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4. Lo specchio dell'anima

Giorno 2

La serata bingo con gli ospiti era stata piacevole, ma Logan cominciava davvero ad accusare la stanchezza accumulata durante la giornata.

Per molto tempo si era ritrovato da solo, badando a sé stesso come meglio riusciva e mal sopportava la presenza di troppe persone. Ma quello era pur sempre lavoro e aveva messo da parte i propri fastidi e, secondo il suo personale metro di giudizio, se l'era cavata piuttosto bene.

Tuttavia, nonostante la stanchezza, non aveva davvero voglia di andare a dormire.

Un po' per l'adrenalina che gli scorreva ancora in corpo e un po' perché vecchi incubi erano tornati a tormentarlo e si sì era svegliato in un bagno di sudore.

Rimise a posto le sedie e i tavoli nella sala da pranzo, lisciando con cura le pieghe sulle tovaglie, raccogliendo cartacce da terra e facendo un po' di ordine dopo la confusione provocata da quel gioco improvvisato.

Alla fine, si accasciò, esausto, su una sedia. La risata di Ester proveniente dall'atrio lo mise stranamente di buonumore.
La voce allegra di Nathaniel lo fece sobbalzare: «Ho visto la luce accesa, tutto ok?».

«S-si, ho appena finito. Che ore sono?».

«L'una meno venti.». Logan sospirò pesantemente e chiuse gli occhi, strofinandoseli con i palmi.

«Sei stanco?».

«Indolenzito. Non mi sono ancora ripreso dall'altro giorno...ma non ho sonno, ecco.».

Ci fu un breve momento di silenzio: «Non ricordo...tu fumi, Logan?».

Il moro rilasciò un mugugno, prima di coprire uno sbadiglio con la mano.

«Perfetto allora! Ti andrebbe di farmi compagnia? L'ultima sigaretta della giornata...». Aprì gli occhi e vide Nathaniel che gli stava già porgendo il pacchetto.

In quel momento arrivò anche Ester: «Oh! Logan! Non credevo fossi ancora in piedi...», e lui le sorrise, alzandosi e spegnendo la luce della sala.
«Ho appena finito. – poi si rivolse a Nathaniel – Va bene, esco con te...».

Il biondino si rivolse ad Ester, rassicurandola che sarebbe rientrato subito elei fece la buonanotte ad entrambi, prima di dileguarsi verso i piani superiori.

Una volta all'esterno si accesero le sigarette, ritrovandosi a commentare positivamente la serata.

«Ah! E quella della camera sette? L'hai vista? Cazzo...mettersi una fantasia di quel tipo a quell'età è un vero azzardo!», si lasciò sfuggire Nathaniel, assieme all'ennesimo sbuffo di fumo, strappando una leggera risata a Logan.

Il biondo voltò la testa, osservando il ragazzo che aveva di fianco che se la rideva sommessamente.
Era di poco più basso di lui e, a dirla tutta, quella risata genuina gli donava.

Tornò ad osservare il giardino, immerso nell'oscurità della notte: «È strano sentirti ridere.».

Logan pensò di avere una risata strana, troppo di gola o troppo aspirata, e si bloccò di colpo, schiarendosi la voce e scusandosi, la sigaretta subito stretta tra le labbra ad alleviare il fastidio di essersi lasciato andare.

Nathaniel lo osservò di nuovo, di sottecchi: «Guarda che ho solo detto che è strano sentirti ridere...non volevo offenderti. È bello sentir ridere le persone, soprattutto quando lo fanno spontaneamente.».

Logan prese l'ultima, lunga boccata di fumo e la trattenne nel palato, sulla lingua, prima di inspirare profondamente ed espirare nient'altro che il proprio fiato.

«Una volta.». Disse solo questo, a mezza voce, osservando il giardino come se lo vedesse per la prima volta, senza guardarlo realmente.

«Come?».

La voce uscì in automatico dalla sua gola, mentre lanciava il mozzicone sul ghiaino: «Una volta. Una volta ridevo di più.».

Nathaniel abbozzò un sorriso con la sigaretta tra le labbra: «Da piccoli ridiamo tutti di più. È la bellezza dell'incoscienza.».

«E dell'innocenza...», fece il moro, con una nota amara nella voce che insospettì Nathaniel, mentre gettava anch'egli il mozzicone sul ghiaino.

«Beh, dovresti ridere di più Logan. Se la fai spontanea, hai una bella risata. E ti rende più umano agli occhi della gente...».

«Umano...».

«...e più carino. Le vecchie signore adorano i ragazzi carini che sorridono!».

Logan s'irrigidì e voltò la testa verso il biondo, che lo stava osservando da quando aveva gettato la sigaretta.

