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Capitolo 4 - il veleno

4.11.2007
Ore 08,30

La gente mi sfila accanto, con lo sguardo incollato al pavimento.
Mi riconoscono da lontano.
Mi riconoscono tutti.
Abbassano gli occhi.
Mi superano velocemente.
Poi trovano una qualche parvenza di coraggio e si lasciano scappare un'occhiata furtiva.
Ad osservare il mio mantello nero che ondeggia tra le piastrelle verde lucido di questo atrio immenso.
Alcuni bisbigliano.
Altri cercano di scappare il più lontano possibile da me, dalla storia che mi porto dietro e dai miei occhi di ghiaccio.
Fortunatamente, dopo la guerra, non ho smesso di generare un sordido terrore in chiunque.
Malgrado il ragazzino idiota che è andato a sbandierare ai quattro venti una storia che avevo sepolto nell'oblio per anni.
Tentando invano di farmi apparire come l'eroe romantico di cui ogni buona storia sente il bisogno.
Dimentico del fatto che un mostro continua ad essere un mostro.
E, soprattutto, che un assassino continua ad essere un assassino.
Anche se ha violentato un'anima marcia per tutta la vita.
Raggiungo l'ascensore sul fondo dell'atrio.
Avrei potuto smaterializzarmi direttamente al piano di sopra.
Ma mi piace godermi gli sguardi di finto disinteresse della gente.
Mi piace strisciare loro accanto, assaporando i loro occhi attoniti.
Intimo malamente al ragazzino terrorizzato di portarmi all'ultimo piano.
Sembra che nessuno debba andare nella mia stessa direzione.
Non me ne stupisco.
Passare i trenta secondi che ci dividono dall'ultimo piano in mia compagnia, in uno spazio di due metri per due, sembra troppo anche per i più temerari.
Solo questo ragazzo dall'acne appena scomparsa è involontariamente la vittima predestinata del tanto temuto viaggio verso la vetta.
Al cospetto della mia presenza gelata.
Il solito strattone mal assestato, il solito ronzio, e l'ascensore schizza verso l'ufficio dell'insopportabile so-tutto-io che mi attende nel suo regno di perfezione maniacale.
Mi ha mandato a chiamare ieri.
Sa Merlino il perché.
Ed io mi sono trascinato qui controvoglia.
Incazzato nero.
Come nero è d'altronde tutto ciò che mi circonda.
Le porte si aprono.
Il ragazzino brufoloso tira un sospiro di sollievo, vedendomi raggiungere il centro della grande segreteria che anticipa la porta del ministro.
Sa che da qui in poi non sarò più un problema suo.
Schiaccia velocemente i tasti colorati e sparisce alla mia vista.
Un'oca bionda avvampa per un attimo, vedendomi entrare.
Si alza dalla scrivania.
Si dirige verso di me con passo incerto, facendo ondeggiare le anche al ritmo dei suoi scadenti décolleté di pelle nera.

- "Benvenuto professor Piton!
Posso offrirle qualcosa da bere?
Il ministro Granger la riceverà tra qualche minuto."

Le rivolgo uno sguardo gelato.
La ignoro.
La supero.
Mi avvio verso la porta della mia ex studentessa saccente.

- "Professore, non può ancora entra..."

Non le lascio finire la frase.
Mi volto.
Sollevo un sopracciglio che sembra più che sufficiente a farle morire le parole nella gola.
Spalanco l'anta di legno sulla quale troneggiano le lettere dorate che formano, con impeccabile maestosità, il nome poco comune della Granger.

- "Kimberly, ti ho detto di non disturbarmi fino alle 9.
Di aprire questa dannata porta solo quando si fosse presentato Piton all'appuntamento."

Non solleva lo sguardo dalle carte.
Fuma svogliatamente una sigaretta mentre tiene stretta tra le mani una tazza di caffè fumante.

- "Non sono Kimberly.
E tengo a precisare che sei tu ad aver disturbato me, Granger!"

