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Duello d'onore

Era sceso nei piani inferiori della villa, verso la sala da pranzo, quando ormai i raggi del mattino brillavano nell'attesa di accogliere le luci del mezzogiorno.
L'aspetto scarmigliato del conte lasciava intendere quanto fosse stremato, privato del sonno e braccato dai dubbi scaturiti dalle scoperte di quella lunga notte. Nulla era riuscito a calmare il vorticare di pensieri con cui la sua mente aveva passato il tempo a litigare, rendendolo sempre più sfinito.
Inoltre, alle prime luci di un'alba dai colori sfumati dell'arancione, aveva dovuto affrontare la contessa appena destatasi, discutendo delle decisioni prese in quelle ore oscure e uscendo da quel dialogo ancora più sfinito.

La residenza era nel pieno fermento quando il nobile aveva deciso di concedersi la propria pausa, trovando l'intera servitù dedita ai propri doveri con solerzia, nonostante la stanchezza e l'atmosfera tesa che aleggiava in casa.
Entrato nella sala da pranzo, trovò due donne in piena attività, dedite alle pulizie mattutine e all'organizzazione della tavola per i due signori.
Viktor non poté fare a meno di notare che per quanto i domestici si fossero abituati negli anni a servire un singolo padrone, quella mattina ogni dettaglio era stato curato per lui e sua moglie in maniera meticolosa, come se Elaine non se ne fosse mai andata.
«Signore,» lo salutò la prima accortasi di lui, seguita subito dalla seconda, entrambe fermatesi per rivolgergli un'educata riverenza «desiderate la colazione?»
«Sì grazie, Sophie» acconsentì lui, avvicinandosi alla lunga e pregiata tavola intarsiata e prendendovi posto. «Chiamatemi William, ho bisogno di parlare con lui» ordinò poi all'altra ragazza, la quale, con un cenno ossequioso, sgattaiolò rapidamente fuori dalla stanza per svolgere il compito appena affidatole.

Il maggiordomo raggiuse il nobile poco dopo, quando ormai Sophie aveva già disposto sul tavolo le varie pietanze, lasciando che Viktor iniziasse a rifocillarvisi.
«Signore, volete che passi dopo il pasto?» domandò gentile l'uomo, osservando distrattamente le ragazze e il loro via vai dalla sala.
«No, restate» intimò, volgendo lo sguardo verso di lui. «Avete preso quanto richiesto?»
L'uomo annuì, portando le mani dietro la schiena e assumendo una postura più rigida. «Ho fatto preparare la coppia di pistole e convinto un medico a presenziare, come da voi richiesto. L'incontro è fissato per mezzogiorno nella radura oltre al bosco, nella vostra proprietà» illustrò.
«I padrini?»
William annuì di nuovo. «Da codice dovreste avere un testimone del vostro rango ma...» iniziò a dire incerto, come se non trovasse le parole adatte.
Viktor però fu più celere a risolvere la questione. «Questo duello non è tra Pari. Non serve che il mio testimone sia un nobile del mio rango. Avrebbe potuto farlo Cody, ma in sua assenza sarete voi, mentre per quanto riguarda il Signor Collins sarà un membro della servitù ad affiancarlo.»
Distolse infine l'attenzione dall'uomo dopo aver illustrato le varie direttive, poggiandosi allo schienale della sedia e sorseggiando il proprio caffè, tornando con il proprio pensiero a qualche ora prima. Ripensò a quanto detto alla moglie, per poi scuotere il capo con un sospiro e terminare la propria bevanda. L'interesse si posò sui cibi disposti artisticamente sui piatti di fronte a lui, quasi avesse difficoltà a decidere cosa assaggiare.

