unico capitolo
Sto camminando lungo il ponte per controllare se le scialuppe di salvataggio sono stste oliate come avevo ordinato.
Mi avvicino a una di esse, l'annuso, la tocco e scopro che qualcuno ha trasgredito.
Mi dirigo decisa verso la cabina in cui i miei sottoposti stanno sicuramente giocando a carte.
Per il nervosismo faccio risuonare i miei stivali neri sul ponte:
- Sbaglio o avevo chiesto di oliare le scialuppe?
Dico appoggiandomi allo stipite della porta.
- L'abbiamo fatto.
Risponde un mio sottoposto.
- Vi aspettate che io vi creda?
Lo trascino fuori dalla cabina prendendolo per un'orecchio.
- Vi sembra pulita?
- No.
- Perché mi avete detto una bugia?
- Io non volevo mentirvi.
- A me sembra che vogliate. Rimettetevi immediatamente al lavoro.
- Io non prendo ordini da una donna, perlopiù cieca. - brontola a denti stretti.
L'ostilità delle sue parole mi colpisce talmente forte che sembra possa attraversarmi la pelle. Ostento una sicurezza che non possiedo, tremando come se il mondo stesse per crollare.
- Non cercate scuse. Il fatto che io non veda non vi esonera dall'eseguire gli ordini. Sono il vostro vicecomandante, non dimenticatevene.
Mi allontano prima che possa rispondere. Che frustrazione! Tutti i giorni la stessa storia...Appena mi avvicino per dare degli ordini smettono di parlare oppure quando sono nella mia cabina, prima di addormentarmi, sento che si prendono gioco di me. Non immaginavo che sarebbe successo questo quando la regina Anna di Danimarca ci diede questa missione. Faccio un respiro profondo per non scoppiare a piangere e provo a camminare per stare meglio, quando alle mie spalle percepisco la presenza di qualcuno.
- Buongiorno Elizabeth, come state?
È Thomas, il mozzo di origini irlandesi.
Non devo dirglielo, non gli interesserebbe ne sono sicura.
Ma devo parlarne con qualcuno e lui è l'unica persona su questa nave - fatta eccezione per mio padre, il capitano James - che non mi prende in giro.
- E quindi è per questo che siete triste? - mi chiede dopo che gli ho spiegato come stanno le cose.
- Lasciateli parlare, non dovreste nemmeno ascoltarli.
- Lo so, ma io sono il vicecomandante devo farmi rispettare.
-Quindi, cieca o no, per me voi siete bravissima.
- Grazie. - dico affossando fino alla punta dei capelli.
Mentre parliamo ci sediamo sulla balaustra della nave. Sento che la rabbia di prima è scomparsa, sostituita da tranquillità e calma interiore. Ormai sto ascoltando solo la sua voce anziché il senso dei suoi discorsi. Mi piace molto parlare con lui. La sua presenza in questo viaggio mi è di grande aiuto.
Lo congedo gentilmente e vado in cucina. Allungo la mano verso la mensola e sento qualcosa di ruvido. Si tratta sicuramente delle gallette, dei biscotti a base di riso che, come mi ha spiegato mio padre, vanno tenute in un luogo fresco e asciutto perché servono per le emergenze. Dopo essermi assicurata che sia tutto a posto vado a salutare mio padre. Senza di lui adesso non sarei vice comandante. Quando ero più piccola mi ha fatto pulire la nave così tante volte che la conosco come il palmo della mia mano. All'inizio non capivo perchè lo facesse, ma poi Mi sono resa conto che era per prepararmi al ruolo di vicecomandante. Mi ha anche costruito una carta nautica in rilievo, così so sempre dove stiamo andando. Lo trovo al timone.
Mi fa i complimenti per come svolgo il mio lavoro di vicecomandante, poi parliamo del più e del meno fino a sera. Dopo una cena modesta vado a letto.
Una settimana più tardi, verso il tramonto, sto passeggiando sul ponte godendomi l'aria fresca. Mi fermo, l'annuso e capisco. La sento più frizzante. Questo può significare solo una cosa.
- Tempesta in arrivo! Grido scuotendo la corda della campana d'emergenza.
- Che cos'avete tanto urlare? - chiede qualcuno infastidito.
- Che sta succedendo? Sbotta qualcun'altro.
- È in arrivo una tempesta. Dobbiamo tenerci pronti.
Cerco di convincerli ma loro non sembrano ascoltarmi.
Inizia a piovere molto forte. Sento il rumore di un fulmine e poi qualcosa che cade a terra con un tonfo. A Giudicare dal suono sembra una cosa molto lunga e pesante. Usando il tatto riesco a capire che si tratta dell'albero maestro. Qualcuno si sta lamentando per il dolore. Oh no, è mio padre.
Ha la gamba destra schiacciata sotto il pezzo di legno.
- Riuscite a muoverla, padre? - ho la voce incrinata per la preoccupazione.
- No, mi fa molto male. Qualsiasi cosa mia figlia vi ordini di fare, obbeditele. -intima all'equipaggio prima di essere portato nella sua cabina.
Sento dei mormorii affermativi misti a insicurezza, che fingo di non udire.
- Il capitano è ferito, se lavoreremo insieme riusciremo a superare questa tempesta.
Dobbiamo chiudere tutti gli oblò e i boccaporti, liberare i pozzetti e legare gli oggetti pesanti con delle reti. - li incoraggio.
Una volta trovate, mi affretto a legare sedie e tavoli sotto la pioggia battente e il vento impetuoso.
Mi assicuro che i pozzetti siano liberi e che gli oblò e i boccaporti siano ben chiusi.
Succede tutto in un secondo: un uomo che cade in mare e chiede aiuto, io che grido di calare la scialuppa. Con vogate rapide raggiungo il marinaio, portandolo in salvo. Una volta sul ponte affido il malcapitato alle cure del medico.
Lavoriamo senza sosta tutta la notte e all'alba finalmente la tempesta si placa.
Tra le esclamazioni di gioia urlate a squarciagola sento una voce familiare.
- Elizabeth? - è Thomas, il mozzo irlandese.
- Sì?- Giro di scatto la testa per sentirlo meglio.
- Mi stavo chiedendo se un giorno tu... noi...
- Forse quel giorno è oggi.
Lui mi solleva in aria facendomi girare. Quando mi rimette giù sento le sue labbra avvicinarsi alle mie e....
Mi sveglio. È stato tutto un sogno quindi?
Tasto le lenzuola, la coperta. Mi do persino un pizzicotto per assicurarmi di essere sveglia.
È vero purtroppo. Delusa, mi vesto e vado a fare colazione. Dopo aver salutato i miei genitori prendo il mio bastone bianco e mi avvio verso la scuola. Una volta arrivata preparo il materiale che mi serve per la lezione.
Le ore che mi separano dall'intervallo sembrano eterne. Quando suona la campanella mi precipito fuori. A un certo punto sento una voce familiare alle mie spalle.
- Elisabetta? - è Tommaso, il ragazzo che mi piace.
- Sì?
- Mi stavo chiedendo se un giorno tu...noi...
Sento che è impacciato perciò gli stringo la mano.
- Forse quel giorno è oggi.
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