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Consunzione

Avevano sognato e atteso quell'abbraccio, anelato da entrambi per otto anni di vacillante speranza, fantasticando in pensieri nostalgici e velati dalla malinconia.
Viktor aveva lasciato ogni suo interesse per la sua ricerca, ostile a ogni cosa che fosse al di fuori del suo obbiettivo, agognando solo di riavere indietro Elaine.
Era stata la vendetta, ai danni degli artefici di quanto accaduto, e la guerra a cui aveva partecipato quando la speranza aveva vacillato, che lo avevano distratto dal suo pensiero ricorrente.
Elaine invece aveva cercato di dimenticare, tentato di iniziare una nuova vita con colui, lo riconosceva, aveva sempre provato un sincero affetto per lei e suo figlio.
Se il ragazzino non fosse mai nato con tutta probabilità sarebbe persino riuscita a nascondere i ricordi dolorosi, il rimorso di quello che aveva lasciato e a cui non riusciva a separarsi del tutto, ma Thomas era cresciuto replica del padre in lineamenti ed espressioni, i quali avevano portato a galla i ricordi e i sentimenti della donna.

Ben aveva ragione sotto un certo punto di vista. Le aveva dato tutto, affetto, attenzioni, amore. Era stato molto più presente di quanto mai avrebbe potuto esserlo Viktor, eppure, sebbene la sua razionalità non trovava logica risposta a quella condizione, l'amore incondizionato continuava a provarlo solo per quell'uomo dagli occhi di ghiaccio.
Aveva sognato di risentire le sue dita sfiorarla, di percepirne il calore del suo corpo allo stesso modo in cui lo stava avvertendo in quell'istante, stretta contro di lui, sentendo le sue mani scivolarle lungo la schiena e i fianchi attraverso la coperta pesante. Era arrivata persino a tentare di togliersela di dosso per cercare ancora di più il contatto fisico con Viktor e ovviamente lui non glielo aveva negato.
Tornò a essere preda del freddo della stanza, ma protetta dal conte stesso che aumentò ancora di più la sua stretta attorno all'esile corpo della donna, mentre il capo di posava nell'incavo del suo collo, sospirando pago.

«Non sapete... non potete capire quanto mi siate mancata e in che inferno sono stato in questi anni» sussurrò sulla sua pelle, prima di rialzare il volto di fronte a quello della moglie, osservandola offuscato dall'emozione e sentendo le sue dita posarsi sul suo volto, chiudendo gli occhi a quel tocco.
«Sarei tornata subito, se avessi saputo la verità...» mormorò, portando l'attenzione sulle sue labbra, anelando come non mai il bacio che credeva non avrebbe mai più ricevuto, ignara che un semplice contatto potesse permettere a ciò che la stava annientando di attecchire in chiunque le stesse accanto.
«Non rievochiamo il passato,» sussurrò lui tornando a guardarla, prima di scostarle i capelli dietro l'orecchio «adesso siete qui. È tutto ciò che conta!»
Non le diede modo di aggiungere altro. Da quel silenzioso richiamo e desiderio espresso dalla contessa Viktor azzerò la distanza tra le loro labbra.

Tutto il resto passò in secondo piano: Benjamin, l'America, gli anni in cui erano stati divisi, la congiura, persino Thomas sparì in quegli istanti dalla mente di Elaine.
Eros e Psiche si fusero in quella situazione emotivamente intensa per i due nobili, vissuti nel ricordo di quel momento tanto atteso.
I respiri si fecero ansanti all'unisono, come se non fossero in due ma soltanto uno, vinti da una bramosia sempre più crescente, come un filo di paglia incendiato da una scintilla, dando vita a un fuoco capace di bruciare con sempre maggior fame, diventando inestinguibile.
Il desiderio del conte lasciò spazio a una lussuria mai appagata in quegli ultimi otto anni, affamato di quel corpo che finalmente sentiva di nuovo sotto le proprie dita, carezzandolo e rimembrando ogni parte della donna che tanto aveva atteso di poter tornare a toccare, accarezzare e baciare.
Fu Elaine stessa ad arretrare verso il letto portandolo con sé, incapace di aspettare oltre nel sentirlo di nuovo suoi, quasi necessitasse quell'unione per potersi assicurare che tutto ciò fosse davvero reale e non uno dei suoi sogni.
Il conte si lasciò trasportare zoppicando lievemente a suo seguito, senza staccarsi da lei, percependo il suo febbrile calore contro il proprio corpo.

