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Parte 11 - Lev, disprezzo

LEV

Juan indossa un rendigote cremisi e un gilet dello stesso colore. Il cravattino di pizzo è appuntato con un cameo. Da quando lo conosco è la prima volta che lo vedo vestito in siffatta tenuta. Il vestito aderisce al suo corpo e se da un lato copre la pelle abbronzata del suo petto, dall'altro sottolinea la sua figura slanciata e i muscoli delle sue cosce.

Deglutisco e mi costringo a distogliere lo sguardo. Non devo dimenticare che dietro le fattezze di questo angelo bruno si nasconde il nipote del crudele governatore, e che in comune hanno il sangue e l'indole. In fondo, Juan ha deciso di prendermi come compagno senza consultarmi, segno che non ritiene importante la mia opinione. Se non fossi stato l'erede dei Vieln mi avrebbe trattato come ha fatto Ramon.

Lo vedo in cima alla scala. Mi porge il braccio.

«Siete molto bello», mi sussurra.

Il suo profumo invade le mie narici, mi inebria per un momento, ma mi riprendo subito. «Non posso dire lo stesso di voi», mento.

Un sorriso increspa le sue labbra. «Lo immaginavo».

Infilo il braccio sotto al suo. Scendiamo la salinata che conduce al salone. Le luci dei candelabri si riverberano sui cristalli dei lampadari e dei soprammobili. I quadri di paesaggi e scene domestiche sono illuminati a giorno. Apprezzo i colori tenui, i ricami degli arazzi, ma la bellezza di questa sala non riesce a distrarmi dal nervosismo che affiora sulla mia pelle.

Il vociare degli alfa è come lo stridio che ferisce le orecchie e il mio orgoglio. Eccoli lì i complici del governatore, coloro che hanno approfittato della loro posizione per rendere gli omega né più né meno che schiavi. Gli occhi dei loro omega sono bassi e non riescono a nascondere dietro i sorrisi di circostanza la sofferenza di non avere più scelta. Riconosco alcuni giovani che frequentavano la mia casa quando ancora l'isola era un angolo di paradiso, non hanno più la stessa luce negli occhi di quando progettavano il futuro insieme a me e ai nostri amici. So che molti di loro non avrebbero voluto avere un compagno, e adesso li vedo con il ventre gonfio in attesa dei bambini che dovranno proseguire la dinastia dei nobili alfa.

Sento addosso gli occhi degli alfa, il modo in cui cercano di esplorare il mio corpo. Se non fossi un nobile non esiterebbero a... Mi mordo le labbra.

«Tutto bene?», mi domanda in un sussurro Juan.

«Certo», mento.

«Nessuno potrà toccarvi adesso, non vi preoccupate».

«Non mi toccheranno per rispetto a voi, non alla mia persona».

Gli occhi di Juan si adombrano. Sa, dunque, che tutto questo è ingiusto? Non posso pensarci oltre. Il governatore ci viene incontro, e con il suo sorriso mellifluo ci introduce agli altri, parla della mia nobile stirpe come se non avesse tentato di infangarla solo qualche settimana prima quando mi ha chiamato per soddisfare le sue perversioni.

La cena è sontuosa. A tavola ci viene servito stufato di pesce con latte di cocco, selvaggina, fette di platano fritto, panini al formaggio. Nelle brocche d'argento tremola vino, guaranà, acquavite. Il guaranà mi lascia in bocca un dolce sapore fruttato, ma il resto lo mangio a stento, tra le occhiate di frustrazione che mi rivolge Francisco e quelle curiose degli altri alfa.

«Dove vi eravate nascosto?», mi domanda uno di loro.

Francisco interviene: «Il giovane Levian è appena tornato da un viaggio, il Grand Tour, sapete, a cui anche i giovani omega hanno diritto, dopo tutto».

Guardo Juan per capire se abbia intenzione di rettificare questa palese bugia, ma il suo viso rimane impassibile, mentre le dita accarezzano il bicchiere di cristallo colmo di vino rosso. Immagino che dire a tutti che mi hanno scambiato per un comune omega e maltrattato fino ad ora non sia molto lusinghiero per loro.

