Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Isteria

Nellie scese nell'ala dei domestici praticamente all'alba, quando ancora il Signore e la Signora dormivano nelle rispettive stanze.

La mattina era sempre un fermento per la servitù, impegnata a organizzare ogni cosa con attenzione meticolosa.
Lorelai, la cuoca, aveva appena infornato il pane e già si percepiva il profumo diffondersi nelle cucine e nelle stanze adiacenti, mentre domestici e cameriere iniziavano a prendersi cura di ogni locale, aprendo le finestre; pulendo, spolverando mobili e soprammobili; spazzando, lucidando pavimenti e armadi.

Tutti avevano un ruolo ben preciso che seguivano giornalmente nello stesso modo ormai da tempo immemore.
Persino il fattorino che portava la posta era sempre puntuale, fermandosi come suo solito a bersi un tè che la cuoca gli offriva come ogni giorno, parlando di pettegolezzi e dicerie.
«Quindi è stato arrestato?» domandò Lorelai chiudendo lo sportello del forno e tornando a guardare il fattorino che si stava rimpinzando di tè e dolcetti.
«I tuoi biscotti sono davvero speciali, Lorelai» gli rispose infatti l'uomo, ignaro dell'arrivo di Nellie nella stanza. «Comunque sì, lo hanno arrestato e probabilmente lo impiccheranno a giorni.»

«Che succede?» domandò la cameriera di Elaine piuttosto perplessa da quello scambio di battute. «Chi impiccano?»
L'uomo, che dimostrava circa una quarantina d'anni ben vissuti e con i capelli spruzzati di grigio, le sorrise, mostrando qualche dente ingiallito dal tabacco. «Buongiorno, Nellie! Non hai sentito? Ieri un uomo, un irlandese, ha sparato alla regina. Non si capisce se abbia fatto cilecca la pistola o se fosse caricata a salve» narrò il fattorino, gesticolando come a voler dare più enfasi a quello che aveva appena spiegato.

Nellie si portò una mano di fronte alle labbra con sorpresa, pur restando composta. «E la regina, sta bene?» domandò in apprensione, osservando l'uomo che mangiava un altro biscotto al burro.
«Sta bene, si è solo presa un bello spavento.»

«Tutta colpa di questi irlandesi. Con la carestia sono arrivati in massa» borbottò Lorelai, scuotendo il capo.
«Beh, mio tesoro,» l'apostrofò l'uomo con palese lusinga «Non è che avessero chissà quale alternativa. Molte ragazze sono state mandate in Australia come orfane della carestia, ma in molti non potevano fare altro che emigrare qui da noi.»
«Sicuramente questa sciagura è stata voluta da Dio per punirli...» insistette la cuoca, che nel frattempo iniziava a decidere il menù di quella giornata.
Non che avesse particolari difficoltà a stilarla, visto che la dimora del conte di Lancashire vedeva di rado degli ospiti.

Era molto più probabile che Viktor si vedesse con altri suoi pari al di fuori delle mura domestiche, come nei club privati, quali l'Athenaeum , il White's o il Circolo dei conservatori, dove non era insolito che lui si fermasse a colloquiare di ciò che poteva essere di suo interesse.
Era singolare persino che andasse a un pranzo offertogli da qualche altro aristocratico, per quanto fosse di uso comune che i nobili frequentassero spesso le abitazioni di chi era loro status affine.

Tuttavia poteva capitare che alle volte in villa arrivasse un paziente per essere visitato e curato.
Essendo Viktor un chirurgo appartenente all'aristocrazia non lavorava quasi mai negli ospedali, troppo caotici e sporchi, trovandosi molto più spesso a operare direttamente nelle case o residenze dei grandi signori, in luoghi puliti e ordinati, senza nessuno a disturbarlo.

«A ogni modo, carissima Nellie, c'è della posta per te» intervenne di nuovo il fattorino brizzolato, prima di sorseggiare altro tè, prendendo con la mano libera una delle lettere sul tavolo, porgendola alla ragazza.
«Oh, certo...» rispose lei afferrandola e rigirandosela tra le mani.
«Un ammiratore?» domandò Lorelai con un tono amichevolmente sarcastico, lanciandole una lunga occhiata sospettosa, accompagnata da un sorrisetto impertinente.