Vinse l'impazienza della carnalità, ma lento fu l'inizio di quella danza, dettata dalla frenesia di due corpi che finalmente tornavano ad appartenersi e unirsi tra ansiti e gemiti, le cui note i due avevano quasi del tutto dimenticato.
I loro sguardi si erano ricercati, così come le dita si erano incrociate tra loro con foga e forza, mentre le mani libere accarezzavano l'una il corpo dell'altro e viceversa, stringendo i tessuti dei propri vestiti, volendoli stracciare e toccare la pelle bruciante e sudata, accarezzando e seguendo linee di muscoli contratti dallo sforzo dell'atto che li vedeva partecipi.
Fu più breve di quanto entrambi di aspettassero, in realtà, ambedue troppo eccitati per resistere al raggiungimento del culmine di quell'unione rimasta in attesa da troppi anni. La passione aveva preso fuoco divampando incontrollata per poi calare rapidamente, lasciando ancora placide fiammelle atte a tenere comunque rovente quella relazione.

«Vi amo, Viktor» susurrò lei stringendolo con forza, ancora con il respiro irregolare, il capo accanto al suo.
L'uomo non aveva quasi più fiato, respirando a fondo per riprendersi dall'intensità del rapporto appena consumato, ma appena sentì quelle parole serrò maggiormente la stretta delle dita che ancora stringevano quelle di Elaine e che mai aveva lasciato per tutto il tempo.
Si voltò verso di lei, trovandosi di fronte al viso della donna. «Vi amo anche io. Avevo timore che non mi sarebbe mai stato più concesso dirvelo.»
Un bacio leggero sigillò con tenerezza quella confessione tra i due, appagati nell'essersi nuovamente ritrovati, poi Viktor, dopo qualche istante, scivolò al suo fianco, ancora intorpidito e lievemente ansante.
«Che cosa vi è successo?» domandò la donna indicandogli la gamba, tremando impercettibilmente dal freddo che l'aveva avvolta come lui si era spostato.
«La guerra» rispose sbrigativo, traendo un lungo respiro prima di tornare a guardarla. «State tremando» osservò, mentre la sua attenzione si faceva più lucida e attenta, in sostituzione al desiderio che si affievoliva.
In risposta lei accennò un sorriso, stringendosi a lui proprio per ricercarne il calore.
Nel Tennessee aveva vissuto con clima ancora più spietato e rigido, scaldata solo dal tepore di un altro uomo. Benché decisamente ancora fredda, quella stanza le appariva calda e molto accogliente a confronto.
Il conte però rimase in silenzio, come a valutare la situazione, per poi accarezzarle i capelli sparsi sul cuscino immacolato.
«La mia stanza è molto più calda di questa. In queste notti è meglio che stiate là. Ci vorrà del tempo prima di rendere la stessa temperatura anche qui dentro» valutò, fermandosi con la mano sulla sua fronte. «Siete molto calda.»
Elaine si sottrasse da quel tocco, mettendosi poi seduta e recuperando rapidamente la coperta sparpagliata sul letto, sempre sotto lo sguardo attento del marito.
«Ci sono alcune questioni di cui parlare. Il resto può aspettare» rispose lei avvolgendosi nella trapunta con la quale coprì anche lui. «Per adesso sto bene. Accanto a voi non sento freddo» aggiunse ricercandolo nuovamente e avvolgendo le sue gambe con le proprie, permettendo alla brace della lussuria di riaccendersi in un attimo nel cuore dell'uomo.

