Debito
«Un debito? Abbiamo un debito?» domandò Elaine fissando Benjamin incredula.
Era già la seconda volta che poneva quella domanda e l'uomo di fronte a lei annuiva senza guardarla, a capo chino e con le labbra tirate.
La donna attese, lasciando posto allo sconcerto che arrivava dal silenzio della persona con cui viveva da otto anni. Un uomo che mai avrebbe creduto capace di farle qualcosa di potenzialmente dannoso, per lei e per colui che chiamavano figlio.
«Cosa... perché?» farfugliò lei senza neppure sapere cosa domandare di fronte a tale notizia, per poi scuotere il capo a sua volta, incrociando le braccia e stringendosi quasi avesse improvvisamente freddo.
«A quanto ammonta? Possiamo cercare di vendere qualcosa e ripagarlo» valutò cercando la più rapida delle soluzioni, allarmandosi ancora di più nel vedere l'uomo scuotere il capo.
«Troppo, non è certo vendendo due chincaglierie che salderei quanto devo» spiegò lui con tono mortificato. «Mi dispiace.»
«Io... io non capisco...»
«Non credevo di fare qualcosa di tanto stupido, volevo solo assicurarmi che tutto andasse bene, per noi» spiegò alzando lo sguardo verso la donna. «Quando siamo arrivati qui, avevo la giusta somma di denaro per garantirci da vivere per qualche tempo, lo sai, ma per comprare casa e terreno ho dovuto chiedere un prestito, convinto che sarei riuscito a ripagarlo nel tempo, senza contare quanto alto fosse il tasso d'interesse» spiegò, per poi distogliere nuovamente lo sguardo, stringendo le labbra. «La situazione mi è sfuggita di mano, non volevo allarmarti o farti preoccupare. Cercavo di occuparmene da solo per non darti altri pensieri.»
«Avresti dovuto dirmelo, invece. Avremmo potuto trovare una soluzione, assieme, come abbiamo sempre fatto» mormorò lei calma, avvicinandosi a lui. «A quanto ammonta il debito?» domandò, sedendosi accanto a lui e poggiandogli una mano sul ginocchio.
L'americano scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli per poi sistemarsi nervoso sulla sedia di legno. «Seicento quindici dollari» rispose a capo chino, non avendo il coraggio di guardare Elaine in volto, la quale a quella risposta era impallidita.
Ci fu silenzio per i successivi istanti, con la presa di coscienza della gravità della situazione.
In silenzio, la ragazza rimase a fissare Benjamin, nella speranza tornasse a guardarla e gli dicesse fosse tutto uno scherzo, che non ci fosse nulla di vero. Deglutì, guardandolo, afferrandogli una delle mani tra le sue, come a volergli dare conforto.
Seicento quindici dollari! Non sarebbe bastata la vendita della casa e dei pochi acri di terreno che possedevano per saldare un tale debito e se, nel peggiore dei casi, avessero arrestato Ben, Elaine non avrebbe potuto avere nessun diritto di proprietà sulla casa, non apparendo realmente sposati.
Avrebbero pignorato la proprietà; Benjamin sarebbe stato trasferito chissà dove e lei e Thomas si sarebbero trovati da soli, senza neppure un penny né un posto dove stare.
Non possedevano nulla di valore che potesse essere rivenduto, tranne la casa che loro stessi avevano costruito e pochi metri di terreno, ma anche con quello non sarebbero arrivati a coprire tutto quel denaro.
Era un disastro!
Scuotendo il capo, ancora incredula, la donna prese due bicchieri, poggiandoli sul tavolo assieme a una bottiglia di Whiskey, tenuto solitamente ben nascosto e raramente presente sul loro tavolo.
Versò in entrambi i bicchieri due dita di liquore, per poi sedersi di fronte a Ben, accennando un sorriso tirato.
Lui invece prese il bicchiere guardandone il contenuto, per poi lasciarlo sul tavolo senza berlo, iniziando invece a prepararsi un'altra sigaretta.
«Questa situazione ci mette in pericolo. Non risultiamo sposati, non abbiamo i documenti e tu non risulti ufficialmente mia moglie» spiegò lui tirando dalla sigaretta mentre lei sorseggiava timidamente il liquore. Non che ne cercasse qualche tipo di appagamento, o soluzione ai suoi angoscianti pensieri, sebbene sperasse che l'alcol mitigasse la paura che quella verità aveva portato a galla.
