Parte 13 - Lev, gelosia
Lev
«Il mate è sempre un toccasana», dice il medico, il tono di voce comprensivo, come se stesse parlando a un bambino. Vedo i suoi occhi castani sorridermi, i gesti delicati, ma esperti di chi ha avuto a che fare con tanti omega.
Carlos si affretta a servirmi il mate. Con un cenno del capo lo ringrazio. Ne mando giù un sorso, e devo ammettere che lenisce la mia gola secca.
Non ho più caldo, la pelle non è più arrossata, e, soprattutto, non sento più l'osceno desiderio di gettarmi tra le braccia di Juan. Oggi ci siamo baciati per la prima volta, e poi una seconda. Quando è esploso il mio calore in mezzo alla foresta, una parte di me voleva che lui mi spogliasse su un letto di foglie e toccasse il mio corpo. Sento la pelle del volto arrossarsi ancora, e respingo questi pensieri.
Provo vergogna per aver immaginato Juan nel mio letto, per buona parte del mio delirio. Non deve più accadere.
«Posso riprendere le erbe adatte per bloccare il calore?», domando.
L'uomo seduto sulla sponda del letto mi sorride. Il suo nome è Sal, è un alfa capace di controllare i suoi istinti, per i quali prende un suo preparato.
«Adesso sì», mi rassicura. «Anche se...»
«Anche se?»
«A lungo andare non unirvi al vostro compagno può essere deleterio».
Non ho un compagno, vorrei urlargli, ma lui si congeda prima che le parole possano lasciare la mia bocca. Rimane solo Carlos che mi versa dell'altro mate.
«Non mi va più», gli dico. Sulla punta della lingua danza una domanda che non ho il coraggio di rivolgergli. Dov'è Juan? Se ne è andato, mi ha lasciato qui, e se da un lato apprezzo che abbia rispettato la mia volontà, dall'altro vorrei capire dove abbia trascorso queste ore. L'istinto mi dice che non gradirò la risposta.
Carlos sposta appena la tenda. «Il padrone torna. È a cavallo, deve essere andato alla locanda e... Ma dove andate?», domanda, quando si accorge che mi sono alzato dal letto senza neanche indossare una vestaglia.
La locanda. Kal mi ha detto cosa succede in quei locali dove la mano del governatore non è arrivata, o, meglio, dove finge di non arrivare per far sì che gli omega si prostituiscano mantenendo l'illusione della libertà. Mi precipito nella stanza di Juan, e siedo su una poltrona di velluto.
La sorpresa tinge le sue iridi, quando apre la porta ed entra. Non ho bisogno di fargli domande, l'aspetto sfatto e trasandato sono una risposta più che eloquente. Sono sicuro che se lo guardassi da vicino troverei i segni della sua unione con un altro. Lo avrà marchiato?, mi domando con orrore. E perché mi interessa poi? Non siamo davvero compagni e come gli ho ripetuto più volte non ho intenzione di stare con lui.
«State bene adesso?», mi domanda lui.
«Lontano da voi, sempre».
Lo vedo andare verso l'armadio, riporre il rendigote sgualcito. Lo afferro per un braccio.
«Sei stato alla locanda?»
«Non capisco come potrebbe interessarvi. Ho fatto quello che volevate, in fondo».
«Hai fatto quello che non potevi fare con me con un altro?»
Un sorriso amaro gli intristisce il volto. «Siete passato al tu, attento».
«Mi accade quando sono irritato». Mi mordo le labbra, l'irritazione mi pervade. Lo immagino tra le braccia di un omega compiacente.
«Vi accade perché vi importa». Mi prende i polsi e io non ho la prontezza di sottrarmi. Sento la sua presa forte, il suo odore a cui si è mescolato quello di fritto, di alcol e di un altro uomo.
«Sei un illuso». Nella foga dimentico di usare il voi ancora una volta. «Lasciami, l'odore che hai addosso mi disgusta».
«Vi disgusta tutto di me, pare».