«Non mi interessa quello che è successo in questi anni, Elaine. Non voglio sapere cosa avete fatto con quell'uomo...» anticipò lui, temendo l'inizio di una serie di scuse di quanto vissuto in quel tempo dalla donna.
«No, non centra Ben, non direttamente. C'è una faccenda... delle faccende,» si corresse «che dovete sapere.»
Viktor inarcò perplesso un sopracciglio, mentre le mani scivolavano sotto le coperte in lente carezze, sfiorando quel corpo caldo, troppo caldo. Per un attimo il calore quasi febbrile lo distrasse, conscio che al freddo un corpo avrebbe dovuto raffreddarsi, come aveva fatto il suo, a differenza invece di quello si sua moglie che sembrava essersi fatto ancora più bollente.
«Viktor?» lo richiamò lei, notandolo perso in distanti pensieri.
«Siete estremamente calda, Elaine» ripeté lui, per poi toccarle nuovamente la fronte, questa volta non per gentilezza ma per assicurarsi di non essersi sbagliato.
«Sto bene, Ve l'ho detto... vi devo dire una cosa importante, Viktor, ascoltatemi» insistette lei, afferrandogli la mano e osservando l'espressione contrariata e confusa del conte.
Non gli lasciò la mano, intrecciando nuovamente le sue dita alle proprie. «Dopo quella notte in cui partii per l'America Ben mi portò nel Tennessee e ci stabilimmo dopo qualche mese in un villaggio vicino a Tuckaleechee Cove, una caverna abitata molto tempo prima da dei nativi Americani» iniziò a spiegare lei sotto lo sguardo indagatorio di lui.

Tentennò qualche istante, insicura, percependo nuovamente le stesse sensazioni provate in passato nel sostenere dialoghi con il marito; era cambiata in quegli anni, rafforzando la sua volontà e vivendo un'esperienza ben differente da quella immaginata. Aveva dovuto prendere in mano le redini della sua stessa vita, sua e di suo figlio, benché Benjamin l'avesse aiutata a inserirsi in quel mondo a lei del tutto oscuro. Tuttavia la sua forza di volontà tornò a vacillare di fronte a quegli occhi, riportando a galla vecchi dubbi e incertezze.
Viktor invece non comprese, e nell'istante in cui aveva iniziato a sentir parlare Elaine un timore folle l'aveva ghermito, impaurito da quell'informazione anticipata come importante. Nell'animo del conte graffiò la paura di cosa si potesse trattare, valutando i peggiori scenari possibili.
«Che cosa è successo in quel villaggio?» domandò difatti, cupo, dimenticandosi dello stato febbrile della donna.

Elaine deglutì, sentendo la propria volontà lottare contro vecchi timori, contro i quali, tuttavia, prevalse.
«Dopo circa un mese dalla partenza mi resi conto di essere incinta» sussurrò lei, sentendo l'uomo irrigidirsi sotto le coperte. Ebbe l'impressione che avesse anche messo di respirare.
«Avete avuto un figlio?» domandò secco, con una voce che stentò a riconoscere lui stesso.
«Sette mesi dopo il mio arrivo in America. Ho avuto un maschio» ammise la donna, quasi a fatica, come se quella notizia che aveva da sempre considerato lieta ora non lo fosse più. «Io...» iniziò poi a dire, tentando di aggiungere qualcosa che spiegasse, o difendesse quanto appena rivelato.
«Sette mesi?» ripeté Viktor con tono incredulo «vuol dire che eravate già in stato interessante prima di partire...» valutò forse più con sé stesso che rivolto a lei.
Perso nei propri calcoli, il conte si riprese solamente quando sentì le dita della donna sfiorargli il viso con dolcezza, riportando l'attenzione su di essa con un'espressione confusa. «Non è del Sig. Collins!» constatò lui infine.
Non era una domanda, bensì affermazione, nonostante il dubbio rimase fino a quando non vide il capo della donna muoversi in un cenno di assenso.
«Non è di Benjamin. Thomas è tuo figlio, il tuo erede» spiegò, dolce, perdendo l'uso formale del voi. «Lui è uguale a te: ha i tuoi occhi, le tue espressioni, il tuo carattere. Te ne renderesti conto tu stesso.»

Viktor rimase a guardarla con un'espressione tra l'incredulo e lo sconvolto. Mai avrebbe pensato che ci potesse essere altro al mondo che potesse scuoterlo allo stesso modo. Aveva soppesato l'idea che in quegli otto anni Elaine avesse potuto avere dei figli, ma il sospetto che uno di essi potesse essere suo non lo aveva minimamente sfiorato. Quella possibilità non l'aveva affatto presa in considerazione.
Tra le miti carezze di Elaine, che lo guardava tra timore e speranza e senza decifrare la sua espressione, rimase immobile, come se non se ne capacitasse, poi si mise a sedere, distogliendo l'attenzione dalla donna, osservando un punto indistinto della stanza, ragionando.
«Mi state dicendo che avete generato mio figlio, il mio legittimo erede,» valutò riflettendo «e in tutto questo tempo non avete pensato fosse il caso di tornare indietro?» domandò, tornando a guardarla e sentendola irrigidirsi sotto le coperte. «Lui lo sa? Sa che sono suo padre?»
«Viktor...» sussurrò lei sistemandosi di fronte a lui, sospirando. «No, non lo sa. Lui...»
«Che cosa gli avete raccontato?» l'anticipò «Capisco il vostro sconforto per ciò che avete visto quella notte, posso capirne il dolore e comprendo che quell'uomo possa avervi fatto credere di potervi dare una vita migliore di quella che vi avrei dato io. Ma mio figlio... con che menzogne è stato cresciuto?»