Un altro alfa mi rivolge uno sguardo penetrante, accanto a lui un giovane omega sta in silenzio. Un tempo parlavamo anche noi alle cene, di politica, di arte, di quello che ci veniva in mente. Poi è arrivato Francisco e ha imposto a tutti di trattare gli omega come oggetti, facendo leva sull'odio più o meno velato che tanti alfa avevano per noi. Mi domando come funzionino le cose in Europa, se Juan ha mai costretto un omega a fare quello che non voleva.

«Non siete ancora stato marchiato», dice l'alfa che mi stava guardando. La conversazione a tavola si arresta improvvisamente. Sono sul punto di alzarmi e mandare tutti al diavolo, ma prima ancora di voltarmi verso Juan sento che sta provando la mia stessa irritazione. Lo vedo stringere un tovagliolo, rivolgere uno sguardo di fuoco all'alfa che ha parlato.

«La tua curiosità è mal riposta e fuori luogo», comincia, la voce imperiosa di chi non vuole essere contraddetto. «Faremo tutto a tempo debito. Io e Levian non abbiamo fretta, e poi lui non va da nessuna parte. Il suo posto è accanto a me».

L'alfa ci offre un sorriso stentato e non osa proferire un'altra parola. La conversazione riprende, mentre io non so se ammirare Juan per aver zittito quell'impiccione o se odiarlo per aver ancora una volta pensato di poter disporre di me come vuole. Il marchio... Nali mi ha parlato anche di questo. Con lei parlavo di tutto, e non perché non amassi mia madre, ma perché con Nali cadeva il velo di timidezza e pudore che mi impediva di parlare a mia madre di determinati argomenti. Nali mi ha detto che se il marchio viene dall'alfa a noi predestinato e che noi amiamo, è un momento di gioia assoluta, il momento in cui le anime dei due amanti si fondono e restano legate per sempre.

«State forse bevendo troppo?», mi sussurra Juan, notando il mio rossore.

«Non siate ridicolo», replico e mando giù un sorso di acquavite. È dannatamente forte e mi brucia la gola, come accidenti fa Juan a berla come fosse acqua fresca?

Carlos serve il dolce, e Francisco decide che questo è il momento di monopolizzare la conversazione. «Vi chiedo di seguirmi di là, cari ospiti», fa un cenno verso lo studio, «ho una pregiata bottiglia di gin, e ci sono argomenti che annoierebbero i vostri consorti».

Politica, ecco a cosa si riferisce. Gli alfa finiscono gli ultimi bocconi del dolce al cocco, poi si alzano, lasciando senza dire una parola gli omega seduti. Io non ho intenzione di seguire il loro esempio. Senza farmi vedere mi alzo.

«Dove vai?», mi ferma un omega, lo sguardo preoccupato. È l'omega che frequentava casa mia.

«Come fai a sopportare tutto questo?», replico.

Lui scuote la testa. «Non è facile per nessuno. Un omega che disubbidisce, anche se nobile, rischia molto».

Mi divincolo dalla sua presa. Non ho niente da perdere, e non rimarrò senza fare nulla davanti agli uomini che vogliono rovinare le nostre vite. Mi avvicino di soppiatto allo studio. Hanno lasciato la porta aperta, allora mi nascondo dietro lo stipite, la schiena appiccicata alla parete. Riesco a dare uno sguardo all'interno: gli alfa sono in piedi, un bicchierino di gin in mano, attorno alla scrivania di Francisco. Il governatore mostra loro delle carte. Progetti, ambiziosi e crudeli, come tutto quello che riguarda la sua persona. Respiro piano, timoroso che si accorgano della mia presenza.

«La foresta non è che un impaccio allo sviluppo di questa isola», dice Francisco, «di quante palme e alberi di cacao abbiamo bisogno ancora?»

«E di quanti banani e manghi?», gli fa eco un altro, ironico.

Cerco con lo sguardo Juan. Stringe il suo bicchiere tanto da lasciare sul vetro le sue impronte e farsi diventare le nocche bianche. Da qui sento il suo odore, non solo l'acqua di colonia, ma qualcosa di più profondo, è come se percepissi la tempesta che gli agita l'animo. Non è dunque d'accordo con il piano scellerato di suo zio?