«Non voglio obbligarti a sposarmi. Ne abbiamo già parlato in passato e non voglio affrontare di nuovo l'argomento, sebbene sai meglio di me che, se diventassi ufficialmente mia moglie, le cose sarebbero ben differenti.»
Lei scosse il capo, osservando il bicchierino che teneva tra le dita. «Lo sai che non voglio, sebbene concordo con te che risolverebbe molte problematiche, ma... io non posso.»
«Elaine, lo so perché non vuoi, ne sono perfettamente consapevole» rispose lui alzandole il viso con dolcezza. «Ma ti chiedo di valutare la situazione per te e per Thomas, lui soprattutto. Se ufficializzassimo il matrimonio, anche se mi dovessero portare via, a voi resterebbe la casa e il terreno. Per me non è importante avere quel pezzo di carta, ma almeno vi garantirebbe di avere un tetto sopra la testa.»
«Non avremo di che vivere, Ben. Non ho nessuna competenza che mi permetterebbe di guadagnare abbastanza da sostentare me e Thomas» specificò lei in tono basso. «O meglio, le mie conoscenze qui sono inutili, senza contare che tu verresti portato via, forse persino a lavorare in qualche campo per saldare il tuo debito» scosse il capo, finendo il liquore. «No, deve esserci un'altra alternativa, una soluzione diversa. Non voglio che ci separiamo. Non saprei cosa fare da sola e anche Thomas... ormai vede te come un padre, non sopporterebbe la tua scomparsa» spiegò lei con espressione preoccupata.
Benjamin sospirò, finendo la sigaretta per poi spegnerla nel bicchiere vuoto della donna, per poi tirarla a sé in un abbraccio.
«Andrà tutto bene, una soluzione la troverò, te lo prometto» sussurrò dandole un bacio sulla fronte, celando a lei la sua espressione altrettanto preoccupata e nervosa.
Elaine non aveva idea di ciò a cui l'americano stesse pensando, tra colpe mai ammesse ed errori trascinati avanti senza possibilità di rimedio alcuno.
Aveva sbagliato e ne era perfettamente consapevole. Si era lasciato trasportare dalla certezza che sarebbe andato tutto bene, senza pensare al rischio che stava correndo e accorgendosi troppo tardi di non riuscire a pagare quanto dovuto, trovandosi di fronte a un continuo crescere di un debito che non poteva ripagare.
L'aveva fatto per loro, per lei e per Thomas, sperando di riuscire a potergli dare il massimo, permettendogli di vivere felici, nonostante sapesse che quello che lui anelava non lo avrebbe mai ottenuto.
Una soluzione c'era, ma aveva il terrore di proporla, consapevole che Elaine non l'avrebbe mai accettata. Probabilmente avrebbe rifiutato quella proposta con ogni mezzo, ben intenzionata a lasciarsi alle spalle il proprio passato, e i dettagli poi l'avrebbero spezzata.
Era cresciuta in quegli otto anni, si era rafforzata e aveva permesso a una parte del suo carattere rimasto sedato negli anni di venire allo scoperto, anche solo per sopravvivere a un mondo totalmente differente rispetto a quello dal quale proveniva.
Non era stato in grado di dirle la verità per tutti quegli anni, restando zitto su quanto accaduto quella notte in cui le era apparsa davanti in compagnia di Nellie, annichilita da un piano ben congegnato di cui ancora era all'oscuro. Sapeva che se gli avesse detto tutta la verità, avrebbe provato immediatamente a tornare da Viktor, portando con sé anche Thomas, senza ripensamenti.
Ci aveva pensato, ben più di un'occasione e spesso era stato molto vicino a volergli dire tutto quanto, ma la paura di perdere chi amava e colui che lo chiamava padre gli avevano bloccato ogni proposito.
Le ultime notizie di quegli anni, inoltre, lo avevano convinto che quella fosse la soluzione migliore, soprattutto per lei.
«Forse, qualche soluzione da valutare c'è» mormorò lui incerto, alzando lo sguardo su di lei, sciogliendo l'abbraccio.
«E quale sarebbero?» domandò in risposta la donna, per nulla alleggerita dalle sue parole e senza che l'espressione preoccupata sparisse dal suo viso. Aveva paura e le si leggeva in faccia.
