Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Decisioni

«L'unica erede ancora in vita?» domandò Elaine impallidendo e con voce che iniziava a tremare. «Cosa... che cosa vuoi dire?»
Sapeva benissimo, ma chiese lo stesso. Non potevano esserci molte spiegazioni, ma quelle stesse parole le aveva percepite lontane, improprie per la notizia che andavano a portarle all'orecchio.
«Elaine...» mormorò Ben con un sospiro stanco, consapevole che quel discorso avrebbe portato solo dolore, motivo per il quale lo aveva sempre evitato.
Si trovavano l'una di fronte all'altro, con solo il tavolo a dividerli, entrambi illuminati dalla scarsa luce di ciò che restava del fuoco del camino, ravvivato solo da una timida ma coraggiosa fiammella aggrappata al legno fresco.
«Che cosa significa?» insistette nuovamente, con voce stentata.
Ben sospirò, nervoso, scuotendo il capo. «Non avrei mai voluto arrivare a questo...»
«Viktor è vivo! Non posso essere l'ultima erede in vita» sottolineò la donna, cercando di scacciare i pensieri legati a quanto sentito in precedenza, poi scosse il capo, alzandosi in piedi. «No! Non voglio tornare a Londra. Non posso! Quello è il mio passato...»

«Elaine, ascolta, lo so che è difficile...» mormorò l'uomo tornando ad avvicinarsi a lei.
«Non c'è niente da discutere. La tua è un'idea stupida. Non voglio neanche sentirti dire di nuovo una cosa simile» gli rispose con voce tremante, scuotendo il capo, senza voler concretizzare quello che le era stato detto, come se fosse un sogno.
O un incubo.
«Troveremo un'altra soluzione» insistette lei, benché ciò a cui stesse pensando fosse ben lontano dal problema economico che si era abbattuto su di loro.
Nella sua mente riecheggiavano solo quelle poche parole che avevano fatto dimenticare tutto il resto.
"L'unica erede in vita!"
Una frase che l'aveva messa di fronte a una consapevolezza straziante.

I due rimasero a lungo in silenzio; lei a camminare nervosa per la cucina e lui intento a guardarla, in attesa che il momento critico passasse per tentare un altro approccio, con calma, consapevole di quanto quella situazione fosse delicata e difficile per entrambi.
Difatti il momento arrivò pochi minuti dopo.
Elaine si fermò, voltandosi a guardarlo con occhi lucidi e le mani tremanti. «Sono l'unica erede? Non c'è più nessuno in vita?»
«No, nessuno» rispose Benjamin con un sussurro, vedendo gli occhi della donna riempirsi di lacrime, senza riuscire più a trattenersi.

Si mise una mano davanti al viso, cercando invano di mantenere un contegno senza successo, combattuta dal lasciarsi trasportare dal pianto disperato e il timore che Tommy si potesse svegliare nel sentirla.
«Non è vero, tu menti. Viktor deve essere vivo» farfugliò con tono deciso, pur piangendo sommessamente e con la voce ridotta a un sussurro.
«Viktor è deceduto da quasi due anni, o almeno da allora ne è iniziata a circolare la notizia. Era stato dato per disperso in Crimea, dopo la fine della guerra» spiegò l'uomo a bassa voce e senza avvicinarsi, sotto lo sguardo attento della donna che lo fissava a occhi sgranati e sospiri accelerati.
Lui prese fece un altro lungo sospiro, distogliendo lo sguardo e osservando verso il soffitto, cercando di prendere coraggio e raccontarle tutto ciò che in quegli anni le aveva taciuto. «Forse è meglio che ti siedi.»

Lei lo fissò senza capire né emettendo suono alcuno, osservandolo mentre recuperava il tabacco per prepararsi una sigaretta, accorgendosi dopo pochi istanti di faticare sempre di più a stare in piedi, seguendo quindi il suo consiglio.
Era caduta in uno stato di abulia, privata della propria volontà e sola spettatrice di quanto le stava accadendo. Era come se stesse leggendo un libro, vivendo immagini chiare e nitide per ogni parola letta, senza però poter cambiare quella che era una trama decisa e ben definita.
Quella stessa trama, tuttavia, aveva il gusto amaro di una tragedia, per la quale aveva terrore di leggerne la fine.

