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Capitolo 22

NY, 2016.

Dicono che il picco massimo dell'attenzione si raggiunge dopo cinque minuti d'ascolto, dopodiché ci si sposta in un regime medio-alto e a dieci, pur non volendo, si scende rovinosamente: lo hanno studiato e dimostrato fior fior di scienziati, in fondo; ma Lindsey è seduta da mezz'ora e, con le gambe incrociate sotto il ripiano della poltroncina universitaria, sembra non dare segni di cedimento. Il mento alto e le orecchie ben aperte, veste un completo anonimo come tutti i presenti. A stento batte le palpebre, bambola celtica: con il volto pallido e lentigginoso, con gli occhi di miele e il collo lungo. Non guarda nessuno, se non l'uomo che ormai trentun minuti fa si è presentato come Gregory Fitzpatrick e le dà le spalle nell'aula magna.

Qualcuno rumoreggia con la mina sulle pagine di un quaderno chiuso, altri la picchiettano sui fogli e altri ancora, con la biro, disegnano scenari surrealisti, geometrici, concentrici, per soffocare la noia tra un quadretto e l'altro.

Lei no. Abituata a vagare con la mente, tende rami invisibili sulle mura circolari e, pur restando ferma, si arrampica fino al proiettore che, nuovo, è stato interamente pagato dalle casse dello Stato. "Da Nathan Walker", si annota, "perlomeno questo è quello che piace credere alla gente, quello che ha detto Gregory".

«Usciti di qui, voi tutti sarete delle macchine», aggiunge tonante, impettito, «conoscerete strade, armi, espressioni facciali e volti; sì, volti: quelli più noti, s'intende», e abbassa la voce, si stringe nelle spalle, minimizza solo perché nessuno ha il coraggio di porre una domanda qualsiasi. Dunque lo chiede: «Ci sono domande?», ma non attende neppure un attimo, «Se non ci sono domande possiamo continuare». È frettoloso, con la pelle bruciata da vecchie estati caraibiche e baffetti arricciati, capelli brizzolati, mento squadrato. Si avvicina al portatile, siede dietro la lunga scrivania e slaccia l'unico bottone ancora nell'asola della giacca tartan. Un colpetto sul touchpad, il polpastrello che scorre e la punta argentata che si muove in modo circolare sulla tenda non più bianca.

Lindsey segue il puntino, osserva lo sfondo con le montagne innevate, illuminate, e immagina il suono dei click: un paio, forse anche tre o quattro, perché Gregory si gratta la nuca con fare nervoso e butta fuori uno sbuffo che va a sbattere frustrato sul microfono.

«Allora...», riprende, «... Immagino che nessuno di voi avrà niente da ridire sul fatto che siamo in qualche modo connessi alle scimmie, no?», e si ferma, apre un documento, lascia che il proiettore presenti due primati. Tolti gli occhiali, si massaggia il viso con i polpastrelli e mugugna nel microfono: «Certo, la teoria di Darwin ci ha fatto credere di averle come parenti, ma non è proprio così: la mamma e il papà sono sempre stati la mamma e il papà». Riprende gli occhiali, sbuffa. «E no, per quanto mi dispiaccia deludere le aspettative dei credenti, non c'è nessun Dio con la creta in mano». Li infila, picchietta sulla freccia destra e manda avanti la presentazione. «Tutta questa premessa serve per divi che oggi parleremo del sorriso». Una sfilza di foto a seguire, Gregory si ferma e stira le braccia soddisfatto. «Bene», dice, «ci siamo», e ancora, «Ci avete mai fatto caso? Voi, proprio voi. Il sorriso è una cazzata. In natura si mostrano i denti per rabbia e per gioco: "Sono cattivo: vai via o ti sbrano!", "Sono tranquillo, sono scemo, gioca con me"». Solleva le mani e le agita in stile "Osanna dei cieli".

Qualcuno, dalla prima fila, si fa lascia scappare una risata e sbotta con un: "Non ci credo, che cosa sta facendo?". Contagioso come una macchia d'olio, pare dare alle reclute il diritto o la possibilità di sbattere in faccia a Gregory un'ironia da quattro soldi.

"Non finirà bene": è questo che pensa Lindsey, quando il proiettore presenta una piccola scimmia dal manto marrone e i denti esposti. "Sembra di essere ancora a scuola", perché le risate si moltiplicano e inizia a diffondersi uno squittio di battutine idiote.

«Che dici, Fitzpatrick ama le palle, o solo le palle blu?». Chiunque sia stato, ha alzato troppo la voce.

E Lindsey lo sa: ormai è un mantra, una certezza. "Non finirà bene". Inspira piano, sembra in comunione con il creato e sente il futuro che le bussa alle spalle, mentre Gregory sposta la sedia e si ritira dal portatile. Non si stupisce; e perché dovrebbe? Lo osserva in silenzio, a distanza. Inespressiva come una statua, pensa: "Sono innocente e lui lo sa", perciò non scappa e non alza neppure le mani come per pregare Dio, quando Gregory chiede:

«Chi ha selezionato dei volgari esseri umani come voi?».