Quell'affermazione gli aveva smosso qualcosa dentro. Qualcosa che dallo stomaco era risalito fino alla testa e, adesso, si sentiva le guance ribollire e uno strano sentimento di nostalgia gli aveva stretto il cuore con profondi artigli.

«Le vecchie o tu?», gli uscì di getto.

Il biondo batté più volte le palpebre: «Eh?».

«Le vecchie adorano i ragazzi carini che sorridono? O sei tu che li adori?».

Nathaniel scoppiò in una bella risata liberatoria, frenata all'inizio da labbra serrate e una mano sulla bocca, ma non riuscì a trattenersi.

Logan era confuso e la sua espressione corrucciata era ancora più esilarante della sua domanda tendenziosa: «Ti stavo deliberatamente perculando, Logan!», fece il biondo, cercando di riprendere fiato, facendosi aria sul volto con una mano, per cercare di ricacciare indietro un paio di lacrime ribelli. «E smettila di fare quella faccia!».

Nathaniel sembrava inebriato dal suo stesso ridere e Logan sempre più confuso.

«Quindi non...».

«Qualsiasi cosa tu possa pensare, credimi che ti sbagli. – si passò una mano tra i capelli, facendo respiri profondi – So di avere un modo di fare un po'... ambiguo! Non volevo metterti in imbarazzo...».

«N-no! Nessun imbarazzo. L'hai detto tu...Ambiguo, no?», e cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni, osservandosi le punte delle scarpe.

«Deluso? – il tono era di nuovo ammiccante e scherzoso – Speravi altro?».

«Cos-NO! Cazzo, no!».

Nathaniel ridacchiò di nuovo e portò una mano al petto: «Così mi offendi, però!».

Stavolta Logan capì lo scherzo e tentò di dargli un leggero calcio, che il biondo prontamente schivò.

«No, Logan. Mi dispiace deluderti, ma preferisco decisamente le donne! Tu sei anche piuttosto carino, ma non sei il mio tipo!». Rise e Logan si ritrovò a sospirare di sollievo.

«Meno male! – ma qualcosa dentro di lui risuonò a vuoto - Ester?».

«A quanto pare...», e lo vide sorridere di nuovo, mentre si accendeva un'altra sigaretta. Stavolta era un sorriso pieno, che gli allungava le labbra sottili e gli alzava gli zigomi, arrivando a fargli quasi brillare quegli occhi ambrati.

«Ci sono arrivato un po' tardi, scusa per la gaffe...».

«L'importante è arrivarci, no? –gli diede una pacca sulla spalla – A me basta sapere che mi trovi almeno carino!».

«Sì se-Ehi!», ma il biondo gli aveva già fatto un occhiolino, tornando a fumare.

«Stavo scherzando! – fece una pausa – Imparerai a conoscermi, Logan. E imparerai che amo scherzare spesso con le persone.».

Logan si accovacciò, principalmente per trovare un sollievo all'indolenzimento delle sue povere gambe e, in secondo luogo, per sfuggire allo sguardo indagatore di Nathaniel, che gli si era affiancato ancora di più: «In ogni caso tu hai fatto un buon lavoro oggi. Ti devo confessare che ero partito un po' prevenuto.».

«Non mi sembrava. Anzi, eri il più convinto.».

«Sono molto bravo a dissimulare. Imparerai anche questo. – un'altra lunga pausa in cui sembrava che Nathaniel avesse fretta di terminare la sigaretta - Sono contento che tu abbia deciso di lavorare qui.».

Logan strinse le labbra e si grattò la testa, indeciso su come rispondere: «Mi hai soccorso. Non ho altro per ripagarti se non mettermi al tuo servizio. Non avevo proprio molta scelta...».

«Ce l'avevi. Potevi dirmi di no, mandarmi a fanculo dopo una doccia e un pasto caldo. Sei rimasto per senso del dovere. O per riconoscenza. Non lo voglio sapere: sono le tue motivazioni e a me non interessano. Ma ho visto in te una brava persona e ho voluto rischiare.».

«Allora...ti ringrazio della fiducia che stai riponendo in me. – fece Logan, rialzandosi e dirigendosi verso la porta – Farò del mio meglio perché tu non abbia a pentirtene.».

Nathaniel soffocò una risatina: «Parli come mia nonna! Ma da dove cazzo sbuchi...», sbuffò e Logan s'irrigidì di nuovo, non per fastidio o per altro, perché quell'affermazione scherzosa era legittima.

«Scusa... - ridacchiò a sua volta – Buone maniere inculcate a forza...», esalò, già con la mano sulla maniglia.

Si sentì avvolgere le spalle dal braccio pesante di Nathaniel, come se fosse un vecchio amico in cerca di una confidenza.