«Dalle poche notizie che mi sono arrivate il Conte era partito per la Crimea, poco dopo l'ingresso dell'Inghilterra nel conflitto» iniziò a spiegare Ben. «Te ne avevo parlato, ricordi? Cinque anni fa è iniziata la guerra contro i russi.»
Elaine annuì a quelle parole. Si sentiva la bocca secca e percepiva un sapore aspro che non le piaceva per nulla.
«Da più di due anni e mezzo è ormai terminata» narrò lui tergiversando, come se non sapesse bene come affrontare l'argomento, girandoci attorno. «Ho saputo la notizia tempo fa, ma non volevo dirtelo. Non volevo ferirti. Ho pensato fosse meglio non darti anche questo pensiero. Non volevo farti soffrire» spiegò in tono basso, accendendosi la sigaretta.

Elaine si alzò, combattendo con un senso di vertigine e recuperando un bicchiere d'acqua. Voleva togliersi quel sapore disgustoso dalla bocca e tornare ad assumere l'uso della parola.
Bevve, sotto lo sguardo attento di Benjamin, per poi voltarsi a guardarlo. «Come sai queste cose? Perché hai informazioni precise su Viktor?»
«Ho ancora delle persone che vivono a Londra e con le quali mantengo una corrispondenza. Padreig e Noel, ad esempio» illustrò con tono basso, osservandola sorseggiare lentamente. «A Londra si è parlato di quando scomparve e del suo improvviso ritorno,» continuò, tirando poi dalla sigaretta, voltandosi a fissare un punto imprecisato della casa «poi sembra che sia apparso da qualche parte il suo necrologio, qualche mese dopo, o che sulla porta di Villa Lloyd sia apparsa la ghirlanda nera. La casa era stata allestita a lutto.»

Elaine a quelle parole scosse il capo. Non voleva crederci, non gli sembrava possibile.
«Perché... perché è andato in Crimea?» domandò, riportando quindi l'attenzione su di lui, dall'altra parte del tavolo «Avresti dovuto dirmelo.»
«Non volevo farti soffrire.»
«E quante cose mi hai tenuto nascoste per non farmi del male?»
Lui Deglutì, distogliendo lo sguardo a quella domanda. Tirò dalla sigaretta, scuotendo il capo. «Molte, troppe. Alcune non perdonabili.»
«Che cosa vuoi dire, Ben?»
L'americano spense la sigaretta nel portacenere arrangiato, una piccola tazza di ceramica sbeccata, «Sapevo che era partito, che fosse disperso e al suo ritorno pare non fosse del tutto illeso. Mi sono informato sulla tua situazione, se avesse annullato il vostro matrimonio...»
«Ma non lo ha fatto!» replicò lei con tono afflitto.
«No, non lo ha fatto. In apparenza tu sei da anni in India, in un insediamento inglese a Cawnpore, per quanto sembra che anche là ora ci siano diversi problemi, da un anno a questa parte. Il conte ha voluto mantenere le apparenze per evitare scandali.»

Elaine si riempì di nuovo il bicchiere, osservando il rivolo d'acqua che andava a colmare il vetro. Strinse le labbra, come se tutto quello che sentisse non avesse nessun senso.
«Viktor è morto,» proferì la donna, come per vedere l'effetto che faceva dirlo ad alta voce, sentendo il petto stringersi dolorosamente e la voce venirle a mancare «ed è morto senza nessuno accanto.»
«Elaine...»
Lei scosse la testa, incredula «Ben. Scusa, ma ho bisogno... devo» farfugliò lei portandosi una mano di fronte al viso, soffocando un gemito di dolore che divenne un colpo di tosse l'istante successivo. Tirò su col naso e bevve di nuovo, tentando di mitigare l'irritazione alla gola. «Scusa, posso, posso stare un attimo da sola?» domandò senza guardarlo, tenendo con entrambe le mani il bicchiere dal quale sorseggiò di nuovo.
Benjamin annuì, non sapendo bene se fosse meglio restare con lei o lasciarle il tempo per elaborare il suo lutto. Si rialzò dal tavolo, prendendo anche lui un sorso d'acqua. «Vado a letto» asserì trangugiando poi d'un fiato. «Hai bisogno del tuo tempo e per quanto so che tu possa essere arrabbiata con me per non avertelo detto prima... beh... non farmi preoccupare. Credo che ti aspetterò sveglio» spiegò con difficoltà, incerto su cosa lei stesse pensando e su cosa fare.

