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Capitolo 15 - basta che tutti si girino dall'altra parte

9.11.2007
Ore 00,15

Scorro gli occhi sulle lettere.
Le parole si susseguono al ritmo veloce del mio affanno camuffato a stento.
Lei mi osserva.
Non capisce.
Corruccia la fronte.
In quel modo ridondante di riflessione e di intelligenza che la caratterizza, mentre cerca di mettere a fuoco il mio comportamento assurdo.
Di capire dove mi stiano portando le ricerche frettolose che mi vedono ansimare, affogato in un libricino per bambini dalle figure sbiadite.
La vedo socchiudere leggermente le labbra.
Fa per parlare.
Poi ci ripensa.
Mi alzo di fretta dalla scrivania.
Raggiungo una mensola poco distante, dove una nuova colonna traballante di libri fa capolino nella sua esistenza immobile.
Estraggo un volume di vecchie carte geografiche.
Lo apro frettolosamente.
Cerco quella del Regno Unito.
La trovo.
Allargo attentamente il foglio piegato su se stesso, invadendo quasi interamente il ripiano stracolmo di pergamene.
Afferro una delle mille piume d'oca che riposano stancamente in mezzo alle vecchie formule, immergo la punta della più lunga nel calamaio.
Poggio il pennino sul centro di Londra.
Disegno un cerchio frettoloso.
Poi proseguo.
Un altro cerchio sul centro di Bristol.
E un terzo.
Proprio dove sonnecchia in inverno la cittadina di Ingoldmells.
Tre punte.
Perfettamente distanziate l'una dall'altra.
Osservo velocemente la cartina.
Socchiudo gli occhi cercando di trovare due città che rivendichino la medesima distanza.
Che mantengano il medesimo schema.
Che avvallino la mia teoria così assurda.
Così dannatamente possibile.
Così pericolosa.
Trovo la prima.
Traccio velocemente un segno sul suo perimetro.
Poi proseguo la ricerca.
Trovo la seconda.
Per un attimo smetto di respirare.

-    "La prossima volta colpirà a Leeds, o a Chester..."

Lo sibilo appena.
Mentre uno schema chiaro prende forma nella mia mente.
Hermione mi guarda.
Ha gli occhi attenti.
Quegli occhi abituati ad analizzare, a studiare, a catalogare con arguzia ogni cosa che vedono.

-    "Severus, non capisco dove vuoi arrivare..."

Mi volto a bruciarle il viso con lo sguardo.
Lei aspetta una risposta.
Respira appena.

-    "È una favola, Hermione!"

Mi rivolge uno sguardo confuso.
Poi osserva la cartina importunata dai miei scarabocchi frettolosi.
Afferro nuovamente la piuma d'oca.
Attingo qualche altra goccia di inchiostro.
Traccio dieci linee decise sulla cartina.

-    "Formano un pentacolo...
Le città, sono i vertici di una stella a cinque punte..."

La mia voce è sottile.
Si riesce ad udire appena, seminascosto dal crepitare del fuoco nel camino.
Lei sgrana gli occhi.
Si porta una mano sulla bocca.

-    "Hai ragione! Ma che diavolo c'entra con gli avvelenamenti?"

Me lo domanda di getto.
Con la pazienza in bilico.
Vittima del carattere grezzo a cui si costringe da anni.
Poso il pennino.
Mi volto a guardarla.
I miei occhi sono immobili.
Costretti in una battaglia sorda tra la vittoria e il terrore sempre più palpabile, che si sta consumando lentamente.

-    "La favola del mostro e della stella del male...
La conosci, Hermione?"

Mi osserva per un istante.
Poi fa un minuscolo accenno di assenso con la testa.
Il suo sguardo cambia repentinamente.
Scuote la testa.

-    "Severus, è assurdo!
Quella è solo una favola per bambini!
Per altro nemmeno tanto bella..."

Sollevo un sopracciglio.

-    "Come la storia dei tre fratelli, Hermione?
Come i doni della morte?"

Spalanca la bocca.
Per un attimo trattiene il respiro.
Ha capito.
Come l'ho fatto io.

-    "Sì..."

Sussurra.
Mi osserva ancora.
Vedo la paura serpeggiare nelle sue iridi nocciola.

