Lancashire
Il viaggio fino a Preston durò diverse ore; sarebbero arrivati alla città, per poi prendere a nolo una carrozza fino alla magione della famiglia Lancashire.
Chiusi in un comodo vagone privato a sei posti, tappezzato di velluti color crema e pareti in legno laccato di vernice scura, i tre passeggeri parlarono ben poco.
Elaine aveva iniziato la traversata in un tacito silenzio, pensando al suo compagno obbligato a viaggiare in un contesto del tutto fuori luogo alla sua persona, per quanto l'astio da lui dimostrato fosse di ben altra genesi.
Cody aveva provato a insistere sul problema che Ben non fosse nelle condizioni appropriate per viaggiare in prima classe, ma non c'era stato modo di convincere l'americano, né tantomeno la nobildonna.
«Non avete l'atteggiamento e i modi di un domestico. Probabilmente a voi poco importa, ma volete rischiare di mettere a disagio la Signora facendo qualcosa di sciocco e volgare?»
«Sono capace quanto voi di stare seduto accanto a Elaine standomene zitto!» sbottò Ben in tono duro. «Potete benissimo prestarmi degli abiti, considerando il fatto che ormai qui non ci vive più nessuno e i domestici sono ridotti all'osso!» aveva esclamato, facendo notare quanto in povertà fosse caduta Villa Lloyd.
«Non sareste comunque in grado di tenere un comportamento educato...» valutò Cody inarcando un sopracciglio e mantenendo il suo proverbiale autocontrollo.
«Ora basta, lui verrà con noi. Avremo a nostra disposizione una zona privata e nessuno avrà modo di dubitare di Ben, non potendolo vedere. Non voglio che viaggi in un'altra carrozza da solo» proferì la nobile, gentile ma decisa e Cody, umile, non poté che annuire chinando il capo.
Era strano l'atteggiamento del maggiordomo, valutò Elaine. La Contessa aveva un ricordo di lui ben differente, molto più pacato, cortese e soprattutto meno bellicoso. Non poté fare a meno di domandarsi cosa fosse accaduto a lui e al suo padrone in tutti quegli anni.
Non aveva avuto modo di indagare sulla vita passata del Conte, sapendo che l'argomento avrebbe stizzito Ben, già abbastanza visibilmente teso.
Non sapeva l'origine dell'astio tra i due, né tantomeno conosceva il rancore del ragazzo dai capelli biondo miele per quanto accaduto otto anni prima.
Lui aveva rischiato di morire e il suo padrone era stato drogato e ingannato, dando vita a un inferno da cui erano usciti con discreta difficoltà. Tuttavia il domestico non fece mai parola di quanto accaduto né la sera prima né durante tutto il viaggio, motivo in aggiunta della crescente ansia di Benjamin.
Dopo un tempo che percepirono tutti come interminabile, tra brevi dormite e scarne parole scambiate, nelle prime ore della sera finalmente il treno entrò nella stazione di Preston, annunciandosi con un lungo fischio e una nube di vapore proveniente dalla locomotiva.
Bastò quello stridio a far rabbrividire la Contessa, quasi fosse per lei stessa un monito di dove fosse arrivata: un luogo a cui aveva spesso anelato di recarsi in epoca lontana insieme al suo sposo, ma che mai le era stato concesso.
Nello scendere gli scalini del treno, aiutata da Benjamin e con Cody a loro seguito come un'ombra, Elaine si domandò cosa l'aspettasse in quella villa; se avesse visto o trovato qualcosa che potesse farle tornare in mente ricordi vividi del suo passato.
Sarebbero bastati dei semplici dipinti in cui il conte fosse stato ritratto per far tornare tutto a galla, un suo oggetto o un suo abito, così come era accaduto nella notte in cui era rimasta a dormire nel suo vecchio giaciglio, senza ovviamente chiudere occhio e versando lacrime a lungo, rannicchiata sotto coperte bianche e pulite delle quali neppure ricordava la sensazione sulla propria pelle.