Elaine non rispose, osservando verso il camino acceso, con un'espressione che ne tradiva l'assenza mentale da quella stessa stanza. Era lì fisicamente, ma con la testa era da tutta altra parte.
Si era immaginata Viktor partire per la Crimea; esplosioni e colpi d'arma da fuoco; campi e ospedali militari come quelli visti illustrati e descritti sui giornali o attraverso le foto di Roger Fenton, le cui fotografie, le prime che ritraevano una guerra, aumentavano solo lo spazio all'immaginazione di ciò che sarebbe potuto accadere al conte.
Non era tornato illeso, questo gli aveva detto Benjamin, ed era stato dichiarato deceduto. Era morto da solo, forse solamente con Cody a compiangerlo, e non si sorprese al desiderare di voler essere stata al suo capezzale nel momento della sua dipartita.

Finì l'acqua, assicurandosi di aver ripreso il controllo delle due gambe per potersi rialzare. Si avvicinò a uno degli armadi della stanza, ricolmi di ogni cosa che potesse servire all'intera famiglia, iniziando a spostare barattoli e scatole per poi arrivare alla cartellina contenente i suoi disegni.
Piangeva, sebbene sommessamente e tentando invano di trattenere i gemiti che gli straziavano il petto, mentre prendeva ciò che aveva trovato, tornando a sedersi tenendolo in grembo.
Thomas aveva solo trovato uno di quei bozzetti che ritraeva il suo vero genitore, ma gli altri li aveva tenuti ben nascosti, sebbene Benjamin li avesse tempo prima trovati.
Avevano discusso a lungo riguardo ad essi, e alla fine aveva accettato che tenesse quei ricordi che lei stessa aveva creato, per quanto fastidio avessero procurato all'uomo. Era stata una delle poche volte dove davvero si era arrabbiato con lei, ma alla fine aveva accettato che li tenesse, non sopportando di vederla piangere ancora.

Era sbagliato, o almeno era ciò che lei stessa pensava, ma erano anche gli unici ricordi veri che avesse di lui, o quantomeno ciò che ne rammentava.
Ben poco tempo però dedicò a quelle pagine ingiallite dagli anni, guardarle provocava ancora più dolore, obbligandola a richiudere la cartellina dopo qualche istante.
Neanche si era accorta che l'uomo si era affacciato dalla stanza, nel sentirla tossire di nuovo, socchiudendo appena la porta e osservandola con tristezza e frustrazione, a labbra strette. Come poteva consolarla quando lui stesso era colpevole della situazione? E come faceva ad essere ancora invaghita di un uomo che si era, agli occhi di lui, preso solo gioco di lei?
Se lo era domandato in ben più di un'occasione da quando aveva trovato i disegni che ritraevano Viktor o l'aveva vista assumere un'espressione distante e malinconica.
Non le aveva detto la verità, omettendo quello che davvero era accaduto in passato, ma non le aveva mai fatto mancare nulla, né a lei né a Thomas, benché non fosse figlio suo.

Aveva amato il ragazzino fin da quando era nato, sperando e sognando che potesse essere suo, ma dopo un anno di fronte a lui aveva iniziato a crescere una copia in miniatura del conte.
Non aveva avuto importanza alcuna per Benjamin; l'affetto che provava per il giovane era reale come se fosse sangue del suo sangue. Lo chiamava figlio e lui gli rispondeva padre.
Ciò che non riusciva a capire riguardava Elaine. Nonostante ogni sforzo, ogni gentilezza o affetto, sebbene in un certo senso corrisposti, sembravano non essere mai abbastanza. Il cuore della donna restava sempre e unicamente di Viktor.
L'americano si era trovato spesso a pensare al perché; nonostante tutto ciò che il conte le avesse fatto passare, lei ancora continuava a pensare a lui, senza andare avanti, aggrappandosi a scheletri del passato che ogni notte allungavano le dita ossute su quella che definiva la sua famiglia.