-    "Quindi stai cercando di dirmi..."

-    "Che il signore oscuro sta usando una favola della buona notte per rinascere, sì... Temo proprio di sì!"

La interrompo.
I suoi occhi si fanno più grandi.
Cercando di trattenere stretta tra le palpebre un'obiettività che sembra stata spazzata via dalle parole di una storiella vecchia di secoli.
Quella di cui ogni bambino del nostro mondo ha avuto paura almeno una volta.
Quella raccontata davanti al fuoco, prima di andare a dormire.
E adesso ho paura anche io.
Che un bambino non lo sono più da tanto tempo.
Che forse non lo sono mai davvero stato.
E ha paura lei.
Che una bambina lo è ancora.
Nascosta dietro ad una giacca di alta sartoria e ad una scrivania traboccante di potere.
E mi guarda.
Come se io avessi un piano.
Come se potessi assicurarle una via di fuga da un male sordo che non ha mai smesso di far tremare il mondo.
E io non so cosa fare.

-    "La favola racconta di un mostro che ha seminato terrore per tutta la sua esistenza, e che quando è stato sconfitto dal bene è riuscito a tornare in vita dispensando morte sulle punte di una stella.
Dice così, giusto Severus?"

La sua voce mi interrompe.
Ha perso la freddezza a cui si ostina a costringersi.
Ha lasciato uscire il mio nome dalle labbra.
Senza sforzarsi di sputarmelo addosso.
Perché adesso ha capito.
E ha paura.
Annuisco piano.

-    "Sì...
Racconta che nessuno doveva conoscere l'incantesimo che il mostro aveva usato per uccidere.
Così che nessuno avesse mai potuto ricondurre a lui gli omicidi.
Solo se fosse riuscito a completare lo schema senza rivelarsi avrebbe potuto tornare in vita..."

Lo sussurro a lei.
Ma sto parlando a me stesso, di nuovo.
Perché il passato mi frana addosso come una valanga.
Mentre ricollego i pezzi di una vita che vorrei poter dimenticare.
Mentre ripenso agli occhi assetati di morte del mio vecchio padrone, intento a leggere la formula che avevo creato con un orgoglio saturo di follia.
E mi vergogno.

-    "Ricordo le sue labbra di serpente incresparsi in un sorriso viscido.
Rammento le prove fatte su qualche povero innocente, che moriva velocemente sotto gli effetti devastanti della pozione sudicia che aveva preso vita sotto le mie mani.
E poi ricordo lui.
Guardarmi dritto negli occhi.
Rivolgermi una risata carica di orrore.
Mentre mi diceva che dovevo uccidere più lentamente.
Che quella formula era del tutto inutile.
Ma continuava a leggerla, Hermione.
Ad assorbirla.
Ed io non avevo capito.
Non avevo capito niente..."

Lo sussurro.
Lei mi guarda.
Resta immobile.
Forse non è pronta a vedere il mio volto sotto la maschera.
E forse nemmeno io sono pronto a farglielo scorgere.
Ricaccio a forza negli occhi il gelo eterno che li attraversa.

-    "Quando ha visto quella formula, tanto tempo fa, questo piano ha preso vita nella sua mente.
Nel caso in cui fosse morto, nel caso in cui non fosse riuscito a vincere la prima volta.
Si è assicurato un modo per rinascere.
Per riemergere dalle tenebre in cui il tuo amico Potter lo ha cacciato nove anni fa.
Per questo non ha mai fatto leggere la formula a nessuno.
Per questo l'ha liquidata con tanta noncuranza.
Perché io non potessi sospettare nulla.
Perché non potessi rivelare niente.
E per questo, infine, ha cercato di uccidermi nella stamberga strillante.
Se io fossi rimasto in vita avrei potuto ricondurre le morti al mio vecchio veleno.
Sapeva che avrei potuto riconoscerlo, e capire...
Non c'entrava niente la bacchetta di sambuco.
Lui mi voleva morto, per non essere scoperto nel momento in cui il suo piano di rinascita si fosse compiuto."

Mi lascio cadere sulla sedia accanto alla scrivania.
Mi porto le mani alle tempie per un istante.
Riprendo il controllo sul vortice di pensieri che mi invade la mente.
Alzo ancora lo sguardo.
Lo punto in quello di Hermione.

