IV
«Lavoratori, buongiorno! La direzione vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse trattate la macchina che vi è stata affidata con amore.»
L'infernale frastuono degli impianti in continua attività rimbomba assordante fra le pareti consumate della fabbrica soffocando anche il gracchiare abulico della voce pre-registrata.
«Clang / Clang / Clang»
Straziato da quei rumori metallici che si reiterano all'infinito, il cervello già stanco degli operai cede ogni impulso razionale al volere della macchina su cui e per cui lavora.
Con la schiena curva in avanti e le mani coperte da uno strato di grasso talmente endemico in lui da non farci più caso, anche Nunù smonta e rimonta l'ennesimo pezzo di ricambio che, sceso fra una fila di altri - tutti terribilmente uguali - dai nastri trasportatori, raggiunge la sua postazione ubicata alla fine della sequenza industriale.
I movimenti automatici e meccanici che compie, contribuiscono alla dissociazione del giovane cottimista, adattandosi con precisione quasi artificiale al groviglio di pensieri che gli ingombrano la testa.
Gli occhi stanchi faticano a mettere a fuoco alcune minuzie di cui dovrebbe occuparsi al momento, ma - nella condizione in cui è adesso - non gliene importa niente.
D'altronde Nunù ha dormito male la scorsa notte.
Anzi, non ha dormito affatto.
Rimuginando sugli eventi della giornata appena passata, ripercorrendo certi dialoghi avuti che fino a poco fa parevano impossibile anche solo da concepire, ha creato un abisso nel quale è precipitato per ore interminabili.
Prima solo con elucubrazioni tormentate e poi - vergognosamente - trovando in esso un irresistibile sollievo corporeo che lo ha accalorato fra lenzuola sporche di sudore e sfinimento.
Sospeso in un limbo dantesco fra sensi di colpa e sensi appagati, si è lasciato prendere dalle peggiori fantasie.
Ha concesso alla mente di vagare libera ovunque volesse, senza provare nemmeno a fermarla.
Un brivido lungo la schiena lo fa trasalire di colpo, rievocandogli fisicamente cosa è stato capace di fare.
Colto da un senso di imbarazzo inaspettato, si ritrova ad abbassare lo sguardo sulle sue mani.
Oh.
Il ricordo della sera precedente arriva feroce ad occupargli il cervello.
Morde il labbro inferiore fino a farlo sanguinare mentre osserva le dita che svelte avvitano bulloni in ottone e sfilano cilindri di metallo.
Quelle stesse dita che poche ore fa erano impiegate in tutt'altre azioni.
Avviluppate saldamente alla parte più intima di Nunù infatti, cercavano affaticate un piacere del quale a posteriori lui sente di non aver goduto a pieno.
Quel che lo stupisce in realtà - pensa stringendo le viti attorno all'ennesima giuntura - è l'assoluta assenza di pentimento a fronte delle scelte fatte.
Non si prende in giro da solo, è perfettamente consapevole che li ripeterebbe altre mille volte quei gesti che l'hanno portato a rasentare la follia.
Come elementi di un impianto di produzione in continua attività, le mani callose di Nunù si agitavano senza sosta sul suo corpo scoperto.
La catena di montaggio così concepita, fra movenze forsennate e ripetitive, lo conduceva alla distrazione della mente e all'appagamento delle membra.
Gli pare quasi di riviverla la foga con la quale puntava i piedi sul materasso e riversava parte della faccia paonazza in un morbido cuscino che lo accoglieva dolcemente.
Il moto impresso dai fianchi a guisa di pistoni in funzione, veniva inutilmente sprecato nel vuoto della stanza dove risuonavano piccoli singhiozzi insoddisfatti.
Il palmo stretto e lubrificato a cingerlo con pressione costante e le palpebre serrate diventavano allora l'unico mezzo possibile per portare a termine l'opera cominciata.
E, partendo dai pensieri celati dietro i lembi di pelle e accompagnato da tocchi sicuri e ripetuti, Nunù cominciava a surriscaldarsi.
Quasi si inceppa di nuovo ripensando al ritmo del bassoventre aumentato a dismisura e all'ultimo input che la direzione centrale del cervello riusciva a fornire prima di spegnersi del tutto.
Il corpo che avrebbe desiderato avere sotto di sé sembrava d'un tratto esserlo davvero.
