JAMES II - Al peggio non c'è mai fine
Lo scienziato fece il suo ingresso nella locanda con la fierezza tipica dei Marof e con la solita grazia che contraddistingueva... beh, solamente lui.
Il posto si chiamava La Luna Storta – un nome losco, su cui nessuno avrebbe potuto avere a che ridire in una città di furfanti come Vyen'arya. Nel vecchio regno di Epohyen, prima della leggendaria scissione tra Chev e Lyede, il simbolo della luna rovesciata era stato lo stemma di una delle dodici potenti casate riunite intorno ai Nestvar, i sovrani discendenti dalla Natura. La mezza luna capovolta, con le sue punte rivolte a sinistra, aveva rappresentato gli Indovini. Zadrya, si erano chiamati – i signori delle terre confinanti con Orwey, abbastanza vicine all'Isola di Nest da mantenere un profondo legame con i Nestvar, ma non così tanto da assicurar grande prestigio alla casata.
Di certo non avevano mai raggiunto la fama dei Marof.
Ancora adesso, in quel regno in rovina, la locanda ostentava il simbolo degli Zadrya. Era il segno che l'ira di Luiss III di Chev non si fosse ancora abbattuta su Vyen, o in quegli angoli remoti del regno. Evidentemente sua maestà aveva ancora del lavoro da fare per finire di piegare al suo volere Perilus Bramoi, l'attuale sovrano di Lyede, che ancora si ostinava a sbandierare vecchie tradizioni.
Se Luiss venisse a saperlo li scuoierebbe vivi.
Non gli sarebbe giunta voce da James, però. Dopo che l'aveva mandato lì, una qualche vendetta personale lo scienziato doveva pur tenersela...
Una volta dentro la locanda, il Marof avanzò tra i tavoli con sguardo fiero, rimanendo però bloccato sui propri passi dopo pochi istanti. La Luna Storta era completamente vuota.
Le tavolate erano spoglie, sparse nell'ampia sala sul cui fondo svettava un palchetto che, James immaginava, avrebbe presto ospitato file di schiavi all'asta. Ora, tuttavia, il locale era pressoché sgombero da qualsivoglia forma di vita, ravvivato solo da pochi omoni addossati ai lati della sala, che lo sbirciavano con la coda dell'occhio. Solamente uno di loro lo fissava apertamente: due occhietti stretti a fessure sopra una folta barba scura che gli donava un aspetto burbero e prepotente, mettendo in risalto una sfida celata nello sguardo.
Sarà lui...?
James gli si avvicinò con tranquillità, esordendo solo una volta raggiunta la tavolata: «Creòn, immagino... della Banda della Luna?»
Il burbero dagli occhietti stretti sorrise, mostrando una fila di denti storti con ferocia e mettendosi in piedi con un movimento fluido che colse James di sorpresa. Allungò una mano larga nella direzione dello scienziato, mettendo così in bella mostra il tatuaggio del lupo che ululava alla luna sul suo polso.
«Tu devi essere il Marof, invece.»
Un'occhiata - bastava quello per la maggior parte delle persone, per accorgersi di chi o cosa fosse James. Serviva giusto una scorsa ai suoi occhi, neri come le notti più buie, e al tatuaggio che gli percorreva la metà sinistra del viso racchiudendo l'essenza della sua magia nelle profondità della pupilla.
Era più che riconoscibile grazie a quell'ultimo stigma: una fiamma dai colori rosso e oro... una lingua di fuoco che un tempo aveva rappresentato la casata più vicina ai Nestvar per successione, gli unici consiglieri a cui i leggendari sovrani avevano accettato di portare un briciolo di rispetto.
I Marof, la famiglia di cui James portava il nome e l'eleganza.
E i più barbari non perdono occasione per schernirla... inutili idioti.
Il giovane si sedette sulla panca direttamente di fronte al burbero, sopprimendo un sospiro afflitto e studiando ogni movimento del brigante. Un'occhiata alla sua destra e vide alcuni uomini unirsi a loro, uno dei quali giovane e dalla testa rasata, un braccio scoperto a mostrare una ragnatela di profonde cicatrici.
James si mise comodo, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza. Era arrivato il momento di contrattare.
«Quindi è vero quel che si dice» ridacchiò Creòn di fronte a lui, un sorriso meschino in volto. «I nobili Marof... cani da guardia del re sbagliato.»