Nessuno risponde, ma ognuno di loro ha una storia diversa: glielo si legge in faccia, e questo irrita parecchio.

Dunque Gregory si schiarisce la voce, manda giù un pesante groppo di saliva e solleva le sopracciglia. Annuisce lento, un piccione a spasso per prati, e ridicolmente mormora: «Capisco». Sta per tornare a sedere, quando solleva un indice e si volta ancora verso le crisalidi apprendiste. «Potrei dirvi che la vostra faccia è quella di una scimmia giocosa, o potrei dirvi che non mi piacciono né le palle umane, né quelle blu delle Chlorocebus, ma in realtà...».

«In realtà gli piacciono», commenta un tipo, prendendo a ridersela con il tale accanto. Un attimo dopo smette; e smette anche l'altro.

Nell'aula magna si ode un suono secco e il rimbombo di uno sparo, perfino qualche urla e delle imprecazioni, che fanno eco agli angoli del semicerchio. Tutti si paralizzano e, rigidi sulle sedute rosse, trattengono il fiato come dinanzi alla scena madre di un film horror. E lui è lì, senza nome: ironico e privo di pentimento, centrale e più fermo di tutti, con i capelli a spazzola e il buco in fronte; la lingua immobile, che non batte più contro il palato e si accascia, gonfia su se stessa, e pende appena all'indietro tra le due arcate ora schiuse e rivolte al soffitto.

Gregory mostra i denti, sorride in un modo tutto suo: la pistola in mano, gli occhi che brillano a mezzaluna dietro le lenti fine della montatura a giorno. «In realtà vi dico che questa è la faccia di qualcuno di cui dovreste avere paura».

I brividi si affollano lungo la schiena di Lindsey, mentre alle spalle si affretta il mormorio di qualcuno che prega l'Onnipotente. "A cosa serve?", si chiede. Deglutisce nervosa, con la gola secca, infine si morde il labbro e tace, s'impone il silenzio, perché Raze le ha detto: "Conto su di te", e non può deluderlo, non vuole deluderlo.

È questo il momento in cui Gregory solleva l'indice della mano libera e, intonando un motivetto a bocca chiusa, si finge direttore d'orchestra. Il piede segue il ritmo sul pavimento, di colpo smette e lui inizia a spostare lo sguardo a destra e a sinistra su tutta la platea. Si sorregge con la pistola sotto il gomito, infine punta il pugno chiuso al mento. «Ma a qualcuno di voi non importa», dice, «O è decisamente impavido, o troppo stupido per stare qui».

Nell'aria si percepisce la tensione, la voglia di fuggire, e qualcuno prova anche a farlo: un paio di ragazzi accanto alla porta anti-panico si alzano furtivi e spingono i maniglioni rossi senza risultati, scoprendo scoprendo così di essere blindati all'interno. Si voltano pallidi, fantasmi di loro stessi, e guardano Gregory. Hanno paura di essere freddato, mentre lui sorride e mostra loro i canini.

«Non voi, ovviamente», li liquida con un gesto veloce.

Sospirano, si addossano alla parete e non dicono una parola. La faccia parla per loro: "È un miracolo se siamo vivi", dice questo, "Vi consiglio di non provarci", "Me la sono fatta sotto", "Stavo per morire d'infarto".

Ma a Lindsey non frega niente, perché non ha intenzione di muoversi dalla poltroncina. "È comoda", pensa e ci sprofonda dentro. Distende le gambe, le stira e fa scrocchiare la caviglia sinistra. "Raze mi ha detto che il suono prodotto è dovuto a una piccola bolla d'aria creata tra un nervo e l'altro...". Sorride tra sé e sé, distante dall'aula magna e chiusa nella casa di Philadelphia. "... Chissà come c'è entrata".

«Qual è il suo numero di matricola?». La voce di Gregory è stucchevole: oscilla tra il divertito e il serio, mentre infila la pistola nella fondina e afferra l'elenco accanto al portatile. «Allora?».

Sentendosi incalzare, il tale in ultima fila sbuffa. Guarda il tesserino, la sua foto, la faccia da triglia che ha fatto davanti alla macchinetta fotografica dello Stato e poi il codice sottostante. «U54-875-PTH».

Gregory annuisce e si appunta qualcosa con la biro blu. «Bene», dice stropicciando il foglio contro il palmo. «Quello del tipo che ci ha lasciati, invece?». Fa un cenno con la testa, rimane in attesa della risposta e poco dopo si schiarisce la voce, solleva le sopracciglia per invitare qualcuno a farsi avanti.