Elaine tergiversò, sentendo brividi di freddo e timore scivolarle lungo la pelle e il cuore tornare a battere furiosamente per l'angoscia. Comprese subito che la verità non gli sarebbe piaciuta affatto.
«Lui non sa di voi, non sa neppure di essere un Lancashire» spiegò con un filo di voce. «Ben lo ha cresciuto come se fosse suo.»
L'espressione del conte si fece torva, più di quanto già non fosse. Si spostò dalla donna, alzandosi dal letto e iniziando a rassettarsi i vestiti che ancora aveva indosso. «Quindi il Signor Collins, oltre a omettere la verità con voi, ha cresciuto mio figlio come un bastardo!» valutò con un tono tutt'altro che pacifico, capace di far accapponare la pelle alla donna.
«Benjamin ci ha protetti, entrambi» sottolineò lei, rialzandosi per andargli incontro, sempre con la coperta stretta a sé. «Non fargli del male...»
«Quell'uomo vi ha rapita, vi ha fatto credere per otto anni a una menzogna! Ha preso mia moglie e mio figlio per costruirsi la sua famiglia!» replicò inferocito tornando a guardarla. «Mi dispiace, ma non posso tollerarlo!»

«Che cosa volete fargli?» domandò afferrandolo per un braccio, spaventata, mentre lui recuperava il suo bastone prima di voltarsi verso di lei «Vi prego...Viktor!»
«Non lo ucciderò, anche se è ciò che...» iniziò a dirle, prima di venire interrotto dagli spasmi e i colpi di tosse della moglie, profondi e pesanti quanto quelli percepiti nel corridoio.
La contessa si aggrappò al braccio del nobile, piegata a tre quarti, poggiata al marito e completamente presa alla provvista da quell'attacco, tanto quanto lui. La mano destra era andata rapida a coprirle la bocca per riflesso, inzaccherandosi di liquido vermiglio ancora una volta.
«Elaine?» domandò con allarme Viktor, passandole il braccio attorno alla vita per sostenerla, senza notare fin da subito la mano macchiata, benché alla sua mente pungolasse il timore di qualcosa di grave.
La donna chiuse la mano a pugno, pulendosi le labbra e tenendo il capo chinato. «C'è un'altra cosa cui è meglio che vi metta al corrente, a voi sarebbe inutile nasconderla>> mormorò alzando lo sguardo di nuovo verso di lui. «Dopotutto vi accorgereste immediatamente di una malattia contro la quale avete già combattuto in passato.»

Il rintocco dell'orologio a pendolo del corridoio segnò le quattro e tre quarti della notte quando Viktor uscì dalla sua stanza, pallido e stanco come non lo era da giorni.
Aveva portato la contessa nella propria camera, più calda di quella della moglie, abbaiando inferocito ordini a due domestiche che aveva fatto appositamente svegliare per occuparsi di Elaine e farle preparare quanto elencato.
Non aveva preferito più verbo, smettendo di rispondere alle richieste e domande angosciate della donna. Gli era bastato vedere il sangue sulle sue mani per rendersi conto della verità, per poi accorgersi del suo pallore, la magrezza accentuata, gli occhi lucidi, le guance e le labbra innaturalmente imporporate; dettagli che, assieme alla scarsa luce della residenza e l'eccitazione per il loro ricongiungimento, avevano celato i sintomi di un morbo mortale.
Affranto, irato e furioso iniziò a scendere le scale che portavano nel piano terra della magione, avanzando piano per via del suo passo infermo, maledicendo la propria gamba ferita che non dava tregua e sembrava procurargli ancora più dolore, stringendo per frustrazione il bastone dal pomolo in avorio al quale si appoggiava.

