Capitolo 13 - toast al formaggio
8.11.2007
Ore 21,30
È tutto il giorno che non la vedo.
Mi sono rinchiuso qui, come faccio da una vita intera.
Ho distillato pozioni.
Letto libri.
Fatto ricerche.
Provando invano a non pensare alla sua presenza tra queste mura.
Alla sua vicinanza così dannatamente afferrabile.
Dentro i confini del mio mondo.
Era così diversa questa mattina.
Così fragile sotto le mie mani.
Come se qualcosa in lei si fosse sciolto.
Mi ha chiamato perché aveva bisogno di farsi vedere vulnerabile.
Non è andata a rifugiarsi da Potter.
Non ha chiamato la sua amica dai capelli rossi.
Ha cercato me.
L'uomo che fa paura a tutti.
Tranne che a lei.
Che si sente più protetta dalla mia aura nera che da tutto il resto del mondo.
E sono un idiota.
Perché mi sento euforico come un ragazzino.
Dopo tanto tempo.
La saccente bambinetta insopportabile ha lasciato il posto ad una donna che desidero accanto.
Con i suoi modi da prima della classe.
Con la sua aria da dottoressa strafottente.
Con tutte le mille sfaccettature di una Hermione che mi scopro ad osservare con un nuovo interesse.
Uno che non vorrei dover riconoscere.
E che invece mi toglie il respiro.
Dannata ragazzina.
E dannatissimo me.
Che ho deciso di trascinarla fino a qui.
Tra poco busserà alla mia porta.
Invaderà il mio regno di ampolle e ingredienti.
Ed io dovrò costringermi al mio atteggiamento distaccato.
Al mio malumore perenne.
Mentre desidererei solo abbandonare il costume da mostro, e concedermi quello da uomo.
Il suo uomo.
Che la tiene tra le braccia.
E non voglio farlo.
Perché lei è Hermione Granger.
L'eroina del mondo magico.
Il più giovane ministro della magia mai salito in carica.
È una donna risoluta.
Forte.
Giovane.
Intelligente.
Ed io...
Io sono un vecchio mago con l'anima compromessa.
Un assassino.
Ex mangiamorte.
Odiato dal mondo.
E non c'entro niente con lei.
Amo il mio distacco dall'umanità.
L'ho trasformato in qualcosa di necessario.
Perché non ho mai avuto alternative.
Ma sono solo nel mondo da troppo tempo.
E tremo di freddo.
Mi maledico mentalmente per essermi lasciato travolgere dal suo desiderio, solo qualche sera fa.
Per essermi concesso quel sesso fatto di fretta sulla scrivania.
Senza prevedere che il suo odore sarebbe diventato così dannatamente imprescindibile.
Doveva essere solo una scopata.
E invece...
La porta si apre bruscamente.
Il freddo del corridoio invade la stanza.
Vedo il suo viso spuntare oltre allo stipite.
- "Posso...?"
Faccio un cenno svogliato con la testa.
Lascio gli occhi immobili.
Ma dentro.
Dentro, vorrei solo urlare.
Perché non sono pronto a lei.
Al vortice di calore che si porta appiccicato addosso.
- "Ho cercato di non starti tra i piedi...
Di lasciarti lavorare...
Mi consideri ancora così fastidiosa?"
Me lo chiede ridendo.
Con un briciolo di sarcasmo.
E io non so cosa risponderle.
Perché no, non la trovo più fastidiosa.
Non la trovo più saccente.
Ne insopportabile.
In questo momento mi sembra solo bellissima.
Con il suo chignon perfettamente tirato.
Con il suo tailleur dal taglio impeccabile.
Che fascia il suo corpo con una lascività insopportabile.
Con la sua camicia di seta sbottonata fino al primo accenno di seno.
La desidero fino quasi a farmi male.
- "Sì... E anche insopportabile, e saccente!"
Lo sussurro con un sorriso maligno a disegnarmi il volto.
Sono bravo a fingere.
Molto bravo.
Lei ride.
Reclina la testa all'indietro.
Poi mi fissa negli occhi.
Tira fuori un pacchetto di carta.
Me lo mostra con orgoglio.
- "Che cos'è?"
Lo chiedo con finto disinteresse.
- "La nostra cena!
Minerva mi ha detto che ti assenti spesso dai pasti in sala grande.
E, siccome non passerebbe inosservato se il ministro della magia si sedesse ad uno dei tavoli di Hogwarts, sono passata in cucina e ho preso qualcosa per noi.