Lo visualizzava oltre gli occhi di nuovo schiusi mentre si piegava al volere del suo, governato docilmente dai comandi imposti dalla bocca volgare e sfacciata di Nunù.
Era esso stesso una macchina in balia delle mani brusche e ruvide che lo adoperavano.
E proprio come una macchina condotta al suo uso massimo, anche la figura immaginata, diventando di un rosso uniforme e incantevole, rilasciava richieste disperate per annunciare l'imminente tilt.
Non c'erano più parole astratte e incomprensibili nelle labbra delicate e gonfie, ma solo lamenti soffocati che alimentavano i movimenti già furibondi di Nunù.
L'ha sognata per tanto tempo la sottomissione di quel corpo marmoreo.
Ma mai così.
Mai con lui che lo sovrastava dall'alto e lo ammutoliva fisicamente.
Bastava questa immagine precisa in testa per far sì che la prima esplosione incandescente arrivasse a travolgerlo.
E, proprio provando d'improvviso la sensazione fastidiosa delle sue stesse dita ricoperte di un piacere denso, Nunù si riprendeva dallo stordimento.
Con ancora il petto in fiamme e la vista appannata, un pensiero era sceso a fulminarlo:
la bocca che avrebbe voluto a raccogliere fieramente questo orgasmo, non era lì.
Nel silenzio della camera da letto, con le finestre sbarrate e la porta chiusa a chiave - quasi a nascondere segreti che comunque nessuno avrebbe conosciuto - si spingeva allora in un'azione inedita, volta a compensare la mancanza che in quel momento gli sembrava intollerabile.
Amaro e pungente, ecco com'era il sapore premuto sul piatto della sua lingua viscosa.
Non gli era piaciuto.
Forse perché avrebbe preferito che giù per la gola scendesse qualcosa di più dolce, delicato come quel volto che ancora pareva comparire davanti ai suoi occhi.
Che ancora pare, adesso.
Le labbra screpolate si baciano una volta fra loro mentre ne invocano silenziose il nome.
Due, anzi tre, dopo averlo ribadito quasi a sfidare un divieto.
Sei, quando lo replicano rendendolo una sorta di mantra che - sorprendentemente - sembra accompagnare a mo' di melodia di sottofondo l'attività svolta su un impianto che non ha mai cessato di funzionare.
Un Simone, un pezzo.
Un Simone, un pezzo.
Un Simone, un pezzo.
E così via, finché nell'alienazione feroce che lo colpisce e lo logora inconsciamente Nunù si perde.
I piedi battono a terra seguendo un tempo che nessuno ha dettato, ma che lui tiene per concentrarsi.
Non avverte più consistenza di nulla mentre sale alto, altissimo, oltre il rumore degli ingranaggi arrugginiti, dello strepitare dei colleghi operai che lo gravano di responsabilità e delle angherie dei padroni che lo vogliono spezzato dalla fatica.
Non è un sindacalista e non è nemmeno un operaio ora, è-
«E' la fine del turno, lavoratori! Le vostre otto ore quotidiane sono state completate e le macchine sono state spente nel vostro interesse.»
L'incedere dei pezzi sul rullo si ferma di botto.
Il cervello di Nunù fa l'esatto opposto, mentre una realizzazione lo prende in pieno facendolo vacillare:
è lui stesso parte della fabbrica.
Caricato di una furia che poche volte ricorda di aver avuto in vita sua, si stacca dal congegno infernale che lo ha incatenato per un terzo della giornata e, mosso da una forza esterna al suo stesso corpo, comincia a camminare verso una direzione ben precisa.
Matteo, Chicca e altri operai provano a trattenerlo, ad invitarlo a cenare assieme prima di tornare nello loro case fatte di solitudine e laconica attesa del giorno seguente.
Cercano insomma di coinvolgerlo nei loro miseri tentativi di sentirsi vivi.
Ma Nunù non ne può più di miseri tentativi.
Nunù vuole sbranarsela la vita adesso, vuole prenderla a morsi, a pugni se possibile.
Ed è con questa convinzione fervente che oltrepassa tutto e tutti e sale la rampa di scale che lo separa da ciò che cerca.
Ogni gradino percorso è una trasposizione materiale della sua subalternità.