-    "Ma come ha fatto a liberare il veleno nove anni dopo la sue morte, Severus?"

È sempre intelligente.
Sempre lucida.
Non lascia a nulla la possibilità di farle distogliere lo sguardo dall'obiettivo.
E il suo obiettivo adesso è impedire nuove morti.
La ringrazio mentalmente per questa capacità di distaccarsi dalle emozioni, di mantenere una freddezza sterile.
Poi socchiudo gli occhi.

-    "Ha ricoperto il veleno."

Mi osserva senza capire.
Perché non può farlo.
Perché stento a capirlo io stesso.
Ma è l'unica soluzione plausibile.
Anche se assurda.
Anche se difficile.
Anche se folle.

-    "Deve averlo incapsulato.
Dentro qualcosa che ha resistito tutto questo tempo.
Qualcosa che è andato sciogliendosi, di anno in anno, fino ad estinguersi.
A Londra e Bristol ha piovuto molto in questi anni, c'è traffico, smog, il rivestimento si è sciolto per primo.
A Ingoldmells fa caldo, c'è la salsedine.
Ha ceduto poco dopo.
Leeds e Chester stanno per scoppiare.
Non so tra quanto, ma lo faranno...
Non mi viene in mente altra spiegazione!
Devo solo capire come..."

Lei mi fissa. Mi studia.
Pende dalle mie labbra.
Eppure la sua mente analitica continua ad etichettare, a studiare, ad incasellare ogni informazione che riceve.
Continua a pensare, a ragionare vorticosamente.
Come sto provando a farlo io.
Socchiude la lebbra.
Prende fiato un istante.

-    "Dobbiamo impedire che le ultime due capsule si dissolvano..."

Lo sussurra piano.
Io annuisco.

-    "Sì, almeno una delle due!"

Lo dico risoluto.
Osservando il libro di favole che ancora tengo stretto in una mano.
Lei sposta lo sguardo ad intercettare le sue pagine.
Poi fa un passo.
Me lo sfila dalle dita.
Lo osserva per un momento.
E comincia a leggere una favola piena di terrore.

C'era una volta un mostro.
Un mostro nero che aveva terrorizzato il mondo.
Aveva sparso la sua cattiveria in tutti i cuori degli uomini, finché, un giorno, era stato sconfitto dall'esercito del bene che lo aveva ricacciato negli inferi da cui proveniva.
Ma durante la sua lunga vita il mostro aveva studiato.
Aveva letto.
E alla fine aveva scoperto un modo per non morire mai.
Se avesse disseminato terrore e morte seguendo uno schema, formando una stella, e dispensando la morte ai suoi vertici, una magia antica gli avrebbe permesso di rinascere dalle sue ceneri.
Avrebbe riacquistato la forza e avrebbe potuto tornare a vivere.
Ma nessuno avrebbe dovuto mai capire cosa aveva causato quelle morti.
Nessuno avrebbe mai dovuto ricollegarlo alla magia.
Per questo il mostro aveva creato una pozione sconosciuta.
L'aveva resa mortale.
E aveva nascosto a tutti la sua scoperta.
Prima di seppellirla sulle punte della stella, sopita, finché il giorno non fosse arrivato, e la leggenda si fosse compiuta.
E così, quando il mostro morì, lo fece con il sorriso sulle labbra.
Perché sapeva che un giorno sarebbe tornato.
Che avrebbe continuato l'opera del male.
Perché anche la morte può essere beffata.
Basta seminarne ancora.
Formando la stella, il pentacolo.
Uccidendo sui suoi vertici.
In un modo che nessuno conosce.
Senza che nessuno ne possa riconoscere la causa.
Il male può tornare da un momento all'altro.
Può soffocare il mondo da un momento all'altro.
E al bene tocca l'ingrato compito di difendersi.
Di opporsi ad un male che continua ad esistere.
Anche se sopito.
Anche se invisibile.
Il bene non può mai smettere di lottare.
Non serve fare del male per essere immuni dalla sua ombra nera.
Perché basta chiudere gli occhi e lasciare che  vinca.
Basta che gli uomini non si oppongano.
Che nessuno alzi la testa per fermarlo.
Basta semplicemente che tutti si girino dall'altra parte.

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