Benjamin sospirò, tornando a guardarla. «Devo verificare alcune cose, ma andrà tutto bene, te lo prometto. Devi solo darmi il tempo di risolvere alcune questioni.»
«Io ho paura, Ben, anche se io e Thomas restassimo qui, trovassi un modo per garantire a me e a lui una vita dignitosa, tu rischieresti troppo. Temo non si limiterebbero a mandarti a lavorare in un campo di cotone.»
«Non arriverà nessuno fino a qui, nessuno ti porterà via, Elaine, né porterà via da noi Thomas» insistette lui. «Posso rimediare, troverò una soluzione.»
Lei annuì, tornando ad abbracciarlo, benché incapace di nascondere la paura che l'attanagliava. Si spostò appena da lui, osservandolo «Andiamo a letto? È tardi e siamo tutti stanchi.»
«Vai pure, ti raggiungerò subito» le rispose dandole un bacio leggero. «Anzi, se vuoi prendi Thomas e fallo dormire con te questa notte, più tardi andrò nel sottotetto, al posto suo. Se mi mettessi a letto adesso non prenderei sonno» spiegò facendo un sorriso nervoso, accarezzandole i capelli. «Mi dispiace, ma passerei il tempo a guardare il soffitto immobile, timoroso di svegliarti.»
«Ne sei sicuro?»
«Sicurissimo» rispose spostandosi da lei. «Recupero Thomas e lo porto in camera. Tu vai pure a letto.»
Sistemato il ragazzino con la madre e dandogli un bacio per la buonanotte, l'americano chiude la porta, sedendosi al tavolo e osservando in direzione della stanza, accendendosi un'altra sigaretta.
Ormai privato del tutto del sonno e in balia dei propri demoni, sentiva Elaine bisbigliare e tossire piano, cercando probabilmente di chetare il ragazzino che si era trovato in un letto non suo, poi dopo qualche minuto tornò il silenzio, rotto solo dal grido acuto di un raro Barbagianni che aveva nidificato nei dintorni.
Poco dopo uscì, non riuscendo a rimanere nel vuoto silenzioso di quella casa, sperando che la notte portasse consiglio.
Il giorno dopo Elaine si sveglio con l'aspetto di chi aveva passato la notte in bianco, benché avesse comunque preparato la colazione, svegliatasi prima di tutti. Come per Benjamin anche lei aveva faticato a prendere sonno, con la mente occupata verso ciò che le era stato detto quella sera stessa dal suo compagno, allarmandola più di quanto lui si fosse reso conto. Inoltre, il cambio di stagione aveva iniziato a manifestarsi attraverso una leggera tosse che aveva colpito sia lei che Thomas, rendendole ancora più difficile prendere sonno.
Non era più la donna di un tempo e con Ben non si era mai trattenuta nel parlare, ammettendo sempre quali fossero i suoi pensieri e paure, ma il vedere l'angoscia dell'uomo l'aveva trattenuta dall'esprimere i suoi timori per non dargli altro peso a gravargli sulle spalle.
Thomas invece sembrava essersi accorto subito che qualcosa non andasse, a partire dall'essersi svegliato nel letto dei suoi genitori e non nel suo, fatto decisamente molto raro. Vedeva i due comportarsi in maniera tranquilla, come se non fosse successo nulla, sebbene percepisse una sensazione strana nel guardarli, come un filo tirato pronto a spezzarsi da un momento all'altro.
«Probabilmente, dovrò stare via per un po'» iniziò a intavolare il discorso, Benjamin.
«Dove vai?» domandò subito il ragazzino, incuriosito da quanto stava accadendo.
«A Nashville. Starò via qualche giorno, non di più» spiegò, cercando di incrociare lo sguardo della ragazza che lo ricambiò, benché ancora in ansia dalla loro discussione notturna.
«Posso venire con te?» lo incalzò subito Thomas, allargando il sorriso.
Non era raro che Benjamin lo portasse in viaggio, attraverso paesi, villaggi e boschi. Il ragazzino era animato da una curiosità spontanea e, quando capitava, tentava sempre di vedere cosa ci fosse al di fuori del loro piccolo abitato, sicuramente più divertente che stare mezza giornata ad ascoltare un vecchio e noioso insegnante.
