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Capitolo 18 - un mangiamorte

11.11.2007
Ore 7,30

Cammino piano.
Mi aggiro in un parco ancora deserto.
In lontananza si sentono le risate di un bambino, ovattate dai vetri sottili della finestra.
Sento la sua vita, di una leggerezza sconosciuta, attraversare l'aria umida del mattino.
Una donna, avvolta in una pelliccia che ha visto tempi migliori, mi supera con un cane al guinzaglio, senza degnarmi di uno sguardo.
Il cappotto nero e un maglione babbano stanno facendo bene il loro lavoro.
Passo inosservato in mezzo ad una città che si sveglia.
Ignara del pericolo che incombe tra le sue mura antiche, ormai quasi ridotte ad un cumulo di sassi indistinto.
Raggiungo la torre di Re Carlo, situata all'estremo nord di questo piccolo parco spoglio del centro di Chester.
L'unico degno di nota in una cittadina di provincia.
L'unico in cui il signore oscuro possa aver pensato di colpire.
Un falco vola nel cielo.
Disegna cerchi invisibili sulle cime di alberi muti.
Osservo tutto con l'attenzione imparata negli anni.
Con la capacità di riconoscere il pericolo, prima che lui possa riconoscere me.
Mi avvicino ai mattoni medioevali dei muri.
Le crepe la fanno da padrone indiscusso, torturando con ragnatele inermi il rosso scarlatto della terra cotta antica di secoli.
Improvvisamente due ragazzini mi superano.
Hanno i vestiti troppo larghi, le felpe spesse a proteggerli da un freddo che si è fatto impietoso.
Mi osservano da lontano.
Parlano tra loro.
Continuo a fingermi interessato all'architettura decadente di un luogo che sembra essere stato dimenticato.
Mentre con gli occhi scruto ogni particolare, ogni impercettibile dissonanza, in un mondo di un'immobilità ancora lontana dal calore tenue del giorno.
Un rumore alle mie spalle mi fa intuire la loro presenza.
Si avvicinano.
Mi dirigo verso gli alberi.
Osservo le fronde con finto interesse.
Poi mi concentro sulle cortecce.
Gli occhi attenti ad intercettare qualsiasi movimento intorno.
I due ragazzi si spostano a ridosso del muretto.
Li osservo senza farmi vedere.
Sono sempre stato bravo in questo.
Uno cerca frettolosamente qualcosa nel cappotto.
Estrae una sigaretta arrotolata con poco garbo.
La accende.
Poi alza gli occhi.
Mi guarda.
Anche se di me riesce a vedere solo una cascata di capelli neri come la notte e il bavero di un cappotto di lana.
L'immagine nitida del suo volto mi bombarda le tempie.
Improvvisamente.
Io l'ho già visto.
Era nel parco di Bayswater.
Sul cancello.
La notte in cui mi sono intrufolato di nascosto per cercare di capire cosa diavolo fosse successo.
Allerto i miei sensi di spia fino allo spasmo.
Continuando a passeggiare con fare svogliato intorno a questo grande albero.
Sotto le sue fronde quasi nude.
Un altro rumore mi sorprende a poca distanza.
Chiudo gli occhi.
Un misto di rabbia e paura mi squarcia il petto.
Ti stavo aspettando.
Sapevo che saresti venuta, ragazzina.
Che non mi avresti lasciato uscire da quella stanza, se non avessi avuto la certezza di conoscere il mio piano.
Ma adesso sei in pericolo.
E io tremo.
Mi muovo di fretta.
Mi volto.
Ti rivolgo un sorriso carico di spensieratezza.
Ti corro incontro.
Ti prendo il viso tra le mani.
Ti bacio.

- "Sei arrivata finalmente!"