Gli sembrava tutto assurdo, ingiusto. Aveva appena ritrovato Elaine, la donna che amava, e aveva persino scoperto di avere un figlio!
Poi quei colpi di tosse avevano rovinato tutto.
Raggiunse l'ala dei domestici, avvolta nella fioca luce di qualche candela di sego, decisamente più fredda e spoglia rispetto ai piani riservati ai padroni e ospiti d'eccellenza.
Dovette attraversare l'intero corridoio, sentendosi più fiacco del solito benché la rabbia salisse a ogni passo, facendogli ribollire il sangue, incedendo deciso verso una delle porte di cui stavano di guardia Cody e Seamus.
Il primo ad accorgersi di lui fu proprio il suo fedele maggiordomo, che nel notarlo tirò un calcetto all'altro, semi addormentato e seduto sulla sedia accanto alla porta.
«Cody, ho da chiedervi un grande favore» andò subito al punto Viktor, fermandosi di fronte ai due. Prese dalla tasca una lettera, porgendogliela al ragazzo. «So che sarete stanco, questa notte lo siamo tutti, ma questa faccenda...» iniziò per poi fermarsi, tergiversando un attimo sotto lo sguardo assonnato e confuso del valletto. «...questa faccenda è della massima importanza. Forse più della ricerca di Elaine perpetuata per tutti questi anni.»
«Cosa dovrei fare, Signore?» domandò Cody, piuttosto perplesso e facendosi d'improvviso molto più attento.
«Dovete partire subito per l'America; vi recerete in Tenesse. I dettagli li troverete sulla lettera. Cercherete un ragazzino di sette, otto anni circa. Il suo nome è Thomas, probabilmente risponde al nome di Thomas Collins» spiegò, osservando serissimo l'interdetto maggiordomo. «Dovete portarlo qui al più presto!»
«Thomas... Thomas Collins?» ripeté l'interlocutore faticando a capire. «Volete che parta ora? A quest'ora?»

Viktor chiuse gli occhi, per poi sospirare e tornare a guardarlo. «Non c'è nessun'altro a cui posso chiedere di adempiere a questa faccenda, Cody. Siete l'unico di cui mi fidi. Andate a prendere questo ragazzino e portatemelo. Non perdete tempo, per favore.»
Il maggiordomo annuì, alzandosi in piedi e iniziando a riassettarsi, benché l'espressione tradisse ancora perplessità. Tuttavia gli parve piuttosto chiaro che il proprio signore fosse turbato, o forse addirittura sconvolto. Persino il tono di voce del conte gli era parso piatto, distante e incerto, abituato invece alla sua fermezza e autorità.
«Ho già detto di svegliare il cocchiere. Vi porterà a Preston. Prendete quello che vi serve e che pensate sia necessario» aggiunse il nobile, passandogli accanto e guardando Seamus. «Come sta il nostro ospite?»
«Il Signor Collins sembra piuttosto alterato» rispose Cody anticipando lo stalliere della magione, preparandosi a lasciarli da soli. «Dubito stia dormendo, se avete intenzione di parlarci» lo avvisò, prima di fare un cenno con il capo in segno di commiato, per poi allontanarsi come richiesto.
Viktor lo seguì con lo sguardo, senza dire nulla, limitandosi poi a fare un cenno a Seamus per farsi aprire la porta.

L'uomo lo osservò, chiaramente impacciato. Era la prima volta che gli veniva chiesto di fare qualcosa che andasse oltre l'occuparsi dei cavalli e in ben poche occasioni aveva avuto a che fare direttamente con il padrone per cui lavorava, prendendo direttive da Cody in sua vece.
Era stato tirato giù dal letto senza remore da un altro domestico e fatto vestire in tutta fretta, mentre gli veniva illustrato che il conte quella notte avrebbe avuto bisogno di lui. Dopotutto era uno degli uomini più giovani e in forze di tutta la tenuta e nel momento in cui aveva visto l'americano aveva compreso rapidamente il motivo di quella chiamata.
Aprì la porta come richiesto dal suo Signore, entrando prima di lui e mettendosi a lato dell'ingresso, all'interno della stanza, pronto a intervenire se necessario.