Possiamo mangiare qui."
Sollevo un sopracciglio.
Mi costringo ad un'espressione schifata.
Lei sembra non lasciarsi intimidire dai miei modi discutibili.
Si avvicina alla scrivania.
Si crea un varco tra le pergamene.
Estrae dal sacchetto quelli che sembrano essere due toast al formaggio.
Apre un tovagliolo.
Li poggia delicatamente sopra.
Poi mi guarda.
Sorride.
- "Non sono un granché ma meglio di niente..."
Lo sussurra appena.
Con un'aria altezzosa che le fa brillare gli occhi.
Io resto fermo sulla poltrona un istante.
Poi mi alzo.
Mi dirigo verso un anfratto più nascosto dello studio.
Osservo la piccola cantina che tengo gelosamente fornita.
Mi chino.
Esamino le bottiglie.
Ne estraggo una di Cheteauneuf du Pape del 1998.
Analizzo attentamente l'etichetta per qualche istante.
Poi mi volto.
Prendo due calici di cristallo dalla libreria poco distante.
Li porto sul tavolo.
Con un colpo di bacchetta estraggo il tappo di sughero.
Verso due bicchieri generosi.
Gliene porgo uno.
Lei allunga la mano.
Mi sfiora con le dita.
Afferra il calice di vetro, in cui il liquido ambrato luccica alla luce fioca delle fiaccole.
Sorride.
Porta il bicchiere al naso.
Aspira intensamente.
- "La cena sarà pure uno schifo, ma con il vino ci siamo rifatti!"
Me lo dice guardandomi dritto negli occhi.
Io sorrido.
Sempre obliquo.
Sempre tagliente.
Do una lunga sorsata al nettare profumato.
Poi mi siedo sulla mia poltrona.
Lei fa altrettanto.
Su una sedia che ha trovato poco distante, dopo averla trascinata davanti alla mia.
Afferro il toast bruciacchiato che mi porge.
Gli do un morso svogliato.
Il sapore avvolgente del formaggio mi riempie la bocca.
E mi trovo catapultato in un attimo di una normalità sublime.
A cenare con un dozzinale panino al formaggio.
E con una bottiglia da quasi duecento sterline.
Con una donna che mi guarda senza voler scappare.
Forse le serve la mia oscurità per riuscire a risplendere tanto.
Forse starsene qui, nella pancia buia di un castello, con il mostro nero che tutti temono, la fa sentire al sicuro.
Anche se non vuole ammetterlo.
Neppure a se stessa.
E sicuramente non vuole darmelo a vedere.
E io non so cosa fare.
Perché non l'ho mai avuta, la normalità.
Né una donna a bere vino al mio fianco.
Ho solo sempre avuto avventure di una notte.
Durate il tempo di un amplesso poco appagante.
E non ho mai dovuto confrontarmi con due occhi che si aspettassero da me qualcosa di più.
Lei continua a guardarmi.
Finisce la sua cena frugale.
Osserva la mia lasciata a metà.
Appoggiata malamente alla scrivania.
- "Non lo mangi?"
Me lo chiede allungando la mano.
Le faccio un gesto di diniego con la testa.
Lei sorride.
- "Allora lo mangio io.
Non sono brava a reggere l'alcool!"
Ride.
Da un morso al mio panino.
Poi un altro.
Un altro ancora.
Lo finisce con la voracità che solo la gioventù sa concedere.
Si pulisce la bocca con il tovagliolo.
Da una nuova, lunga sorsata al bicchiere.
Poi si alza.
Si dirige con passo sicuro verso il mio divano.
Ci si abbandona sopra.
- "Vuoi venire qui con me o hai intenzione di startene tutta la sera inchiodato a quella scrivania?"
Poso il bicchiere sul tavolo.
Incrocio le braccia al petto.
Lei si lascia sfuggire un'espressione di disappunto.
- "Resto qui, Hermione."
Lo sibilo freddo.
La vedo dare una nuova sorsata di vino.
Svuota il bicchiere.
Poi mi guarda.
- "Perché?"
Maledetta ragazzina.
Con le sue domande.
La sua freschezza.
Le sue dannate gambe che fanno capolino dalla gonna attillata.
Mi sorride.
Aspetta una risposta.
Io appoggio la schiena alla poltrona.
Ancora.
Punto i gomiti sui braccioli.
Affondo gli occhi nei suoi.
- "Perché non so quanto riesco a resistere ancora, senza strapparti i vestiti di dosso!"
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