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Parte 33 - Lev, giustizia

LEV

Angel. Potrò riabbracciare mio figlio. Ripeto il suo nome, lo lascio scivolare piano sulla lingua. Sotto le dita sento ancora la pelle di Juan. In una sola ora ho ritrovato le persone più importanti della mia vita, e tutto adesso ha un senso, ho di nuovo una ragione per vivere e non soltanto sopravvivere per dare alla luce il bambino che mi cresce dentro.

Nervosamente, controllo dalla finestra della mia stanza l'imminente arrivo di Francisco. Temo che dopo i baci roventi dell'altra notte possa avvertire su di me l'odore di Juan. Decido a malincuore di farmi preparare un bagno.

L'acqua del catino è tiepida, l'olio profumato con cui sfrego la pelle solletica le mie narici. Ricordo quando era Juan a stenderlo sulla mia pelle. La mia mente è come un uccello che ha paura di volare e non sa se sia il caso di spiegare ancora le ali. Da un lato immagino il futuro con Juan e mio figlio, dall'altro lato si addensano le ombre e non hanno solo il volto di Francisco. C'è anche l'incertezza di come possano un alfa e un omega ricongiungersi dopo quello che mi è successo. Juan amerebbe mio figlio? E se Francisco non ci lasciasse mai andare?

Perso tra i miei pensieri non mi accorgo che qualcuno sta per aprire la porta.

Francisco entra, come al solito senza chiedere permesso. Scruta il mio corpo, la pancia appena accennata. Mi irrigidisco, temo che nonostante il consiglio del dottor Sal mi costringa a dormire con lui. O, forse, ha capito che Juan non è morto e che si nasconde sotto le spoglie dello specialista olandese. Mi metto a sedere dritto, abbandonando la pigra posa che avevo prima che lui entrasse.

«Constato con gioia che vi siete ripreso. Sarete quindi in grado oggi di presenziare con me al taglio del primo albero della foresta, che farà posto alla mia ferrovia».

«Come volete». Juan mi ha detto di essere presente, e senza darmi altri dettagli mi ha fatto capire che accadrà qualcosa.

«Fareste meglio e prepararvi, allora. Dopo il taglio e la cerimonia ho organizzato un rinfresco nelle vicinanze. Peccato che adesso non abbia tempo da dedicarvi», dice sibillino, poi decide che è meglio lasciarmi in pace e dedicarsi agli ultimi dettagli della sua vanagloriosa cerimonia.

Mi alzo e mi asciugo con un telo. Sul letto sono già pronti i vestiti che dovrò indossare. Mia madre sta controllando che non abbiano pieghe, le piace dedicarsi a queste mansioni personalmente, sebbene potrebbe occuparsene una domestica. Si sente utile e, chissà, le riesce di dimenticare per un po' le afflizioni della nostra esistenza.

«Dovrei accompagnarti, caro».

«Non ce ne è bisogno, madre. Vi prego rimanete qui».

«Non voglio che stia lì tutto solo, immagino che Francisco sarà impegnato e non avrà tempo per te».

«Non venite», le dico perentorio. Lei mi rivolge uno sguardo smarrito, poi le sue iridi si illuminano e si tingono di preoccupazione.

«Cosa stai facendo?», dice in un sussurro, timorosa che i muri abbiano orecchie.

Mi avvicino a lei. «Rimanete in giardino, nei pressi del cancello. L'aria fresca del mattino vi farà bene».

Serra le labbra. «Non voglio che ti illudi».

Poso le labbra sulla sua guancia. «Saprete tutto a tempo debito, questa volta è diverso. Fidatevi di me». Fingo una sicurezza che non possiedo. L'unica certezza è che se la rivolta fallisce, questa volta lotterò fino alla morte.

Il carro sui cui mi aspetta Francisco è addobbato come nelle migliori occasioni. Una carrozza sontuosa non potrebbe mai percorrere agilmente le stradine che si addentrano nella foresta. Francisco ha fatto sistemare del velluto sui sedili, e il cavallo è bardato. Lo trovo di cattivo gusto, come tutto quello che riguarda quest'uomo.

Il cielo è privo di nubi, i rumori della foresta si accompagnano al vociare del pubblico che Francisco ha voluto per il suo personale spettacolo. Non sa che la rappresentazione sarà diversa da quella che lui ha immaginato.

Tra gli alberi ha fatto allestire tavoli su cui troneggiano pietanze appetitose e bevande, come mate e guaranà. La nobiltà dell'isola è tutta qui, a eccezione degli omega e degli alfa che un anno fa ebbero il coraggio di unirsi alla ribellione e che per questo sono stati uccisi o imprigionati. Francisco è riuscito persino a far arrivare un funzionario spagnolo e un giornalista che riporti nella madre patria le sue gloriose imprese. Cosa c'è di glorioso nel prendere tra le mani il cuore di quest'isola e spappolarlo?

Francisco mi fa cenno di seguirlo, mi vuole al mio fianco durante il suo patetico discorso alla società che conta. Ancora una volta non sono che il suo oggetto da esibire al pari di un gioiello o di un quadro. Molti si asciugano la fronte sudata con un fazzoletto, non sono abituati a stare in mezzo alla natura e i loro abiti eleganti, i rendigote di raso non sono adatti all'occasione, ma il governatore ha voluto così, e gli hanno obbedito.

L'uomo a cui è stato dato l'incarico di tagliare il primo albero ha un'ascia in mano, pronto a intaccare la corteccia millenaria di una delle creature verdi e innocenti che ci circondano. Tra il concerto della foresta c'è qualche scricchiolio estraneo, che alle orecchie poco allenate degli altri passa inosservato. Mi guardo attorno, ma se qualcuno è qui, si è nascosto bene.

Francisco si lascia andare alla sua prosopopea, senza rendersi conto delle espressioni ironiche del giornalista, che probabilmente lo vede come un funzionario fallito mandato dalla Corona nella colonia più lontana per liberarsene. Nel suo deliro di onnipotenza, Francisco impugna l'ascia: ha deciso che sarà lui a infliggere il primo colpo mortale alla foresta.

«Con questo gesto do inizio a una nuova vita per tutti noi», declama.

Un frullio di ali smuove l'aria e le foglie. È un attimo. La sua guardia personale, che gli sta sempre alle costole, viene trafitto con una lama. Gli ospiti vengono circondati e messi sotto tiro. Persino le urla di spavento e sconcerto sono soffocate dalla sorpresa.

«Con questo gesto dichiarate la fine della vostra vita», dice Juan mentre gli punta la pistola alla fronte, la canna affondata nelle sue rughe.

Francisco tenta di voltarsi, ma nella schiena avverte un'altra canna, quella di un uomo a me sconosciuto.

Lo stupore si riflette in un ammutolito silenzio. Un gruppo di pirati sta prendendo possesso di quello che Francisco e la sua cerchia pensavano essere il loro personale regno di prepotenza.

«Fatemi continuare a scrivere», implora il giornalista.

«Se proprio ci tenete», replica un altro pirata, che nondimeno continua a tenerlo sotto tiro.

Juan non si è ancora tolto la maschera.

«Voi... che ne avete fatto del dottor Sal?», domanda Francisco, credendolo Janus.

«I vostri soprusi sono finiti», replica Juan, usando la sua voce, quella vera senza accenti simulati.

Francisco spalanca la bocca e sbianca, come se avesse visto un fantasma.

«Sono io, il nipote che con l'inganno credevate di aver ucciso. Avete ingannato anche loro, spacciandovi come il legittimo governatore dell'isola».

«Avete perso il senno, cosa blaterate?»

«Ho scritto a mia madre, la Corona vi ha revocato l'incarico da quando ha scoperto la vostra corruzione e l'onta a cui avete osato sottoporre me, figlio di un nobile di spada. I soldi che avete sperperato per i vostri vizi non possono più essere recuperati, ma i torti e le sofferenze che avete inflitto a tanti saranno vendicati».

Il colore è tornato sulle gote di Francisco, il pallore ora è sostituito da macchie rosse. «Fate qualcosa», sibila, rivolto agli altri. «Maledetti anarchici».

Nessuno osa muoversi sotto minaccia dei pirati da sempre temuti.

«A chi avrei fatto torto?», domanda.

«A me», dico.

«Lo avete sottratto al suo alfa con l'inganno», si lascia sfuggire uno dei nobili.

«E a me». Kal avanza deciso verso Francisco. «Mi hai portato via mia madre».

Lo rivedo dopo un anno per la prima volta, indossa anche lui i cerchi d'oro alle orecchie, la cinta dal colore vistoso, una benda sollevata sulla testa. Nei suoi occhi brucia la stessa sete di giustizia che lo portò a organizzare la rivolta un anno fa.

Juan prende di nuovo la parola: «Potrei giustiziarti qui davanti a tutti, ma assaggerai prima il carcere della fortezza. Adesso è vuota, i miei compagni, mentre tu organizzavi il tuo rinfresco, si sono occupati di liberare i superstiti delle tue torture e di rendere inoffensive le tue guardie».

«Non potete farlo!», urla lui, gli occhi strabuzzati.

Juan solleva gli angoli della bocca. Ha immaginato questo momento da tempo, forse da quando ha riacquistato la memoria. «Lo sto già facendo». Fa un cenno agli altri, che caricano i nobili su un carro. «Voi, signori, verrete con noi, fino a quando non sarà chiarita la posizione di ciascuno. Non preoccupatevi, verrete trattati diversamente da come avete trattato gli omega».

Anche Francisco viene costretto a salire sul carro. «È mio figlio quello che porti in grembo», dice minaccioso, fissandomi negli occhi, poi il calcio della pistola che Kal sbatte sulla sua testa gli fa perdere i sensi.

Corro verso Juan. «Che succederà ora?»

Lui mi stringe, ma non mi sento ancora al sicuro, non finché Francisco sarà tra noi.

«Il suo patibolo è già pronto. Vuoi risparmiarlo? La Corona lo ha condannato in ogni caso».

Le nostre iridi si incastrano per un attimo scandito dai rumori della foresta.

«No, non voglio risparmiarlo, ma dopo che accadrà voglio andare via da qui».

«Ce ne andremo, c'è qualcuno che devi abbracciare».

Il veliero è imponente. Quando lo vedo non mi sorprende più che ci fossero tanti pirati ad aiutare Juan. Le travi scricchiolano sotto il mio passo veloce, il cuore martella nel petto.

Sul ponte lavato dal sole sento la risata di un bambino. È lui, lo so. Juan mi stringe la mano.

Angel gioca con una donna, a sua volta incinta. Gli vado incontro, mi inginocchio per l'emozione e perché voglio guardarlo bene. Ha ancora il mio anello di smeraldo al collo, ha sulla clavicola la spirale color rubino dei Vieln. Più di tutto è il suo odore a convincermi, lo riconosco. Ricordo il giorno in cui è venuto al mondo.

Lo stringo tra le mie braccia, e lui ride ancora, e poi mi chiede chi sono, e io so che tra un po' le parole correranno veloci, ma adesso no, adesso voglio solo ritrovarlo e assaporare il momento.

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