Era stato il suo addio, in un certo senso; un addio che sarebbe diventato definitivo attraverso una firma, per poi tornare da Thomas con gli atti di proprietà di una villa da vendere e una da cui derivavano solo spiegazioni spinose.
Un paio di carrozze attendevano i clienti appena fuori dalla stazione, verso le quali Cody si diresse con il solito incedere sicuro. Scambiò qualche frase con il cocchiere e gli allungò quanto pattuito tra i due, ringraziandolo.
Maggiordomo e vetturino caricarono i pochi bagagli, con sorpresa del proprietario della carrozza, abituato a vedere molte più borse e bauli a seguito di una nobildonna come Elaine appariva, ma ovviamente nulla domandò e chiese.
Ben invece le rimase accanto, impacciato in abiti non suoi che gli risultavano fin troppo stretti e soffocanti. La aiutò a salire e sedersi, prendendo poi posto accanto a lei, mentre gli altri due uomini finivano di preparare la vettura.
«Io prenderò posto vicino al cocchiere» anticipò Cody, fermandosi alla porta della carrozza e guardando Elaine. «Se la Signora non ha nulla in contrario» aggiunse, come da etichetta. Un'etichetta che Elaine aveva ormai quasi del tutto dimenticato.
«Quanto ci vorrà per raggiungere la magione?» domandò in risposta chinandosi appena nella sua direzione.
«Qualche ora, mia signora; siamo abbastanza vicini. Ipotizzo che raggiungeremo Whitesand's durante la notte» valutò, guardando poi verso l'uomo che guidava i cavalli, in attesa di un cenno affermativo che non tardò ad arrivare, poi riportò l'attenzione su di lei. «Potrete cercare di riposare, vista l'evidente vostra stanchezza.»
Elaine accennò un sorriso, benché poco visibile al di sotto del velo color della notte. «Tenterò di seguire il vostro consiglio. Grazie, Cody.»
Il ragazzo si prodigò in un altro inchino rispettoso, poggiando una mano sul petto con evidente deferenza che a Elaine sembrò del tutto spontanea, aggiunta infine da un sorriso che gli rivolse con gentilezza genuina.
A Ben non rivolse occhio o parola, come se fosse tornato a non esistere.
Poco dopo la carrozza partì, con la coppia finalmente sola tra quattro pareti eleganti, cullati da un dondolio leggero e il rumore ritmico degli zoccoli dei due corsieri.
Fu proprio per quel movimento e lo scalpiccio degli animali che Elaine si rilassò, dopo due giorni di ansie e angosce celate, togliendosi il velo e rannicchiandosi contro Ben, lasciandosi cullare nell'abbraccio che la strinse con dolcezza e al contempo fermezza.
Nulla dei propri affanni venne espresso dall'americano, felice da quel contatto ma ancora troppo teso dalla situazione nella quale si erano imbattuti, impossibilitato a dire quale fosse la realtà dei fatti e confidarsi quindi con chi considerava la sua compagna a tutti gli effetti.
Viktor era morto, ma Cody aveva un comportamento ai suoi occhi decisamente strano.
Perché non aveva detto a Elaine la verità? Lui sapeva, era a conoscenza di tutto, eppure aveva lasciato che l'accompagnasse, che la seguisse, accettando apparentemente la scelta di restare con lui, ma tutto ciò non aveva alcun senso.
C'era qualcosa che nascondeva, ne era certo soprattutto dopo aver tentato inutilmente un chiarimento la notte precedente, in villa Lloyd. Chiarimento che non era arrivato, trovandosi invece di fronte a uno sprezzante maggiordomo rasentante la maleducazione.
Cody non aveva risposto a nessuna richiesta o spiegazione, sviando il discorso con risposte al limite dello sgarbato, arrivando infine a congedarsi frettolosamente con una banale giustificazione legata alla stanchezza della lunga giornata.
Quell'atteggiamento, assieme a qualche provocazione sporadica, avevano permesso di attecchire sempre di più a un'aspettativa dal sapore aspro. Aveva paura di andare incontro a una sorpresa che non gli sarebbe piaciuta affatto.
Elaine si era assopita, mentre Ben si perdeva attraverso le sue paure e le sue congetture, in dubbio se fermare la carrozza e chiedere di tornare indietro, per quanto ormai considerasse impossibile ritornare sui loro passi.
Cercò di concentrarsi su di lei, sul viso finalmente rilassato dopo due giorni di pallore, colpi di tosse, occhi rossi e lacrime amare. Lacrime che, per quanto non fossero rivolte a lui, riteneva esserne il responsabile, sia per quanto accaduto al Conte, sia per la folle idea di portarla in quei luoghi a cui era ancora legata.
Sapeva a prescindere che non sarebbe mai stata del tutto sua, nonostante ciò che avesse fatto per lei, cercando di costruire la famiglia che aveva sempre desiderato.
Elaine non lo avrebbe mai amato come avrebbe voluto. Non lo avrebbe mai amato come aveva amato Viktor.
Poteva odiarlo, detestarlo per ciò che aveva fatto o che credeva di aver visto, ma non lo avrebbe mai dimenticato, e lui lo aveva sempre saputo.
Il fatto che fosse morto aiutava, incoraggiava quella sottile speranza che forse non tutto fosse perduto e che forse la possibilità di un futuro assieme ci sarebbe stata davvero. Inoltre avevano Thomas e, sebbene non fosse del suo stesso sangue, lo amava quanto fosse figlio suo. Era parte anch'esso della sua famiglia.
Elaine non avrebbe dimenticato e quei fantasmi che la tormentavano sarebbero sempre rimasti con lei, ma magari, da quel viaggio, li avrebbe chiusi definitivamente là dove dovevano restare, permettendole di vivere con lui serena e senza pensieri.
Sempre che quel maledetto domestico non avesse in mente qualche brutto scherzo.
L'americano si assopì dopo diverso tempo, quando ormai la carrozza era uscita dalle strade lastricate della città, iniziando a prendere una via dal terreno più irregolare, ma nonostante gli scossoni la coppia non sembrò neppure rendersene conto, stanchi come erano dal lungo viaggio.
Solo Cody e il cocchiere restavano svegli, avvolti in pesanti abiti a protezione dal freddo e umidità della pianura costiera del Lancashire.
Nessuno dei due parlava, pur conoscendosi da anni. Erano bastate poche parole, alla stazione, per mettersi d'accordo. Ormai chi doveva sapere era a conoscenza del loro imminente arrivo.
Era ormai notte inoltrata quando giunsero nei pressi della residenza, avvolta nella più totale oscurità.
Solo l'ombra della gigantesca magione si stagliò agli occhi di chi fu svegliato delicatamente dal maggiordomo del Conte di Lancashire, sebbene al contempo anche chi le era accanto tornò dal mondo dei sogni.
Ben sbadigliò nello scendere, ancora non del tutto sveglio, lasciando a Cody l'onere di aiutare la contessa in abiti a lutto, vigile e con lo sguardo rivolto all'imponente ombra nella notte.
Non vi erano lanterne né luminarie a gas accese, solo qualche tenue luce proveniente dall'interno della villa, visibile attraverso i tendaggi di qualche finestra, lasciava presagire che non fosse del tutto abbandonata.
Quasi come se anelasse che qualcuno si affacciasse da una di quelle finestre, Elaine alzò il capo, fermandosi prima della scalinata in marmo che portava all'ingresso, andando a guardare, o meglio cercare. In sé sperava di scorgere una figura, un movimento o un qualsiasi segno della presenza di qualcuno che era stato dato per morto, ma nulla si mosse e nessun'ombra si intravide passare alle deboli luci delle candele.
«Vi consiglio di andare a riposare, entrambi. Domani avrete il tempo per fare ciò per cui siete venuti. Darò disposizioni a chi è rimasto per prepararvi due stanze per dormire, separate» sottolineò Cody guardando Ben, abbastanza ripresosi per ribattere, ma il maggiordomo rivolse il proprio sguardo verso la contessa. «O preferite disonorare la memoria di vostro marito dormendo nella vostra casa in compagnia di quest'uomo?» domandò con tono gentile, sebbene questa volta risuonò ai due piuttosto tagliente.
Ben si voltò a guardare Elaine, nascosta di nuovo sotto il velo oscuro, la quale tornò ad alzare lo sguardo verso le finestre, nella speranza vana di vederci apparire qualcuno, magari solo per vedere chi fosse arrivato, inutilmente. «No, difatti sarebbe irrispettoso» ammise, suo malgrado.
«Possiamo almeno avere due stanze vicine?» domandò l'americano rassegnato, osservando Cody annuire.
«Non credo ci saranno problemi ad acconsentire a questo, Signor Collins.»
La carrozza si allontanò, lasciando il piccolo gruppo davanti a un'entrata monumentale in stile neoclassico sostenuta da colonne eleganti. Solo la ghirlanda nera appesa alla porta, portatrice di nefaste notizie, rovinava quella cornice nella fioca luce di una notte umida e senza luna.
Il domestico suonò il campanello, per poi bussare con decisione sul battente, ripetendosi dopo qualche minuto di attesa.
«Se c'è qualcuno nella villa starà dormendo, Mr. Stoks» valutò l'americano arrotolandosi una sigaretta nell'attesa, ricevendo in tutta risposta uno sguardo frustrato.
«Siamo nel bel mezzo della notte, se non ve ne fosse accorto. I domestici dormono e nessuno scenderebbe ad aprire in veste da notte.»
La contessa li lasciava parlare, stringendosi sulle spalle uno scialle di lana scura, iniziando a patire il freddo. Si spostò appena dai due, mentre discutevano, tornando a guardare di nuovo verso le finestre.
Per un attimo questa volta gli parve di vedere un'ombra tra le luci soffuse, a lato degli scuri aperti, ma riuscì a scorgerla solo qualche istante, tanto da non riuscire a identificare la corporatura.
Poi, finalmente, la porta si aprì.
Gli ospiti vennero fatti entrare da uno dei domestici, vestitosi di fretta e probabilmente corso giù dal letto trafelato, visto l'aspetto scarmigliato e gli abiti fuori posto, l'espressione ancora semi assonnata.
«Mr. Stoks, perdonate, non aspettavamo nessuno questa notte. Se avessimo saputo...»
«Non darti pena, Terence. Non abbiamo avuto tempo di avvisare del nostro arrivo» spiegò Cody poggiandogli una mano sulla spalla e passandogli accanto. «Svegliale Isabel e Agnes, ditegli di preparare la stanza padronale della Signora e una per gli ospiti, quella più vicina ad essa» spiegò, rivolgendo l'attenzione verso Elaine, limitatasi a fare qualche passo all'interno. «Benvenuta a Whitesand's Hall, Contessa di Lancashire.»
Erano bastati pochi minuti per le stanze, già precedentemente ordinate e pulite per qualsiasi evenienza.
Ben insistette per entrare con Elaine nella camera padronale, quasi temesse ci fosse dentro un fantasma, turbato dal dubbio che potesse trattarsi di qualche inganno escogitato dal Maggiordomo, per il quale non nutriva ormai nessuna fiducia.
La Contessa tuttavia non ci fece particolare caso di dove stesse entrando. Per quanto avesse voluto recarsi in quei luoghi con Victor, le sensazioni di angoscia le risultarono inferiori rispetto a ciò che aveva percepito nella residenza Londinese.
A Whitesand's non aveva memorie, né ricordi, a differenza di Villa Lloyd, nella quale aveva trascorso anni tra tormenti e desideri. In quel luogo, invece, non c'era nulla che le ricordasse il Conte di Lancashire.
Erano arrivati alle prime ore della notte, privati della luce del giorno, stremati da un viaggio sembrato interminabile per mente e corpo. Elaine era stanca, troppo per accorgersi delle angosce del compagno e per le tracce di vita di quella casa avvolta nel buio, e in quel momento, poche ore dopo la mezzanotte, sentiva solo il bisogno di riposarsi.