Prese una coperta, osservando la donna che si era presa il volto tra le mani, incapace di guardare di nuovo i suoi stessi disegni. La ricoprì lentamente, timoroso che il freddo peggiorasse il suo malessere e con l'intenzione di mitigare il suo dolore.
Non sarebbe mai stato Viktor, ormai lo aveva capito, ma poteva cercare di esserle più vicino possibile.
Lei sussultò appena, voltandosi a guardarlo e stringendosi nella trapunta di lana, mentre con una mano avvicinava a sé la cartellina chiusa, come se avesse timore gliela portasse via.
Lui trattenne su di essa lo sguardo qualche istante, prima di tornare sulla donna. «Non te la porterò via, lo sai; per quanto trovi insensato il tuo attaccamento verso quel passato» spiegò in tono basso, vedendola poi aprir bocca per replicare, ma anticipandola. «Non ti sto dicendo di non piangere chi hai amato in passato. Ne hai tutto il diritto, ma ti sto chiedendo di pensare a chi hai vicino adesso. No, non parlo di me, lo so che non avrò mai quello che hai dato a Viktor, per quanto male ti abbia fatto. Parlo di Thomas. Lui, soprattutto, ha bisogno di te.»

«Tu non...» cercò di giustificarsi lei, scuotendo il capo, chinandolo e guardando a terra. «Io non lo so il perché non riesca a dimenticarmene. Nonostante tutto quello che ho passato io non ci riesco. Tu hai fatto tanto per noi e non è neanche corretto che tu ti faccia carico di tutto non potendo avere ciò a cui aneli davvero.»
«La scelta nel prendermi cura di voi è mia e non mi pento delle scelte che ho fatto, Elaine» rispose lui gentile, carezzandole una guancia e ricercando il suo sguardo. «Ora, però, vorrei chiederti di tornare a letto. Cerca di dormire, non mi sembra che tu stia bene e non parlo solo di quanto questa notte hai scoperto. Di tutto questo potremo parlare domani.»
Lei però scosse il capo. «Abbiamo poco tempo, Ben. Per quanto nella mia mente riecheggino le parole che Viktor è morto non ho dimenticato la situazione in cui siamo.»
«A quello penseremo domani. La mia è una proposta forse sciocca e stupida. Possiamo trovare altre soluzioni. Non bisogna tornare per forza a Londra.»
«Ho bisogno di pensarci» mormorò lei annuendo, per poi poggiare la fronte sulla sua spalla, mentre lui le carezzava la schiena.
«Mi dirai cosa hai deciso quando vorrai. Ora però torniamo a dormire. Sono qui, Elaine, qualsiasi cosa tu decida.»

Dormire fu difficile, così come svegliarsi all'alba di un nuovo giorno.
Quella mattina non fu detto nulla riguardo quanto detto la notte, per quanto il sottile silenzio sembrava più rumoroso che mai. Thomas, come al solito, se ne accorse subito, per quanto Benjamin ed Elaine tentassero di nascondere al piccolo di casa i propri tormenti.
L'americano uscì per tornare a lavorare nei boschi, mentre la madre preparò Tommy, ragguardandolo sui suoi doveri scolastici, per poi accompagnarlo alla scuola del paese.
Il tempo libero se lo prese per sé, passeggiando per il bosco, lungo il Little River, riflettendo e pensando a ogni cosa a cui era stata messa al corrente.
La notte le era stata utile per assimilare la notizia della morte di Viktor, per quanto facesse ancora male il solo pensiero, e solo quando raggiunse una delle radure più distanti dall'abitato, dove ancora si potevano notare antiche tracce del passaggio degli indiani, si lasciò andare a un pianto liberatorio, nascosta agli occhi di chi avrebbe potuto vederla.
Ben aveva ragione, era rimasta a lungo ancorata a un passato che non avrebbe mai potuto rivivere e ora aveva la certezza che l'uomo che follemente aveva amato non c'era più. Ogni speranza era ormai stata trascinata via, lasciando posto alla realtà di una vita diversa.
Doveva farlo per Thomas, ma anche per Ben che si era sempre preso cura di loro.
Doveva chiudere definitivamente quell'armadio da dove scheletri la richiamavano al passato e lasciarsi tutto alle spalle, una volta per tutte.

