, il ragazzino si era già liberato dalla presa del proprio tutore, accorciando del tutto distanze con il padre e aggrappandosi con dita rapaci al suo gilet, strattonandolo.
«Non è vero, lei stava meglio l'altro ieri! Ha detto che la stavi curando, che potevi salvarla!» strillò in bilico tra l'ira e l'intollerabile sofferenza, alzando lo sguardo rigato di lacrime, maschera di rabbia e odio.
Viktor non lo guardò, gli era impossibile sostenere quello sguardo a seguito di quelle parole, avvelenate dalla verità più amara. Chiuse nuovamente gli occhi, restando immobile agli strattoni di Thomas, limitandosi a un lungo sospiro nervoso per tentare di calmarsi e riprendere la compostezza e ragione.
«Mi dispiace, non sai quanto» riuscì solo a dirgli a fatica dopo qualche istante, sempre senza guardarlo annichilito dalla vergogna, lasciando che il ragazzino piangesse contro di sé, lasciandogli sfogare tutto il suo dolore. Non chiese a Cody di intervenire, né tantomeno fece qualcosa per fermare i deboli pugni sferzati contro il suo fianco, fino a quando non furono cessati.
Fu forse l'unico momento in cui padre e figlio furono tanto vicini, ma allo stesso tempo terribilmente lontani tra loro.
Istanti, o forse minuti interi, passarono prima che Thomas si staccasse dal padre, recuperando a fatica i pezzi di sé che gli restavano, cercando di dominare il pianto fino a limitarsi a piccoli singhiozzi sommessi.
Con il capo chinato fece qualche passo indietro, senza dire altro. Le mani rimaste strette a pugno, tremanti da molteplici emozioni che lottavano tra loro. Si voltò verso Cody, sempre sottraendosi allo sguardo di chiunque, soprattutto a quello di Viktor che era tornato a fissarlo non appena si era scostato da lui.
Il nobile lo osservò allontanarsi, guardando le spalle scosse dai singulti, mentre superava Cody quasi come se non esistesse.
«Andate con lui» mormorò abbattuto Viktor con un filo di voce. «Non perdetelo di vista neanche per un attimo.» Si voltò verso il proprio maggiordomo, anche lui ammutolito dalla discussione a cui aveva fatto spettatore, per poi annuire silenzioso prima di seguire come un'ombra il ragazzo già sparito nelle tenebre del corridoio.
Gli allestimenti di Whitesand's ebbero inizio il giorno successivo dalla triste scomparsa: gli specchi vennero coperti da pesanti drappi scuri, mentre ghirlande e nastri neri furono affissati a porte e finestre per annunciare l'accaduto.
I domestici sfoggiarono abiti dai colori corvini, così come i signori di quella residenza resa cupa e oscura. Thomas fu ovviamente il più difficile da convincere a indossare quelle vesti, mentre Viktor, invece, si appropriò immediatamente di quella livrea, dalla quale mai si sarebbe più separato.
La veglia venne preparata nella residenza e solo dopo un giorno al piccolo visconte fu permesso di vedere la madre adagiata nel letto, resa presentabile da chi era abile di trattare quelle condizioni.
Appariva come se fosse profondamente addormentata, serena. Era stata truccata per nascondere il pallore cadaverico, perfettamente pettinata e vestita con un abito anch'esso dai toni scuri.
In quella stanza Thomas ci volle rimanere la notte intera, insieme a Cody, che in quell'occasione non lo lasciò un istante, ma con la chiara richiesta di non vedere per nessun motivo il conte, riprendendo a trattarlo come se fosse un perfetto sconosciuto.
Viktor aveva persino provato di parlarci e avvicinarvisi a lui, come aveva suggerito Elaine in passato, ma senza successo.
Difatti il tentativo aveva avuto pessimi risultati, andando a infrangere inevitabilmente il rapporto tra padre e figlio. Thomas aveva accolto Viktor con astio e odio, e frasi come "Tu non sei mio padre! La mamma è morta per colpa tua!" avevano portato il nobile a una rapida ritirata. Tuttavia, per quanto tali parole fossero state affilate come lame, furono anche origine della sua decisione finale.
La carrozza funebre, trainata da un tiro a quattro di splendidi cavalli neri, adorni da briglie e pennacchi del medesimo colore, venne a prendere la salma nella tarda mattinata del terzo giorno, dopo una rapida celebrazione funeraria svoltasi in casa, per dare l'ultimo addio alla contessa.
In pochi erano radunati per il corteo funebre, poiché il conte era stato chiaro nel non volere nessuno, benché ai parenti più stretti fosse stato ligio a invaiare la triste notizia.
Il feretro venne caricato di fronte ad alcuni domestici, oltre a Cody, Thomas e Viktor che avrebbero preso la carrozza padronale, restando al seguito del carro funebre.