Allenta la presa, facendomi sentire un perfetto idiota. La parte più istintiva di me vorrebbe tirargli uno schiaffo, fargli sentire l'umiliazione che mi sta infliggendo in questo momento. Non mi riconosco. Che mi importa di lui? Devono essere gli strascichi del calore a farmi sentire in questo modo. Non riesco a trattenermi: mi avvicino e sfioro il suo collo, dove un segno affiora sulla pelle dorata.
«Avete scelto un amante focoso», dico sarcastico. Poi l'occhio cade sulla lettera che sbuca dalla tasca dei pantaloni. La afferro e la apro.
«Cosa state facendo?»
«Il vostro amante vi scrive anche delle lettere d'amore? O forse lo pagate e la lettera è compresa nel prezzo?» Lo sento sbuffare. Scorgo veloce le poche righe della missiva e non posso credere ai miei occhi. Nel bel mezzo di una crisi politica chiede a sua madre, che rifiuta, di inviargli dei gioielli.
«Gioielli», leggo. «Voi avete l'ardire di preoccuparvi di queste cose... Ecco quello a cui pensate durante il giorno, a soddisfare i vostri desideri, qualunque essi siano». Sono arrabbiato con lui, e con me stesso perché non riesco a fermare l'attrazione e la gelosia che mi stringono lo stomaco. Per Kal non ho mai provato nulla del genere: Kal è un limpido sogno, la sicurezza di braccia amiche, mai mi ha fatto perdere il controllo di me stesso.
Juan mi strappa la lettera dalle mani. «Adesso basta, andate via. Come avrete capito sono stanco».
Gli rivolgo un ultimo sguardo di disprezzo prima di tornare nella mia stanza. Mi libero della camicia da notte e indosso un paio di calzoni e una camicia. Sento il cuore battere come quando Juan mi ha baciato, come quando il secondo calore si è fatto strada del mio corpo. Attraverso la finestra vedo il cielo perdere la sua luce, schiarirsi, prima di diventare rossastro. La prima stella è già sorta. Cosa starà facendo Kal? Non mi ha voluto dire niente dei suoi piani, e adesso mi ritrovo nella casa di un alfa che non fa nulla per cambiare le cose e che pensa a farsi mandare gioielli dalla madre.
Odio lui, odio le reazioni del mio corpo davanti a lui. Non riesco a stare fermo con le mani in mano. Riordino allora i ricordi, gli attimi di abbandono nella foresta, le braccia forti di Juan che mi hanno issato sul cavallo. Ho provato la stessa sensazione di sicurezza che mi aveva calmato quando mi trovavo nella capanna di Ramon e Juan è venuto in mio soccorso.
Juan ha detto che suo zio non è in casa, perché impegnato nella capitale, di certo sta tramando qualcosa, ma non è detto che sia il solo. Decido di andare nel suo studio.
Scendo le scale, sorridendo alle domestiche che si affrettano a portare fiori freschi e lenzuola pulite in vista del ritorno del governatore. Juan si trova ancora nella sua stanza, a smaltire le acrobazie sessuali che l'hanno tenuto impegnato nel pomeriggio... Stringo i pugni e ricaccio la gelosia che mi avvelena il sangue.
Il salone è deserto. I volti degli antenati fanno capolino dalle cornici di ritratti a olio, alcuni curiosi, altri annoiati. Penso ai miei di antenati, e poi a mia madre. Allora tra la gelosia e il disprezzo per Juan si fa strada la gratitudine per il suo gesto. Anche se mi costa ammetterlo è solo grazie a lui che sono riuscito a rivederla.
La porta è chiusa, temo che Francisco abbia usato la chiave, in fondo se in questa stanza ci sono documenti compromettenti, sarebbe più che lecito aspettarselo. Invece sono fortunato, la porta si muove sotto la spinta leggera delle mie dita.