Ogni passo compiuto con le scarpe lise e consunte sul pavimento appena lustrato del primo piano è la riconferma della condizione inferiore che sente agitarsi fin nelle viscere.
La schiena gli fa male e questo dolore altro non è che l'ennesima presa di coscienza.
E' grazie alla spina dorsale che lui si spacca fra cinghie e bulloni là sotto che qualcuno può permettersi di fare la bella vita qua sopra.
E a quel qualcuno Nunù - da vero imbecille - ha rivolto pure dei pensieri, ha dato persino modo di infilarsi nel suo cervello già consumato dall'aberrante lavoro di cottimista.
Gli ha permesso di diventare padrone dell'ultima parte di sé che era ancora libera.
Schiuma dalla rabbia mentre arriva all'ingresso di cui conosce ormai ogni dettaglio e gli si annodano gli intestini quando incrocia con lo sguardo la S. e la B. che brillano sulla targhetta dorata.
Vorrebbe sradicarla a mani nude.
Vorrebbe prenderle e lanciarle contro il maledetto titolare delle stesse che crede di poter dominare tutto a colpi di nomi incisi e soldi offerti.
Oggi Nunù non bussa, ma travolge l'anta che quasi cede sotto la violenza del calcio con il quale la colpisce.
Simone curvo sulla scrivania salta in aria come i cardini della porta e non fa in tempo nemmeno a sollevare la testa che Nunù gli è già arrivato addosso.
Prendendolo per il colletto della camicia lo tira via dalla comoda sedia in pelle e lo avvicina al suo viso.
Se il ragazzo è spaventato da questa prossimità, comunque non lo dà a vedere.
Anzi, con occhi di fuoco e un angolo della bocca portato impertinente verso l'alto "c'erano altri modi per attirare la mia attenzione", attesta scrutando poi compiaciuto la reazione che segue.
Nunù si sente il fuoco partire dal centro dello stomaco e dipanare rapido in ogni angolo del corpo.
Respira addosso a Simone, gli stringe il tessuto sotto le nocche tesissime e - con un movimento che stupisce entrambi - lo spinge giù per terra, precipitandogli poi sopra.
La colluttazione che segue li porta a rotolare sul pavimento per minuti che sembrano interminabili.
Non sa neanche in che modo lo fa, ma finisce per imporsi sull'altro che si arrende con la schiena schiacciata sulle mattonelle di ceramica e il resto del corpo bloccato da due gambe tornite.
Gli occhi di Nunù scorrono lungo la figura esausta.
Fra la pelle paonazza di collo e addome risalta ancora di più il bianco della camicia che nel frattempo si è riempita di segni scuri.
Un dettaglio in particolare lo manda fuori di testa.
La piccola cucitura S.B. che tanto lo tormentava è ora quasi del tutto nascosta da una macchia di olio nero.
Nunù è improvvisamente compiaciuto, soddisfatto come se avesse riscattato un'intera classe di oppressi con un solo gesto.
E nello stordimento di questa estasi proletaria dalla quale è pervaso non nota il ginocchio che viene premuto con irruenza fra le sue cosce.
Del breve momento di dolore ne approfittano le mani svelte di Simone che liberatesi dal giogo al quale erano assoggettate spingono violente sulle spalle sopra di lui.
La pressione è troppo forte per resistere e infatti Nunù perde l'equilibrio e slitta verso il basso con i pugni che perdono attrito sulla camicia.
Simone riesce così a recuperare un po' di spazio e, sollevandosi appena dal pavimento, afferra le braccia dell'altro il cui viso nel frattempo è scivolato-
"Fra le mie gambe Ferro? Tutto sto casino per arrivare qui?"
"Pezzo di merda!" ringhia Nunù dimenandosi "lasciami!"
"Oh!, voglio proprio vedere come glielo racconterai ai compagni che l'hai succhiato al padrone."
"Non te lo succhierei neanche se fosse l'unico cazzo al mondo!"
Simone dal canto suo non si scompone e, stringendolo ancora di più "in effetti" comincia leccandosi le labbra "credo che ormai il mio sia davvero l'unico a non essere stato succhiato dalla tua bella bocca."
E se Nunù già stava fremendo dalla voglia di liberarsi da questo contatto, i piccoli colpi di bacino che accompagnano la provocazione e gli sfiorano la faccia, lo rendono ancora più indemoniato.