«Mi piaci, Logan! – il tono di voce era basso, di nuovo serio, come la sua espressione –Il mio sesto senso di solito non sbaglia, ma credo di avertelo già detto...mi fido del mio istinto e voglio fidarmi anche di te.».

Logan deglutì: «E io vedrò di non deluderti.».

A quelle parole Nathaniel lasciò la presa sulle sue spalle e lo precedette all'interno.

Mentre Logan si portava dietro il bancone della reception per recuperare un paio di fogli dalla stampante ed una penna, Nathaniel si bloccò a metà della scalinata e lo richiamò: «Ti chiedo solo un favore: tieni per te la storia di Ester. Intesi?».

Il tono di Logan fu solenne prima di accomiatarsi: «Il tuo segreto è al sicuro con me.».

Mentre stava per scendere verso la sua stanza, Logan sentì sbattere una portiera all'esterno e delle voci femminili che discutevano, avvicinandosi all'ingresso. Si addossò al muro istintivamente, trattenendo quasi il respiro, gli occhi fissi sulla hall e i fogli stropicciati dietro la schiena.

Due figure femminili fecero il loro ingresso nella locanda, il tono di voce troppo alto per l'orario notturno.
«La prossima volta guidi tu! Sono stufa di riportarti in questi stati!».

Una delle due ragazze sorreggeva l'altra, ma era difficile, da quella distanza, definire davvero quale delle due avesse bevuto di più.

«Ma chi ti ha chiesto niente! Lasciami e vai...Vai... Non rompermi le palle!».

Quella voce gli risultava familiare, ma la sua memoria stentava a ricollegarla a qualcosa, lasciandolo frustrato.

«Ma vaffanculo, Rachel! Fatti portare a casa da Ellie la prossima volta! Stronza ingrata...».

Rachel. La sorella di Ester.

Il moro tornò a respirare con regolarità, sporgendosi di poco dal muro per osservare meglio la scena.
Non si erano accorte di lui.

«Ma vaffanculo, stronza a te!», fece la rossa, scostandosi bruscamente, barcollante, lanciando addosso all'amica qualcosa che si era tolta di dosso con foga. Una sciarpa, forse.

L'amica non dovette neppure schivare l'oggetto, ma fece un paio di passi indietro lo stesso, per poi afferrarla per le spalle e piazzarla seduta con poca grazia sul divanetto della hall, imprecando mentre usciva dalla locanda, i tacchi che battevano furiosamente sul marmo chiaro dell'atrio.

Logan vide la rossa prendersi la testa tra le mani e decise di fare qualcosa: appoggiò malamente i fogli stropicciati sul bancone del bar e riempì un bicchiere con acqua.
Si avvicinò cautamente, sfiorandole col vetro fresco il dorso della mano. La ragazza alzò il volto dai propri palmi e lo guardò con occhi liquidi.

Logan rimase incantato a fissarla, perché in vita sua non aveva mai visto degli occhi di quel colore: azzurro scuro, grigio ed una spruzzata di verde vicino alla pupilla. Talmente particolari che sembrava di guardare un intero pianeta in miniatura.

Aveva appurato, negli anni, di avere una certa fissazione per gli occhi.

Non credeva a quella cagata che fossero "lo specchio dell'anima". Nossignore.

Semplicemente, come la gente guardava le mani di chi si approcciava, o aveva un certo feticismo per i piedi, a Logan... A Logan piacevano gli occhi.

A volte risultava inquietante, e sapeva di esserlo, perché li fissava nel proprio interlocutore, come se volesse scavargli nei pensieri, quando invece ne osservava ogni sfumatura, ogni ombra, ogni macchia.

Era una cosa che gli era rimasta da ragazzino, che aveva perduto poi per qualche anno, dopo che...

Gli piacevano quelli dalle sfumature particolari, come quelli di Nathaniel, color ambra, con un riflesso rossastro molto raro da trovare. Così raro che forse a mondo esistevano solo due persone con degli occhi così.

In base a come la ragazza muoveva impercettibilmente la testa, le iridi sembravano anche lucide di pianto e parevano avere quasi delle pagliuzze argentate che le rendevano estremamente luminose e viv-

«Che cazzo vuoi?».

La sua voce bassa e impastata lo riportò alla realtà.

«V-va tutto bene...Rachel?».

Quella sbuffò, agguantando il bicchiere e portandolo alle labbra: «NO! - e bevve --Sei sempre tra i piedi, cazzo...». Logan s'indicò il petto con un dito, sorpreso così tanto da aggrottare le sopracciglia in un'espressione quasi buffa agli occhi della ragazza.

«In mezzo alla strada...- Logan trasalì di nuovo - In mezzo alle porte... In questa locanda... Ma che cazzo vuoi da me?», sbottò, sbattendogli il bicchiere contro la pancia, con crescente fastidio

«Quindi eri tu? Eri tu in macchina?».