Ben era già in piedi quando i due uomini varcarono la soglia della camera e appena vide Viktor entrare serrò i pugni. Sembrava quasi fosse pronto per balzargli addosso, ma il nobile non sembrò badarci affatto, mostrando in risposta a quella minaccia ferina un'espressione di gelido distacco.
«Suppongo non abbiate trovato di vostro gusto la sistemazione in cui vi abbiamo alloggiato, Signor Collins» osservò sarcastico, ma senza mutare espressione e mantenendo la rigida postura.
«La vostra ironia e fuori luogo!» sentenziò Ben, fremente dalla rabbia.
«Discutibile» replicò con un'alzata di spalle Viktor. «Come che sia, non ho nessuna intensione di perdere tempo con voi. Sembra che la situazione attuale si sia evoluta in maniera piuttosto complicata quanto inaspettata» valutò, spostando il peso dalla gamba sana al proprio bastone da passeggio.
Benjamin lo fissò confuso, senza capire, per poi assottigliare lo sguardo, sospettoso «Come sta Elaine?»
A quella domanda il conte accennò un sorriso tirato, tra lo scherno e l'irritato. «Strano come a questa domanda sarebbe più opportuno ricevere da voi una risposta, tuttavia non dovrei restarne troppo sorpreso; non siete di certo particolarmente attento alla salute di chi vi sta vicino.»
«Ma di cosa state parlando?» sbottò l'americano sempre più insofferente, mentre il conte in risposta scuoteva il capo, chinandolo appena.

«Inutile, ormai tutto questo non vi riguarda più» chiarì, tornando a guardarlo. «Alle prime luci dell'alba ve ne andrete da qui! Ve ne tornerete dal buco da dove siete uscito e mai vi riavvicinerete a Elaine... o a mio figlio!»
Benjamin si irrigidì all'istante a quelle parole, sentendosi gelare il sangue. Fremette, sentendo il respiro farsi più pesante e la voglia di prendere a pugni l'uomo che aveva di fronte farsi insopportabile.
Fu palese persino a Seamus che li osservava a braccia incrociate, il quale non appena si rese conto della tensione ormai papabile si staccò dalla parete, sciogliendo le braccia lungo i fianchi, quasi percepisse che quella sottile linea che stava mantenendo tutti composti si sarebbe presto spezzata.
«Vostro... figlio...» iniziò a farfugliare Ben, a fatica.
«Elaine mi ha detto tutto. So che lo avete cresciuto voi. Oltre a mentire alla mia donna per averla avete persino raggirato mio figlio!»
«Gli ho dato un padre che voi non sareste mai stato!»
«Non ne avevate nessun diritto!»
«Di chi è la colpa di tutto quanto?» domandò l'americano avanzando di un passo verso il conte. «Ho cresciuto vostro figlio come se fosse mio e lo rifarei di nuovo! Ucciderei per lui, piuttosto che lasciarlo in mano vostra che probabilmente non sapete come poterci parlare. Forse neppure avete mai avuto a che fare con dei ragazzini, figuriamoci con dei bambini!»
«Voi...» sibilò Viktor iniziando a cedere alla rabbia, stringendo le mani sul pomolo del bastone.
«A voi non frega un cazzo di Thomas. Non frega un cazzo di Elaine! Siete solo un nobile viziato abituato ad avere tutto! L'ossessione che avete per vostra moglie è solo destinata ad appassire perché di essa si tratta. Ora che l'avete di nuovo con voi tornerete a disinteressarvene...» accusò con decisione, senza lasciarli tregua né tempo per replicare. «...Di vostro figlio invece? Cosa farete? Non conoscete i suoi bisogni, non sapete neppure come rivolgervi a lui. Non siete stato in grado di capire vostra moglie, figuriamoci un bambino! Lo darete in mano a un'istitutrice che se ne prenderà cura, non è vero? Non ci passerete mai del tempo assieme! Diverrà anche lui solamente una proprietà, chiunque per voi non è altro che questo!»
Viktor rimase in silenzio per tutto lo sproloquio, fumante di rabbia, per poi voltarsi intenzionato ad andarsene. «Ve lo ripeto, sparite dalla nostra vita o vi farò impiccare!» lo avvisò, senza accettare la provocazione dell'americano che digrignò i denti.