«No!» La risposta di Elaine, sebbene posta con dolcezza, spense però ogni suo entusiasmo, facendo voltare verso di lei tutti e due. «Tuo padre ha da fare, Tommy. Non se ne va per una gita di piacere» chiarì lei rivolgendo lo sguardo verso Benjamin. «Quando intendi partire?»
«Dopo colazione, andrò alla locanda a parlare con il Marshall e vedrò di tornare in città con lui» spiegò con un sorriso tirato, osservandola annuire e tornare a dargli le spalle mentre finiva di sistemare le ultime stoviglie della cucina.
Si chiese se la proposta che aveva in mente, consapevole di quanto accaduto davvero in quegli anni, l'avrebbe portata a odiarlo o se lei l'avrebbe mai accettata, pur dovendo affrontare una situazione spinosa. Probabilmente avrebbe avuto bisogno di tutto il suo coraggio e della propria volontà, ma forse lo avrebbe fatto, anche con il rischio che poi avrebbe voluto allontanarsi da lui.
Elaine gli voleva bene, ne era certo. Aveva vissuto con lui più anni di quanti ne avesse passati in compagnia di suo marito, eppure sapeva che, se, le verità fossero venute tutte a galla non l'avrebbe mai perdonato. Era cambiato lui, ma mai quanto lo aveva fatto lei e, soprattutto, lui non era Viktor.
«Perché non posso andare?» insistette innocentemente il ragazzino, osservandoli senza capire, o meglio, senza sapere ciò che i due adulti nascondevano. Sospettava un litigio, l'ennesimo tra i due, sebbene solitamente bastasse poco per riappacificarli. Quella volta invece si era svegliato nel loro letto, con sua madre, fatto decisamente strano e per lui incomprensibile.
Gli aveva fatto piacere, per quanto mai lo avrebbe ammesso, ma al contempo quella situazione gli aveva messo addosso una certa agitazione inspiegabile e, stranamente, si vide più propenso a volersene andare con suo padre piuttosto che restare in compagnia della madre.
«Benjamin deve lavorare» sospirò Elaine, sorridendogli e allungandogli altro porridge. «Per la tua felicità resterai qui, andrai a scuola e mi darai una mano mentre lui non c'è» aggiunse con tono più gentile, dandogli un bacio e una carezza scompigliandogli i capelli. «Finisci di mangiare, o farai ritardo.»
Il ragazzino si voltò a guardare Ben, ricevendo da parte di quest'ultimo un cenno affermativo accompagnato da un sorriso tirato che tentava di mascherare. «Prometto di portarti qualcosa di interessante dalla città, ma non fare arrabbiare tua madre, va bene?» domandò in tono basso, come se cercasse di farsi sentire solo da lui.
Elaine, senza voltarsi, nascose un sorriso stanco per poi tossicchiare.
Benjamin partì e come aveva anticipato rimase via a lungo, dando modo a Elaine di riflettere su quanto accaduto, benché avesse occupato il tempo tra le faccende di casa e suo figlio, irrequieto per la mancanza del genitore.
«Ma papà torna?» domandò una sera, la quarta che passavano da soli, iniziando ad avere paura che l'uomo non rientrasse. Aveva sentito qualche racconto dai suoi compagni, di chi partiva per non fare mai ritorno, e considerando che suo padre non fosse ancora riapparso, quando al massimo si era assentato per un paio di notti, iniziava ad agitarlo, considerando soprattutto il nervosismo mostrato da sua madre, nonostante in sua presenza cercasse di nasconderlo.
«Ben tornerà» annuì Elaine. «Lo so che è via da molto più del solito, ma non devi avere paura, è solo... molto impegnato» spiegò allargando il sorriso. «Credi che non tornerà più?»
«Io non ho paura» specificò subito. «Lo so che tornerà, ma...prima che partisse eravate tutti e due strani, sembrava che aveste litigato e facevate finta di nascondermelo.»
Lei sorrise, avvicinandosi a lui sistemandogli alcune ciocche ribelli. «Spesso gli adulti si arrabbiano e litigano, o hanno dei problemi sui quali discutere, ma poi, anche se non sempre, riescono a fare pace e a risolvere le loro incertezze.»
«E quando papà tornerà, farai pace con lui?»
