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Capitolo 10

Portland, 2015.

"È così che ci si muove: decisi, come un corpo unico", e Lindsey, o meglio B, Bishop, se lo ripete sempre. "Sveglia al mattino, occhi aperti alle sei in punto, denti lavati tre minuti dopo e divisa di leva indosso; in piedi per il saluto, con schiena ritta e braccia lungo i fianchi di fronte a Raze, il re bianco". Un mantra, forse addirittura una lista di cose da fare per continuare a essere uno dei due alfieri posti sul lato giusto della scacchiera. Non vuole essere cacciata, scartata e farebbe di tutto per lui, che è l'unica persona strana e familiare mai incontrata. Perché sì, Raze si è preoccupato di trarla in salvo in un momento difficile, improbabile, mentre le raffiche di proiettili rimbalzavano in ogni dove. Seppur con un secondo fine, ovvio. Ma l'ha anche guardata con tenerezza, al di là della stessa montatura pesante che indossava suo padre; e questo non può dimenticarlo Lindsey. Per lo stesso motivo sopporta i noiosi discorsi sulle vincenti strategie di guerra del passato, su Napoleone, sui romani e perfino sui russi. Vorrebbe sbuffare, certo, roteare gli occhi e distrarsi scarabocchiando qualcosa sul foglio che ha davanti, ma non lo fa mai; e poi che cosa potrebbe scarabocchiare? Un nome, forse il suo, o una spirale, magari delle foglie d'ortica accanto a una piccola poesia che non le viene in mente, chissà. Più ci pensa e più picchietta il retro della Biro contro il tavolo. Quasi si aliena, esce dal corpo, si vede da una prospettiva diversa; e così, distante un paio di metri, sa di essere seduta con la testa china, con i capelli rossi e ricci legati in una coda bassa, con un paio di ciuffi ribelli che scappano e scivolano, che si appiccicano alla fronte sudata a causa della corsa fatta un quarto d'ora prima; e sa di avere indosso la solita maglietta a mezze maniche, sa che le braccia non soffrono il freddo, perché è estate, sa che i pantaloni sono troppo pesanti, così come gli anfibi rinforzati; tuttavia non dice niente, non si lamenta.

«Sembra di essere a scuola», borbotta scocciato un tale sulla destra. E non è nemmeno la prima volta che lo dice, forse la quarta o la quinta da quando è iniziato il corso intensivo una settimana fa.

Lindsey sa che ha ragione e vorrebbe dirgli: "Non sembra, cretino, è così", ma non ha voglia né di litigare, né di socializzare; e aprire bocca comporterebbe o l'una o l'altra, perché si troverebbe a dover spiegare a uno scemo come lei che per entrare nel programma si è obbligati a recuperare le ore scolastiche obbligatorie. Dunque storce la bocca e continua a chiedersi: "Come ci è finito qui?". Batte nervosa il tappo della Biro, crea un suono ritmico contro il legno laccato. "Come ci sono finita io qui?". E cerca di ignorarlo il più possibile, con lo sguardo fisso in avanti. Sente scricchiolare piano la pagina del libro di strategia militare, infine osserva le dita di Raze che la voltano. "C'è qualcosa nell'aria", si dice catastrofica, "qualcosa che potrebbe cambiare l'universo da un momento all'altro".

«Ehi, rossa», la chiama il tale sulla destra, «Mi senti?».

Dapprima sussulta, si riscuote dalla trance in cui è caduta, ma poi prova l'impulso di voltarsi, di afferrarlo per i capelli e sbattergli la testa contro il banco, certa che nessuno debba interferire con le spiegazioni di Raze, per quanto noiose possano essere. «Non chiamarmi "rossa"».

«Quindi hai anche un nome».

Una pistola, Lindsey darebbe tutto per una pistola: gliela punterebbe in mezzo alle sopracciglia, o forse tra le gambe, in mezzo alle palle; peccato che a impugnarla non se ne parli nemmeno, perché quella di Raze è un'attenta selezione che precede la domanda d'ingresso per il servizio di sicurezza dello Stato. "E non si possono fare cazzate prima di mettere piede nel cerchio dorato, lo sanno tutti", si ripete Lindsey.

«Io mi chiamo B», dice lui tendendole la mano, «e tu?».

Impietrita, lei sente il respiro venirle meno e la schiena irrigidirsi. Gli lancia un'occhiata di sguincio, cerca di focalizzarlo al di là di un velo opaco, lattiginoso, che le si è posto dinanzi, e poi torna su Raze. Gli occhi tondi come due sfere, sente il cuore rimbalzare nel petto, squassare la cassa toracica e battere, battere, battere frenetico contro lo sterno. Si alza in piedi, non riesce più a stare ferma, e mentre si gira osserva i volti acerbi di tutti i ragazzi e le ragazze presenti. La voce di Raze risuona ovattata e sempre più lontana nelle sue orecchie. La chiama, o forse no. "Non può chiamarmi, se il mio nome è come quello di chiunque", mormora la coscienza, "Allora cosa sta dicendo?". E così il tamburo scatta, saetta fino in gola, la strozza nel momento in cui le dita di Raze le stringono una spalla. Lindsey annaspa, infine corre fuori da quella stanza attrezzata ad aula nel Pearl District, e vomita in corridoio, poco oltre la soglia.

«Che ti succede?».

È l'unica cosa che sente, che attraversa lo spazio e la raggiunge lì piegata, con le mani sulle ginocchia. Un conato, l'ennesimo, e Lindsey torna a respirare. Le narici larghe, sguardo vacuo, lacrime che pendono dalle ciglia come rugiada e labbra sporche, saliva in bilico. A stento balbetta un: «Come mi chiamo io?».

Raze tentenna. Le passa una mano sulla schiena, la carezza e cerca di farla tornare dritta con le spalle; ma lei se lo scrolla di dosso e fa un passo in avanti per tenerlo lontano. «Cosa c'è che non va?», chiede ancora turbato.

«Come mi chiamo, Raze?», insiste Lindsey. Posa un palmo sulla parete e ci scivola contro, batte l'avambraccio nudo. Poi lo cerca con gli occhi. Vuole la sua risposta e dunque volta la testa, si porta via la saliva rimasta sulle labbra e sul mento con il dorso della mano libera. Lo guarda in silenzio, con il viso sollevato, mentre una lacrima le cola lungo la guancia. Crede di aver capito lei, eppure non sa ancora niente.

Ecco perché Raze non sa come reagire. Può solo ignorare la chiazza giallognola in terra, deglutire a vuoto e sorpassarla per raggiungere Lindsey, mentre lei gli sfugge lungo la parete. Pensa di doverla acciuffare e serra i denti, tende un sorriso nervoso. Si aggiusta gli occhiali sulla sommità del naso, percepisce una leggera emicrania premere contro le tempie e mormora: «Lindsey, B, Bishop», un elenco che, ne è certo, non la tranquillizzerà lo stesso.

Infatti lei sbuffa aria calda dai polmoni, arriccia il viso in una smorfia strana e continua a piangere in silenzio, con entrambe le scapole contro il muro. «Il ragazzo di prima si è presentato come B», balbetta. Ha gli occhi vitrei, di ambra liquida, e sembra quasi non voler smettere di parlare; eppure scuote la testa, serra la mandibola, s'impone il silenzio. Dà le spalle a Raze, stretta in se stessa, e poi trascina i piedi lungo il corridoio, avanza verso le scale. Non riesce davvero a insultarlo come vorrebbe, ma quelle parole sono lì, sulla punta della sua lingua: "Bugiardo, vigliacco, traditore...", e ne accompagnano altre che neppure conosce, che la fanno soffrire, simili a: "Sei l'unico padre che mi è rimasto".

Lui le va dietro, grida: «Aspetta!», e le afferra un polso, la sente scivolare come un'anguilla senza via di scampo. Poi serra le dita una a una, sicuro che l'indomani Lindsey avrà dei segni viola o porpora sulla pelle. E non gl'interessa: non è tanto gentile con lei per il suo aspetto da bambolina celtica, ma perché "Lei è un alfiere", o almeno così si ripete. «Ti devo parlare», dice, quasi glielo sibila a un palmo dal naso.

«Adesso devi parlarmi?», chiede lei, «E prima?», strozza un suono amareggiato in gola, «Non era meglio, forse, che mi parlassi prima di questa cosa?», e si blocca, ci pensa, abbassa il mento, prima di dire: «Che poi di cosa devi parlarmi, Raze? Devi dirmi che il mio nome non è solo mio, che in quell'aula sono tutti B, Bishop, o Alfieri o come diavolo vuoi chiamarli. È questo, Raze?».

Lui lancia un'occhiata alle spalle, verso la porta aperta e gli sguardi dei giovani curiosi, catalogandoli come inadatti al ruolo; "Troppo poca pazienza", appunta mentalmente. Infine torna su Lindsey, sussurra un: «Sì, è così», e ancora, «ma si tratta di una situazione momentanea».

«Come sarebbe a dire?». Lei aggrotta le sopracciglia. «Quindi mi hai privato del mio nome per darmene uno fittizio, insegnarmi la storia, la geografia, le tattiche militari e perfino la corsa campestre, prima di regalarmi un documento falso e un calcio in culo verso il servizio di sicurezza dello Stato?», lo provoca.

Negare sarebbe inutile. Raze lo sa, perciò annuisce e, con po' di riluttanza nello sguardo, dice: «Sì, è così».

«Ma io non sono l'unica». La voce di Lindsey s'incrina. «E se non solo l'unica, allora perché...», quasi si strozza, poi riprende, «... perché un solo alfiere dovrà varcare quella porta?».

«Perché è così che funziona, Lindsey». Raze la sente tremare sotto le dita e per un attimo vorrebbe lasciarla andare; tuttavia è certo di non poterlo fare, perché deve tenerla stretta a sé tant'è preziosa. «È così che inizia il gioco: si scelgono le pedine da posizionare sulla scacchiera, poi si dà il via alla partita; e a noi, purtroppo, serve un solo alfiere per fare scacco matto».

«Mi hai insegnato che su una scacchiera ce ne sono quattro, Raze», borbotta contrariata, con le labbra appena arricciate, «due per lato, no? Due bianchi e due neri». Lindsey si stringe nelle spalle e poi continua: «Sei davvero sicuro che a voi basti un solo alfiere per lo scacco matto? Che scemenza dovrà mai fare, comprare il pane all'angolo?».

Lui scuote la testa, si nega con un: «Non mi è permesso parlare di questo ad anima viva, spiacente». La sente ridacchiare, la vede farsi più scura e delusa in volto, così gela sul posto. Abbassa le palpebre, teme di perderla davvero e allarga le narici in cerca d'aria: il respiro è fievole, stentato, e i polmoni simili a due grossi massi di Cemmo, si sente in colpa.

«Quindi, eccetto te non lo sa nessuno?», insiste Lindsey, dopo aver sollevato il mento. E lo guarda negli occhi, si abbandona e naviga, galleggia. "Perché le pupille di Raze sono così strette? È agitato, forse?", inizia a chiedersi.

«Nessuno», conferma.

«E chi me lo assicura?».

«Puoi indagare, volendo», la incalza in un sussurro, «ma ti assicuro che sarebbe un buco nell'acqua e che non solo perderesti tempo, ma anche energie». Prova a frenare la sua curiosità, eppure non ci riesce, perché le vede sollevare un angolo delle labbra.

«Lo farò, Raze: grazie».

Si maledice in silenzio. "Come vuole indagare?", prende a tormentarsi, "Cos'ha intenzione di fare?", continua, "Perché non è capace di stare buona e ferma per più di mezza giornata?". La lascia andare, sente il suo braccio che scivola via e sbuffa tutta l'aria che trattenuto fino a quel momento. Sembra un ringhio, quasi, eppure è ansia fatta di calore umano. Si volta, la osserva.

Lei sale le scale a due a due, cerca di raggiungere il piano superiore e chissà cos'ha in mente. Forse nemmeno pensa: agisce e basta; di certo non si capisce, data la fretta che dimostra, perché sembra che voglia fuggire, andarsene dal Pearl District.

Così Raze sgrana gli occhi e solleva una mano, l'indice. Indica la porta dell'aula improvvisata per tre volte e trema frustrato, alza la voce, dice: «Tutti quelli che hanno guardato in corridoio sono espulsi: non abbiamo bisogno di voi». Inspira a fondo, con ancora i massi di Cemmo dietro le costole, e nemmeno si gira verso la soglia. Tiene il mento basso e continua: «Li ho visti», precisa, «uno a uno, sì, perciò è bene che se ne vadano prima del mio rientro e senza dire una parola». Infine sale le scale, cerca Lindsey nella sua stanza senza neppure bussare.

Lei è seduta sul letto a gambe incrociate: niente pantaloni, finalmente a gambe nude, sudate; calzini fino a metà polpaccio, mutande bianche e t-shirt della divisa di leva. Osserva Raze di traverso, con le sopracciglia aggrottate, prima di esplodere in un: «Ma che cazzo!», e lanciargli dietro il primo anfibio rinforzato che le è vicino. «Che ci fai qui?».

Per fortuna lui lo schiva, lo vede finire contro la porta e tira un sospiro di sollievo, prima di sentirsi colpire al fianco con il secondo e lanciare un'imprecazione a gran voce. "Perché è così rude?", si chiede. Poi corruga la fronte, torna a guardarla e pensa alla sua bellezza, al corpo da bambola celtica e al tale che di solito la importuna a lezione. Lo sa, lo immagina perché è così rude. Scuote la testa, solleva le mani in segno di resa e dice: «Non potrei mai farti del male, Lindsey». E perché dovrebbe, poi?

Lei abbassa le spalle, rilassa i nervi. Le basta così poco per pensare di essere al sicuro, perlomeno accanto a lui: lo guarda e si fida; crede a tutto ciò che ha da dirle. "Come una stupida, sì", dice la coscienza, prima che distolga lo sguardo verso la finestra.

Allora Raze le si avvicina, s'inginocchia accanto al letto e cerca di attirare la sua attenzione afferrandole una mano. La fa sussultare e chiede: «Vuoi sapere la verità, Lindsey?».

Gli occhi d'ambra si spostano, abbandonano la tenda velata. «Certo che voglio sapere la verità», schiocca, «ma qualcuno ha appena detto di non poterla rivelare ad anima viva». Si sollevano verso il soffitto e poi le labbra di Lindsey, ciniche, si arricciano. «Vuoi forse dirmi tutto e poi uccidermi, Raze?».

«Tu sei la crisalide che vorrei uscisse da quella porta», confessa piano.

In silenzio, lei sente il cuore mancare un battito. Rabbrividisce e lascia che le dita di Raze si stringano con più vigore attorno alle sue. Quasi non respira, immobile e statuaria su quel materasso che, di colpo, è lontano anni luce da Portland.

«Tu sei la crisalide con cui vorrei abbattere il re nero, con cui distruggeremo il Governo e con cui si ripristinerà lo Stato».

«Chi è il re nero?», riesce a chiedere a stento.

«Nathan Walker».

Nore: Bella, raga. Mi sono illuminata d'immenso con un bel 37,6 sotto Tachipirina. Ma tutto questo non mi ferma! (Vabbè, lallero, diciamo che provo a non fermarmi, ma sto una merda). Morale della favola vado a spostarmi in cloud un po' di cose... sia mai che faccia una fine brutta brutta in modo assurdo, visto che al momento non respiro e le uniche persone che mi cagano sono i tre amici che ho e la mia ragazza. E questo spazio note, sì. Nessuno mi porterà via le note a random muhahahah. Comunque sto così "bene" d'aver invertito gli aggiornamenti di Crisalide e Come vetro. Madonna santa che nabba. Spero che la nuova cover vi piaccia: mi sono affidata ai feedback che ho ricevuto agli scambi.

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