Nessuno dei tre parlò, ignorandosi a vicenda. Thomas rimase accanto a Cody, osservando oltre la finestra del landau, stringendo la mano del suo tutore, mentre Viktor, da canto suo, non tolse la propria attenzione dalla finestra opposta a quella del figlio per tutto il tragitto, senza proferire parola.
Il conte aveva deciso di porre la donna amata nella tomba di famiglia, nel cimitero più vicino a Whitesand's Hall, dove già riposavano suo padre e sua madre.
In una giornata nata nel sole, il corteo giunse all'ingresso del cimitero nel momento in cui nuvole piene avevano di nuovo oscurato il cielo, lasciando che nell'aria si diffondesse il pungente odore di petricore, preannunciando l'arrivo della pioggia.
Una decina di ombrelli vennero aperti, mentre insieme varcavano l'ingresso del luogo sacro, lasciando che le prime gocce cadessero leggere sulla bara trasportata da quattro dei ragazzi più in forze, al servizio del Signore di quel contado.
Nessuno alzò lo sguardo; nessuno si accorse di un'altra figura accanto a uno dei cipressi che faceva da contorno al cimitero, la quale osservava distante e immobile come una statua.
Nessuno fece caso ad essa, benché qualcuno fosse consapevole della sua presenza.
La ritualità sacra della deposizione del feretro, all'interno del piccolo mausoleo della famiglia Lancashire, fu solo intervallata da sospiri e gemiti trattenuti, ma nulla ruppe il silenzio sacro di quel momento, osservando i quattro giovani dalle mani guantate di nero poggiare la bara decorata e intarsiata al centro della cripta di famiglia.
Al termine della deposizione, infine, la porta del mausoleo fu nuovamente chiusa, lasciando che i pochi presenti tornassero verso le proprie carrozze e carri, pronti per tornare alla loro vita quotidiana, benché toccati da quella morte ingiusta.
Thomas passò più della metà della cerimonia a tentare di trattenere le sue emozioni, stringendosi al suo tutore quando il dolore si faceva troppo forte, ma nell'osservare chiudersi la porta della cripta non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a piangere disperato.
Fu l'unico momento in cui Viktor rivolse la propria attenzione su di lui con evidente amarezza, faticando a sua volta a controllarsi.
Con un respiro profondo tentò di restare padrone di sé, guardando Cody che mormorava frasi di conforto al ragazzino strettogli addosso.
«Cody, ritornate alla carrozza» intervenne attirando l'attenzione su di sé. «Ho alcune questioni da risolvere» ordinò, rivolgendo lo sguardo verso la figura che stava ancora in piedi tra i cipressi, rivolta verso di loro.
Anche il domestico spostò lo sguardo nella stessa direzione, facendo poi per dire qualcosa, ma osservando il suo padrone scuotere il capo, indicando poi con un cenno del capo Thomas. «Andate, non ci metterò molto.»
«Come desiderate, Signore» mormorò il domestico, chinando il capo e sospingendo il ragazzino verso il landau.
Con passo claudicante, protetto dall'ombrello e appoggiandosi al proprio bastone, il Conte di Lancashire si diresse lentamente in direzione dell'uomo che era rimasto fermo accanto agli alberi, senza prestare attenzione nella sua direzione.
Il tempo era riuscito a rendere quel luogo ancora più lugubre e malinconico, tanto da far dubitare a Viktor che non fosse del tutto un caso. C'era stata sempre quella maledetta pioggia nella sua vita.
Si domandò, fermandosi a pochi passi dalla figura di fronte a sé, se anche quell'uomo avesse vissuto con Elaine atmosfere fredde, umide e tristi al suo pari; se quando viveva in America con sua moglie il tempo fosse stato lo stesso.
Benjamin non lo osservava. L'attenzione dell'americano era rivolta unicamente verso il ragazzino che in quel momento stava rientrando nella vettura e verso la quale lo stesso Viktor si voltò, dopo essersi fermato.
Rimasero in silenzio qualche istante e poco dopo Ben tirò fuori dalla tasca una scatola di latta consunta contenente tabacco, con il quale iniziò a fabbricarsi una sigaretta.
Aveva un aspetto completamente fuori contesto, con abiti laceri e vecchi, sebbene anche lui portasse un nastro nero intorno al bavero della giacca e una fascia del medesimo colore al braccio.
In testa, a proteggerlo dall'acqua, portava una coppola in lana grigia che aveva di certo visto giorni migliori.
«Da queste parti si dice che se piove sopra la bara di un defunto è di buon auspicio; vuol dire che questi è arrivato sano e salvo in paradiso» osservò con tono basso l'americano, portandosi alle labbra la sigaretta, accendendosela tra le dita.
«È tradizione» confermò Viktor senza guardarlo, rivolto verso il mausoleo di famiglia. «Non sarebbe potuta andare da nessun'altra parte.»
«Già» annuì Ben, voltandosi anche lui in quella direzione, prima che la conversazione calasse di nuovo nel silenzio.
Fu di nuovo quest'ultimo però a spezzarlo «Perché mi avete chiamato?» domandò girandosi finalmente verso di lui. «Non sono uno sciocco, non è di certo un invito solo per salutare... per salutare lei.»
«No, difatti non lo è» annuì il conte, scuotendo il capo. «Ho chiesto a Cody di cercarvi e chiedervi di venire qui per una questione molto differente.»
«Non so se esserne felice oppure no» rispose l'interlocutore, tirando dalla sigaretta e tornando a fissare un punto indistinto.
«In breve...» iniziò Viktor «Voglio acconsentirvi di vedere mio figlio e stare in sua compagnia.»
Benjamin, palesemente sorpreso, si voltò verso di lui, accigliandosi. «Come? Scusate?»
Il nobile sospirò stancamente, come se quella conversazione lo tediasse terribilmente. «Thomas ha appena perso sua madre e, come avevate previsto, non riusciamo ad avere una comunicazione concreta. In questo momento, mio figlio è da solo e io non sono capace di stargli accanto. La figura di genitore con la quale è cresciuto non sono io» spiegò in tono calmo, chinando appena sopra le spalle l'ombrello nero a protezione della pioggia. «Non sopporto di vederlo in queste condizioni e non ho altro modo di aiutarlo»
«E quindi mi state chiedendo di tornare da lui?» chiese ancora incredulo. «Avete avuto davvero questa idea?»
«Non vi sto chiedendo di tornare da lui, bensì ve ne do concessione» specificò voltandosi ad affrontarlo. «Avete millantato di provare affetto per lui, dopotutto, non è forse così? E no... non ho avuto io questa idea» spiegò, tornando a guardare la tomba di famiglia. «Dovreste ringraziare Cody per questa opportunità. Se avessi ascoltato il mio desiderio, non sareste stato neppure avvisato della dipartita di Elaine e, soprattutto, vi avrei fatto cacciare dai miei territori da molto tempo.»
«Voglio bene a Thomas come se fosse figlio mio» specificò Ben, per nulla intimorito dallo sguardo infastidito di Viktor nel sentire le sue parole. «Che cosa volete che faccia?»
«Vivrete a Whitesand's Hall, come mio domestico per evitare che dicerie e pettegolezzi possano espandersi. Assisterete Cody e solo quando ve lo dirà lui, potrete vedere Thomas. Nessuno deve sapere quanto è successo tra voi, Elaine e mio figlio. Ne andrebbe della reputazione dell'intera famiglia, motivo per cui spero nella vostra discrezione e soprattutto nel vostro buonsenso, sempre che ne abbiate.»
«Io non ho mai lavorato come domestico.»
«Lo imparerete, se volete restare accanto a mio figlio» replicò affilato, assottigliando lo sguardo. «Ve lo permetto solo perché vorrei vederlo sereno, che possa superare il trauma appena avuto avendo vicino qualcuno a lui veramente caro.»
«E voi che farete? Volete magari che vi aiuti a farvi accettare?» domandò, terminando la sigaretta e iniziando a farsene un'altra, nervoso quanto emozionato da quella prospettiva.
«No, io tornerò a Londra, a Villa Lloyd. Non ho intenzione di restare qui. Questo luogo è per me legato a troppe tristi memorie» mormorò guardando il cimitero nella sua interezza. «Non mi inserirò nella vita di mio figlio, non più. Avrà la migliore educazione, il migliore insegnamento e tutto quello che un ragazzo del suo rango debba avere. Voglio solo che gli stiate vicino come io non sono in grado di fare.»
Benjamin finì la sigaretta, osservando il terreno senza replicare, la portò alle labbra per poi accendersela. «Non so cosa pensare di voi, in onestà, se questa scelta sia codarda o egoista.»
«E che importanza ha?» replicò il conte, senza rivolgergli attenzione. «Se Thomas starà bene il motivo della mia scelta è irrilevante.»
L'americano annuì, espirando una sottile linea di fumo, riflettendo. «Ovviamente accetto, qualsiasi siano le regole che dovrò rispettare.»
Si voltò, osservando il nobile annuire mesto, quasi più tra sé e sé che rivolto al proprio interlocutore. «Addio, Signor Collins. Vi aspetteranno alla magione dal mattino di domani. Si occuperà di voi Cody e mi avviserà di ogni cosa che succederà in casa mia. Vedete di non fare errori. Non avrete altre opportunità» concluse, portandosi una mano alla falda del proprio cilindro nero come commiato.
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