Elaine sospirò, allargando un sorriso spontaneo nato dall'insistenza e innocenza di quel bambino dagli occhi di ghiaccio. Non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe pensato di lui chi davvero possedeva quelle stesse iridi azzurre, ma cacciò subito quel pensiero, potenzialmente pericoloso.
«Risolveremo, non ti preoccupare. Benjamin è un brav'uomo e si è sempre preso cura di noi.»
«Papà ti vuole bene» osservò il ragazzino, iniziando a mangiare vorace dal suo piatto.
«Vuole bene a tutti noi» ammise la donna, con un sospiro. «Lo so.»
L'uomo fece ritorno ben quattro sere dopo, durante un brutale temporale iniziato già dal primo pomeriggio e che aveva obbligato in casa tutti coloro che vivevano in quel piccolo abitato.
La stufa era stata accesa, accanto alla quale Thomas si era ricavato una nicchia tutta sua per scaldarsi, cadendo poi in un letargico dormiveglia, ormai prossimo al sonno.
Era letteralmente saltato in piedi nel sentire il rumore dell'ingresso che veniva aperto, a seguito di un tuono e un lampo che aveva illuminato a giorno l'intero villaggio.
Anche Elaine era rimasta allarmata come aveva visto la porta spalancarsi, stringendosi maggiormente nello scialle pesante, tenendo a stento il porta candela e facendo vibrare il cero la cui fiammella serviva per illuminare l'intera stanza, unica fonte di luce.
«Ben...» lo chiamò la donna in un momento di incertezza, come se non fosse sicura si trattasse di lui, vista la quantità di abiti che lo ricoprivano, ma bastò che lui si togliesse il cappello logoro per essere riconosciuto.
«Non so neppure io come sono riuscito ad arrivare qui tutto intero» borbottò infreddolito osservando la donna, prima di venire investito da Thomas che gli si era lanciato addosso per abbracciarlo, facendo ridere l'uomo mentre lo alzava e stringeva, ricambiando la stretta.
Elaine invece sorrise, sollevata di vederlo di nuovo con loro. «C'è ancora della zuppa, se vuoi» lo avvisò, appena Benjamin mise a terra il ragazzino.
«Muoio di fame, effettivamente» ammise guardandola e notando l'espressione confortata che gli stava rivolgendo, felice del suo ritorno.
Era stata in pensiero anche lei, visto il tempo trascorso, e per quanto avesse cercato di tenerlo nascosto a Thomas qualche notte aveva avuto paura davvero di non vederlo tornare.
«Dove sei stato tutto questo tempo? Cosa hai visto? Sei stato a caccia? Mi hai portato qualcosa da Nashville? Com'era la città? C'era tanta gente? Pioveva anche là?» iniziò subito a tempestarlo di domande il ragazzino, riportando l'attenzione su di lui.
Era felice, gli si leggeva l'allegria in viso nel vedere finalmente l'uomo che chiamava padre nuovamente in casa assieme a loro e tutta l'energia sopita in precedenza sembrava essersi ridestata improvvisamente. Thomas ne cercò un contatto, afferrandolo per uno dei bordi dei pantaloni, come a cercarne l'attenzione, necessitandola più che mai.
Sotto lo sguardo di Elaine, Ben si chinò davanti il ragazzino, ridacchiando in risposta al fiume di domande. «Ti prometto che la prossima volta verrai con me. Va bene?» domandò divertito, osservandolo annuire in risposta.
Elaine ascoltò chiacchiericcio dei due, preparando la cena per l'uomo affamato e godendosi quel momento di calore familiare. Lasciò Ben mangiare, sistemando nel frattempo la casa, ripulendo piatti e vasellami utilizzati e voltandosi di tanto in tanto a guardarli.
Il ragazzino sembrava non volersi staccare dall'uomo, per quanto fosse evidente che mancasse poco prima che crollasse dalla stanchezza, facendo sorridere Elaine nel vederlo tentare di rimanere sveglio il più possibile.
«Tommy, è tardi e devi andare a dormire. Domani hai diverse cose da fare. Benjamin è tornato e credo debba riposare. Domandi di certo lo avrai per te per tutto il pomeriggio» osservò Elaine guardando in direzione dell'uomo che ricambiò lo sguardo, annuendo.
