Odio e amore
Era stato un pensiero fisso per tutto il resto della nottata. La sua mente aveva continuato ininterrottamente a tornare sulle parole del giovane marinaio come una nenia senza fine, come sottili viticci che bramavano affamati una libertà idilliaca.
Elaine non era riuscita a chiudere occhio, quella notte, rivoltandosi varie volte nelle lenzuola di lino, privata completamente del sonno.
Era davvero possibile andarsene? Fuggire da quella che aveva creduto essere da sempre la sua vita, con i suoi rigidi doveri? Poteva davvero decidere di voltare le spalle a Viktor e chiudere una volta per tutte il suo passato per iniziare un nuovo futuro? Era allettante, terribilmente allettante.
Benjamin le aveva offerto una via di fuga, attraverso un affetto e un sentimento dal sapore dolce, la cui necessità si era fatta sentire pesantemente.
In bilico tra la scelta di restare fedele al suo voto, coerente con ciò che le era stato insegnato fin da bambina e il lasciarsi il suo passato alle spalle, non sapeva quali delle due scelte fosse quella migliore.
Avrebbe dovuto abbandonare ogni agio, ogni diritto che aveva grazie alla sua classe sociale; tutto ciò che avrebbe potuto avere in quanto nobile di nascita non ci sarebbe più stato, ma in cambio avrebbe guadagnato un affetto reale che stava iniziando a scaldarle il suo cuore ferito e martoriato per ciò che in quegli anni aveva dovuto passare.
Il dovere lottava contro la volontà di rivalsa, combattendo una guerra che ancora non vedeva l'ombra di una vittoria.
Nellie, la mattina successiva, trovò la sua protetta in piedi, vestita solamente della vestaglia leggera che camminava con evidente tormento avanti e indietro per la stanza, fermando il suo incedere solamente nel vedere la propria domestica entrare.
«Va tutto bene, mia Signora?» domandò incerta la giovane, osservando il turbamento della contessa.
«No, Nellie, non va bene...» borbottò contrariata la ragazza, passandosi le mani tra i capelli ricci e disordinati dopo l'intera notte passata in bianco.
La domestica lasciò la colazione sul tavolo, mantenendo l'attenzione sulla sua protetta. «Cosa vi turba?»
Il tono della voce della ragazza tradiva l'inquietudine; era la prima volta che la vedeva tanto scarmigliata e apertamente agitata.
Sapeva che fosse successo qualcosa la sera precedente; l'atteggiamento di Elaine e di Ben era stato piuttosto ambiguo, chiaro era il fatto che fosse accaduto qualcosa tra i due, benché a nessuna domanda al riguardo da parte della domestica la contessa avesse risposto.
«Posso fare qualcosa per voi? Signora? Mi turba vedervi tanto agitata» tentò nuovamente l'approccio Nellie, affiancandola alla finestra attraverso la quale la nobile aveva iniziato a guardare il giardino esterno.
«Non credo, è una decisione che spetta solo a me, temo.»
«Decisione? Quale decisione?»
«Benjamin mi ha chiesto di andarmene con lui in America, ieri notte» iniziò a spiegare Elaine, in tono basso e incerto, tornando poi a guardarla «e io non so assolutamente cosa fare.»
«State davvero valutando di lasciare la villa? La vostra vita qui a Londra?» domandò lei sgranando gli occhi e portando una mano al petto quasi con sorpresa eccessiva.
Tuttavia Elaine non ci fece caso, sospirando e tornando a guardare l'ampio parco appartenente alla sua famiglia.
«Sempre ammesso che io decida, dovrei farlo il più presto possibile, prima che mio marito faccia ritorno» mormorò stringendo le labbra. «Una parte di me grida di andarmene, ma l'altra mi chiede di restare ancora per lui» aggiunse con voce tremante.
«Avete il mio appoggio, Elaine; qualsiasi scelta voi decidiate di fare, io vi aiuterò» sussurrò Nellie poggiandole una mano sulla spalla e accennando un sorriso.