Con una forza che neanche sapeva di possedere, strattona i suoi stessi polsi e si stacca finalmente dalla presa ferrea che lo paralizzava.
Rilanciarsi addosso a Simone è un istinto primordiale al quale non può non cedere.
Lo prende per una spalla, poi gli tira i capelli e infine, dopo averlo immobilizzato per una seconda volta, si china su di lui.
"Dove sono i tuoi scimmioni?" gli ride in faccia cattivo "non te li sei portati oggi?"
Di nuovo, Simone non appare per nulla turbato, piuttosto - forse - estremamente stanco.
"Me li porto solo per far contento papà quando c'è il rischio di incontrare qualche stronzo."
"Ah, e io invece che so? N'amico?"
"Non sei quel tipo di stronzo."
"Perché mo ce stanno i tipi..."
"Certo." conferma "ce stanno gli stronzi che t'aggrediscono in pieno giorno a calci in pancia mentre tu ti stai facendo i cazzi tuoi..."
E Nunù - anche pensando alle parole dette da Dante appena ieri - il dubbio di essere stronzo se lo fa venire davvero.
"E pure loro t'aggrediscono perché sei un borghese del cazzo?" riesce comunque a chiedere, giusto per fugarlo del tutto quel dubbio di cui prima.
"No" il tono è solenne "mi aggrediscono perché sono un borghese del cazzo omosessuale."
Le mani intente a bloccare Simone vanno via così come erano arrivate.
Negli occhi limpidi e enormi sotto di sé Nunù vede adesso tutti i calci e i colpi presi.
Li avverte sulla sua stessa pancia, sull'addome, persino in testa.
Nella bocca imbronciata e carnosa le parole - le terribili parole - ripetute in una litania da voci ignoranti, cattive, stronze.
Fa per alzarsi, ma gli gira tutto e, senza capire nemmeno come, si ritrova accasciato su Simone.
Che però non lo sposta via.
I loro respiri provati dalla lotta appena avvenuta si mischiano creando un unico suono che si propaga nel silenzio tombale della stanza.
E' Simone a spezzarlo.
"Non mi dire che non te l'aspettavi Ferro" mormora infatti con la bocca che solletica i capelli di Nunù.
"Tuo padre non m'ha mai detto nulla..." il sussurro è timido, come a non voler rompere questo equilibrio che pare tanto precario.
"Beh, non stava a lui farti sapere della mia sessualità."
"Mh" ribatte, ma in realtà un tu volevi che io lo sapessi? gli risuona nel cervello e sta anche quasi per chiederlo se non fosse che-
"Manuel"
E il suo nome così inedito da quella bocca lo folgora fisicamente portandolo a sollevare appena il collo.
Vuole sentirlo di nuovo, vuole vederlo.
Osservare se le labbra morbide e delicate che ha difronte si baciano fra loro nel pronunciarlo.
E Simone, tra uno sguardo furbo e un sorriso abbozzato, pare recepire questo desiderio perché "Manuel" ripete convinto mentre le labbra si toccano davvero, si incontrano al principio della parola per poi perdersi nella prosecuzione.
Nunù vorrebbe farglielo ripetere un'altra volta, e poi ancora, e ancora, anche solo per capire se pure lui, magari quando timbra centinaia di fogli e mette migliaia di firme, usa il suo nome per darsi il ritmo, per non impazzire del tutto.
O per impazzire completamente.
A questo punto non è più tanto sicuro di sapere la differenza.
"Che c'è direttò?" gli domanda senza muovere nemmeno un muscolo.
"E' che mi fa strano vederti tranquillo..."
"No, ma damme n'attimo de tregua..." è la replica ovattata "poi giuro che me alzo e te meno di nuovo"
E Simone fa una cosa che Nunù non gli aveva mai visto fare.
Comincia a ridere.
Il petto che vibra piano scuote lievemente entrambi e lui, forse ancora rintontito dagli alienanti tempi di lavoro, non capisce cosa effettivamente stia succedendo.
"Me vuoi dì che cazzo c'hai da ride?" sbotta confuso.
Simone, per tutta risposta, punta gli occhi nei suoi semiaperti e "mi avevi spaventato ieri" confida.
"Famme capì... ieri che ho bussato te sei preso paura, ma oggi che t'ho messo le mani addosso, no?"
"Al Ferro di oggi ci sono abituato... all'altro no." spiega come se fosse una cosa normale "eri così docile che pensavo di averti fatto perdere la memoria con quella botta... Adesso invece ti riconosco." conclude sbuffando un'altra piccola risata.
Il tono onesto, a tratti preoccupato, lascia Nunù piacevolmente sorpreso.
"Stai sereno direttò" lo tranquillizza allora "non m'o posso mai scordà quanto sei stronzo."
E prima che una testata, un'altra - questa volta leggera - arrivi a colpirlo, in un moto repentino si porta a sedere sullo stomaco di Simone, posandogli pure una mano sul petto per stare in equilibrio.
«Tu-tump / Tu-tump / Tu-tump»
Sotto il palmo grezzo della sua mano il palpito accelerato di un cuore batte come fosse il motore di un macchinario.
Nunù quasi si perde in questo suono così rassicurante.
"T'ho inzozzato tutta la camicia direttò..." constata poi osservando le macchie diffuse sul tessuto.
"Simone... e non fa niente."
"N che senso?"
"Quanti sensi conosci? E' il mio nome."
"Lo so."
"E allora usalo Manuel..."
Nunù rimane per un attimo interdetto.
"Te devo chiamà cor nome tuo?" domanda per essere sicuro "Questo mi stai chiedendo?" e non se lo spiega perché la voce venga fuori cosi roca e dura.
Un secondo fa gli sembrava di rilasciare miele dalle labbra, mentre ora sarebbe di nuovo pronto a battagliare.
Si sente un pazzo e quel che è peggio è che Simone-
"Non te lo sto chiedendo Ferro, te lo sto ordinando."
Simone è pazzo tanto quanto lui.
La scossa elettrica provata la sera precedente era una lampadina in procinto di fulminarsi se confrontata alla scarica di tensione che pare attraversarlo adesso.
Con gli occhi iniettati di sangue e le mani tremanti si riabbassa su quel viso che lo osserva attonito.
E' terribilmente vicino alla bocca di Simone e quasi perde il controllo quando una punta infinitesimale della sua lingua appare a fare capolino dalle labbra schiuse, scorrendo poi sul labbro inferiore.
La lentezza del movimento incanta Nunù che, dando finalmente pace ad un impulso troppo feroce da tenere a bada, preme un pollice su quel lembo di pelle che gli ricorda il petalo delicato di un fiore.
Vorrebbe strapparlo via.
Il resto della mano ancora sospesa in aria decide di posarsi con leggera violenza sulla guancia arrossata.
Simone socchiude gli occhi forse infastidito dal piccolo schiaffo.
Nunù allora lo reitera altre due volte, ascoltando poi i mugolii che ne derivano.
Più il respiro dell'altro si intensifica più lui spinge sul labbro gonfio schiacciato come da un rullo compressore.
E' una lingua bollente, nascosta dietro una fila di denti bianchissimi, quella contro la quale finisce per scontrarsi.
E il contatto così crudo, così intimo, si imprime solo sulla prima falange, ma a lui pare di sentirlo ovunque, come se quella lingua fosse in ogni angolo del suo corpo.
Come se la bocca di Simone lo toccasse dappertutto, nel medesimo istante.
Solo pensare a questa ipotesi, a due labbra tanto belle premute contro certe parti di sé, quasi lo fa svenire.
Deglutisce a vuoto e Simone fa lo stesso, attirando così il pollice ancora di più nella caverna afosa che ormai è diventata la sua bocca.
Nunù vorrebbe calarglielo giù fin dentro la gola, sentirlo gemere, succhiare, soffocare.
In un brevissimo momento di lucidità, e prima che possa davvero spingere troppo in fondo, lo ritira indietro.
Simone non sembra molto d'accordo con questa scelta.
"Manuel" lamenta infatti contro la pelle lievemente annerita dalle ore di lavoro sui macchinari.
E Manuel improvvisamente realizza di essere schiavo e padrone insieme.
"Dillo di nuovo."
Simone è spaesato "Cosa?"
"Il mio nome direttò" gli trema la voce ma non se ne cura "chiamami di nuovo per nome."
Il tempo sembra essersi fermato attorno a loro mentre si osservano come se si vedessero per la prima volta.
Le labbra di Nunù sono ancora separate e i piccoli respiri che emette si infrangono sul volto dell'altro che "me lo stai chiedendo?" provoca.
La risposta arriva carica di una rabbia atavica che aspettava solo il frangente giusto per sfogarsi.
"Te lo sto ordinando." sibila infatti colpendo ancora una volta la guancia morbida sotto la sua mano.
Simone questa volta nemmeno li chiude gli occhi, ma anzi guardando dritto in quelli sopra di sé, dà una piccola spinta con il collo e riaccoglie così il pollice fra le labbra.
Continua a guardarlo frattanto che incava le guance e procede con il suo sadico gioco.
I movimenti cadenzati della lingua si susseguono smaniosi e un rivolo impertinente di saliva scivola via per scendere fino alla pelle ruvida di Nunù, che smette completamente di ragionare.
In un attimo sfila il dito dalla bocca dell'altro e, senza staccare il resto della mano, lo porta - luccicante e bagnato com'è - nella sua.
Gli occhi di Simone potrebbero esplodere per quanto si spalancano.
Nunù si sente al pari di un animale mentre ripete la stessa operazione ma al contrario, facendosi nuovamente largo dentro Simone che lo accoglie in silenzio, forse soddisfatto.
"Balè" gli ansima addosso "Balè" ripete premendo con il bacino sull'evidente erezione che avverte sotto il suo stomaco "come glielo racconti ai tuoi amici borghesi che ti è venuto duro per un operaio del cazzo?"
Simone dal canto suo si limita a sorridere con la bocca ancora occupata, ma poi, cogliendolo alla sprovvista, lo morde.
Nunù geme e nel lasso di tempo in cui cerca di liberarsi, l'altro ne approfitta e - come se si ricordasse solo ora di padroneggiare l'uso degli arti - lo spinge via dal suo corpo per poi buttarglisi sopra.
Le posizioni sono ribaltate, di nuovo.
"Forse sei più a tuo agio così?" canzona scendendo gradualmente verso Nunù "con me sopra e tu sotto?"
Il morso che lo colpisce sul mento non lo intimorisce nemmeno un po', anzi sembra quasi compiaciuto.
"Ferro" il fiato solletica l'orecchio "mi pare che qui ad avercelo duro non sia solo io" insinua compiendo un paio di movimenti con il bassoventre "ho ragione, Manuel?"
E tanto basta per far calare un velo davanti agli occhi di Nunù.
Con una foga disumana si lancia sulla bocca di Simone che si fa trovare pronto come se anche lui non aspettasse altro.
Gli tira il labbro inferiore, spinge la lingua in gola e comincia ad agitarsi sotto di lui come se stesse ribollendo.
Simone di questa impazienza se ne accorge e gli ride denigratorio addosso prima di riprendere a baciarlo disperato.
Nunù si sente impazzire e neanche reagisce quando una mano lo arpiona dai capelli e prende a tirarli violentemente.
"Ferro" la bocca continua a premere sulla sua.
"Balé"
"Ti ho dato un ordine" insiste Simone staccandosi appena "Manuel"
"Si?" e con un colpo fermo di reni dà la spinta decisiva che lo porta a liberarsi del peso sopra di lui.
Simone scivola sul pavimento e mentre ancora si sta rimettendo in ginocchio, Nunù è già scattato in piedi su gambe tremanti.
Strattonare quei capelli profumati che sono ora all'altezza del suo inguine è un piacere che supera qualunque orgasmo mai avuto.
"Direttò" lo richiama costringendolo con uno strappo a sollevare la testa "io me ne fotto dell'ordine tuo" sibila incenerendolo con uno sguardo.
Il sorriso sghembo che compare sulle labbra di Simone confonde Nunù che ci mette un attimo di troppo a rendersi conto delle dita svelte agganciate al pantalone da lavoro.
Non fa in tempo a sospirare che un calore rovente lo avvolge improvviso e quasi lo ammazza sul posto.
Le mani stringono avide il corpo sotto di sé che però non ha bisogno di indicazioni o direttive.
Nessuna delle spinte ricevute sembra intimorire Simone, ma anzi si offre completamente alle stesse, le accetta senza timore giù fin dentro la gola.