Il ragazzino si imbronciò immediatamente nell'udire quelle parole. Ora che il genitore era tornato sembrava esplodere di energie e di andare a letto non ne aveva nessuna voglia. Sperando nell'appoggio del padre si voltò a guardarlo, speranzoso di una difesa che gli permettesse di restare ancora con loro due.
«Facciamo che ti accompagno a letto, devo parlare con tua mamma,» rispose però Benjamin, arruffandogli i capelli «ma domani ti prometto che andremo a caccia, appena tornerai da scuola.»
Thomas venne rimesso a letto, crollando addormentato in poco tempo, nonostante avesse cercato di rimanere sveglio il più possibile.
La porta della stanza venne chiusa con lentezza, per evitare rumori fastidiosi e tenere lontano dalle orecchie del ragazzino quello che da lì a poco si sarebbero detti i due adulti.
La donna, seduta su una sedia a dondolo ormai rovinata dal tempo, rimase a fissarlo in silenzio, seguendolo con sguardo apprensivo, fin quando lui si sedette con un sospiro al tavolo. Moriva dalla voglia di sapere cosa fosse accaduto quei giorni, avida di conoscere quale fosse stata la soluzione da lui trovata.
Mai avrebbe pensato fosse l'idea peggiore che a quell'uomo potesse venire in mente, quantomeno per lei.
«Hai parlato con il Marshall?» domandò con tono basso, non invadente, vedendolo tergiversare.
Lui sospirò, guardando in direzione della stufa che andava via via spegnendosi. Si alzò, riavviando le fiamme con qualche ciocco di legno e prendendo tempo, conscio che la situazione sarebbe crollata di lì a poco.
Elaine rimase a osservarlo, innervosita da quel silenzio. Da quando era approdata in America si era ripromessa che mai più avrebbe lasciato correre senza chiedere spiegazioni e quel silenzio divenne subito fonte di angoscia. Ben sapeva quanto lei detestasse quel tipo di atteggiamento, ma era terribilmente difficile affrontarla.
«Ho viaggiato fino a Nashville. Sono riuscito a farmi dare cinque mesi, prima del processo.»
«Cinque mesi sono pochissimi» osservò lei sgranando gli occhi, con il cuore che iniziava a battergli in petto forsennatamente.
Ben scosse il capo, distogliendo lo sguardo. «La soluzione ce l'ho, ma non ti piacerà.»
«E quale sarebbe?»
L'uomo tornò a voltarsi nella sua direzione, osservandola per qualche istante in silenzio, soppesando i propri pensieri.
Era un'idea folle, improponibile e terribilmente sciocca, inoltre lei non l'avrebbe mai accettata. Tuttavia era la soluzione più rapida e semplice, soprattutto per Elaine e suo figlio, sebbene con tutta probabilità avrebbe portato a spaccare del tutto il rapporto che li univa. Quella soluzione portava a galla troppe verità, ma al contempo avrebbe messo al sicuro tutti e due. Forse lei non avrebbe più voluto vederlo, ma almeno sarebbero stati al sicuro.
«Mi dispiace, Elaine...» mormorò Ben dopo qualche secondo interminabile, distogliendo lo sguardo.
«Ti dispiace di cosa?»
«Di quello che ti sto per dire, per l'assurdità della proposta che ti sto per fare e per averti messa in pericolo, a te e a Thomas.»
La donna strinse le labbra, stringendosi poi nel suo scialle, sentendo il proprio battito aumentare e iniziare a sudare freddo, legata a un'aspettativa che si presentava sempre peggiore.
«Ho pensato a una soluzione. Risolverebbe i problemi e ripagherei l'intero debito. Dubito che però, se dovessi accettare, vorrai vedermi ancora. Lo capirei benissimo» spiegò abbassando il capo per un attimo, tornando poi a guardarla. «Si tratta di una richiesta davvero difficile, ma almeno tu e Thomas non avrete in futuro nessun problema.»
«A cosa hai pensato?» domandò lei con voce che faticava a tenere ferma.
Lui rimase tacito qualche istante, osservandola con un sorriso amaro, poi sospirò, tornando a distogliere lo sguardo, fissando un punto indistinto della cucina.
«Sei l'unica erede ancora in vita della famiglia Lancashire e, come tale, tutto ciò che appartiene a quella famiglia è tuo» spiegò senza guardarla, sentendo lei smettere di respirare. «Voglio chiederti di prenderti ciò che ti spetta!»
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