Lascio che la mia voce si diffonda nel mattino.
Che li raggiunga.
Tu mi osservi senza capire.
Spalanchi gli occhi un istante.
E mi guardi, incapace di riconoscermi.
Cerco di nascondere il tuo viso.
Quello che troneggia in tutta la sua bellezza di bambina su ogni copertina, di ogni quotidiano magico d'Inghilterra.
Ti accarezzo la guancia.
Avvicino le labbra al tuo orecchio.
Fingo di baciarti il collo.

- "Ci stanno guardando.
Fai finta di niente.
Tieni nascosto il viso.
Sei troppo riconoscibile..."

Con la coda dell'occhio avverto i due ragazzi in lontananza farsi più vicini.
Tu segui il mio sguardo.
Li vedi.
Hai gli occhi spaventati.

- "Baciami!"

Te lo sussurro sulle labbra.
Tu lo fai.
Affondi il tuo viso nel mio.
Mentre con un gesto veloce ti sciogli i capelli, liberando i ricci che avevi fatto dimenticare al mondo.
Sento la tua bocca toccarmi delicatamente.
La avverto dischiudersi piano.
La tua lingua mi scivola sulle labbra.
Raggiunge la mia.
E sento il mio cuore battere, appena sotto la lana spessa del maglione.
Lo sento fendere il silenzio dei primi raggi di sole.
Trattengo il respiro.
Cercando di ritrovare dentro di me il mangiamorte addestrato ad uccidere.
E di dimenticare l'uomo che vorrebbe solo perdersi nella tua bocca.
I due ragazzi ci guardano per un istante.
Si scambiano qualche battuta appena accennata.
Si lasciano sfuggire una risata.
Poi ci superano.
Mi allontano dalle tue labbra.
Cercando di tenerti il viso nascosto nell'incavo della mia spalla.

- "Erano anche a Londra, nel parco di Bayswater, qualche sera fa."

Te lo sussurro ridendo.
Con l'aria più imbecille che riesco a trovare.
Mentre gli occhi dei due uomini saettano nei miei per un attimo.
Prego perché la mia leggenda non possa farmi smascherare.
Perché i nove anni trascorsi dalla prima volta che mi hanno chiamato eroe, possano aver reso opaco il ricordo del mio volto, stampato con poca grazia in mezzo mondo magico.
Osservo il più alto assestare una gomitata nel fianco di quello più minuto.
Mi guardano.
Mi studiano.
Mentre capisco che le mie preghiere non sono state esaudite.
Che l'eroe con la maschera d'argento non è stato dimenticato.

- "Prendi la bacchetta!"

Te lo sibilo di fretta, mentre corro ad impugnare la mia, ben nascosta nella tasca interna del cappotto.
I due uomini si avvicinano.
Continuano a guardarmi negli occhi.
Li vedo armeggiare nuovamente nella giacca.
E questa volta temo sia qualcosa di più pericoloso di una sigaretta.
In un attimo estraggono le bacchette.
Le sfoderano nella mia direzione.
Le puntano sulla tua schiena.
Con una mossa veloce ti porto dietro di me.
Con un braccio ti tengo saldamente ancorata al mio corpo.
Protetta dalle mie spalle.
Non ho il tempo di pensare troppo.
Un incantesimo color rubino saetta verso di me.
Lo paro.
Vedo gli occhi dei miei aggressori riempirsi di rabbia.
Mi si scagliano addosso.
Lanciano incantesimi disordinati.
Alcuni pericolosi.
Altri meno.
Li paro velocemente.
Continuando a proteggerti con il mio corpo.
Ti sento muovere.
Ti osservo mentre sbuchi dal tuo nascondiglio con la bacchetta stretta in mano.
Con lo sguardo di chi ha già affrontato una guerra, e di chi non ha più paura.

- "Stai dietro di me!
Non mi dare altro a cui dover pensare, maledizione!"