«Sì. Sono io "la pazza" che ha cercato di investire un coglione che vuole mu-muorire!» e bloccò un singulto con la mano.

Anche se sentiva salire un fastidio dalla pancia alla testa, il ragazzo cercò di restare il più calmo possibile: voleva aiutarla e lei di certo non gli stava rendendo il compito semplice.

«Non volevo morire. Mi sono sbilanciato...e tu andavi troppo forte.».

«Ma vaffanculo!», sbraitò lei, tentando di togliersi goffamente il cappotto.

Aveva un buon profumo, fresco, che gli era arrivato alle narici appena aveva aperto i primi tre bottoni del soprabito. E quegli occhi arrabbiati...

Si allontanò. Era la cosa migliore da fare per non scoppiare. «Se la metti così...».

«Ecco, bravo, vattene!», e parve quasi scacciarlo con un gesto rabbioso della mano, prima di alzarsi, il cappotto slacciato e lasciato aperto sul vestito blu scuro Lei fece un paio di passi e cadde sulle ginocchia, imprecando. Si tolse i tacchi, cercando di rialzarsi. Lui si voltò a guardarla: aveva il passo pesante e barcollava anche se era a piedi scalzi.

Di colpo la rabbia e il fastidio scemarono così come s'erano palesati, lasciando spazio ad uno strano moto di pietà.

Pietà.

No, non era pietà, perché quella per lui era tanto estranea da essere quasi sconosciuta. Era più una partecipazione accorata a quel disagio che la ragazza mostrava, uno slancio di compassione, ecco. Roteò gli occhi e la attese dalle scale, tendendole una mano.

«Che cazzo vuoi ancora?».

«Aiutarti, anche se sei così stronza che non te lo meriteresti.».

Lei gli schiaffeggiò la mano tesa, allontanandola. «Non ho bisogno del tuo aiuto!».

Lui fece un gesto plateale con la mano destra, indicando le scale, per poi incrociare le braccia al petto. «Prego! – il suo era un tono di sfida – Fammi vedere come te la cavi da sola.».

Lei si aggrappò al corrimano, cercando di salire i gradini, ma la cosa le risultava più difficile del previsto.

Si fermò sul quinto gradino, dopo qualche sforzo. Le vide abbassare le spalle ed allungare il braccio destro dietro di lei, chiamandolo con un gesto della mano. Logan sorrise vittorioso, avvicinandosi e mettendole il braccio attorno alle proprie spalle.

«Non ti fa più schifo il mio aiuto allora...». Le cinse la vita e la sollevò leggermente, permettendole di fare i gradini con una certa facilità. Sapeva di tabacco, una fresca nota di agrumi e alcol. Forse era lei che aveva intravisto la prima sera, quando era arrivato lì.

«Taci.», sibilò.

«Dimmi dove ti devo portare.».

«Secondo piano, ultima stanza a destra.».

Lui la accompagnò davanti alla porta della sua stanza, rimettendola a terra senza fare ulteriori commenti.

«Notte.», lo salutò lei seccamente.

Lui rimase in silenzio finché lei non si chiuse la porta alle spalle con inaspettata calma.

Scendendo le tre rampe di scale che lo separavano dal letto, sentiva addosso ancora quell'alone di fastidio che sembrava volerlo tormentare, assieme a un confronto tra le due ragazze, Rache ed Ester, così diverse nell'aspetto e nei modi, da non sembrare affatto sorelle.

Si ritrovò a confrontarne la corporatura, la camminata, i lineamenti, l'accenno di carattere che aveva potuto sperimentare anche sotto il getto caldo della doccia.

Uscì dal bagno e s'infilò a letto senza un verdetto: pur essendo un ottimo osservatore, in loro non vedeva un briciolo di somiglianza.

Il cuscino era morbido e fresco e ancora stentava a credere di essere in quel posto, sotto a delle coperte calde, un tetto sulla testa, qualcosa nello stomaco e, presto, qualche soldo in tasca.

Chiuse gli occhi, provando a dormire, ma da anni ormai faceva fatica a prendere sonno, a meno che non fosse devastato fisicamente o perfino troppo stanco per tenere gli occhi aperti. E quella sera non era né l'una né l'altra cosa.

Non era nemmeno un'abitudine, quella. Era solo una brutta eredità che faticava a sparire.

Il problema però, quella sera, non furono dolorosi ricordi o vecchi rimpianti: erano solo gli occhi di Rachel, spalancati e lucidi, che si ripresentavano nella sua mente ogni volta che cercava di chiudere i propri.

Si rigirò per un po', finendo per addormentarsi che si stava quasi facendo mattino.

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