Non era la prima volta che James si sentiva rivolgere frasi simili. Dopo anni passati alla corte di Chev, a piegare il ginocchio per i Darui, si era dovuto abituare a certe battutine... ciò non frenava però il turbamento che provava ogni singola volta che il suo passato tornava a galla con svariate allusioni.
Al contrario, odiava profondamente quelle affermazioni, ma cercò di non darlo a vedere al tavolo delle trattative. Piuttosto rimase indifferente, stoico. "L'indifferenza è l'arma più potente", gli aveva insegnato il Maestro Mitte quando, da piccolo, era stato incline a esplosioni di rabbia e azzuffate verso chiunque si lasciasse sfuggire un insulto di troppo sulla sua casata e la nobile storia che li aveva contraddistinti. Dopo la morte dei suoi genitori, in fondo, era rimasto solo lui a portare alto quel nome, a difenderlo dalle malelingue e il disonore che alcuni Marof avevano gettato sulla loro dinastia.
James rispose al sorriso dell'uomo con il proprio, carico di fascino e sicurezza, le braccia incrociate sul tavolo. «Non perdiamoci in inutili ciance, mercenario... cos'hai per il mio re? Dev'essere qualcosa di straordinario per esserti guadagnato le attenzioni di Luiss III.» Si sporse in avanti, continuando con voce melliflua: «Informazioni interessanti... o semplici dicerie?»
Creòn, contro tutte le aspettative dello scienziato, rispose al suo sguardo indagatore con una risata sommessa, rilassandosi sulla panca e squadrando gli uomini radunati intorno a loro. «Sentitelo, come suona pomposo. Un cane nobile.»
I briganti sghignazzarono, alcuni scuotendo la testa e altri ordinando nuovi boccali di birra, forse per godersi meglio lo spettacolo. Il proprietario della locanda non tardò ad arrivare, portandosi dietro una donnina dalle forme provocanti – la moglie, dedusse James, dal modo in cui seguiva il consorte bisbigliandogli in un orecchio con familiarità e aria seccata.
«Mi chiedo se nel sangue di voi cani nobili scorra arroganza liquida o semplice ingenuità» stava continuando intanto Creòn, fissando la donna con sguardo lascivo. Quella agitò un braccio con aspettativa verso il marito... almeno, finché non colse lo sguardo curioso di James. A quel punto la locandiera si raddrizzò, virando e cambiando direzione proprio all'ultimo, piegandosi verso lo scienziato e mettendo bene in mostra le proprie beltà.
Gli porse una pinta di birra strappata al tentativo del compagno di porla a un altro cliente, sfiorando la spalla del giovane e sorridendo provocante. «Offerta della casa» mormorò melliflua.
James la ringraziò con un bacio leggero sul dorso della mano, parlando a un soffio dalla sua pelle. «Vi ringrazio, mia signora.»
La guardò mentre correva via arrossendo come una ragazzina, sotto gli occhi dei briganti che fissavano James con nuovo rispetto. La donna, potevano sentirla da lì, era tornata a rivolgere lamentele al marito – se possibile ancora più veementi di prima.
James sorseggiò il liquido ambrato, scrutando un Creòn estremamente seccato da sopra l'orlo del boccale. «Dicevi?» lo incitò a proseguire, sporgendosi nuovamente in avanti.
«Arroganza» capitolò il mercenario. «Dev'essere quello che accomuna voi cani nobili.»
Il ragazzo non perse il sorriso. «Gli affari» sottolineò, riportando il discorso al motivo per cui si trovava lì, a dividere l'aria con sporchi briganti. Da un lato era irritato al pensiero di quel compito infame, ma dall'altro una parte di lui era ormai incuriosita abbastanza e, dovette ammettere, anche un tantinello divertita.
Cosa poteva avere da spartire il suo re con quei delinquenti da quattro soldi?
Creòn fece cenno alle spalle di James e la barba folta si mosse con lui, seguendone i movimenti bruschi.
Un piccolo tonfo li raggiunse e lo scienziato si voltò a vedere la porta della locanda spalancarsi, accogliendo sulla soglia un uomo di mezza età, dall'aspetto malridotto. Aveva mani giunte, strette insieme da una spessa fune; il viso era gonfio, probabilmente a causa delle percussioni subite. Era fiancheggiato da un paio di uomini della Banda della Luna che ostentavano il proprio tatuaggio avanzando verso la tavolata.