La donna aveva passato la sua giovinezza da un bel pezzo e il suo corpo sembrava richiamare il legame con la sua mansione, dovuto probabilmente ai vari assaggi di tutte quelle pietanze e leccornie provenienti dal forno della cucina, rendendola piacevolmente paffuta.

«No, sia mai, quale ammiratore» rispose frettolosamente la cameriera, infilando poi nella manica la lettera facendola sparire. «Non ho tempo per pensare agli ammiratori, soprattutto adesso che la nostra Signora è in questa situazione.»
«Non ha mangiato nulla neanche ieri sera, vero?» domandò con tono avvilito la cuoca.
«Esatto, speravo di convincerla a uscire oggi stesso, tuttavia non sembra sentire ragioni e i suoi momenti d'isteria sembrano aumentare sempre di più.»

Elaine era ormai in preda all'accidia, indolente a qualsiasi cosa accadesse o gli venisse proposta. Si sentiva colpevole di ciò per cui non aveva nessuna colpa, altalenante tra momenti di apatia, confusione mentale e rabbia, i quali stavano iniziando a far crescere il sospetto di una possibile isteria della donna.
I domestici ne parlavano sottovoce, lasciando che Cody riferisse tutto quanto al conte che prontamente negava che potesse trattarsi di quel genere di malattia cui si imputava la donna.
L'idea di mandarla in un manicomio per cercare di soffocare quella depressione isterica non gli passava neanche per la testa, consapevole di come agissero i dottori in tali luoghi.

«Ditele che lo vuole il conte, che esca perché è un suo desiderio. Insistete su questo. Per quanto non glielo dica lui stesso sono certa che al Signore farebbe piacere vedere sua moglie riprendersi e uscire» valutò Lorelai.
«Ultimamente non riescono neanche a incrociarsi. Il conte lascia la dimora prima ancora che Elaine si svegli» protestò Nellie, mentre iniziava a preparare il vassoio per la colazione della sua signora, conscia che anche quel giorno non ci sarebbe stata nessuna pepita di cioccolato che solitamente Viktor lasciava per la moglie.

La cuoca iniziò a passargli il vassoio con i dolci appena sfornati, i biscotti e il tè ancora bollente, sotto lo sguardo attento del fattorino, bramoso di assaggiare una di quelle prelibatezze che però Lorelai non gli concesse.
«Non si parlano,» continuò intanto a dialogare la cuoca «sembra vivano due vite separate nella stessa casa.»
«Già, ma sappiamo anche che il conte non passa sempre le serate in uno dei soliti club» osò la cameriera, apprestandosi a prendere il vassoio.

Non notò lo sguardo curioso che gli lanciò il fattorino, contrario invece a quello della cuoca che la osservò con palese disappunto. «Ciò che il Signore fa durante la sera sono affari che non ci riguardo. Ricordalo, se vuoi continuare a lavorare sotto questo tetto, Nellie.»
La giovane rimase qualche istante a osservare Lorelai, per poi annuire con mezzo sorriso. «Certamente, starò più attenta.» rispose, prima di defilarsi fuori dalla cucina e risalire verso le stanze di Elaine.

La ragazza entrò piano, nella camera ancora avvolta dall'oscurità. Poggiò in silenzio il vassoio sul tavolo in noce, prima di dirigersi verso le finestre per spostare i pesanti tendaggi.
Tenue e grigiastra la luce penetrò all'interno di quell'ambiente, lasciando intendere l'ennesima giornata fosca e uggiosa.
Elaine si rigirò appena nel letto, con i capelli sciolti che si aprivano a ventaglio sul cuscino di lino bianco. Il volto pallido e smunto si voltò a guardare Nellie con fatica, come se la donna non si fosse riposata, fantasma di sé stessa.

«Signora, la vostra colazione è pronta» l'avvisò la ragazza, iniziando ad aprire le finestre e mettersi al lavoro per sistemare la camera, già impeccabilmente in ordine come sempre.
La contessa non le rispose, mettendosi seduta con lentezza, vestita solo da una leggera vestaglia anch'essa bianca. Si sedette al tavolo, guardando priva di desiderio il cibo ordinatamente disposto di fronte a lei.
Con fare distratto iniziò a sorseggiare il tè, unico infuso che beveva durante il giorno, quasi ormai vivesse unicamente di quello.

«Pensavo che sarebbe doveroso tornare al college oggi, che ne dite?» domandò la ragazza senza guardarla, tentando di entrare nell'argomento con delicatezza. «Ormai sono settimane che non vi siete presentata.»
«Non me la sento, Nellie. Vi ho già chiesto di mandare una lettera a Mrs Reid per avvisarla della mia assenza» spiegò in tono avvilito la ragazza.
«Signora, perdonate se mi permetto. Lo so che non sarebbe un atteggiamento consono da parte mia, ma non credo che sia una buona soluzione restare chiusa nella villa» l'approcciò la cameriera, ricevendo un'occhiata sorpresa e perplessa da parte della ragazza.

«Se, come avete timore, Londra parla di voi e di quello che è successo a teatro, restare qui a nascondersi non farà altro che alimentare quelle dicerie.»
«Io... io non me la sento» mormorò la nobile, palesemente affranta e privata della volontà.
«Lo so, mia signora. Lo vedo che siete amareggiata e ferita da tutto quello che è accaduto, ma dovete reagire. Sono certa che anche il conte sarebbe più felice se voi usciste e cercaste di mettere a tacere queste voci, non credete?»

Elaine tornò a guardarla, inarcando un sopracciglio. «Quindi le voci ci sono davvero? Stanno parlando di me e Viktor?» Strinse le labbra, distogliendo lo sguardo e osservandosi le mani che iniziavano a tremare, chiudendole poi a pugno per tentare di calmare quei brividi. «Non voglio metterlo in ridicolo.»
«Allora tornate a uscire, mia signora, se non per andare al college anche solo per fare una passeggiata. Qui dentro vi state spegnendo» insistette la domestica, iniziando a prendere dei vestiti dall'armadio, attirando l'attenzione della contessa.

«Che state facendo?» domandò, curiosa e sospettosa al contempo.
«Non è ovvio? Dovete scegliere un abito. Non penserete di uscire in queste condizioni.»

Qualche ora dopo uno dei landò della famiglia Lancashire si fermò di fronte all'ingresso del Bedford College. La contessa e la sua accompagnatrice scesero lentamente dal veicolo, attente a non inciampare nelle lunghe sottane dei propri abiti.
L'aria era frizzante e annunciatrice di pioggia, che da lì a poco avrebbe iniziato a scendere imperiosa su tutta la capitale britannica.

Elaine non usciva da giorni, trovandosi disorientata e in preda all'imbarazzo per via delle voci che sapeva avevano iniziato a passare da salotto in salotto. Temeva il giudizio delle altre donne e non riusciva a fare a meno di domandarsi quale idea si fossero fatte coloro che insegnavano all'istituto.
Per una donna che non era in grado di generare era una vera e propria vergogna, come se fossa venuta meno al suo dovere. Era inaccettabile per qualsiasi uomo e per la società che una donna fosse sterile.

Temeva quegli sguardi, i loro occhi puntati addosso pronti a giudicare, sorridere falsamente e con pena, per poi iniziare a sussurrarsi maldicenze in sua assenza.
A quel pensiero si fermò, ancora dubbiosa se entrare o meno, ma Nellie fu lesta ad affiancarla. «Signora, non tergiversate, tra poco pioverà di sicuro; è meglio entrare» la invitò con cipiglio frettoloso, come se temesse davvero che da un momento all'altro venisse giù il cielo intero.

La contessa annuì, non del tutto convinta, desiderando di tornare a casa nella sua stanza, lontana da sguardi indiscreti e giudizi dolorosi. La sua camera era diventata l'unico luogo che ritenesse sicuro, dentro al quale poteva nascondere la sua vergogna. Tuttavia, alla fine, entrò.

Fu accolta con calore, sorrisi sinceri e felici, alcuni dei quali preoccupati, notando il pallore e la gracilità che si faceva sempre più visibile.
«Lady Lancashire, siamo felici che sia tornata da noi. Ci stavamo chiedendo se steste bene» la salutò con gentilezza Annabelle, la docente di arte.
«Clemency aveva persino proposto di venirvi a trovare» intervenne una delle giovani ragazze, facendo scaturire una risata generale e riuscendo a rubare un sorriso a Elaine.
«Non dovevate, ma mi fa piacere saperlo» rispose la contessa, annuendo con grazia.
«Persino Padreig, Noel e Ben sarebbero venuti» aggiunse Elionor, una delle studentesse.
«Sarebbe stato bello vedervi arrivare tutti assieme di fronte alla porta della villa» rise Nellie. «Non posso fare a meno di pensare all'espressione del conte nel trovarsi davanti voi tutti.»