A lungo rimase nei boschi, ignorando il tempo che passava e coloro che, tornati a casa per il pranzo, non l'avevano trovata.
Era ormai tardo pomeriggio quando la donna vide comparire da sottobosco Benjamin e Tommy, palesemente spaventati e preoccupati, sebbene per motivi differenti.
Il ragazzino gli corse incontro, abbracciando la madre che ricambiò con un sorriso.
«Dove sei stata? Perché sei qui? Ci hai fatto preoccupare!» la riprese lui con un'espressione che la fece sorridere, ma al tempo stesso le strinse il cuore per quella somiglianza che ogni giorno diventava sempre più incisiva.
«Scusa, Tommy, volevo raccogliere qualche cosa da mangiare per questa sera, ma poi mi sono persa per il bosco» spiegò lei, nonostante lo sguardo sottile del giovane lasciasse intendere che non credeva affatto a quella scusa.
«Senza papà non sei neanche in grado di prendere la strada giusta per tornare a casa,» replicò, per poi guardare Benjamin. «Riprendi me quando esco per la paura di orsi, lupi o linci, e alla mamma non dici nulla?»

Ben sospirò, con un sorriso più leggero, scuotendo il capo. «Questa sera discuterò anche con lei, non ti preoccupare» ridacchiò guardando poi Elaine. «Era... eravamo preoccupati. Non è mai successo che non ti trovassimo in casa.»
«Dovevo pensare, avevo bisogno di stare da sola. Ora però torniamo a casa. Non manca molto al tramonto» tagliò il discorso, per poi tossire nuovamente, spostando il capo di lato.
«Non dovevi uscire con questa tosse» sottolineò Tommy. «Me lo dici sempre quando sto poco bene. Perché tu puoi e io no?»
«Suvvia, anche l'anno scorso è stata la stessa cosa, e anche l'anno prima,» spiegò la donna sorridendo al ragazzino, mentre iniziava a tornare in direzione del villaggio «piuttosto, raccontami come è andata la giornata di oggi.»

Raggiunsero l'umile abitazione che il sole stava ormai calando e le case vicine stavano già accendendosi delle tenui tinte di lampade e candele, mentre dai comignoli si notavano i primi fili di fumo, prodotti dai camini accesi. Ormai la temperatura era abbastanza calata da permettere al gelo di chiudere la propria morsa in tutto il villaggio. In meno di un mese il fiume avrebbe iniziato a gelare, lasciando che l'abitato cadesse in una sorta di torpore invernale dal quale si sarebbe poi risvegliato diversi mesi dopo.

Elaine preparò un pasto frugale con quello che rimaneva nella loro dispensa, mentre Thomas leggeva un libro. Solo Ben non riusciva a tranquillizzarsi per quel momento di calma apparente.
Dovette aspettare che il ragazzino andasse a letto, assicurarsi che si fosse addormentato, prima di scoprire cosa avesse deciso.
Attese che fosse lei a parlare, forse per paura o per darle ancora tempo, senza insistere.
Elaine rimise a posto la cucina e la sala, preparando quindi un tè per entrambi. Con una tazza calda in mano si sedette sulla sedia a dondolo accanto al camino, osservando l'uomo a cui poco prima aveva porto un'altra tazza fumante.