Aveva spiegato a Elaine la verità sulla faccenda e di quanto si fosse deciso con l'americano, sottolineando immediatamente che quello scontro non si sarebbe mai tenuto per davvero.
Lui era un patrizio, mentre il Signor Collins un semplice plebeo; due nette differenze sociali che andavano ad annullare automaticamente quella sfida.
Aveva accettato per sfizio personale, intendendo quanto l'uomo fosse disperato al punto da proporgli quell'assurdità.
Era bastata la considerazione delle cure che Elaine necessitava e di quanto lo stesso conte di Lancashire fosse per lei essenziale alla sua guarigione per far dubitare l'uomo sulla sua follia, ma Viktor aveva acconsentito comunque, consapevole che poteva chiudere quel gioco quando avesse preferito.
Agli occhi dei Pari sarebbe stato inappropriato accettare la sfida contro un plebeo, considerato il valore che aveva per la nobiltà il duello d'onore. Era inconcepibile che un aristocratico si abbassasse l livello di un popolano; a meno che questo non fosse un mero gioco, un passatempo, per il nobile stesso.
Non che gli importasse molto dell'immagine o delle voci che ne sarebbero scaturite, ma aveva provato una certa soddisfazione nel vedere il Signor Collins sprofondare nel proprio sconforto al suo acconsentire.
Peccato che Elaine avesse a suo modo rovinato quel piccolo appagamento personale con una richiesta ben poco gradita al marito.

Quella notte la donna aveva ovviamente faticato a prendere sonno, benché una calda tisana, assieme a qualche goccia di Laudano, fosse infine riuscita a farla cadere in un placido torpore.
L'aveva visitata di tanto in tanto, senza svegliarla e assicurandosi delle sue condizioni, alternandosi tra la stanza da letto e la biblioteca del piano di sotto, cercando qualche libro che potesse essergli utile a rendere chiari i ricordi dei suoi studi resi foschi dal tempo.
Tuttavia la maggior parte dei volumi, trattati e ricerche d'illustri colleghi che studiavano la consunzione, si trovavano purtroppo nel suo studio a Londra, ma non gli fu difficile trovare qualche vecchio tomo già sfogliato ai tempi di suo padre, per quanto inutile si fosse rivelato.

Elaine aveva oscillato tra stati febbrili e tossi sommesse, fortunatamente non tanto eccessive da risultare allarmanti. In tarda mattinata si era svegliata, in sua presenza, dichiarandosi di sentirsi molto meglio e già pronta per scendere dal letto, ricevendo in risposta un secco diniego da parte del conte.
Il marito le aveva illustrato quanto accaduto qualche ora prima, promettendole che non ci sarebbe stato nessun duello e che avrebbe mandato via il Signor Collins incolume, sebbene avesse omesso il dettaglio che fosse malato di consunzione anche lui.
Anche quella situazione l'aveva messo in allarme, considerati i dubbi e nuove ipotesi sulla possibile contagiosità di quella malattia, sospetto che all'epoca di suo padre non lo aveva mai sfiorato. Si era domandato persino dome potesse stare suo figlio, se sia la madre che l'uomo che lo aveva cresciuto erano in quelle condizioni.
Tuttavia anche quei pensieri erano stati scacciati dalla richiesta della moglie di rivedere l'americano.

Si era ripromesso che una vola ritrovata Elaine sarebbe stato più disponibile e pronto all'ascolto, mitigato l'autorevolezza con la quale l'aveva sempre assoggettata.
Eppure l'affrontare tutta quella storia aveva fortemente minato il suo autocontrollo e sapere che lei desiderava vederlo ancora e salutarlo, per quanto fosse comprensibile da parte sua, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Corrotto dalla sua possessività e angosciato dall'idea che lui potesse portargliela via di nuovo, il rifiuto era stato immediato.
Un timido "per favore," ridotto a un sussurro aveva seguito quel diniego, con il risultato di renderlo ancora più furibondo.