Lascio che la mia voce strascicata le colpisca la faccia come farebbe uno schiaffo.
Le sue enormi iridi marroni saettano a trafiggermi il volto, in uno stupore appena visibile sotto le lenti degli occhiali di corno che si ostina ad indossare, per provare a sembrare di qualche mese più vecchia di quello che è.

- "Professor Piton... la aspettavo per le 9!
È in anticipo!"

Alzo un sopracciglio con aria schifata.

- "Non ho alcuna intenzione di passare i prossimi venti minuti a condividere lo spazio con la segretaria imbecille che sei riuscita ad assumere.
Se vuoi parlarmi sono qui, altrimenti torno volentieri da dove sono venuto, Granger!"

- "Ministro Granger, professor Piton.
Sono il ministro Granger!"

Incrocio le braccia al petto.
Le lancio uno sguardo glaciale.

- "Mi hai chiamato per farti rassicurare sul tuo ruolo o devi chiedermi qualcosa di più importante di qualche conferma sulla tua autostima traballante, Granger?"

La vedo posare gli occhiali.
Abbandonare la schiena sulla poltrona.
Dare un lungo sorso al caffè.
Prima di farmi un frettoloso segno con la mano e di invitarmi a sedere su una delle due poltrone di pelle lucida, che ha messo in bella mostra davanti alla sua scrivania immensa.
Faccio due passi decisi.
Raggiungo la prima.
Mi ci siedo sopra.

- "Vuole del caffè, professor Piton?"

Me lo chiede con una voce risoluta.
Deve essersi allenata mesi per riuscire a trovare questo tono da finto comandante in capo.

- "Voglio solo che tu mi dica perché diavolo ho dovuto abbandonare la mia prima lezione del mattino per catapultarmi a Londra, in questo ufficio.
Non che ami cercare di inculcare qualcosa nelle menti inette di quattro ragazzini imbecilli, ma sicuramente amo ancora meno dover stare qui a chiacchierare di amenità con te, davanti ad una tazza di caffè imbevibile.
Quindi, se non ti dispiace, puoi dirmi in fretta di cosa avresti bisogno così che io possa mandarti al diavolo, altrettanto in fretta, e tornare a fare il mio lavoro?"

Lei socchiude la bocca.
Fa per dire qualcosa.
Poi ci ripensa.
Spegne la sigaretta lasciata a metà in un posacenere che già vanta almeno una decina di mozziconi nelle medesime condizioni.
Fruga in un cassetto per qualche istante.
Finalmente sembra trovare l'oggetto della sua ricerca.
Estrae una cartellina rossa.
Me la sbatte sul tavolo con noncuranza.

- "Legga..."

Le rivolgo uno sguardo disgustato per qualche istante.

- "Che cos'è?"

Sibilo mellifluo.

- "Se vorrà avere la decenza di fare quello che le sto chiedendo, riuscirà a scoprirlo anche da solo, professor Piton!"

Riappoggio le spalle sullo schienale della poltroncina scomoda su cui sono costretto a rimanere intrappolato.
La gelo ancora una volta con i miei occhi fatti di vetro.

- "Fammi capire, Granger.
Pensi che un paio di occhiali italiani, un tailleur da duecento galeoni e uno chignon in cui ti ostini a intrappolare i tuoi capelli crespi, ti diano il diritto di darmi un qualsiasi genere di ordine?"

Incrocia le braccia.
Mi rivolge un sorriso carico di disprezzo.

- "No, penso che sia il ruolo che ricopro a farlo, professor Piton."

Mi sporgo sulla sedia.
Socchiudo le palpebre.
La fisso dritta in quei suoi due enormi occhi marroni che sembrano essersi allenati a non lasciar trasparire alcuna paura.