Quella calda accoglienza, inaspettata per la nobile, disperse la sua incertezza e il suo imbarazzo, per quanto l'ombra della vergogna si facesse ancora sentire con i suoi gelidi artigli, pronta a ricordare alla donna il suo peccato di cui in realtà non si era mai macchiata.

«Lady Lancashire, saremmo molto liete se voleste rimanere con noi quest'oggi, a dilettarvi con l'arte e la pittura» insistette l'insegnante, speranzosa che la nobile accettasse e che, difatti, acconsentì, decisamente alleggerita.
In aula le ragazze scherzavano, ridevano e chiacchieravano come sempre, silenziose durante le spiegazioni e ironiche quando potevano permettersi di esserlo. Non sembrava cambiato nulla, come se quella voce tanto detestata non fosse mai giunta. Nessuno dei loro sguardi l'accusava o la guardava con pena per la sua situazione; a nessuna importava o diede l'impressione di sapere.

Elaine ignorò i cupi pensieri che fino a poco prima l'avevano ghermita, tanto da riuscire ad allentare la presa della vergogna e godere della compagnia delle altre donne presenti.
Fuori aveva iniziato ormai a piovere in maniera scrosciante, tanto che il ticchettio ritmico della pioggia sul vetro si era fatta quasi lenitiva, calmando mente e corpo di chiunque fosse in quella sala.
L'ingresso di Miss Campbell, la docente di storia dal volto arcigno e severo, rovinò quel momento di quiete.
Si accorse solo dopo qualche istante della presenza di Nellie ed Elaine, soffermandosi a guardare quest'ultima mantenendo l'espressione contrita.

Non che la donna avesse mai dimostrato gentilezza o modi particolarmente garbati, inflessibile in ogni occasione, ma Elaine notò subito il suo sguardo, e per quanto in esso non ci fosse realmente nulla di accusatorio non poté fare a meno di sentirsi sotto osservazione quasi le stesse leggendo l'animo.
La mente già indebolita della nobile tornò a lasciare campo libero alla vergogna, permettendo alla sua insicurezza di vincere sulla ragione, concedendo all'ansia di avanzare, tanto da renderle difficoltoso persino respirare.

Quello che stava realmente accadendo, per lo più chiacchiere tra le due docenti e le ragazze che ancora si dilettavano nel dipingere, non fu praticamente sentito, come se la contessa neanche si rendesse conto di ciò che la circondava.
Battiti sempre più rapidi le fecero male al petto, mentre una sensazione di vertigine l'abbrancava e una vampata di calore si impossessava di lei, prossima a un attacco di panico cui era all'oscuro.

Si alzò quasi di scatto dalla sua seduta, pallida quanto la tela bianca che aveva di fronte e con il respiro affannato che tentava di celare.
«Ho bisogno di uscire un istante» spiegò brevemente a Nellie, passandole accanto.
«Vi seguo...» rispose lei apprestandosi a seguirla, mentre svariati volti si voltavano curiosi nella sua direzione.

«No, ho bisogno di stare un attimo da sola e... respirare» rispose Elaine senza guardare la propria domestica, uscendo rapidamente dalla stanza e ignorando i presenti.
Nel corridoio sentì l'aria diventare sempre più pesante, dandole una forte sensazione di vertigine e che tutto attorno a lei perdesse di consistenza.

Desiderosa di restare sola e con la forte necessità di respirare di nuovo normalmente, varcò la prima porta oltre la quale percepiva solo silenzio, con l'affanno e le lacrime che già avevano iniziato a scendere incessanti, rigandole le guance.
Lasciò la porta chiudersi da sola alle sue spalle, arrancando di qualche passo e poggiandosi di peso a uno dei banchi dell'aula, prima di scoppiare in un pianto liberatorio, ignara dell'unica presenza rimasta immobile a osservarla da quando era entrata.

«Lady Elaine?» mormorò una voce dall'inconfondibile timbro maschile, piuttosto titubante e incerta. «State bene?»
La contessa trasalì, sia dalla sorpresa che dall'imbarazzo di essere stata vista in quel suo momento di debolezza.
Deglutì, cercando di ritrovare con forza la dignità che sembrava volerla abbandonare, passandosi nervosamente il dorso delle mani sul viso per cancellare i segni delle lacrime.

«Io... io, credo di... faticare a respirare... il mio corsetto... il corsetto è troppo stretto» farfugliò in risposta, respirando con visibile fatica.
Sentii alle sue spalle qualcuno che poggiava qualcosa di pesante, per poi percepire i passi avvicinarsi a lei. «Come posso aiutarvi?» domandò di nuovo quella voce, calda e preoccupata, che finalmente Elaine riconobbe come quella di Ben.

La donna si voltò appena, rivolgendo lo sguardo verso il ragazzo che aveva poggiato uno scatolone su uno dei banchi, osservandola incerto come se non sapesse bene come comportarsi.
«Credo... un bicchiere d'acqua... Potreste prendermi un bicchiere d'acqua?» domandò, mentre lui annuiva, fermandosi accanto a lei e poggiandole una mano sulla spalla.

«Certamente, ma ora sedetevi, state tremando e non sembra che vi reggiate in piedi. Non vorrei che mi sveniste di fronte» specificò lui osservandola con sguardo attento. «Siete decisamente troppo pallida.»
«Io... io sto bene» insistette lei, distogliendo lo sguardo e sfuggendo da quello del ragazzo, timorosa che le leggesse la verità.
«No, Lady Elaine,» rispose lui prontamente, prendendosi fin troppa confidenza nel chiamarla con il suo vero nome «voi non state affatto bene» precisò, aiutandola a sedersi.

La donna sentì nuovamente la sensazione di disagio crescerle nel petto, graffiarla dall'interno con foga e rabbia, riportandole nuovamente quel dolore insopportabile che fece vacillare il suo autocontrollo.
Non riuscì a trattenere un singhiozzo, portandosi una mano al volto e tentando in tutti i modi di nascondersi di fronte a lui.
«Io non soffro d'isteria, sono solo... sono solo stanca e non respiro» farfugliò tra le lacrime, mentre il ragazzo le si accucciava di fronte, accarezzandole gentile un braccio.
«Va tutto bene, milady. Va tutto bene. Lo so che non soffrite d'isteria, vi dovete solo calmare.»

Le parole di Ben erano gentili e affettuose e quella semplice carezza era un gesto che da fin troppo tempo le era mancato.
Per quanto Nellie avesse cercato di starle vicina non aveva mai avuto l'ardire di toccarla, essendo la sua domestica e Ben era quindi il primo che dopo tanto tempo l'avesse sfiorata con un gesto gentile, oltre a Viktor.

Difatti l'espressione della ragazza cambiò, facendosi ancora più imbarazzata di quanto già non fosse, arrossendo lievemente pur tentando di celare il volto, rivolgendo lo sguardo altrove.
Sapeva benissimo di trovarsi in una situazione inadeguata, lei da sola con un uomo che la stava sfiorando e accarezzando, pur per cercare di farla stare meglio.
Chiunque fosse entrato avrebbe potuto facilmente fraintendere.

«Quel bicchiere d'acqua... ne sento davvero la necessità» mormorò con voce sottile, per quanto iniziasse a cercare di respirare con più regolarità.
«Appena vi calmerete vi porterò l'acqua.»
«Sto bene, davvero» insistette, alzando lo sguardo nuovamente su di lui, a disagio. «Non vorrei che qualcuno entrasse e equivocasse la vostra gentilezza, Signor Collins.»

«Credo che sia molto difficile che qualcuno entri qui dentro. Siete entrata in una delle aule che usiamo come magazzino. Al massimo ci si può trovare la sera qualche studentessa, con Padraig o Noel. A quest'ora non viene mai nessuno» spiegò lui, accennando un sorrisetto innocentemente malizioso che mise ancora più a disagio Elaine.

«Comunque ora sto meglio» valutò, cercando di alzarsi, nel tentativo di riprendere dal ragazzo le dovute distanze consone al decoro. Era ancora troppo vicino e sentiva il calore di quella mano sul suo braccio come se bruciasse.
Tra l'ansia, la poca energia dovuta all'alimentazione carente e l'alzarsi in maniera frettolosa incespicò appena, tentando di celare l'ennesimo capogiro.
Ben la osservò inarcando un sopracciglio, incerto se farla sedere di nuovo a forza, timoroso di vederla svenire da un momento all'altro, o lasciarla fare per evitare di peggiorare la situazione. Sospirò frustrato, passandosi una mano tra i capelli e facendo un passo indietro.
«D'accordo, allora facciamo che vi sedete di nuovo e io vado a prendere l'acqua, ma voi restate seduta dove siete» dispose deciso.

Elaine tornò a guardarlo con espressione smarrita, valutando se fosse meglio continuare a fingere di stare bene o seguire la sua richiesta. Alla fine tornò a sedersi, facendo un lungo respiro tentando di acquetare i suoi demoni.
Ben annuì soddisfatto. «Bene, vi ringrazio.» Annuì appena, guardandola un istante prima di dirigersi alla porta, per poi fermarsi prima di aprirla voltandosi nella sua direzione.
«Mi raccomando, non voglio trovarvi svenuta al mio ritorno, o sarò costretto a versarvi l'intera brocca d'acqua in faccia per risvegliarvi.»

Elaine a quell'affermazione boccheggiò, sgranando gli occhi dalla sorpresa «Come prego?»
«Beh, non ho mica con me dei sali per farvi rinvenire e sulle navi è così che si fa» spiegò lui, come se fosse una cosa ovvia. «Una bella secchiata d'acqua e un marinaio si riprende subito.»
«Ma io non sono un marinaio» rispose la donna ancora interdetta, mentre lo stupore vinceva sul panico.

Ben sospirò, scuotendo il capo. «Beh, sono certo che funzionerebbe lo stesso anche su di voi, ma vorrei evitare di dare spiegazioni a Mrs Reid sul perché vi trovavate qui dentro svenuta con me che vi lanciavo un secchio d'acqua per farvi rinvenire da uno svenimento,» ghignò lui ridendo divertito «quindi non svenite!»

Elaine accennò un mezzo sorriso, annuendo. «Ve lo prometto, Signor Collins» annuì, ben più leggera e controllata di quanto lo fosse in precedenza.
Il ragazzo sparì oltre la porta, lasciando che la contessa riprendesse coscienza di sé e il proprio autocontrollo.

Poco dopo il giovane rientrò nella stanza con una fiasca d'acqua fresca e un bicchiere che le porse, andandosi poi a poggiare contro il banchetto di fronte alla nobile, incrociando le braccia al petto e osservandola bere.
«Adesso sì, state meglio» stabilì, annuendo deciso con il capo.
«Grazie, signor Collins.»
«Potete chiamarmi Ben, se volete.»
«Non credo che sia opportuno, lo sapete. Già stare qui con voi da sola...» scosse il capo. «Fareste meglio a uscire, ormai la mia domestica mi starà cercando.»

Ben sospirò, spostandosi dal banco cui era appoggiato. «Va bene, me ne vado, ma a una condizione.»
«Ora avanzate pretese, Signor Collins?» domandò perplessa, per poi sorseggiare mantenendo lo sguardo su di lui.
«Certamente, Lady Elaine» rispose, sottolineando di proposito l'utilizzo del nome e non del cognome da lei acquisito. «Me ne vado se mi promettete che domani tornerete.»
«Qui al college?» domandò confusa.
«No, a Buckingham Palace!» rispose rapido, per poi affilare il sorriso «Ovviamente parlo dell'istituto, milady» aggiunse ridendo spontaneo.

«Che sia, ve lo prometto,» ribatté Elaine finendo di bere «ma ora andate via prima che entri qualcuno.»
Il giovane annuì, palesemente soddisfatto di quella piccola vittoria. «Venite in un orario più tardo, Lady Elaine. Le lezioni del pomeriggio sono troppo noiose per voi» ridacchiò in una provocazione che però la contessa non colse, lasciandola invece ancora più confusa. La salutò con un inchino arrangiato per poi uscire rapidamente dalla stanza, lasciandola sola.

Di ritorno verso villa Lancashire, Nellie raccontò quello che era accaduto durante la sua assenza nell'aula e della confusione delle ragazze al suo fuggire, ma Elaine praticamente non l'ascoltava.
«Nellie, domani non mi dispiacerebbe tornare all'istituto» la interruppe, riportando l'attenzione sulla perplessa domestica. «Magari possiamo andare anche più tardi...»
Nellie sorrise a quella richiesta, annuendo soddisfatta. «Certo, mia Signora. È un'ottima idea!» 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro