Magia
Ero caduta in uno stato di trance, mentre le mie dita continuavano a scorrere su quei fogli di carta senza che io conoscessi ne i volti che disegnavo ne il motivo per cui lo stessi facendo.
Mi sentivo come un burattino pervaso da una strana energia vitale che mi bruciava nelle vene e che, in qualche modo, avevo bisogno di scaricare sulla carta.
Sapevo che avevo bisogno di stringere tra le mani la matita e di tracciare linee sconosciute su quei vecchi fogli bianchissimi. Un brivido mi corse lungo la schiena, quando quella ventata di energia scomparve, lasciandomi improvvisamente senza fiato.
E fu in quel momento che sentii dei passi lievi sul pavimento freddo.
Non sapevo più quanto tempo fosse passato.
La luce persisteva a esserci immutata, soffusa come la prima volta che avevo aperto gli occhi in quella prigione, ma qualcosa era cambiato. Non ero più sola e la nuova presenza mi fece rabbrividire.
Forse perché avevo già immaginato chi potesse essere.
Mi voltai lentamente e lo vidi.
Il mio carceriere se ne stava dritto con le mani in tasca a guardarmi con quei suoi occhi di rubino sfavillanti contro la pelle pallida. Bello e inquietante nella medesima misura: indossava un abito di taglio antico ed elegante, una camicia nera sobria con i gemelli in argento sui polsini e dei pantaloni altrettanto scuri gli fasciavano le gambe lunghe e muscolose.
Capii che il vestito che indossavo riprendeva perfettamente i gusti di quel mostro che mi aveva strappato le ali. Strinsi le labbra, sebbene il primo istinto corrispondesse a cercare una via di fuga, la parte più razionale di me mi imponeva di stare calma, perché ero in trappola, ma ero anche certa che qualcuno sarebbe venuto a salvarmi.
I miei amici avevano sicuramente notato la mia scomparsa e presto la polizia sarebbe arrivata a salvarmi. Dovevo solo rimanere lucida e mantenere le distanze nell'attesa.
Hajime mi studiò con i suoi occhi inespressivi, poi improvvisamente me lo trovai di fronte, a un centimentro dal viso. Dovetti trattenermi dal sobbalzare e lanciare un urlo, il mio proposito di stargli alla larga era scomparso con quel gesto, dimostrandomi che non avrei mai potuto allontanarmi o sottrarmi se non fosse stato lui per primo a volerlo.
- Cosa vuoi da me?
Un ghigno lieve si impadroní delle sue labbra quasi esangui, mentre con una mano fredda mi accarezzava la guancia, scostandomi i capelli e avvicinandosi al mio orecchio destro.
- La tua magia, Disegnatrice di Anime.- sussurrò appena, mentre le sue labbra si appoggiavano al marchio che mi aveva fatto sul collo, facendomi irrigidire. Da una parte sentivo l'impulso di spingerlo via, allontanarlo da me per paura del dolore acuto che mi avrebbe causato... Ma un'altra parte di me voleva stringerlo e riavere quella sensazione di leggerezza e di calore che il suo morso mi aveva causato.
Avevo sentito di non essere più sola e se da una parte mi aveva spaventata, ora il ricordo era stranamente dolce nella mia mente.
- Oh... Tu non sai di cosa ii stia parlando, vero Sora?
Annuii meccanicamente, mentre lui faceva un passo indietro, stringendo tra le dita uno dei fogli che avevo lasciato sul tavolo alle mie spalle e che raffigurava un volto di donna.
- Tu hai nel sangue un dono: questi volti che disegni non sono solo immaginazione. Esistono e tu hai il potere di mutarne la natura...- mi si avvicinò di nuovo, alzandomi il volto - Tu mi disegnerai un'anima, perché è questo che fai. Tu puoi donare e sottrare anime, e dal tuo diciassettesimo compleanno i tuoi poteri si sono risvegliati completamente.
Sgranai gli occhi, cercando di fare un passo indietro, ma cozzai contro il tavolo.
Non avevo vie di fuga, ma sapevo con certezza che quello che stava dicendo quel pazzo era un delirio.
Dono? Poteri? Anime?
- Ommioddio, tu sei pazzo! Hai sbagliato persona, io sono normalissima!
Hajime mi lanciò un'occhiata fredda, prima di afferrarmi il polso in una morsa d'acciaio.
Sentii i veli del vestito svolazzarmi intorno, mentre un capogiro mi stringeva la testa, obbligandomi a chiudere gli occhi per non svenire o vomitare.
Il mio stomaco si contorse a tal punto che la nausea per un istante divenne così opprimenti che pensai di piegarmi in due e vomitare. Ma poi tutto passò com'era comparso e riaprendo gli occhi mi accorsi che l'ambiente era cambiato.
Mi ritrovai in un vicolo squallido, stretto tra due alti edifici scuri, il freddo opprimente mi fece gelare il sangue nelle vene e battere forte i denti, mentre alzavo il viso a un cielo pesante di smog e dal colore più strano che avessi mai visto.
- Dove... Dove siamo?
- Noril'sk in Russia.
Sbattei le palpebre, incredula, mentre Hajime mi stringeva il braccio tremante e, infastidito, mi posava sulle spalle un pesante mantello di pelliccia comparso dal nulla.
Mi aveva ipnotizzata?
Non potevo credere di essere in Russia, ma osservando il lungo in cui mi stava trascinando il mio carceriere notai delle scritte in cirillico e rimasi basita.
Il posto era squallido, sporco e la puzza era incredibile, ma il locale dove mi trascinò dentro era anche peggio.
C'era un forte odore di alcool, legna bruciata e vomito.
L'ambiente era soffuso e stipato di bottiglie di vetro piene zeppe di vodka. Un bancone squallido se ne stava alla nostra sinistra mentre due tavolono di legno duro erano posti paralleli alla nostra destra, ricoperti da boccali e bicchieri sporchi.
Gli uomini e le donne avevano sguardi storti e guance arrossate, erano vestiti leggeri sebbene lì non facesse davvero così caldo.
Ma capii che era per la vodka che aveva preso il posto del sangue nelle loro vene.
Quel luogo mi disgustò.
Ma Hajime non mi diede il tempo di soffermarmi oltre, mi trascinò lungo una scala a chiocciola posta da un lato del bancone.
Sembrava che nessuno ci avesse notati.
Ok, io sarei potuta passare inosservata, ma quel demone dagli occhi rossi e l'altezza sovrumana?
Per un istante pensai di scappare...ma dove? Ero in Russia, senza neppure un soldo, in uno dei luoghi più malfamati che avessi mai visto.
- Stai ferma, se scendi senza di me ti vedranno tutti e non ti posso assicurare che loro ti trattino come ho fatto io.- mi avvertì, lasciandomi il polso di fronte a una pesante porta di legno scolorita, poi dopo appena un istante allungò una gamba dando un calcio alla porta che si aprì rompendosi.
Mi strinsi alla parete opposta, spaventata dalla violenza e dal colpo di una forza incredibile. La porta era spessa, ma non abbastanza per fermare una creatura come lui.
- Entra.
Eseguii il suo ordine ancora scossa e mi ritrovai in una squallida stanza con un solo letto matrimoniale al centro, un armadio cigolante e un comodino. Storsi la bocca, mentre distoglievo lo sguardo dalle due figure avvinghiate sopra le lenzuola.
- Guarda.
La mia testa si mosse contro la mio volontà, obbligandomi a fissare una giovane ragazza dai tratti nordici con folti capelli rossi e occhi magnetici, era sopra a un uomo più vecchio di lei di almeno dieci anni, il viso bucato dalle cicatrici dell'acne e gli occhi scuri liquidi di piacere incatenati a quelli di lei.
Ma c'era qualcosa di strano.
Le labbra di lui erano socchiuse a un centimetro da quelle di lei, ed erano screpolate e pallide, mentre lei sussurrava delle parole incomprensibili.
Ma non avevano il suono aspro delle lingue nordiche.
- È latino, Sora. - mi disse Hajime, facendo un passo avanti e avvicinandosi al letto - Lei è una Succube, si nutre delle anime degli esseri umani. Porta gli uomini alla perdizione, tramutando le loro anime fino a farle diventare nere di peccato e poi le divora.
Sussultai, vedendolo afferrare i capelli della ragazza-demone e strattonarli con violenza, facendola finire per terra e staccandola dalla sua vittima. Quella lanciò un urlo di rabbia e dolore e in quel momento vidi perfettamente il suo volto.
Sbattei le palpebbre, incredula.
Era la stessa ragazza del disegno che ora Hajime stava facendo penzolare di fronte a me.
Il disegno che la mia mano aveva tracciato da sola.
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