- "Stammi bene a sentire ragazzina, perché te lo dirò una volta sola.
Tu hai il sedere appoggiato su quella sedia, solo perché io ho voluto che fosse così.
Credi davvero che le raccomandazioni di Minerva siano arrivate da sole?
Che io non abbia orchestrato fino all'ultimo dei tuoi colloqui, per farti arrivare dove sei adesso?
Se occupi quel posto è solo perché ho ritenuto che fossi meno idiota di altri.
Meno fastidiosa di altri.
Meno dannosa di altri.
Quindi prendi le tue quattro lettere di ottone appiccicate sulla porta e tornatene a casa...
Oppure dimmi cosa diavolo c'è che dovrei sapere in quel plico.
Possibilmente in tempi brevi così che io possa tornare nei miei sotterranei, a creare le mie pozioni e a mantenere i segreti che fanno di me l'uomo che tutto il mondo teme!"

Lei mi guarda con odio per un istante.
Sembra essere nel mezzo di una battaglia interiore tra l'orgoglio e la paura.

- "Veleno!"

Lo dice di colpo.
Poi mi osserva.
Sorride.

- "Immagino che lei abbia saputo di Bayswater?"

Maledetta ragazzina impertinente.
Ovviamente non ho saputo.
È qualcosa che deve avere nascosto, come fa con tutte le piccole emergenze che rischiano di gettare il mondo nel panico.

- "Granger, la mia pazienza sta per terminare, ti consiglio di espormi velocemente il problema."

Sorride soddisfatta.
Sa di avere appena portato a casa un punto difficile.
Mettere me con le spalle al muro non è facile, ma ci è quasi riuscita.
Poi vede i miei occhi.
Sono due fessure intrise di lampi pericolosi.
E si arrende.
Alla fine si arrendono tutti.

- "C'è stata una strage due giorni fa.
Nel parco londinese di Bayswater.
Dodici maghi e streghe sono morti senza una causa apparente.
Farwell dice che sono stati avvelenati."

- "Farwell è un cretino!"

Me lo lascio sfuggire dalle labbra serrate, nel tentativo ben riuscito di camuffare il mio stupore.

- "Sì, è per questo che ieri ho convocato in questo ufficio i sei anatomopatologi più illustri di Inghilterra.
Per smentire quella che pensavo fosse una sua nuova teoria strampalata."

Fa una pausa.
Mi guarda.

- "Concordano tutti con lui!
È stato un veleno.
Questa notte, due dei medici presenti qui ieri, hanno rifatto da capo l'autopsia.
Per fugare ogni dubbio.
E l'hanno fugato!"

Appoggio i gomiti sui braccioli della poltrona.
Lascio il mio mento ad abbandonarsi per un attimo sulle mani intrecciate.
Sogghigno.

- "Ma immagino che non abbiano idea di quale sia il veleno in questione...
Per questo sono qui, giusto Granger?"

Indugia nei miei occhi per un attimo.
Sorride amaramente.

- "Giusto, professor Piton!"

Lascio lo sguardo fisso nel suo.
Voglio vedere fino a che punto è in grado di sostenerlo.
Lei non accenna ad abbassare le palpebre, a far saettare le iridi lontane dalle mie.
Ha fegato.
È insopportabile.
Testarda.
Saccente e fastidiosa.
Ma ha fegato.
Allungo una mano con stizza verso la cartellina.
La apro di scatto.
Sfoglio velocemente la sequela di iniquità che adornano le prime pagine.
Raggiungo il referto dell'autopsia.
La parte in cui vengono catalogati gli elementi trovati nei cadaveri.
Li esamino rapidamente.
La mia mente lavora con la sua solita velocità fuori dal comune.
Tastando ogni possibile causa.
Ogni possibile combinazione.
Per trovare il veleno che possa essere stato prodotto con gli elementi che mi scorrono sotto gli occhi.
Arrivo alle ultime tre righe.
E il mio cuore perde un battito.
Sollevo lo sguardo e lo punto in quello della Granger, che sembra non aver mai abbandonato il mio viso.
Mi costringo ad un'espressione immobile.
Camuffando a stento l'incredulità.

- "Allora, professore?"

- "È un veleno, Granger!"

Mi lascio cadere ancora una volta sullo schienale.
Le trafiggo nuovamente con gli occhi il viso leggermente arrossato.

- "È un veleno che colpisce solo maghi e streghe... Un mio veleno... L'ho distillato io!"

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