«D67-989-REG», mormora il vicino, ancora sporco di sangue, dopo aver controllato tremante il tesserino del cadavere.

«Perfetto». E tira una riga nera sul codice. «Il suo, invece?», chiede a una ragazza bruna in prima fila.

«Lo ha già dimenticato?», ridacchia lei, «Ma come? Così mi ferisce...».

«Non sono qui per coccolare nessuno, signorina».

«Le ho offerto il caffè, professore».

«E non sono un professore», conclude.

Ed è così che Fitzpatrick passa in un attimo ad assumere le sembianze di Hitler: prima piccolo omuncolo represso, poi assassino di massa; perlomeno questo si legge sul viso di molti. Tuttavia, alcuni non hanno proprio voglia di fare i complottisti e se ne stanno lì, come petroglifi, a guardare il nulla. U54-875-PTH, Uriah Phillips, è il primo: ha i gomiti posati sul tavolino pieghevole e la bocca storta in un'espressione scocciata, perché non sa più "Quando finirà questa pagliacciata?". Dalla parte opposta c'è Lindsey, che a stento è presente a se stessa e continua a muovere la caviglia in un inquietante crack crack.

«G82-358-WKO», si presenta la "signorina" in prima fila. Si arriccia una ciocca bruna attorno all'indice, sposta il tavolino e lo piega accanto al bracciolo destro della seduta. «Greta, per gli amici».

«Non ci sono amici qui». Gregory punta il tappo della biro contro Lindsey, la guarda appena e torna a scrivere veloce sul foglio. Borbotta un: «Accidenti», perché la punta ha bucato e gli ha macchiato il palmo, infine solleva gli occhi e mugugna: «Avanti, non si faccia pregare, signorina».

"Signorina", pensa e se lo ripete a mo' d'insulto, "signorina, signorina...", e torna indietro nel tempo, ai giorni in cui girovagava sola per le strade di Philadelphia, quando le donne sconosciute masticavano frasi come: "Sta' attenta, signorina!". Serra le mani in due pugni chiusi sulle cosce. «Non sono una signorina», dice. "Se Raze fosse qui, cosa mi direbbe?": il primo rimprovero mentale. "Sciocca", si apostrofa con la voce di lui, "Non m'importa, perché non devo stare attenta".

«Davvero?». Gregory batte le palpebre perplesso e si avvicina, sale le scale, raggiunge la fila di poltroncine cui siede Lindsey. Il viso che sporge a brutto muso verso di lei, i denti esposti e ancora una volta pericolosi. «Allora cosa sei?».

Lindsey riconosce il tono. "Sta per ridermi in faccia". Solleva il mento e, senza espressione, sussurra: «Una crisalide».

«Una crisalide». Gregory lo ripete a bassa voce, lo fa per un paio di volte e fa cadere la mano con il foglio, lo stringe tra le dita. Sorride come la scimmia giocosa, copre i denti con le labbra rosee e annuisce. L'espressione che mostra sembra dire: "Certo che lo sei", e dunque non la contraddice. «Numero di matricola?».

«B45-121-RAE».

Annuisce, poi si volta e scende le scale, torna svelto al portatile. Qualche click sul touchpad e spegne lo schermo, lo abbassa. «Dunque...», inizia monocorde, «... B45, G82 e U54 sono pregati di seguirmi».

Uriah sbuffa di nuovo, ma si alza lo stesso. Ha la faccia di qualcuno che vorrebbe restare seduto per farsi una dormita, o comunque quella di chi odia rispondere agli ordini; Greta, invece, stira i muscoli della schiena e si tira su in un balzo felino. Osserva il tale con il buco in fronte, gli punta il dito contro e soffia un bang con le labbra arricciate.

Lindsey li guarda entrambi e resta in disparte. Segue il cordone in silenzio, mentre Gregory Fitzpatrick apre la porta anti panico sul lato opposto a quella blindata dell'ingresso. Ed è lì che, raggiunto il corridoio attiguo all'aula magna, nel buio più pesto, schiude le labbra per chiedere: «Dove stiamo andando?».

Note: Se siete arrivati fin qui, non chiedetemi perché tengo infinitamente a questo capitolo. Il personaggio di passaggio (perché sì, non rimarrà molti capitoli e non è il protagonista) che avete appena conosciuto mi ha dato una scossa nella sua caratterizzazione. Amo la cinesica, così ho voluto dare una lezione base alle reclute. Ma non posso dire altro, è tutto molto, molto, molto fumoso. Scoprirete cosa intendo solo andando avanti e immergendovi un po' di più nei segreti della mente di Lindsey.

NB. Immagine by Mauro Eugenio Atzei ( https://www.flickr.com/photos/20564997@N08 ) is licensed under CC ( per qualunque scopo, anche manipolazione grafica e uso commerciale: https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/?ref=ccsearch&atype=rich ) LINK ACCESSIBILI NEL COMMENTO






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