L'uomo continua a illustrare il suo progetto, vuole abbattere alberi, uccidere l'ecosistema, costruire una grande ferrovia. Gli occhi di Juan incrociano i miei. È un momento che sfugge agli altri, ma che riesce a farmi sentire qualcosa nello stomaco: il principio di un legame a cui voglio sfuggire a tutti i costi. Mi appiattisco di nuovo contro la parete.

«Scusate», sento Juan dire agli altri.

Allungo il passo verso la finestra che dà su un balconcino. Esco, e lascio che il vento mi accarezzi la pelle. Lontano, sotto la scogliera sui cui è stata costruita questa casa, ruggisce il mare. Stanotte porta con sé l'inquietudine delle creature che lo abitano, così mi raccontava Nali per spiegare le insolite onde del nostro oceano.

I passi di Juan mi seguono, rimbombano nel mio petto. Inspiro a lungo per calmarmi. Juan si è accorto di essere stato visto e non ne sarà felice.

«Avete ascoltato tutto?», mi domanda, la voce profonda e imperiosa.

Sento il suo odore avvicinarsi, poi vedo le mani posarsi sulla balaustra. Noto un anello che adorna il suo dito indice, è un cerchio d'oro sormontato da uno smeraldo.

«Vostro zio è un folle», gli dico.

«Dovete fare più attenzione quando parlate». Smette di guardare la fazenda che si stende sotto di noi e si volta verso di me.

Le sue parole dovrebbero farmi paura, ma sento solo la sua amarezza. Odia suo zio, adesso ne sono sicuro.

«Cosa ci fate qui?», gli domando.

«Non solo gli omega sono costretti a fare cose che non vogliono».

«E a cosa sareste costretto voi? A vivere dei frutti del governo di vostro zio? A rastrellare omega non nobili per portarli a lavorare nella vostra fazenda?»

Mi prende il volto tra le mani. I suoi occhi scrutano dentro il mio animo, cercano forse la chiave per piegarmi alla sua volontà. Trattengo il fiato, in attesa di un bacio con cui Juan è pronto a farsi ubbidire. Non arriva, e una parte di me che non voglio ascoltare né è delusa.

«Dove eravate quando siete stato catturato?, mi domanda invece.

Abbasso lo sguardo, per impedirgli di vedere la mia sofferenza. «Mi ero rifugiato in un altipiano, nella parte interna dell'isola. Vivevo in una capanna con mia madre e...» Non riesco a proseguire, quando penso a lei lì da sola mi si spezza il cuore.

«Le hanno fatto del male?», gli occhi di Juan si accendono ancora di sdegno.

«Non lo so. Mi hanno assicurato di no, ma lei è lì, senza nessuno che possa aiutarla. I miei fratelli sono partiti per l'Europa prima che vostro zio arrivasse e di loro non ne abbiamo saputo più nulla. Mio padre, invece, ci ha lasciato prima».

«Mi dispiace. Mio zio controlla la posta, quello che esce e quello che entra. Per questo, immagino, non avete avuto più notizie di loro».

Mi sento sollevato, ma anche triste al pensiero che i miei fratelli non sono tornati di persona a controllare cosa stesse accadendo.

«Venire qui non è facile», mi dice Juan, come se mi avesse letto nel pensiero.

Sento la sua pelle calda contro il mio volto. La luce del corridoio illumina appena i suoi zigomi scolpiti, le labbra piene. Gli occhi rimangono due gemme enigmatiche che riescono a zittirmi, almeno per un po'.

«Lev», dice piano, «mi dispiace per quello che vi è successo».

«Ma non mi lascerete andare», lo anticipo, «non sono che un vostro schiavo, solo con la possibilità di posare il capo su un giaciglio più morbido degli altri».

Juan si allontana, il contatto tra noi è svanito. «Cosa vorreste fare?»

È la mia opportunità di rivedere Kal. «Vorrei scendere tra le capanne degli omega, dire loro che non sono sparito nel nulla».

Il silenzio tra noi è rotto solo dalle onde che si infrangono sulla scogliera. Stringo i pugni, in attesa di una sua parola. Odio dover dipendere da lui, odio che non dica a suo zio cosa pensa dei suoi metodi. Se ne sta zitto, forse permetterà a quell'uomo di uccidere i nostri alberi perché è più facile stare in silenzio e godere dei privilegi della sua posizione che parlare.

«Andate», mi dice.

Rimango per un attimo perplesso davanti alla sua improvvisa arrendevolezza. Credevo che mi avrebbe obbligato a tornare dentro, tra i consorti omega confinati del salone. Gli volto le spalle e arrivo fino in cucina, so che lì c'è una seconda uscita che dà sul cortile e che permette di raggiungere le capanne.

Corro fino alla palma dove io e Kal siamo soliti incontrarci. Lo faccio per non avere la tentazione di voltarmi indietro a guardare il balcone. Cosa me ne importa se Juan mi sta osservando o se è tornato dagli altri? Cosa mi importa di lui?

La schiena contro il tronco di un albero, vedo Kal seduto a gambe incrociate. Sto per chiamarlo, ma poi temo che Ramon spunti da qualche parte, in fondo perché dovrei credere che Juan l'ha fatto arrestare? Un brivido mi scuote, pensare a quell'animale mi stringe lo stomaco, mi sembra di risentire le sue mani sul mio viso, sul mio petto...

«Lev, sei tu?», Kal mi riscuote dai miei pensieri. Si alza e mi viene incontro. Poi il suo sorriso si spegne, ha visto il modo in cui sono vestito. «Ti hanno scoperto».

Istintivamente mi porto una mano al petto, sul punto dove si trova il segno della mia dinastia. «Ramon, lui...» Gli occhi si riempiono di lacrime, quando smetterà di farmi male il ricordo?

«Cosa è successo?», domanda Kal, la voce tinta di preoccupazione.

«Juan mi ha sottratto a lui, e adesso sono suo prigioniero. No, non mi ha toccato... per il momento».

«Il tuo posto è accanto a un alfa, lo sai».

«Come puoi dirmi questo?»

Kal mi prende per le spalle. «Sei l'erede dei Vieln, dimentica le tue fantasie di ragazzo, Lev. Vorrei solo che lui ti trattasse bene», pronuncia le ultime parole con voce dolce. Nei suoi occhi scorgo il rimpianto di non poter essere il mio compagno.

«Quella notte, quando Ramon mi ha aggredito, credo di aver chiamato il tuo nome...»

Il suo viso si contorce in una smorfia di dolore. «Non ti ho sentito».

Capisco in quel momento che Juan è arrivato perché ha sentito il mio odore, il mio dolore. Eppure non posso amarlo, il mio orgoglio e la mia dignità non me lo permettono.

«Dobbiamo davvero rassegnarci a questo?», domando.

Kal scuote la testa, lascia andare le mie spalle. «Mi sono mai rassegnato a qualcosa? Ti ricordi cosa ti ho detto quando ti ho visto qui la prima volta? Prima che i fiori di cacao si trasformino in frutti tutto cambierà».

Un uccello notturno svolazza tra i rami. Kal si zittisce, e dal modo frenetico in cui si guarda attorno capisco che sta tramando qualcosa e che può essere pericoloso».

«Lascia che ti aiuti», lo prego.

«No. Il tuo posto non è accanto a me. Non metterei mai a rischio la tua vita. Ti sono amico e lo sai».

Amico. Una parola preziosa che per noi due significa condanna. Un omega non ha bisogno di un amico, ma di un compagno e io faccio fatica a rassegnarmi al fatto che non sia Kal. «Il governatore controlla la posta che esce dall'isola», gli confido allora, sperando di essergli utile.

Mi sorride. «E questo lo hai scoperto da solo?»

Mi mordo le labbra. Non voglio dirgli che è stato Juan a rivelarmelo.

La luce della luna sta sbiadendo, le stelle la seguono a ruota. Il cielo sta per schiarirsi. Non ho bisogno che Kal dica niente: è il momento di separarci ancora.

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