E Nunù nel delirio estatico dal quale è pervaso si ricorda di quell'operaio che durante un sciopero gli disse «noi non moriremo mica nel nostro letto... moriremo in fabbrica, soffocati dal padrone. E il paradiso non lo vedremo mai!»
Oh, quanto si sbagliava, pensa mentre spinge ancora e ancora.
Perché forse è vero che si appresta a morire qui, ma lo fa con le porte del Paradiso spalancate come la bocca famelica del padrone che lui sta soffocando fino a farlo lacrimare.
Gliele sfiora anche quelle guance bagnate in un moto di tenerezza insolito.
Più lo osserva strozzarsi con la sua erezione, più il piacere lo pervade.
Inarca la schiena in avanti, respira rumorosamente e-
«pop» Simone si stacca senza preavviso.
Nunù trasale.
"Che cazzo fai?" annaspa a corto di fiato cercando di ristabilire un contatto al quale però l'altro si nega.
"Manuel" sibila con le labbra che sfiorano la punta bagnata "Manuel" ripete socchiudendo le palpebre e quasi cullandosi sul membro fremente.
La sensazione è tanto delicata e forte allo stesso tempo che Nunù teme di poter venire anche così, semplicemente guardandolo pronunciare il suo nome.
"Balé" lo richiama portando una mano a cingersi il membro e sbattendolo lievemente sul viso del ragazzo "apri sta cazzo di bocca."
E Simone sembra ridestarsi di colpo.
Gli occhi ardono mentre "è un ordine?" domanda curioso.
Nunù sente il fuoco incendiargli le carni "Lo è."
La spinta furiosa che lo colpisce di sorpresa sulle gambe lo costringe ad indietreggiare di qualche passo.
Il divano alle sue spalle lo accoglie tempestivamente.
Nunù ci affonda dentro e guarda sconvolto Simone arrampicarsi su di lui e imprigionarlo sotto di sé.
Gli prende il viso fra le mani grandi e nivee e fissandolo intensamente "io me ne fotto dell'ordine tuo" ringhia prima di portare ancora le loro bocche a scontrarsi.
Nunù si sente morire davvero.
Lo stringe con forza, gli apre la camicia con un gesto teatrale e vede i bottoni saltare via dalle asole.
I morsi che lascia sul collo e sul petto dell'altro gli fanno scoppiare un istinto primordiale dentro.
Vuole marchiarlo dappertutto.
Vuole essere certo che quando uscirà da qua, per andare in quei salotti borghesi del cazzo che frequenta, abbia ancora addosso i segni impressi da Nunù.
Vuole che Simone sia suo.
"Sei mio" confessa rabbioso succhiando un capezzolo diventato ormai bordeaux "sei mio direttò" ripete poi una, due, tre volte.
"Non è vero" gli rinfaccia l'altro tirandolo dai capelli "tu sei mio" insiste battendo una mano sul lembo della divisa da lavoro dove il suo cognome svetta.
Nunù vorrebbe replicare ma Simone, con una foga inaspettata, gli strappa di dosso l'indumento, rompendo la zip ancora mezza aperta e "adesso siamo alla pari, Manuel" mormora prima di rilanciarsi sulle labbra stupite di Nunù che si sente liberato da una catena alla quale era costretto.
Sciolto com'è, prende Simone per le braccia e lo ribalta contro i cuscini del divano.
Tutti gli ostacoli rimasti fra di loro volano via in un attimo e lui, osservando le gambe sollevate sotto di sé, realizza che adesso può avere davvero il pieno controllo della situazione.
Quando ormai si decide a prenderlo, spingendosi delirante dove non pensava sarebbe mai stato, una singola parola arriva a paralizzarlo sul posto.
"Manu"
In un baleno, ogni istinto bellico abbandona il suo corpo.
Come ridestato da un sortilegio, sbatte le palpebre un paio di volte e, con un'urgenza inedita, porta lo sguardo fino al viso stravolto di Simone.
Ha le gote in fiamme e gli occhi enormi.
"Manu" ripete come se non gli avesse già ucciso il cervello la prima volta.
"Che- che c'hai?" chiede senza fiato.
Se possibile il rossore si propaga ancora di più irradiando anche il petto.
"Non mi farai male... vero?"
Nunù rimane folgorato.
Un secondo prima stava per scagliarsi su di lui con la foga di una belva, quello dopo si stende addosso e, portandogli una mano sulla guancia, lo avvicina a sé.
Non se lo ricorda Nunù se ha mai baciato qualcuno con questa delicatezza, né se lo ha mai preparato con tanta reverenza e attenzione.
Ancor meno gli viene in mente di un rapporto così consumato e sentito fin dentro le viscere.
In verità - al momento - Nunù non ricorda proprio nulla, se non l'unica parola che all'apice del piacere esce finalmente libera dalla bocca, come un sollievo tanto sofferto e agognato.
"Simone" mormora prima di lasciare una spinta finale dentro l'altro che sfinito tanto quanto lui gli sorride e, col suo nome sulle labbra, si abbandona a sua volta ad un orgasmo bollente.
"Manu" soffia col fiato corto.
"No direttò" annaspa Nunù mordendogli un po' il collo e osservando compiaciuto il marchio formarsi sulla pelle "non ce la faccio a menarti stavolta."
Simone ride piano e "volevo dire un'altra cosa..." mormora nascondendo la testa nell'incavo del collo di Nunù che si sposta di poco per guardarlo in faccia.
"Che volevi dire?"
Simone fa per rispondere ma lui lo precede "che volevi dire direttò?" insiste infatti con voce forse troppo rude.
Non può farne a meno.
Nunù già le immagina le prossime parole che usciranno da quella bocca.
Lo manderà via.
Lo allontanerà stasera stessa e domani ricomincerà a schifarlo.
L-
"La puoi chiudere tu la porta?"
Oh?
"La porta?" ripete confuso.
"La porta Manuel..." Simone sembra stia per addormentarsi lì con ancora la frase a mezz'aria "se domani arriva mio padre ben presto non mi va che ci trovi così..."
"Tuo pad- che ci trovi?"
L'altro si limita ad annuire con le palpebre già abbassate, non lo può vedere quindi il cervello di Nunù che scoppia letteralmente in mille pezzi.
"Io- tu mi stai chiedendo di dormire qui?" farfuglia confuso.
Simone socchiude solo un occhio, quasi a dire che non ne vale la pena aprirli tutti e due per il cretino che si ritrova davanti.
"Manuel."
"Si?"
"Non te lo sto chiedendo" sorride difronte al volto di Nunù che nel frattempo crolla.
"No?"
"No... te lo sto ordinando."
Nunù rimane in silenzio mentre si rimette in piedi e recupera la sua vecchia divisa da lavoro.
Simone difronte a questo gesto sembra ridestarsi tutt'una volta.
"Stavo scherzando" si porta a sedere allarmato "io stavo- era una battut-"
"Statte zitto" lo interrompe Nunù avvicinandosi.
"Manuel..."
"Ho detto stai zitto"
E, con una gentilezza dei movimenti che nemmeno sapeva di avere, si china sul corpo in tensione sul divano e comincia a ripulirlo.
Ripete l'operazione sul suo stesso stomaco e poi lascia cadere il tessuto ormai inutilizzabile a terra.
Il sorriso che esplode sulla faccia dell'altro lo fa arrivare con gambe molli alla porta.
Che chiude a chiave.
"Non c'avremo freddo stanotte direttò?" domanda stendendosi come se nulla fosse su di lui.
Per tutta risposta Simone afferra la sua camicia incastrata fra i cuscini e gliela posa sulle spalle.
"Lo sai che ci stai bene così" sbadiglia chiudendo gli occhi.
"Con la tua camicia da borghese del cazzo?" lo imita Nunù posandogli la testa sul petto.
"No Manuel" la voce sembra ormai addormentata "Con le mie iniziali addosso."
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nota dell'autrice:
Anche qui, nessuna pretesa di grandezza dietro questa fetecchia.
Le due citazioni sono:
il monologo iniziale di Nunù davanti agli altri operai, tratto proprio dal film e «l'avete inventata voi borghesi la volgarità» che invece è presa da "Travolti da un insolito destino" di Lina Wertmüller.
Grazie sempre a tuttə dell'affetto smisurato e in particolare GRAZIE Red, Nanni e Ginger.
Ciao! 🧚♀️
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