«E se lui fosse un bugiardo? Solamente un millantatore che vuole prendersi gioco di me?» domandò in tono basso la ragazza. «Ho sempre creduto di non avere mai possibilità di scelta in tutta la mia vita, ora che invece sono io a decidere il mio destino non so cosa anteporre per il timore di sbagliare ancora.» Rialzò poi nuovamente lo sguardo sulla sua domestica «Che cosa dovrei fare, secondo voi?»
«Io, signora? Non saprei proprio come consigliarvi. Dovete sentire voi che cosa volete fare, se è un bene rimanere o andare in America lasciandovi tutto alle spalle.»
L'espressione di Elaine si fece ancora più cupa «Forse è meglio che ne parli con lui. Dovrei comunque dargli una risposta.»
«Volete che faccia preparare la carrozza?»
«Sì, ma mi serve un diversivo. Non è all'Istituto e non posso semplicemente chiedere al cocchiere di portarmi da lui» spiego la ragazza con maggiore frustrazione.
«Beh, potreste dire di avere un incontro o un'uscita e con quella scusa recarvi poi da Benjamin» propose Nellie. «Sbaglio o Jane vi ha mandato spesso dei messaggi per chiedervi come state e invitandovi alla residenza della duchessa Whitebury?» suggerì, indicandole nel frattempo anche il vassoio della colazione che restava abbandonato sul tavolo.
«Sì, Jane tra poco lascerà Londra, ora che la stagione è finita. Mi aveva avvisata, è vero. Potrei farmi accompagnare dalla duchessa e stare solo qualche ora, con la scusa anche di chiedere perdono a Maryrose per l'atteggiamento di mio marito...» valutò la contessa, facendo qualche passo.
«Al ritorno potreste dire al cocchiere che vogliamo fare una passeggiata per tornare fino a villa Lloyd...» suggerì la domestica, mentre vedeva la sua signora annuire.
«... e poi prendere un'altra carrozza che ci porti verso il Tamigi. Se resterete con me potreste chiamare voi Benjamin, così che possiamo vederci senza che nessuno faccia caso a me. In quel quartiere darei troppo nell'occhio.»
«State tranquilla, signora. Organizzerò tutto io e nessuno si accorgerà di voi. Ora però mangiate e calmatevi, mentre preparo l'occorrente per uscire oggi pomeriggio e lascio istruzioni al nostro cocchiere» cercò di quietarla la domestica. «Manderò anche ad avvisare la contessa che oggi pomeriggio sarete sua ospite, naturalmente con il suo permesso.»
Elaine sorrise, tirando un sospiro di sollievo. «Grazie, Nellie. Non so che farei senza di voi.»
Nel tardo pomeriggio la carrozza lasciò il vialone principale della residenza, sotto un cielo grigio che minacciava pioggia.
Nellie era stata di parola e aveva organizzato tutto puntigliosamente, facendo in modo che ogni cosa combaciasse perfettamente senza che la contessa facesse nulla. La domestica era stata sia dalla duchessa Whitebury che, successivamente, ad avvisare Benjamin del loro arrivo in serata.
Passò quasi tutto il pomeriggio in compagnia soprattutto di Jane, pur salutando la padrona di casa e scusandosi per l'atteggiamento che Viktor aveva tenuto al loro ultimo incontro.
«Non ho dato importanza all'atteggiamento di vostro marito, Lady Lancashire, e non dovreste essere di certo voi a scusarvi a nome suo» le aveva risposto con fierezza la donna.
Tra tè e dolcetti avevano parlato di futilità e dialogato piacevolmente, godendosi quel pomeriggio.
Le sue giornate di avrebbero dovuto essere così, osservò Elaine mentre guardava chiacchierare Jane e Maryrose, e forse dopo il suo ritorno Viktor le avrebbe lasciato quella libertà.
Tuttavia, sebbene conscia di far parte di quel mondo, si domandò quanto una vita più umile sarebbe stata diversa, priva di apparenze e con una realtà più viva e spontanea, legata a un sentimento vero e soprattutto ricambiato.