Te lo urlo in faccia.
Tu mi rivolgi uno sguardo di sfida.
Pari un colpo che ti arriva saettando verso il petto.
Barcolli per un attimo.
Poi ti arrendi.
Ti rifugi dietro al mio corpo.
E io ti ringrazio in silenzio per non lasciarti trasformare in un nuovo fantasma da cui dover difendere i miei sonni tormentati.
I due uomini si avvicinano ancora.
Gli incantesimi si fanno più potenti.
Vibrano nell'aria ad una velocità pericolosa.
Lascio uscire uno scudo dalla punta della mia bacchetta.
Ti spingo dietro all'albero con poca grazia.

- "Non azzardarti ad uscire di lì!"

Lo ringhio.
Mentre continuo a difendermi dai colpi.
Mi scaglio sul primo uomo.
Eludo il suo ennesimo attacco con poca difficoltà.
Gli punto la bacchetta al collo.
Osservo il secondo ragazzo correre verso l'albero che ti tiene al sicuro.
Gli occhi mi bruciano.
Sento il cuore battermi nelle vene del collo.
Con una spinta faccio cadere l'uomo che mi sta davanti.
Mi giro velocemente verso il secondo.
Ti ha quasi raggiunta.

- "Avada Kedavra"

Un lampo di luce verde saetta dalla mia bacchetta.
Colpisce il ragazzo in pieno petto.
Lo vedo accasciarsi sul prato ancora ricoperto di brina.
Il primo uomo si rialza da terra.
Mi rivolge uno sguardo carico di odio.
Fa per attaccare.
Con un movimento rapido lo spingo verso il muro.
Gli punto nuovamente la bacchetta al collo.
Gli stringo la gola con l'avanbraccio.
Lui mi osserva con gli occhi pieni di terrore.

- "Sai chi sono io?"

Glielo chiedo mellifluo ad un centimetro dalla bocca.
Lui annuisce in silenzio.

- "Allora sai anche di cosa sono capace..."

I miei occhi sono invasi di fiamme gelate.
Lui fa un nuovo cenno con la testa.
Un rumore alle mie spalle mi rivela la tua presenza immobile.
Mi osservi a poca distanza.
Vedo gli occhi di questo dannato ragazzino correre nei tuoi.
Ti riconosce.
Faccio una nuova pressione sulla sua carotide con l'avambraccio.
Con l'altra mano gli spingo la bacchetta sulla pelle candida della gola.

- "Adesso tu mi dici cosa sta succedendo, o ti ammazzo come un cane!
Hai capito bene?"

Lui apre la bocca.
Fa per parlare.
Ma ha troppa pressione sul collo.
E gli esce solo un rantolo sordo.
Allento la presa.
Lo guardo.
I miei occhi sono due fessure.
Vedo il terrore serpeggiargli nello sguardo.
Poi riprende il controllo sul suo orgoglio.
Me lo sputa addosso.

- "Lui tornerà, e voi non potrete fare nulla per fermarlo..."

Lo sussurra.
Con quel poco di voce che gli concedo.
E io riconosco lo sguardo di chi ha subito il fascino del male.
Di chi pensa di lottare per qualcosa di grande.

- "Te lo ripeto ancora una volta, ragazzino.
Non darmi motivo di credere che tu sia inutile, perché l'unica tua via di salvezza è quella di dirmi esattamente cosa sta succedendo.
Dove posso trovare quel veleno?"

Vedo un'espressione di incredulità solcargli il volto.
Mi lascio scappare un ghigno beffardo.

- "Pensavi di avere a che fare con uno stupido?"

Glielo ringhio in faccia.
Lui chiude gli occhi.
Prende una boccata d'aria.
Cercando di riempire i polmoni.
Tutto quello che il mio braccio serrato sulla gola può concedergli.

- "Morsmordre..."

Lo urla.
Cercando di far saettare la bacchetta verso il cielo.
Non ci riesce.

- "Evoca con me il marchio... Fratello!"

Me lo dice ridendo.
Con uno sguardo di complicità che non posso sopportare.
Sento la testa scoppiare.
Le mani formicolare, e il cuore andare in pezzi.
Perché sono un mostro.
Continuerò sempre ad essere un mostro.

- "Io non sono fratello di nessuno!"

Glielo sibilo nell'orecchio.
Poi mi ritraggo.
Allento la presa.
Lui fa per scappare.
Per andare a chiamare aiuto.
Per palesare la nostra scoperta.
Il nostro vantaggio.

- "Avada kedavra"

Un nuovo lampo verde saetta dalla mia bacchetta.
Lo colpisce.
Lo lascia riverso a terra come un fantoccio di carne e stracci.
Di colpo l'aria si riprende la sua immobilità.
La sua quiete squarciata dai lampi.
Abbasso lo sguardo.
Due corpi immobili, di poco più di vent'anni, mi additano dagli angoli del prato.
Trasformandosi in nuovi occhi da dover provare a dimenticare.
In due nuovi sguardi a cui dover chiedere perdono.
Con un incantesimo faccio evaporare il poco che resta di due ragazzi illusi.
Abbasso le palpebre, assaporando il gusto amaro della mia nuova sconfitta.
I tuoi passi leggeri fanno scricchiolare l'erba del prato.
Ti sento avvicinare piano.
Cosa darei perché non avessi dovuto vedermi così.
Con le ultime tracce di una maschera argentata che mi ha coperto il volto per troppo tempo.
Per non doverti confessare un peccato che mi porto dietro da tutta la vita.
Sento una tua mano poggiarmisi sulla spalla.
Mi ritraggo di fretta.
Perché mi odio fino a sentire l'impulso di vomitare.
Tu insisti.
Mi prendi il braccio.
Mi volti.
Trovo la forza per incrociare il tuo sguardo di bambina.
Sorridi appena.

- "Grazie..."

Sussurri.
Io inarco il sopracciglio.
Mi rifugio dietro all'uomo di ghiaccio.
Perché adesso vorrei solo piangere.
E non ne sono capace.

- "Di cosa?"

Lo domando sprezzante.
Con la finzione che ha lacerato tutta la mia esistenza.
E tu allarghi il sorriso.

- "Non ho mai visto nessuno combattere come te!"

Lasci uscire le parole con un garbo che non mi hai mai rivolto.
Le lasci scivolare fuori da quelle labbra di rugiada che mi vergogno di aver baciato.
Da quel tuo corpo innocente che mi maledico per aver toccato, con le mie mani da assassino.
Chiudo gli occhi.
Cerco in qualche anfratto nascosto dell'anima il mio mantello da eroe sporco.
Mi ci nascondo dentro.
Perché non sono pronto a farti vedere il mio dolore.
Non sono pronto a farlo vedere a nessuno.
Non lo sono mai stato.

- "Mi hai visto lottare come un mangiamorte!"

Lo dico con rabbia.
Con sdegno.
Con quel poco che resta del mio cuore scaduto.

- "Tu non sei un mangiamorte!"

Mi guardi.
Continui a sorridere.
E io mi sento una volta più inetto.
Una volta più sudicio.
Una volta più impotente.
Vittima e complice di un passato che continua a rincorrermi.
E ad afferrarmi.
Punto gli occhi nei tuoi.
Cercando un personaggio insopportabile che forse non riesco a trovare.

- "Nessuno smette di essere un mangiamorte..."

Lo dico guardando te.
Ma mi rivolgo a me stesso.
Per quanto io possa provare a scappare.
A redimere un'anima marcia.
Resto sempre l'uomo in grado di uccidere.
Di farlo come l'ho già fatto tante volte.
Con una facilità che mi toglie il respiro.
E che mi gela il sangue nelle vene.
Tu sorridi.
Ti azzardi a toccarmi.
Poggi la mano sul mio braccio, ancora una volta.
Come se non avessi paura.
Come se non provassi repulsione per l'uomo che ti ho dimostrato di essere, solo pochi istanti fa.
Come se meritassi ancora il calore sottile che la tua pelle sa regalare alla mia.

- "Allora sei un mangiamorte che mi ha appena salvato la vita..."

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