La luce investe lo scrittoio, la libreria alta fino al soffitto alle spalle di esso, un tavolino con i liquori in bella vista. L'aria sa di chiuso e tabacco, ma riesco a percepire anche una fievole nota del suo odore. È amara e mi disgusta come sempre da quando quella notte mi ha condotto nel salone e ha tentato di mettermi le mani addosso.
Sullo scrittoio una pila di fogli è sormontata da un fermacarte, immagino che Francisco ricordi perfettamente il modo in cui le ha sistemate, e forse la porta lasciata aperta non è altro che una trappola per capire se suo nipote ha abbastanza fegato per sfidarlo. Non si aspetta che a farlo sarò io, perché quell'idiota di Juan è più interessato a chiedere gioielli a sua madre. Scrollo le spalle come per liberarmi del pensiero di lui, che non invitato si affaccia nella mia mente, troppo spesso.
Accarezzo i cassetti, provo ad aprirne uno senza successo, allora mi decido a spostare il fermacarte, facendo attenzione a ricordare il modo in cui fosse stato sistemato quando sono entrato. Sono documenti sulle piantagioni, è registrato il valore del raccolto, la stima del guadagno che Francisco otterrà vendendo i prodotti esotici e pregiati della nostra terra in Europa. Quello che cerco però sono i documenti sui progetti della ferrovia e sul disboscamento, sono sicuro che l'appalto per i lavori sia truccato e che sui soldi che riuscirà a ottenere dalla Corona tratterrà per sé un'ingente percentuale. Se riuscissi a provare che sta gonfiando i costi lo stesso re di Spagna lo rimuoverebbe dal suo ruolo.
Scorro con il dito le carte, dando uno sguardo alla finestra ogni tanto per controllare se il governatore stia arrivando, non mi accorgo che qualcuno ha raggiunto lo studio e mi guarda.
«Cosa credete di fare?», tuona Juan.
Sollevo lo sguardo. La sua figura elegante si staglia sulla soglia. Si è cambiato, e a giudicare dal profumo della sua pelle si è anche tolto di dosso l'odore dell'omega con sui si è rotolato tra le lenzuola.
«Non sono padrone di girare per casa?»
A grandi falcate Juan mi raggiunge, mi prende il polso. «Non siete libero di frugare tra le cose di mio zio, e sopportarne le conseguenze».
Per un momento indugio nel contatto tra le sue dita e la mia pelle, poi mi divincolo. «Sopporto le conseguenze di molte cose», dico sibillino, «non si può dire lo stesso di voi».
«Giusto, credete che io sia un parassita che sfrutta i vantaggi della sua posizione».
«E non è forse vero? Avete deciso di prendermi come compagno senza consultarmi», sibilo.
«Non mi sembra vi sia dispiaciuto quello che è successo nella foresta».
Odio il sorriso che illumina il suo volto. «Lasciatemi da solo», gli intimo.
«Mio zio sta per tornare da un momento all'altro, vi consiglio di tornarvene in camera vostra se non volete essere accusato di furto. Vi assicuro che a un omega, seppur nobile, accusato di un simile crimine da un governatore, non spetta un roseo destino».
Ha ragione, mio malgrado devo abbandonare la mia ricerca. Vorrei solo essere di aiuto a Kal e alla mia isola, ma se finissi sul patibolo non gioverebbe a nessuno, neanche all'alfa che mi sta davanti e che ha progettato la nostra unione. Cerco una risposta mordace, ma Juan aggira la scrivania e rimette il fermacarte al suo posto, scrupolosamente, come se anche lui avesse prestato attenzione alla disposizione degli oggetti in questa stanza, come se avesse fatto prima di me quello che ho fatto io oggi. Non è possibile, a lui non interessa cercare prove contro suo zio, a lui interessa solo avere me o un omega alla locanda per sfogare i suoi istinti. Vorrei urlarglielo, ma il trotto di cavalli e il cigolio delle ruote di una carrozza mi fanno morire le parole in gola.
Il governatore è arrivato e non mi resta altro da fare che uscire dallo studio.
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