Da vicino James poté osservare meglio il vecchio e i suoi occhi, del colore della cenere. Erano sporchi d'ira, ma cauti e stanchi sotto il desiderio di ribellione. V'era una luce intelligente in quello sguardo, fisso su di lui e sulla fiamma sul suo viso. Il prigioniero doveva aver capito chi fosse James, ma non emise neppure un suono mentre gli uomini di Creòn lo spingevano a sedersi accanto al mercenario che, con una risata bassa, gli batté una pacca sulla spalla.
L'uomo si irrigidì, forse a causa di ferita nascoste dagli indumenti o, più semplicemente, alla prospettiva di cosa sarebbe accaduto di lì a breve.
Era lui il motivo per cui il re aveva deciso di dirottare il viaggio di James? Il ragazzo moriva dalla curiosità, ma non voleva mostrare debolezze a quei bifolchi.
Attese che fosse il mercenario a parlare.
«Lascia che vi presenti» esordì infatti il brigante con teatralità. «Marof, questo è il Sincero... o preferisci che ti chiami il Roccioso, vecchio mio? Anche se dopo tutto questo tempo non hai un aspetto granché duro. Oh, per tutti i canti della Natura, avrai già capito a chi mi riferisco, non è vero ragazzo?»
James lo aveva realizzato al primo appellativo, ma si era costretto a trattenere qualsiasi esclamazione a fior di labbra.
Fidel Arcante – il Sincero, il Roccioso. Quella banda di idioti aveva messo le mani su uno dei pochi uomini che per secoli erano riusciti a sfuggire alle ire della dinastia Darui e dell'intero regno di Chev, facendo perdere le proprie tracce oltre il mare, tra le foreste delle terre di Delerre, sul golfo occidentale del loro mondo. Quella di fronte a James era una presenza che aveva gravato per anni sulle spalle di Luiss III Darui, il quale non aveva mai smesso di perseverare in ciò in cui i suoi antenati avevano fallito: uccidere l'ultimo superstite della famiglia Arcante, i Signori della Spada.
C'è riuscito, lo ha trovato.
Adesso... adesso James avrebbe dovuto portare Fidel al cospetto del re, conducendolo verso una morte da cui era sfuggito per secoli. Dopo un'eternità in fuga, sarebbe stato l'ultimo erede dei Marof a distruggere per sempre la casata gemella degli Arcante, per ordine di un Darui.
Allo scienziato non sfuggì l'amara ironia del suo sovrano, che aveva scelto proprio lui per quel compito. Sangue del suo sangue, avrebbe dovuto condannare Fidel una volta per tutte.
Lo fa per essere certo della tua lealtà, si disse. Vuole vedere fino a dove sei disposto a spingerti in suo nome.
E James lo avrebbe fatto – avrebbe seguito la strada tracciata dai suoi genitori, gli stessi che avevano dato la vita per Chev, per quel re. Il giovane non li avrebbe delusi, anche se gli fosse costato tutto l'orgoglio che aveva. Ci sarebbe stato tempo per ricostruirlo, in seguito.
«Hai perso la lingua, Marof?» lo prese in giro Creòn tra le risate degli scagnozzi. In tutto quello, Fidel non aveva ancora staccato gli occhi da James, studiandolo come a carpirne ogni minimo dettaglio.
Quasi. Lo scienziato aveva quasi perso la lingua. Di certo, da ora avrebbe fatto più attenzione a cosa gli fosse sfuggito di bocca. La situazione stava prendendo una piega che non poteva ignorare. «Pensavo, brigante» rispose lui, cercando di tenere a bada l'insicurezza che minacciava di farsi strada nella voce. «Se potermi fidare di ciò che dici.»
Menzogna, ovviamente. James aveva riconosciuto subito la verità - il portamento con cui, anche se malmesso, Fidel aveva tenuto il capo alto avanzando verso il loro tavolo. Quello stesso portamento poteva appartenere solo a chi aveva conosciuto la nobiltà; quegli occhi bigi che tante volte erano stati decantati nelle taverne di tutte le Terre del Tempo, potevano brillare d'argento solo sul viso di un Arcante.
Creòn sorrise appena, ordinando un boccale di birra anche per il nuovo arrivato. Questi lo squadrò con la coda dell'occhio con fare imperturbabile, tornando poi rapido a fissare James.
Ha uno sguardo troppo intenso, il vecchio...
Il mercenario afferrò la mano destra del Sincero, capovolgendola sul tavolo e mostrandogli il palmo solcato da una spessa cicatrice, tatuata da forme e ghirigori che James non riconobbe.
Lo scienziato aggrottò le sopracciglia, attendendo una spiegazione.
Fortunatamente, non tardò ad arrivare. «Il nostro amico, qui, ha stretto un legame di sangue. Grazie alla Prima Magia.» Creòn fissò James in modo significativo. «L'ho visto con i miei stessi occhi. Chi altro potrebbe fare un uso simile di magia in un regno come il nostro?»
Il ragazzo si limitò a fissarlo senza capire. Con nonchalance piegò la propria mano destra sotto il tavolo, lanciandosi un'occhiata al palmo e trovandovi solo pelle ruvida per il troppo manovrare pozioni.
Non c'era assolutamente nessun segno, lì, dove aveva stretto il legame con il Principe.
La cosa lo turbò, ma distolse in fretta lo sguardo dalla propria mano. Aveva creduto fossero leggende quelle narrate sull'unione che legava due persone con un patto di sangue. Leggende e niente più. Eppure, davanti a sé poteva vedere una di quelle storie prendere vita: il marchio indelebile del legame, impresso sulla pelle del Roccioso.
Che Creòn stesse mentendo?
«Dimostrami che questo...» James indicò vagamente il palmo dell'Arcante. «... sia reale, e non un semplice scarabocchio con cui cerchi d'ingraziarti il mio re. Con chi l'avrebbe stretto questo legame?»
«Non era nostro compito recuperare anche lui. Il mocciosetto è fuggito.»
James sorrise mesto, concentrando in quell'unico gesto tutto lo scherno che poteva convogliare. «Per quel che ne so potrebbe essere tutta una tua fantasia per far contento il mio Signore e intascarti una bella somma.»
«Fingerò di non aver sentito, Marof. La Banda della Luna non mente mai alla luce della sua signora.»
Quei barbari erano veramente ridicoli. James adocchiò il soffitto in legno della taverna, facendo spallucce. «Non vedo lune qui sopra.»
A quelle parole, lo stridio di una lama sfoderata risuonò nella locanda e lo scienziato chinò il capo a osservarne la fonte. Il ragazzino di prima, quello dal capo rasato, lo fissava impassibile, rigirandosi due daghe tra le dita.
Pensa di intimorirmi? Lo scienziato gli rivolse una smorfia poco convinta, sbuffando. «Non credere di poter far nulla con quei coltellini, ragazzo, o dovrai pagarne le conseguenze al re» lo apostrofò, tornando poi a scrutare il mercenario e prendendo una decisione. «E sia, barbaro. Consegnami il vecchio - che il re possa decidere di persona, e ti verrà dato ciò che ti spetta.»
Inaspettatamente, Creòn si accigliò e finse stupore. «Tutto qui? Non era questo ciò che ci ha chiesto il tuo signore, Marof. Ma...» Un sorriso sprezzante gli sfuggì, e James ne fu vagamente disgustato. «Non dirmi che il re ha preferito tenerti all'oscuro della cosa.»
Silenzio.
Purtroppo, temeva di sì. Il suo re non gli aveva riferito un bel nulla, ma James non avrebbe dato a dei banditi la soddisfazione di gustarsi la sua amarezza. Fino a quel momento era riuscito a intuire passo dopo passo tutti i sottintesi della conversazione, ma dalle parole del mercenario traspariva ancora qualcosa che lo scienziato non avrebbe potuto cogliere senza una chiara spiegazione.
Pazienza, James. Pazienza e cognizione di causa.
Cercò di non rispondere subito, ma alla sua esitazione Creòn scoppiò a ridere di gusto. Batté nuovamente una mano pesante sulla spalla di Fidel e quello si irrigidì più di prima, attirando le risatine dei mercenari intorno alla tavolata. Lo scienziato si ritrovò a chiedersi quanto malmesso fosse veramente l'uomo, e cosa gli avessero fatto durante il tragitto.
Poi seguì l'inaspettato e, insieme a quello, una breve realizzazione che rese la notte ancora più assurda di quanto non lo fosse stata fino ad allora.
Al peggio non c'è mai veramente fine.
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