«Elaine! Quell'uomo vi ha quasi fatto ammazzare, vi ha portato via con l'inganno e ha cresciuto nostro figlio! Sapete perfettamente cosa lo aspetterebbe! Il Signor Collins è vivo solamente perché lo siete anche voi e so quanto la sua dipartita vi potrebbe recare sofferenza. Voglio che se ne vada e sparisca dalle nostre vite!» le aveva risposto con rabbia crescente, dettata da sentimenti che giocavano su una bilancia priva di equilibrio, osservandola di nuovo annichilirsi al ricordo del passato.
Di fronte a quell'espressione di silenziosa sofferenza aveva tentato di calmarsi, facendo appello a tutta la sua volontà. Le si era avvicinato, con lei seduta sul letto, prendendo posto al suo fianco e afferrandole le mani, richiamando a sé pazienza e calma.
Ci vollero diversi istanti prima che fosse sicuro di tornare a parlarle. «Desidero lasciarmi alle spalle quanto accaduto, Elaine, ma se per voi non fosse altrettanto andate pure da lui. Se questa fosse la vostra scelta sappiate però che da parte mia non ci sarà più nulla! Non potrei accettarlo. La decisione è solo vostra, non v'imporrò nulla.»
Aveva parato con tono basso, lentamente e a fatica, senza alzare lo sguardo su di lei. Le aveva baciato le mani con gentilezza, sentendola respirare con affanno nel tentativo di ribattere alle sue parole, ma lui l'aveva anticipata.

«Non vi permetterei comunque di andarvene nelle vostre condizioni, anche se decideste di rimanere con l'americano» specificò, sebbene a fatica, come se quell'ammissione graffiasse dolorosamente contro i suoi veri pensieri, portandole una mano al viso. «Non serve discuterne adesso. Dovete rilassarvi, e non agitarvi. Deciderete quando starete meglio. Ora dovete solo riposare.»
Cambiò rapidamente argomento, accettando solo il muto accenno di assenso della ragazza, per poi approfittare dell'arrivo delle domestiche chiamate per occuparsi personalmente delle necessità della contessa.
Alla fine l'aveva lasciata con loro, indeciso se essere felice di uscire da quella stanza o dubbioso se tornare dentro e restare in sua compagnia.
Aveva vinto la prima alternativa.

Viktor tornò al presente, rivolgendo di nuovo l'attenzione sul suo maggiordomo e terminando il suo porridge, dedicandosi successivamente alle ultime fette di prosciutto di cervo finemente tagliate che erano rimaste.
«Molto bene!» esclamò finendo l'ultimo boccone, benché avesse terminato meno della metà di quello che era stato messo in tavola. Si ripulì senza fretta, per poi rialzarsi sempre osservando William «Fate sellare il mio cavallo; desidero farmi una cavalcata prima del duello» ordinò iniziando a dirigersi alla porta, ignorando l'ennesima riverenza del maggiordomo alla sua uscita.

Si riteneva fortunato di poter cavalcare ancora vista la ferita procuratosi in guerra. Non gli aveva dato molti fastidi, facendosi sentire di tanto in tanto destata dal freddo o dall'umidità. Avrebbe potuto perderci l'intero arto in quell'occasione, ma per sua fortuna così non era stato.
L'uso del bastone era diventato una consuetudine, ma quantomeno non dava nessun problema nel montare a cavallo.
Aveva sempre amato l'equitazione, una delle attività attraverso la quale riusciva a provare un senso di libertà e pace cui di rado godeva, motivo per il quale, nonostante la stanchezza, aveva preso in considerazione quell'uscita.
Una semplice passeggiata, al passo; nessuna folle corsa dettata dalla rabbia, ma una placida cavalcata per permettersi di rilassare la mente presa d'assalto da molteplici inesorabili pensieri.

Mezzora dopo uscì dalla frescura del sottobosco, di fronte a una radura disseminata da querce solitarie, ricoperta da un rado manto erboso chiazzato dai colori ambrati dell'autunno. Quei pochi alberi, resi spogli dall'imminente arrivo dell'inverno, apparivano come vaghi fantasmi scheletrici, dotati di aguzze dita nere che s'innalzavano verso un cielo plumbeo.
Fu proprio sotto a una di quelle querce che Viktor scorse un piccolo drappello di cinque persone, in attesa con tutta probabilità del suo arrivo.

A un trotto leggero accorciò le distanze, raggiungendoli senza mostrare fretta o nervosismo alcuno. Frenò il proprio corsiero, mansueto agli ordini, restando perfettamente immobile mentre il conte scendeva. Celere William gli fu al fianco, porgendogli il bastone e afferrando le redini dell'animale.
Viktor fece qualche passo in direzione del gruppo, accennando un cenno di saluto e assumendo un'espressione contrariata, trovando improvvisamente tutto quanto estremamente irritante, mentre osservava a uno a uno gli uomini presenti, pronti a rispondere al suo saluto in maniera molto più ossequiosa. Solo Ben non si mosse affatto, limitandosi a guardarlo con la stessa espressione di rabbia espressa l'ultima volta che si erano visti.

Viktor distolse l'attenzione, lasciandosi scivolare addosso quello sguardo d'accusa, riportando l'interesse su un altro domestico che si stava avvicinando a lui. Il ragazzo portava tra le braccia una scatola di legno decorata a intarsio.
«Signore» lo salutò chinando il capo, un giovane che lavorava per lui da poco più di un anno, aprendo il contenitore per mostrare due pistole avancarica, a colpo singolo, poggiate sopra a un cuscino verde appositamente sagomato.
«Molto bene» valutò Viktor, alternando lo sguardo tra il proprio maggiordomo e Seamus. «Voi, assicuratevi che le armi siano in perfette condizioni e caricatele; intanto illustrerò al mio avversario ciò che dovrebbe fare. Dubito che conosca le regole» osservò con ironia, seppur restasse serio.

Per affiancare Benjamin era stato interpellato Seamus, il garzone di stalla. Lo stalliere non pareva particolarmente felice di quella scelta, visto che come molti altri non aveva chiuso occhio per tutta la notte, avendo di gran lunga preferito rimanersene nella sua spartana stanza a dormire.
Aveva persino cercato di scambiare quattro chiacchiere con l'americano, che nonostante tutto si era dimostrato gentile e affabile. Gli era piaciuto fin dalle prime frasi che si erano scambiati, provando a ironizzare su quanto accaduto e riuscendo persino a farlo sorridere tra una battuta e l'altra, sebbene molto freddamente. Alla fine aveva anche condiviso con lui del Gin, facendoselo portare da una delle domestiche la mattina presto, quando erano venute a portargli la colazione.
Per quanto rispetto provasse per il proprio padrone non riusciva a non sentirsi avvilito per ciò che stava accadendo.

«Conosco le regole!» sbottò Benjamin con rabbia. «Sono americano, conosco perfettamente i duelli, Conte.»
«Da dove provenite voi...» ripeté con un sorriso sghembo, come divertito da quelle parole. «Rasentate il ridicolo...»
«E voi pensate di vincere continuandomi a schernire? Oppure una pistola la sapete davvero usare?»
Il sorriso di Viktor sparì, lasciando posto a un'espressione offesa e irritata, valutando l'ipotesi di sparargli sul serio. «Non siamo in un duello rusticano, Signor Collins. Soppongo conosciate la differenza.»
«La conosco!» ammise mentre guardava Seamus che si avvicinava a loro due. «Al primo sangue?» domandò riportando l'attenzione su Viktor.
«A primo, ovviamente. Solitamente i danni da pistola sono molto più ingenti di quelli da spada, ma dubito che sappiate tenerne una in mano, motivo per cui questa è stata la mia scelta» dichiarò Viktor, mentre William gli si avvicinava.
«Il primo colpo è del conte,» affermò il domestico, mettendosi tra il suo signore e Benjamin «Distanza da dieci passi, poi potrà sparare» illustrò per poi voltarsi in direzione dell'americano. «Voi non dovete muovervi fino al primo sparo, poi sarà il vostro turno. Avete domande?»
«Nessuna» rispose Ben prendendo la pistola, osservando il nobile fare la stessa cosa, voltandosi poi di spalle entrambi e iniziare a prendere le distanze.

Sotto lo sguardo dei due padrini e di altri tre testimoni, lontani da occhi e orecchie indiscreti, i duellanti si allontanarono lentamente.
Il conte di Lancashire si voltò allo stesso momento in cui lo fece anche Benjamin, trovandosi faccia a faccia, a una ventina di metri circa l'uno dall'altro.
Senza il minimo cenno d'incertezza Viktor alzò la pistola, caricando il cane con un movimento fluido e deciso, continuando a fissare l'uomo di fronte a sé. Il respiro calmo e regolare, imperturbabile.
Ben, invece, iniziò a sentire il sudore farsi gelido lungo la schiena, il respiro accelerato di fronte al pericolo imminente scaturito dall'uomo che aveva di fronte e dall'arma puntata con decisione contro di lui.
Deglutì, sentendo il corpo tremare impercettibilmente in attesa del primo colpo.
Sentì il rumore dello sparo, ma nulla lo colpì.

Viktor aveva alzato la pistola verso l'alto, scaricando l'arma a vuoto. Aveva sprecato la sua opportunità di tiro, lasciando interdetto e sorpreso Benjamin tanto quanto tutti gli altri presenti.
In un silenzio d'imbarazzo Viktor sbuffò seccato, abbassando l'arma e guardando il rivale «Non mi piace uccidere, Signor Collins; sono pur sempre un medico» spiegò, restando immobile. «Consideratelo come un atto di cortesia, il mio, e non codardia come da codice. Il desiderio di uccidervi, lo ammetto, mi attrae molto; tuttavia non ho nessuna intenzione di vedere mia moglie piangere per la vostra dipartita o darle altro pensiero che possa peggiorare la sua salute,» spiegò con un'alzata di spalle «ma vi lascio comunque il vostro colpo. Dopotutto siete stato voi a volere questo ridicolo duello» valutò allargando appena le braccia e guardandosi attorno. «Per ottenere cosa poi... non riesco a capirlo.»

«Siete davvero detestabile!» ringhiò di rimando Benjamin, fremendo dalla rabbia e stringendo la pistola.
«Con il vostro colpo andato a vuoto possiamo terminare il duello, Conte» intervenne William «Nel codice...»
«Il codice dice che entrambi i colpi devono andare a vuoto per chiudere la disfida. Il Signor Collins può ancora sparare, oppure dichiararsi sconfitto. Questo scontro è al primo sangue e, soprattutto, non siamo due uomini alla pari.»
«Il vostro atto è un gesto di codardia!» ringhiò rabbioso l'americano.
«Lo sarebbe stato se voi aveste sparato per primo e, soprattutto, se fossimo stati pari rango. Questo duello è una farsa, lo sapete bene. Non è altro che un gioco per me» specificò il conte con un'alzata di spalle.
«Non mi sparerete? Neanche se vi dovessi ferire al mio turno?» domandò confuso Ben.
«No, ve l'ho detto e vi ho spiegato perché. Non fatemi ripetere» rispose deciso e infastidito Viktor.
«Ora sta a voi; cosa intendete fare, Signor Collins?»


Angolo dell'autrice:

Contese e gradi sociali: Specifichiamo che il duello aveva regole ben precise. Scordatevi lo scontro armato stile western di chi tira fuori la pistola per primo.
Come specifica il conte, questo tipo di contesa (duello d'onore) riguardava solo i contendenti dello stesso ceto sociale, per difendere l'onore, la giustizia e la rispettabilità. Nel caso dei popolani e contadini esisteva il duello rusticano, svolto in maniera totalmente diversa dai ceti elevati.
Era considerato ridicolo che un nobile e un popolano si sfidassero, anche se ne valeva l'onore di uno dei due. Per chi aveva potere era più semplice far pagare l'oltraggio tramite l'arresto o valutare soluzioni ben peggiori, ma tendevano a non sporcarsi le mani.
Era normale in un duello aristocratico dimostrare risolutezza e freddezza, come se ci si aspettasse la morte e la si accogliesse senza averne paura. Faceva parte del codice d'onore, dove il gentiluomo doveva essere pronto ad accettare quanto sarebbe accaduto.
Specifico che in questo periodo lo scontro, tuttavia, era considerato illegale e desueto, benché largamente utilizzato, oltre che in commercio esistevano armi create apposta per i duelli, liberamente commercializzate.

La Tubercolosi: All'epoca si sapeva decisamente poco sulla malattia, per quanto fosse conosciuta da molto tempo prima. Persino la questione del contagio non era assodata e solo in quegli anni prendeva piede il sospetto che potesse essere davvero trasmissibile (confermato da Villenim nel 1869). 

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