Declinò la proposta di aiuto da parte di una giovane domestica, probabilmente svegliata di soprassalto e frettolosamente quando già si trovava sotto le coperte, lasciando che fosse Ben a occuparsi di lei.
Magari lo stare da soli, valutò, lo avrebbe alleggerito del fardello che sembrava pesargli addosso sempre di più.
Tossì un paio di volte, coprendosi le labbra con le mani, rabbrividendo alla frescura della stanza non appena fu libera dagli indumenti pesanti e ingombranti a cui non era più abituata.
«Sei sicura che non vuoi che resti con te? Nessuno qui se ne accorgerebbe, credo che persino Cody sia andato a dormire» propose l'americano accarezzandole la spalla, per nulla convinto di lasciarla di nuovo da sola.
«No, meglio che vai a riposare nell'altra stanza. Non fraintendermi, ma è anche una questione di correttezza. Dormire qui dentro assieme è irrispettoso...»
«Potresti sempre dormire nel mio di letto» insistette, celando l'affanno e le paure dietro a una voce affabile e calda.
«Non si scherza, Ben» rispose lei accarezzandogli il volto. «Viktor potrebbe essere morto qui, anzi, so che di per certo in questa casa è deceduto suo padre. Non voglio far adirare nessun'anima che possa ancora celarsi tra queste mura.»
«Credi ai fantasmi, adesso?» la provocò allargando il sorriso, tornando l'uomo spiritoso e sarcastico di un tempo. L'uomo a cui lei stessa aveva concesso di portarla via, dandogli massima fiducia.
«Quello che abbiamo fatto è sbagliato...» sussurrò lei rabbrividendo di nuovo, mentre lui le accarezzava le braccia nude. «Qui dentro mi sento un'estranea e... scusa, Ben, ma voglio restarci da sola.»
«Come a Villa Lloyd?»
«Sì,» ammise alzando lo sguardo su di lui «io... credo sia giusto.»
L'americano spostò le mani sospirando di frustrazione e facendo un passo indietro, stringendo le labbra e diventando torvo in viso. «Lo sai almeno quanto a me faccia male accettare il fatto che tu voglia stare da sola?» domandò serio.
«Ben...»
«Ti ho lasciata da sola a Villa Lloyd; ho accettato ogni richiesta per te senza battere ciglio. Ti osservo guardarti intorno con nostalgia, sperando in futuro di non vedere quell'espressione mai più. Accetto che il suo ricordo ti stia consumando» elencò con foga, senza nascondere il suo fastidio, neppure nel vedere la donna irrigidirsi a quel fiume di parole.
«Accetto che tu lo possa amare ancora, anche se non capisco come, né perché. Ti ho dato tutto, sono stato con te per anni costruendo le basi di una famiglia che non hai mai avuto, ma che hai sempre desiderato. Non ti ho mai fatto mancare nulla, affetto, attenzioni, calore, cibo o vesti. Ho fatto tutto quello che potessi mai fare!»
Parlava con calma, benché le sue parole fossero un torrente in piena, impossibili ormai da trattenere, frenando visibilmente la sua rabbia, ma tuttavia non mostrando collera, né il tono risultava troppo alto.
Chinò il capo, sottraendosi alla vista delle lacrime che Elaine tratteneva, scuotendo poi la testa.
«Per te non è mai stato abbastanza, né lo sarà mai. Ci sarà sempre lui, sempre, e io davvero non riesco a capire il perché.»
Un silenzio cadde tra i due, pesante come non mai. Solo i loro respiri, affannati e irregolari, facevano da sottofondo.
Elaine tentò di parlare, di rispondere, ma un singhiozzo trattenuto bloccò ogni suo tentativo, lasciando all'uomo solo il rimorso di essersi lasciato andare al proprio sconforto.
La mortificazione dell'averla ferita lo colpì dopo pochi secondi, nel sentirla di nuovo singhiozzare, ritrovando il coraggio di guardarla. Gli dispiaceva, certo, ma al contempo sentiva il peso alleggerito di tutto quello che si era portato dentro dal momento in cui avevano raggiunto Londra.
«Mi dispiace, Ben...» mormorò lei osservandolo. «Mi dispiace davvero.»
«Ti dispiace, ma cambia forse qualcosa? No, Elaine, non cambia nulla!» osservò calmo ma deciso. «Hai sofferto nel momento in cui hai posato piede di nuovo a Londra e non hai più smesso, perdendoti nella vita che hai avuto otto anni fa. Nel tuo egoismo hai solo pensato a te stessa, a quello che hai perso.»
«Non è vero, non è così...»
«Non è così? Ho dovuto stare zitto alle parole di quel domestico, ho dovuto accettare che tu restassi a dormire nella tua vecchia stanza che condividevi con lui, sapendoti con i pensieri di quello che facevi in quelle lenzuola,» illustrò con tono fermo, osservandola chinare il capo a quelle parole «e nonostante lo sapessi, te l'ho concesso lo stesso. Non ho detto nulla!»
«Per me non è facile!» replicò lei con tono più alto, più agitato, singhiozzando.
«Non lo è neppure per me!» sbottò in risposta Benjamin, questa volta senza trattenersi e sovrastandola con la propria voce, con il respiro che si faceva irregolare, per poi abbassare il capo a sua volta e prendere un profondo respiro per calmarsi.
«Vuoi stare da sola? Benissimo, fai come credi» sentenziò alla fine, voltandosi e dirigendosi alla porta, esasperato. «Nel caso dovessi cambiare idea sai quale sia la mia stanza. Buonanotte!»
«Ben, davvero... mi dispiace... aspetta...» insistette Elaine, facendo per seguirlo.
«Ho sonno e sono stanco» rispose lui all'uscio, aprendolo e voltandosi a guardarla. «Non abbiamo altro da dirci. Voglio solo che questa storia abbia fine una volta per tutte. Voglio lasciarmi tutto questo alle spalle e spero che tu lo voglia quanto me. Per noi e per Thomas.»
Non attese una risposta, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando un'attonita Elaine di fronte ad essa, con le braccia incrociate al petto tremante e le labbra socchiuse in un tentativo di muto richiamo, combattuta dal corrergli dietro o meno.
Passarono pochi secondi, scanditi dal battere ritmico del suo animo, prima che la Contessa di Lancashire iniziasse a muoversi.
Non poteva lasciarlo andare via in quel modo, sapendo quanto avesse ragione. Aveva valutato in maniera sciocca ed egoista tutto quanto, certa di poter affrontare da sola il suo passato.
Con Ben accanto avrebbe tenuto a freno i suoi ricordi, combattendoli in maniera differente, appoggiandosi a lui. Era quello che avrebbe dovuto fare fin dall'inizio.
Non tergiversò un istante in più, prima di uscire anche lei spalancando la porta e cercando la figura dell'uomo nel corridoio illuminato solo dalla fioca luce di qualche candela disposta sui mobili.
«Ben!» lo richiamò, scorgendo subito alla sua sinistra la figura dell'americano che era appena uscito, fermatosi a pochi passi da lei.
«Perdonami, ti prego... mi dispiace...» iniziò a dire, per poi sentirsi le parole morire in gola e un brivido gelido attraversarle la schiena.
Ben era fermo, immobile davanti a lei. Elaine vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi rapidamente al ritmo di un respiro accelerato, ansioso e spaventato.
Ma l'attenzione allo stato di panico di Benjamin, o paura che fosse, durò poco meno di un attimo, prima che la donna venisse attratta dall'altra figura presente in quel corridoio, distante da loro qualche metro.
«Bentornata a casa, Contessa di Lancashire!» mormorò una voce decisa e senza una particolare inflessione, ma che Elaine non tardò a riconoscere, tanto da sentirsi mancare.
Benjamin invece non aveva avuto il bisogno di sentirne la voce per identificare il proprietario. Si era reso conto di chi fosse nel momento stesso in cui si era trovato sulla sua strada quella figura alta e slanciata, come se lo stesse aspettando.
Entrambi si erano trovati di fronte a un fantasma, e fuori aveva iniziato a piovere.
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