«Nessuna supplica di Elaine vi salverà se doveste farvi vivo di nuovo!» aggiunse alla porta, voltandosi a guardarlo. «La vita della contessa non vi riguarda più, tantomeno quella di mio figlio. Farò in modo che ogni cosa che voi gli abbiate insegnato sparisca e che non abbia più nessun ricordo che vi riguardi, con le buone o con le cattive! Addio, Signor Collins.»
Viktor si voltò, percependo il respiro irregolare dell'uomo alle sue spalle, conscio di un eventuale tempestivo intervento se ce ne fosse stato bisogno, ma non fu lo stalliere a fermare l'americano.
I successivi colpi di tosse di Benjamin fecero voltare nuovamente colui che in passato fu medico e che non tardò a capire che anche quell'uomo era stato vittima di quel male che affliggeva anche la moglie.
Rimase immobile, pazientando che i colpi di tosse terminassero una volta per tutte, attendendo che Benjamin tornasse a guardarlo, mostrando a quello sguardo di rabbia un mesto sorriso di fredda soddisfazione.
«Non so come giochi il destino, Signor Collins, ma guardandovi trovo tutto questo assai bizzarro.»
«Cosa diavolo farneticate?!» ringhiò di rimando l'americano.
«Sono solo sorpreso. Elaine e malata e ho il sospetto che lo siate anche voi allo stesso modo» spiegò gelido, per poi tornare a voltarsi per uscire. «Mi auguro che questo male vi uccida in fretta! Addio, Signor Collin.»
«Aspettate!» lo richiamò la voce non più aggressiva dell'uomo alle sue spalle, tanto da convincere Viktor a fermarsi e voltarsi a guardarlo, trovandosi di fronte a un'espressione angosciata. «Quale malattia? Di che parlate? Cosa ha Elaine?» domandò in apprensione.
«La contessa ha la Tisi, o Consunzione. È...» iniziò a dire, perdendo mordente nel proprio tono, come se illustrare la salute di Elaine gli fosse difficile «lei è in uno stadio avanzato... della malattia» spiegò con intensità via via meno decisa. «Era latente, con molta probabilità. Il viaggio che le avete fatto fare deve averle permesso di espandersi rapidamente.»

Benjamin scosse la testa, osservandolo incredulo. «State mentendo, non è possibile!»
Il conte sospirò, stanco, alzando poi il capo con irritazione nella direzione dell'uomo. «Elaine deve aver avuto spesso la tosse, febbre confondibile con stanchezza o una salute delicata; faticava a dormire e durante la notte anche con climi temperati sudava. Me lo potete confermare?» domandò seccato e allo stesso tempo con una certa ironia. «Certo, sarebbe sciocco da parte mia pensare che possiate esservi accorto di qualcosa.»
«Non mi ha mai detto nulla» si difese Ben, scuotendo il capo. «La tisi è mortale, lo so benissimo. Che vuol dire che è in uno stato avanzato? Voi...»
«Basta, Signor Collins. Non è più un vostro problema la salute di mia moglie. Fossi in voi penserei alla vostra. Pregate solo che non accada nulla a Elaine e che il destino invece risparmi voi, o verrò a prendervi di persona per farvi a pezzi!» sentenziò, voltandosi di nuovo, deciso a lasciare la stanza una volta per tutte, ma arrivò solo alla soglia prima che Benjamin replicasse.

«Allora affrontatemi in duello!»
Viktor si fermò per l'ennesima volta, per poi voltarsi a guardarlo accigliato. «Come dite?»
«Se come dite voi la mia ora è segnata. Preferisco rischiare di perdere la vita e dare la possibilità a Elaine e Thomas di vivere liberi, senza di voi, piuttosto che lasciarli nelle vostre mani!»
«Vi rendete conto, vero, che sono l'unica possibilità di sopravvivenza per Elaine?» sottolineò il conte, tornando a voltarsi del tutto verso di lui. «Ho studiato per quasi tutta la vita questa malattia!»
L'espressione di Ben si fece rabbiosa, distogliendo poi lo sguardo frustrato, stringendo i pugni.
«Siete offuscato dalla rabbia e dalla consapevolezza che non possiate fare più nulla, Signor Collins» constatò Viktor. «Siete tanto disperato da propormi un duello e mettere a repentaglio la vita della donna che amate. Se anche dovessi morire non avreste Elaine, né tantomeno Thomas; inoltre siete un semplice volgare popolano e non potete chiedere di sfidare a duello qualcuno del mio rango. Quelli come voi non hanno onore da difendere!»
Benjamin ringhio, farfugliando qualcosa sottovoce, insulti e ingiurie ridotte ormai a un sibilo.

«Tuttavia,» continuò Viktor avvicinandosi a lui, affilando un sogghigno provocatorio «Ho deciso di raccogliere la vostra sfida!»

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