L'incontro con la duchessa e Jane permise all'ago della bilancia di propendere verso una scelta di vita differente, una fuga verso qualcosa di nuovo, di un amore che si decantava concreto.
La decisione si era ormai istillata in lei via via con più forza e i dubbi si erano diradati in problemi minori che credeva avrebbe facilmente risolto stando al fianco di una persona che sembrava tenerci a lei per davvero.
Sul tardi salutò le sue ospiti, ringraziandole dell'ospitalità e della splendida giornata che aveva passato assieme a loro.
«Spero di vedervi presto, Lady Lancashire» la salutò Jane. «Magari la prossima volta portare con voi mio cugino.»
«Spero anche io di vedervi presto» ricambiò la contessa, sorvolando sulle parole inerenti al marito e tornando invece a rivolgere la sua attenzione verso Maryrose, la quale la stava osservando con uno sguardo sospettoso, quasi percepisse l'inquietudine della ragazza.
«Portate i miei saluti a vostro marito, Lady Lancashire» salutò quest'ultima, mantenendo il suo sguardo dubbioso.
Elaine in risposta annuì, con un semplice sorriso di circostanza.
Come da accordi, la contessa e la domestica si allontanarono da villa Whitebury a piedi, con la scusa di passeggiare da Belgravia fino al quartiere di Mayfair, nonostante il tempo che iniziava a minacciare con sempre più prepotenza ciò che sembrava a tutti gli effetti un violento temporale.
Difatti il cocchiere rimase piuttosto interdetto dalla richiesta della sua signora, ma conscio del suo ruolo non investigò su quella scelta.
Camminarono giusto qualche minuto, cercando un'altra carrozza che facesse al caso loro e che le portasse verso Waterloo Bridge.
Benjamin e i ragazzi vivevano dall'altra parte del fiume, nel quartiere di Southwark, lungo una delle strade commerciali che dava direttamente sul canale, in una zona non particolarmente fatiscente e soprattutto avvolta spesso dalle grigie nebbie londinesi.
Quando la carrozza si fermò accanto alla palazzina dove vivevano i ragazzi aveva già iniziato a piovere debolmente, quasi come se l'atmosfera stesse iniziando a prepararsi a ciò che sarebbe accaduto più tardi.
Elaine guardò appena fuori dal finestrino, per poi voltarsi in direzione di Nellie. «Non so se sia una buona idea lasciare la carrozza ed entrare» osservò dubbiosa, tornando a guardare l'ingresso.
«In giro non c'è nessuno e credo che se dovete parlare sia meglio farlo dentro. Suppongo, inoltre, che abbiano passato l'intera giornata a sistemare quel buco che chiamano casa proprio perché sapevano che sareste venuta» spiegò la domestica, allungandole un mantello grigio per permetterle di coprirsi e uscire.
«Ma ci sono anche i ragazzi?» domandò la contessa, tergiversando.
«No, o meglio, verranno fuori con me. Voi e Ben sarete da soli. Non preoccupatevi» le sorrise lei, cercando di donarle coraggio per ciò che tentennava a fare.
Aveva lasciato villa Whitebury con la certezza di una scelta, che era poi ricaduta in dubbi incerti nel momento in cui si era trovata di fronte a una palazzina dalle pareti incrostate e crepate, domandandosi se non rischiasse di franare sotto i suoi piedi una volta entrata.
Non era mai stata in zone simili e neppure quel quartiere veniva considerato tra i più poveri, tuttavia non poté fare a meno di confrontare lo sporco delle strade, le case addossate l'una all'altra, i panni appesi tra un palazzo e l'altro, l'aria umida e dall'olezzo fastidioso con l'aria pulita e l'eleganza del quartiere dove viveva.
Quello era tutto un altro mondo e di fronte a tale povertà Elaine non poté fare a meno di chiedersi se la sua scelta fosse giusta o errata.
«Che cosa state aspettando? Volete che chieda a Benjamin di venire qui?» domandò Nellie, stringendo le labbra.
«No, io... non so. Questo posto mi mette angoscia.»
«Possiamo tornare indietro, se volete» propose la domestica, alternando lo sguardo tra la palazzina ed Elaine.
Quest'ultima sospirò, scuotendo il capo per poi sistemarsi meglio il mantello addosso, almeno da celare il più possibile gli abiti dalla pregiata fattura.
Senza aspettare Nellie, la contessa scese dalla carrozza facendo attenzione, colpita in viso dal vento e dalla picchiettante pioggerellina, dalla quale tentò rapidamente di ripararsi scappando verso la porta della palazzina che in quello stesso momento veniva aperta da Benjamin che l'accolse.
Elaine non si trattenne, entrando e abbracciando di slancio l'americano che la strinse a sé con uno sbuffo divertito, arretrando tanto da poterla trascinare nell'androne del palazzo, di fronte alla scala in legno che saliva verso i piani superiori.
Nellie, ridacchiando, li raggiunse, chiudendo la porta dietro di sé.
«Sono felice che alla fine tu sia venuta addirittura qui. Avevo detto a Nellie che queste zone non erano per te. Ci saremmo potuti vedere altrove, da qualche altra parte» valutò subito lui con un tono piuttosto preoccupato, guardando prima Elaine prendendole il viso tra le mani, per poi spostare la sua attenzione su Nellie, alla quale rivolse uno sguardo per nulla gentile.
La domestica però alzò le spalle con disinteresse, superandoli. «Andiamo, trascino fuori i ragazzi così da lasciarvi da soli» rispose lanciando un'occhiata sarcastica in direzione del ragazzo che non mutò espressione.
«Che cosa c'è?» domandò la ragazza attirando l'attenzione dell'americano, che tornò a guardarla facendosi più dolce.
«Nulla, ora che sei qui non può esserci nulla che non va» sussurrò poggiando la fronte contro la sua. «Anche se spero di non ricevere una brutta risposta alla mia proposta» mormorò, cercando lo sguardo della ragazza, accarezzandole il volto e spostandole una ciocca dietro l'orecchio.
«Ci ho pensato,» ammise lei stringendo le braccia attorno ai fianchi dell'americano «ma sono indecisa, incerta da quello che può accedere in futuro se facessi la scelta sbagliata.»
«Non puoi saperlo, Elaine, ma io posso dirti che farò tutto il possibile per farti felice» rispose lui affabile.
Lei rimase qualche istante a guardarlo, per poi osservarsi attorno piuttosto guardinga, prima di tornare su di lui che al suo gesto inarcò un sopracciglio, perplesso, prima di scoppiare a ridere.
«Non temete, contessa. Dove ho intenzione di portarvi non ci sono palazzine affollate e sporche come questa» rise lui, chinandosi alla ricerca del bacio di cui sembrava affamato.
Bacio che però venne interrotto dallo scendere rapido e rumoroso di Nellie e i ragazzi.
«Ancora qui state? Nellie ci ha detto di andare via velocemente che vi serve spazio...» si intromise Noel, ricevendo una gomitata dalla domestica.
«Stupido! Mica dovevi dirglielo» sbottò ridacchiando la ragazza. «Hanno solo bisogno di stare soli. Noi, quindi, intanto usciamo» spiegò, tornando a guardare Elaine che gli sorrise timidamente, consapevole della malizia presente nelle parole di Noel.
Non vide, però, l'espressione di nuovo truce del giovane americano che rivolse a tutti e tre, fissandoli mentre gli passavano accanto con sguardi furbi, come se già sospettassero il motivo per il quale i due dovessero restare da soli.
Ben sospirò nel vederli uscire, sghignazzanti, tornando quindi sulla donna che teneva ancora stretta a sé. «Beh, meglio salire. Di solito sulle scale si ferma gente poco onesta e non voglio che qualcuno ti noti o che ti infastidisca» mormorò, facendole quindi strada.
Neanche se lo avesse appena evocato da sopra di loro si udirono strilli e grida in una lingua a lei sconosciuta, che la lasciò piuttosto perplessa e fece, invece, ridere l'americano. «Non preoccuparti,» le sussurrò lui, tornando a usare un tono informale. «Sono italiani e spesso li si sente litigate anche di notte» mormorò spiegando il perché delle grida che provenivano dai piani superiori.
«Sembra si stiano ammazzando» valutò la contessa che tornò a salire, anche se piuttosto agitata.
«Perché non li hai sentiti quando si tirano addosso i piatti o oggetti, presumo. Oggi sono ancora accettabili» rise lui, fermandosi al primo piano per poi aprire una porticina di legno che cigolò, facendole cenno di entrare.
Era una stanzina piccola, con tre letti malamente ordinati, una finestra lasciata aperta con i vetri ormai opachi, una piccola stufa usata per cucinare, un tavolino con delle macchie dalla strana provenienza e un armadio in legno chiaro che stava in piedi per puro miracolo.
«Non è di certo la vostra magione, lo so...» osservò Benjamin mentre la ragazza si guardava attorno avanzando di qualche passo, facendo scricchiolare il legno sotto i suoi piedi e facendola fermare.
«Siamo sicuri che la casa non crolli, vero?» domandò non del tutto convinta, tornando a guardarlo mentre lui le rivolgeva un sorriso divertito, per poi avvicinarsi a lei.
«La casa non crollerà, piuttosto, hai deciso cosa fare? Vuoi venire con me in America?»
Lei ricambiò il sorriso, portando le mani sulle sue spalle. «Sì, ho scelto.»
Lui si fece serio, portando le mani sui fianchi della ragazza, come se improvvisamente temesse la risposta che lei avrebbe potuto dargli. «E cosa hai deciso?» domandò senza più riuscire ad aspettare.
Elaine sorrise, abbracciandolo e poggiando il capo sul suo petto. «Ho deciso che verrò via con te.»
Più tardi una carrozza entrò nel quartiere Mayfair, allo stesso tempo in cui i cavalli cambiavano la loro andatura, lasciando che l'eco ovattato degli zoccoli sul selciato permettesse a Elaine di tornare in sé, ricordandosi di dove realmente si trovasse.
Sospirò, mentre il sorriso che poco prima le illuminava il volto si spense nell'osservare il familiare luogo pulito e illuminato, ben diverso da quello dal quale lei arrivava.
I suoi occhi osservarono quel mondo esterno come se lo vedessero per la prima volta, attraverso un vetro sul quale rivoli di pioggia scivolavano incessanti, rendendo immagini distorte di ciò che vi fosse oltre a esso, reso ancora più deforme dalla lieve condensa che appannava i lati della piccola finestra.
Così si sentiva, dopotutto, anche lei stessa: una persona confusa, contorta dal susseguirsi degli eventi che aveva dovuto affrontare e l'avevano portata in quella situazione che faceva fatica a razionalizzare.
La vettura rallentò davanti alla cancellata bianca di villa Lloyd, la quale si aprì lentamente al passaggio dei due bai, bagnati e fumanti, incedenti a piccolo trotto lungo il viale principale che portava alla residenza, immersa nella più totale oscurità.
Appena si fermò uno dei domestici in livrea nera uscì trafelato dal portone, sorpreso dell'arrivo di quella carrozza che non apparteneva alla famiglia, ma chinandosi rispettoso nel riconoscere la contessa e la sua domestica.
Elaine gli rivolse stancamente un'occhiata, avvicinandocisi e posando la mano sulla sua, così da scendere l'unico gradino senza difficoltà.
Appena entrata la ragazza si apprestò a salire ai piani superiore seguita da Nellie, prima di sentire la voce di Viktor.
«Elaine» chiamò lui, con tono basso ma deciso, facendola sussultare.
Lei deglutì, restando immobile qualche istante prima di voltarsi verso lo studio del marito, con il cuore che iniziava a batterle nel petto a un ritmo forsennato, percependo al contempo l'ansia e angoscia.
Nellie, alle sue spalle, rimase anche lei congelata, ignara della presenza del conte in quella casa, tanto da non riuscire neppure a intervenire per fermare la ragazza.
L'ingresso alla sala studio del conte era appena socchiuso, ma da esso si poteva notare il lieve bagliore proveniente dal fuoco del camino acceso che riscaldava quella stanza, resa fredda dal gelo temporalesco.
La donna si maledisse: se solo avesse fatto più attenzione si sarebbe resa conto appena entrata di quella dannata porta aperta, solitamente sempre chiusa.
Lentamente si avvicinò alla soglia per poi entrare; chinò il capo restando immobile, prendendo a stirarsi nervosamente con le mani la veste di seta grigio chiaro che indossava.
Il silenzio accompagnò i due, rotto solo dallo scoppiettio del legno che bruciava.
Timidamente lei alzò lo sguardo su di lui, soffermandosi sulla figura longilinea del proprio marito, vestito in maniera impeccabile per un Lord del suo rango, sprovvisto solo della giacca, poggiata con cura su una delle poltroncine accanto a lui.
Osservò il suo profilo con attenzione seguendo la linea del volto perfettamente curato, in disarmonia con i suoi capelli neri lievemente arruffati, quasi ci avesse passato più volte le mani con insistenza dettata dall'impazienza.
Viktor era di fronte al camino, nella mano destra teneva un bicchiere di vetro vuoto, mentre la sinistra era lasciata aperta in direzione delle fiamme, come a voler percepire il calore che da esse scaturiva.
Non le diede subito attenzione, limitandosi a tenere lo sguardo davanti a sé, serio e impassibile come sempre, nonostante fosse conscio della sua presenza. Rimase in silenzio qualche istante, prima di voltarsi finalmente a guardare Elaine.
Appena lo vide girarsi nella sua direzione lei riabbassò il capo, guardando a terra e prendendo a stuzzicare con le dita i guanti in pizzo bianco che ancora indossava con evidente nervosismo.
Amava quello sguardo, amava il suo volto, ma ormai erano anni che non riusciva più a osservarlo senza sentirsi sopraffare dal dolore e dallo sconforto e il rancore provato, dopo ciò che aveva scoperto nelle ultime settimane, era decisamente cresciuto. Tuttavia la stretta al cuore si fece sentire, dolorosa e inevitabile, dettata da un affetto puro che mai sarebbe scomparso.
«Dove siete stata?» domandò Viktor, con voce bassa e stanca.
Lei si morse appena le labbra, continuando a tenere lo sguardo verso terra. «Sono stata invitata da Lady Whitebury questa sera, ma non mi sono accorta dell'orario. Vi chiedo di perdonarmi» rispose infine in tono basso, cercando di risultare il più credibile possibile, omettendo il dove fosse stata dopo l'incontro con la duchessa.
L'uomo la fissò qualche secondo, prima di avvicinarsi osservandola attentamente.
Nella sua mente si districavano dubbi e domande, come un enorme matassa alla quale avrebbe voluto venire a capo. Non capiva, e soprattutto non riusciva ad accettare ciò che gli aveva riferito Cody in quelle settimane tramite lettera e di persona poco prima dell'arrivo della moglie.
«Voi mentite» replicò, freddo e con tono calcolato, nonostante in realtà dentro di sé la rabbia avesse iniziato a graffiare.
Mai aveva provato un tale sentimento e mai avrebbe pensato che sarebbe successo nei confronti della donna che si trovava di fronte, impossibilitato ad accettare quella verità senza riuscire a trovare motivazioni logiche e razionali.
Leialzò lo sguardo nel sentire le sue parole e per un attimo restarono a fissarsireciprocamente, nel più totale silenzio.
Gli occhi azzurri dell'uomo scivolarono a osservare la pelle diafana dellamoglie, bianca come il latte, che risaltava i capelli neri intrecciati inun'acconciatura semplice. Trovò poi quegli occhi verdi che fin dalla primavolta che l'aveva vista lo avevano letteralmente stregato.
Ma conscio di quel sortilegio rifuggì immediatamente da esso, riportando losguardo sul fuoco.
«Mi credete uno stolto?»
«No, assolutamente» mormorò lei dopo qualche istante, tentato di celare lapropria tensione, nonostante sentisse terribilmente il bisogno di rifuggire dalui.
«Pensavate non lo venissi a sapere? O che non mi rendessi conto che vi steste comportando in maniera stravagante?» domandò nuovamente, privo di inflessioni.
Lei riabbassò lo sguardo, a disagio, percependo il proprio respiro iniziare a farsi più accelerato e sentendosi improvvisamente in colpa, sia di avergli mentito, sia per ciò che era successo, soprattutto quella stessa notte.
«Viktor, non ho fatto nulla che vi mancasse di rispetto o che macchiasse il vostro onore o...» iniziò a dire lei, ma il rumore del vetro in frantumi la fece trasalire, zittendola all'istante.
L'uomo, con un gesto di rabbia, aveva scagliato contro una delle pareti il bicchiere facendolo esplodere in mille pezzi: un atto che mai lei avrebbe creduto di vedere da parte sua.
Viktor non aveva mai perso la calma di fronte alla moglie e quella era la prima volta in assoluto che si era lasciato trasportare dalla rabbia, saturo delle proprie emozioni represse; mai quell'uomo aveva espresso qualsiasi tipo di turbamento in maniera talmente forte e incontrollata.
«Elaine, eravate a casa sua questa sera. Vi ho fatta seguire, sono giorni che vi faccio seguire» iniziò lui senza staccarle gli occhi di dosso. A fatica ora riusciva a tenere a freno la collera che sentiva salire di secondo in secondo.
In risposta la contessa lo fissò sgomenta, iniziando a sentire gli occhi bruciarle dalle lacrime, minacciose di uscire. Avvertiva il forte bisogno di rispondere, di difendersi e spiegarsi, ma le parole le morirono in gola.
«Voi mi avete mancato di rispetto. Il solo fatto che vi siate avvicinata a un uomo di uno status sociale più basso del nostro è una mancanza di rispetto. Siete stata a casa sua, in casa sua, con lui! Questo non macchia il mio onore? La vostra reputazione? O l'onore della nostra famiglia?» continuò, tentando invano di mantenere la calma, seppure ormai la sua rabbia fosse più che palese, se non nelle sue parole quanto meno nella sua espressione e nei suoi gesti.
Lei non fiatò, bloccata dall'ira che leggeva nell'atteggiamento del proprio marito, come se in quel momento avesse realmente perso l'uso della parola
«Siete stata a letto con lui?» domandò Viktor a bruciapelo e lei percepì un lieve tremore nella sua voce. Scosse il capo in risposta a quella domanda, mentre sentiva si nuovo la solita stretta al petto che dolorosamente aumentava, faticando a trovare il coraggio per parlare.
«No... non potrei mai» sussurrò a fatica, nonostante in quel momento le tornasse in mente ciò che poco più di un'ora prima fosse successo, quello che lei aveva infine deciso assieme a Benjamin.
Viktor rimase a fissarla, incerto se crederle o meno, ma restando con uno sguardo duro e fermo. «Non dovrete più vederlo. Ve lo proibisco» dichiarò cupo, con voce bassa e cercando di recuperare la calma che la collera gli aveva appena portato via. «Voi siete mia moglie: siete mia e nessuno oltre a me ha il diritto di toccarvi.»
A quelle parole il l dolore al petto della ragazza si fece tanto acuto da diventare insopportabile. Le lacrime iniziarono a uscire senza freno e il corpo prese a essere scosso da singhiozzi.
«Sono due anni che non mi toccate; due anni che passo la notte da sola, mentre voi passate le vostre in chissà quale bordello con chissà quali prostitute» gridò con rabbia e frustrazione, mentre lacrime copiose le rigavano il volto.
A quella reazione inaspettata da parte di Elaine lui letteralmente impallidì, serrando la mascella e restando senza parole.
«Sono a conoscenza delle vostre uscite. Inizialmente vi credevo quando dicevate che stavate via per lavoro, che avevate delle visite e che volevate continuare i vostri studi. Io... io non volevo vedere, non volevo crederci.» Con fatica tornò a guardarlo tristemente, mossa da sentimenti contrastanti.
La mano destra continuò a cercare di cacciare via le lacrime mentre la sinistra si portò al proprio petto come se potesse in qualche modo limitare il dolore che stava provando.
«C'è stato un momento dove ho davvero creduto di perdervi, dove ho creduto che non sareste mai più tornato e che io per voi non esistessi più.»
Il ricordo di quel giorno in cui Marjorie era apparsa in villa si fece vivo in lei tanto da strapparle un altro lamento. Finì la frase con una rabbia che non credeva di avere, continuando a fissarlo; erano anni che si teneva tutto dentro, anni che voleva urlargli in faccia la verità e ora non aveva nessuna intenzione di fermarsi. «Voi non avete più dimostrato interesse nei miei confronti, ogni volta che mi guardavate vedevo solo la solita espressione fredda e disinteressata. Ogni volta che provavo a chiedervi qualcosa mi rispondevate con sufficienza e alla fine sono arrivata a non parlarvi affatto per tutto il male che questo mi comportava.»
Terminò la frase tirando un lungo sospiro, tornando a cercare nervosamente di scacciare le lacrime e calmare i singhiozzi, ovviamente senza successo.
Viktor le si avvicinò di un passo mantenendo un'espressione interdetta, sia per ciò che stava sentendo, sia per quello che la donna di fronte a lui stava dimostrando per la prima volta.
«No, vi state sbagliando...» rispose incerto, come se solo adesso si accorgesse di quello che in quei due anni fosse realmente accaduto, ma lei scosse il capo con forza chiudendo gli occhi e riportando lo sguardo verso il terreno.
«Voi mi parlate di rispetto, quando io non vi ho mai tradito, ma vi ho sempre amato» mormorò con difficoltà tremando leggermente, incrociando le braccia davanti al petto e afferrandosi i gomiti come a trattenere quel tremore.
«Anche io vi ho sempre amata,» rispose lui con tono secco «non ho mai smesso di farlo» aggiunse appena la vide nuovamente alzare lo sguardo su di lui.
Elaine rimase in silenzio, lasciando che le lacrime le scendessero lungo le guance, in dubbio dalle sue parole. «E allora perché? Perché non mi avete più toccata, né cercata, né più mi avete rivolto parola?» domandò in tono basso «Perché siete andato a cercare conforto da un'altra donna?» sussurrò infine, scuotendo il capo.
Viktor alzò lentamente la mano verso di lei, sfiorandole una guancia delicatamente, con la punta delle dita, prima di passarle il pollice ad asciugarle parte delle lacrime.
«Credevo che voi non mi voleste; avevate smesso di dormire con me, passando le notti da sola nelle vostre stanze e...»
Non finì la frase, lei non glielo permise. Elaine gli si buttò tra le braccia, continuando a singhiozzare, affondando le dita nella sua camicia e stringendo con forza il tessuto.
Lui si irrigidì leggermente a quell'abbraccio, completamente inatteso, ben poco avvezzo al contatto fisico che con lei non aveva più da tempi immemori, ma un istante dopo la cinse a sua volta, stringendola a sé con un sospiro tremante. Infilò la mano tra i suoi capelli, tra i quali vi affondò in parte il viso, chiudendo gli occhi e rabbrividendo per la sensazione provocatagli da quell'abbraccio inaspettato.
Ma l'apparente affetto disperato si trasformò l'istante successivo in un gesto di rabbia, lasciando che la tenerezza apparisse nella realtà di un dolore e di un'angoscia taciuta nel tempo.
Con collera e forza incontrollata dal dolore, Elaine iniziò a colpire ripetutamente il petto del marito a pugni chiusi, singhiozzando sconfortata e ancora morsa dalle zanne velenose del tradimento e dell'abbandono subito.
Viktor non reagì, tenendo saldo l'abbraccio che stringeva a sé la moglie, permettendole di sfogare tutta la sua sofferenza, conscio finalmente che quel male che lei stava gridando fosse unicamente dovuto a lui.
Tacque, lasciandosi colpire in silenzio, aspettando che quella furia si placasse, incerto su cosa dire e come affrontare ciò che ne sarebbe poi scaturito successivamente.
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