«L'uscita nel bosco ti è servita?» domandò tra un sorso e l'altro.
«Sì, mi è servita» annuì, stringendo le dita sulla ceramica bollente, percependo il freddo della casa più di quanto si aspettasse, pur stando accanto al fuoco.
«Andare a Londra è una pessima idea. Ci ho pensato anche io. Farti rivivere quello che avevi là...» iniziò a dire lui scuotendo il capo, ma lei lo fermò.
«No, invece. Forse è proprio quello che mi serve, Ben.»
Lui tornò a guardarla, interdetto. «Sei sicura?»
«Sono sicura. Viktor è morto e attaccarmi al suo fantasma non ha nessun senso. Forse quello che mi serve è davvero chiudere definitivamente con la famiglia Lancashire. Rivedere quei posti e quei luoghi mi è necessario per mettere la parola fine a tutto quanto.»
«Quindi vuoi partire? Cosa diremo a Thomas? Non sa nulla di quella che è la verità...»
«Non penso che sia giusto che la sappia. Non ora quantomeno. Dovremmo dirglielo, ma a tempo debito. Ora è solo un ragazzino e non so come potrebbe reagire nel sapere che non sei il suo vero padre. Non voglio rovinare la sua serenità adesso che è solo un ragazzino.»
«Vero, ma non possiamo tenerglielo nascosto se verrà con noi.»

La donna chiuse gli occhi, tossì sommessamente di nuovo e bevve. «Potrebbe tenerlo qualcuno dei tuoi amici a Londra, ma non mi piace. Non conosce nessuno...» scosse il capo. «No, è una pessima idea, piuttosto possiamo chiedere se può stare qui, da padre Lucas. Potrebbe dare una mano in canonica e nella chiesa.»
«Non credo che Thomas sarebbe d'accordo. Dovremmo stare via diverso tempo, Elaine. Solo il viaggio durerà quasi un mese.»
«Lo so, ma portarlo con noi implica dirgli tutto. Non è pronto, non ancora» scosse il capo la donna.
«Sarà furibondo quando gli diremo che staremo via per tanto a lungo. Non voglio lasciarlo da solo. Se gli succedesse qualcosa?»
«Io non voglio neppure lasciarlo in mano a chi non conosco in una città come Londra. Lui è più al sicuro qui, in un posto che conosce, con degli amici che si è fatto negli anni, piuttosto che affrontare un viaggio in nave per dei mesi, sopportando di passare del tempo in un buco dei bassifondi. In questo periodo dell'anno la nebbia quasi non ti permette di vedere quello che hai davanti» spiegò scuotendo il capo. «Londra non è un posto per un ragazzino.»

Benjamin scosse di nuovo il capo, completamente contrariato. «Starebbe da solo qui per dei mesi, Elaine.»
«Vuoi dirgli davvero chi sia suo padre? Vuoi che sappia la verità?» sussurrò lei con un filo di voce, sporgendosi in avanti. «Ha il diritto di sapere, lo so, ma non così, di fretta, solo per una necessità. Non mi sembra giusto! Avrebbe bisogno del suo tempo per accettare la cosa. Avrebbe bisogno di noi per capirla e io per prima non sono pronta ad affrontare con lui questo argomento. Non riuscirei a parlargli di suo padre. Non ancora!»
Ben aprì bocca, deciso a dire che sì, forse era meglio ammettere tutto, ma poi tacque. Gli andava bene che Thomas sapesse la verità, ma al contempo non riusciva a dirla a Elaine.
Strinse le labbra, combattuto, per poi chinare il capo. Scosse la testa.

«Torneremo a Londra, io e te. Diremo a Thomas che la prossima volta lo porteremo con noi e che abbiamo cose importanti da risolvere con la mia famiglia. Gli diremo una mezza verità» valutò lei, osservandolo scuotere il capo. «Purtroppo, Benjamin, non abbiamo il lusso di poter aspettare, o ci troveremmo senza un tetto sopra la testa da qui a pochi mesi.»
L'uomo rialzò lo sguardo su di lei, per poi sospirare. Non disse nulla.
«Staremo via solo il necessario. Firmerò quello che devo e pagheremo i debiti. Torneremo qui, a casa e inizieremo una nuova vita,» valutò lasciando la tazza vuota sul tavolo e avvicinandosi a lui, chinandosi, poggiandogli una mano sul suo ginocchio «una nuova vita, assieme.»

L'americano sorrise mesto, dandole un bacio sulla fronte, chiudendo gli occhi. «Va bene, torniamo a Londra. Per l'ultima volta.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro