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Parte 21 - Prigioni

Disclaimer: in questo capitolo sono presenti scene di violenza di vario genere, più che altro implicite.

JUAN

Una fitta alla testa, un dolore anche alla schiena. Le guardie devono avermi dato altri colpi mentre ero incosciente. Appena fuori la proprietà della fazenda mi spostano in un carro adatto a trasportare prigionieri. Chiudo di nuovo gli occhi. Dov'è Kal? Cosa farà adesso? Se hanno scoperto me anche gli uomini della locanda sono a rischio. Li avranno già catturati?

Uno scossone più forte mi riscuote del tutto. Sento le guardie che guidano il carro e le altre a cavallo, che mi fanno da scorta, imprecare. Uno scalpiccio, delle urla. Sta succedendo qualcosa. Uno sparo. Mi aggrappo alle grate del carro, una delle guardie cade a terra.

Altri due uomini a cavallo dal volto coperto si avvicinano. Solo uno di loro ha un'arma da fuoco, l'altro attacca come può con una lancia. Ci volevano altre armi, penso. Riconosco gli occhi di uno dei banditi che sta cercando di liberarmi. È Jali, l'omega che tante volte ha scaldato il mio letto. Va' via, vorrei dirgli, ma non faccio in tempo.

Il mio carro accelera, ma tra i sentieri rimane bloccato tra la folla. La rivolta è iniziata, ma le guardie di mio zio sono più numerose, più preparate. E mio zio è stato più furbo di quanto credessi: mi teneva d'occhio, sapeva dove andavo e tutte le mie precauzioni non sono servite a niente.

Altri spari. Alcuni ribelli cadono a terra, capisco che le guardie provano gusto a sparare, e faranno di tutto pur di portare a destinazione me, il loro prezioso carico. Penso a Kal, a dove possa essere in questo momento. Sapevo che avrebbe lasciato la fazenda questa mattina per prepararsi a sferrare il colpo mortale al governo di mio zio nelle prossime ore, ma tutto è andato storto e adesso il mio omega, Lev, si trova da solo in quella casa con mio figlio.

«Aiutatemi», urlo.

Lì fuori non mi sentono. I ribelli attaccano le guardie, ma tra i sentieri che avvolgono la scogliera sbucano i rinforzi del governo. Chiudo gli occhi per non vedere: sarà una mattanza. Il carro corre veloce, calpesta i cadaveri ancora caldi, si dirige verso la mia prigione.

L'unica speranza è che Kal sia ancora vivo, e che i rinforzi chiesti a mia madre arrivino in fretta. A causa dei dossi e degli ostacoli lungo la strada ondeggio da un punto all'altro del carro, sbatto ancora la testa, e l'ultima cosa che vedo prima di chiudere di nuovo gli occhi sono le torri merlate della fortezza.

Lev

Il cortile è affollato di guardie, dalle capanne non escono gli omega né ritornano dalle piantagioni. Cerco un volto amico, ma trovo solo soldati dall'espressione dura che sorvegliano il cancello.

Dalla finestra della mia stanza odo lontano il rumore degli spari. I fiori di cacao si sono trasformati in frutto e anziché bacche profumate hanno portato la guerra. Kal e Juan, insieme agli altri, devono aver pianificato la loro azione da tempo, ma Francisco li ha scoperti prima che potessero portarla a compimento, e adesso quello che doveva essere l'agguato al governatore si è trasformato in una guerra civile.

Anche Carlos doveva esserne a conoscenza. L'ho capito dall'espressione del suo volto quando i nostri occhi si sono incrociati. Se non è veloce a lasciare la casa, sarà il prossimo a cadere nelle grinfie di Francisco.

Sul tavolo giace il vassoio con il pranzo che una domestica mi ha lasciato. Come pensa Francisco che io possa mangiare sapendo che Juan è in pericolo? Sfioro ancora l'anello che porto al dito... anche distanti sento il suo dolore. Provo anche rabbia perché lui e Kal avrebbero dovuto dirmi come stavano le cose, e invece mi hanno trattato come uno stupido.

Provo ad abbassare la maniglia. La porta è ancora chiusa a chiave. Fino a sera rimango nell'incertezza, poi il cigolio della serratura allerta i miei sensi. Francisco entra, un bicchiere di gin in mano. Sul suo volto tondeggiante sono affiorate nuove rughe che lo fanno assomigliare a un bambino troppo cresciuto. Puzza di alcol e tabacco, proprio come la prima volta che l'ho conosciuto. Le stesse sensazioni di quella sera mi paralizzano.

Lo vedo posare il bicchiere sul tavolino. «Gli omega mi hanno causato un bel problema, ribelli maledetti. C'è una guerra civile e il re vorrà saperne il motivo». Si avvicina, io sono rimasto accanto alla finestra. «Cosa sapevate voi del piano di Juan?»

Gli rivolgo un'occhiata di fuoco. «Nulla, ma se anche sapessi qualcosa non proferirei parola».

Mi sfiora il volto. «Lo immaginavo. Non temete, la guerra si concluderà presto, come un fuoco di paglia. Poi avrò tutto ciò che mi spetta».

Mi allontano, tento di afferrare una candela per difendermi, ma lui ride.

«Il vostro Juan presto sarà condannato».

«È un nobile di Spagna», sibilo, incapace di accettare le sue parole.

«Ebbene? Anche i nobili sono soggetti alla giustizia talvolta, soprattutto se hanno agito contro un funzionario mandato dal re a governare un'isola del regno».

«Tacete!»

I suoi occhi si accendono. Riconosco quel lampo, l'ho già visto in Ramon e in Francisco stesso mesi fa. «Dovrete sposarmi. Non vi resto che io».

«Mai».

Schiocca le dita. Entrano due guardie e mi afferrano per le braccia.

«Cambierete idea, Lev. Vivere nelle prigioni di questa fazenda vi farà ragionare».

Vengo portato lungo i corridoi, sotto lo sguardo allibito e terrorizzato dei domestici. Dietro una libreria Francisco apre un passaggio segreto. Camminiamo lungo un altro corridoio, poi la grata oltre la quale si cela la mia prigione. Francisco incatena i miei polsi a una parete rocciosa, lasciandomi in piedi.

«Vedremo fino a quando resisterete», sibila, prima di andare via.

Una tremula fiaccola all'esterno dell'antro è l'unica luce che illumina le pareti e un giaciglio di paglia. A terra c'è una ciotola colma di acqua, e una guardia ogni due ore viene a porgerla alle mie labbra. Bevo avido, non perché tenga alla mia vita, ma perché devo proteggere mio figlio e tentare di salvare Juan. I polsi formicolano, le gambe sono rigide, e non so fino a quando potrò resistere. I rumori qui non arrivano che attutiti, è strano pensare che dietro la libreria si nasconda una tale prigione, non lo avevo mai sospettato. Chissà quanti altri Francisco vi ha rinchiuso. Una guardia, impietosita dal mio stato, mi offre anche del cibo e mi dice quanti giorni sono passati. Cinque giorni.

Ho imparato io stesso a contarli, tenendo conto della frequenza dei cambi di turno delle guardie e dal passo veloce delle domestiche che, per quanto lieve, riesco a sentire oltre la parete. In queste occasioni tendo l'orecchio. Le guardie parlano di come sta andando la guerra, dicono che le truppe di ribelli costruiscono fortificazioni di fortuna resistenti, grazie alla loro conoscenza profonda dei legni e delle materie prime che la foresta offre. Eppure l'esercito del governatore avanza e alla fine, superiore in uomini e in armi, avrà la meglio.

All'alba del sesto giorno sento il passo che mi terrorizza. La grata si apre con un cigolio metallico. Francisco è davanti a me, mi scruta con i suoi occhi mobili. La ruga sulla sua fronte incrina l'aria invincibile che vuole darsi.

«Lev, come state?» Mi afferra il mento e mi costringe a guardarlo negli occhi. «Avete pensato alla mia proposta? Il vostro ex compagno sta assaggiando le torture della fortezza prima di scontare la sua condanna».

Sento un nodo allo stomaco. «Non accetterò mai», sibilo, senza forze.

«Potreste vivere in una casa comoda, essere accettato dagli altri nobili, in fin dei conti sei sempre un Vieln». Le sue dita si fermano sul mio collo, dove Juan ha affondato i suoi denti. «È vero, il vostro marchio reca ancora l'odore di Juan. A tanti alfa darebbe fastidio, ma a me no. Mi piacete così tanto che farei questo sacrificio, inoltre...», mi strappa la camicia, lasciando esposto il mio petto e il mio ventre, poi posa le labbra sul mio collo. Rabbrividisco al contatto con l'aria fredda del sotterraneo e con la sua bocca umida, «inoltre, scaccerei il suo odore e il suo marchio, a furia di affondare i denti dentro di voi».

«Mai...», gemo.

«Capisco, non vi interessa di voi stesso, però c'è qualcun altro di cui vi importa, ne sono sicuro».

Lo vedo tirare fuori un coltello, tracciare una linea fino al mio ombelico. «Pensavate di tenerlo nascosto a lungo? Mi libererò del vostro bambino».

Un nodo mi stringe la gola. «Non fategli del male».

I suoi occhi si accendono di soddisfazione. Pregusta la vittoria. «Diventate mio, Lev, e vi farò il favore di salvargli la vita. Badate, potrei fare quello che voglio con voi, senza chiedervi il permesso».

Stringo le catene, rassegnato al mio destino. «Lo farete vivere qui con me?»

«Chiedete troppo. Lo farò imbarcare nel continente, non saprà nulla di voi, ma mi assicurerò che arrivi a destinazione sano e salvo e che venga cresciuto da una famiglia semplice, anche essa ignorante delle sue origini».

Il coltello preme ancora contro il mio ventre. So che la malvagità di Francisco non si fermerà a questo.

«E dopo che questo bambino verrà alla luce, porterete in grembo i miei figli».

Fisso un punto della grata, una macchia di ruggine che ho notato negli ultimi giorni. La mia testa cerca le immagini di felicità che un tempo gonfiarono di gioia il mio cuore, le trova, poi sbiadiscono, e Francisco è ancora davanti a me. Per salvare il frutto del mio amore con Juan sono disposto a tutto, e lui lo sa.

«Accetto», mormoro.

Francisco mi sfila l'anello di smeraldo dal dito e lo mette in tasca. Poi allontana il coltello, scioglie le mie catene. Esausto cado tra le sue braccia. Mi denuda e mi fa sdraiare sul pagliericcio, poi mi volta su un fianco. Istintivamente mi porto una mano al ventre nel tentativo di proteggere mio figlio, ma lui mi afferra il polso e l'allontana, poi si sdraia dietro di me.

Inizio a pagare il mio pegno: la mia vita e la mia anima per quelle di mio figlio.

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