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II

tw: menzione alla Democrazia Cristiana.



Il ritorno nel mondo dei vivi per Nunù ha l'odore di un divano in pelle che satura l'aria attorno inondandogli le narici con il suo tanfo nauseabondo.

I cuscini sui quali è appoggiato, anzi steso in lungo e placido come un corpo disossato, gli si appiccicano addosso e le fibre del materiale crepitano, soffrono la sua presenza allo stesso modo in cui lui soffre il calore che loro emanano.

Non pensava certo di risvegliarsi in paradiso - ha imparato molto presto che la classe della quale fa parte, certi privilegi non li conoscerà mai - ma nemmeno si aspettava di trovarsi qui, in una stanza dal soffitto terribilmente alto che più lo guarda più sembra gli cada addosso e circondato da un'umidità a tratti insostenibile.
Avverte la traspirazione sulla cute del viso come se avesse uno strato di pelle eccessivo pronto a soffocarlo.

Il primo tentativo di portarsi a sedere si rivela fallimentare.

La testa batte a ritmo frenetico e la mano che sale a tenerla, ad accompagnarla quasi in ogni movimento, incontra ben presto un gonfiore che il ragazzo è abbastanza sicuro non fosse lì fino a qualche ora prima.

Sarebbe bello ricordarsi in che modo se l'è fatta, pensa riaffondando fra le sabbie mobili di quel divano nero.
Magari è caduto dalla scala precariamente sistemata vicino all'impianto di montaggio oppure una trave di quelle robuste in legno ha ceduto dalle cinghie per rovinargli impietosa addosso.

Se ne avesse la forza, ora volerebbe a segnalare a chi di dovere questi ennesimi incidenti che, reiterandosi, rischiano di lasciarci secco un dipendente, un essere umano.
Quello che - Nunù lo sa - per i padroni non è altro che una forza lavoro in meno, qualcosa di insomma facilmente sostituibile.
Se ne avesse la forza, ripete ancora fra sé e sé, irromperebbe nell'ufficio asettico del vicedirettore da strapazzo e, prendendolo per il bavero della giacca-

si farebbe dare una testata.

Le immagine che cominciano a scorrergli rapide nella mente si accavallano tra loro l'una sull'altra in una massa informe di ricordi poco nitidi ma parecchio, parecchio imbarazzanti.

Era lì, esposto davanti ai suoi colleghi mentre veniva travolto come un birillo dalla testa di Simone Balestra che lo atterrava con un ghigno soddisfatto, probabilmente deviandogli il setto nasale.
Il mio bel naso!, sussulta facendo scorrere le dita fino all'attaccatura e poi giù alla punta.
Fa male, ma perlomeno sembra intatto.

Quasi se lo chiede, riuscendo finalmente a mettersi seduto contro lo schienale, come-
"Come ti senti?"

La prima voce che lo accoglie dopo questo sonno forzato è uguale all'ultima che ha sentito mentre sveniva.
Il proprietario della stessa, imperturbato nella sua mise sempre impeccabile, lo guarda da sotto in su per poi offrirgli un pesante bicchiere colmo di un liquido che dall'odore non può essere altro che-
"Alcol professò?! Non me sembra il caso dopo la botta che ho preso..."
"Non è alcol, imbecille. C'ho sciolto una pastiglia di Anacin nell'acqua, così magari ti passa il mal di testa che di sicuro avrai."

Ah.

Nunù decide di fidarsi e beve a grandi sorsate torcendo pure la bocca in un verso che esprime tutto il disgusto per il medicinale amaro.
Il cristallo delicato del bicchiere che ora ruota fra le mani risulta cosi in contrasto con le sue dita sporche e affaticate che quasi si sente in colpa a toccarlo, come se il solo contatto potesse infettare la preziosa stoviglia in modo perpetuo.

Prima di avere una crisi esistenziale verso un oggetto inanimato, lo distacca da sé, posandolo con delicatezza sul tavolinetto di marmo che riposa ai piedi del divano.

"Grazie." mormora a voce bassa, consapevole che anche la sua presenza è un'altro elemento di particolare antinomia in una stanza tanto elegante.

Il peso che subito dopo scende accanto a lui sui cuscini non lo stupisce.
"Manuel..."
E anche la voce grave, o peggio delusa, che ora lo richiama, nemmeno quella lo stupisce.
Se l'aspettava proprio anzi, ma ciò non vuol dire che riuscirà a sopportarla.

Per cui "Professò..." comincia cercando di anticipare qualunque discorso che potrebbe farlo precipitare in uno sconforto ancora più profondo "lo so che sta per dire... nun c'è bisogno che me fa a paternale. Tanto lei un figlio ce l'ha già..."

Dante Balestra però, con i suoi occhi sottili contornati da rughe che raccontano tante vite in una e l'espressione al momento accigliata, non sembra essere dello stesso avviso.

"Tu invece non sai niente di quello che devo dirti" sibila infatti cercando un contatto visivo a cui il ragazzo prova a negarsi "però su una cosa hai ragione."
"...si?"
"Si." attesta convinto "io ho un figlio ce l'ho già."

E Nunù non se lo spiega perché una frase così ovvia gli pesi comunque un po' sul cuore.
Prova anche a farsela scivolare via quell'invidia stupida che sente.
Che lo sa pure lui in fondo che non è colpa di quello stronzo di Simone se-
"Ed è colpa sua se tu ora stai così."

Oh?

"E' colpa sua" ripete il professore incurante della reazione sorpresa che provoca "e gliel'ho detto molto chiaramente! Non c'è offesa verbale che possa giustificare un atto del genere" insiste indicandogli la testa "tu avrai sbagliato... anzi tu hai sbagliato!, ma lui non è stato da meno! Se solo..." le parole vengono mangiate via da uno sbuffo sonoro che lo porta poi ad ammutolirsi del tutto.

"Se solo cosa, Professò?" osa chiedere, forse con vergogna.

Dante lo fissa per un attimo.
Quasi a cercare nei lineamenti induriti dall'esistenza difficile a cui il giovane è sempre stato destinato, il senso di quello che vorrebbe dire.
"Se solo dai vostri infiniti tentativi di comunicare riusciste anche a capirvi..." borbotta dopo qualche secondo "il fatto è che io credo fermamente che voi due siate molto più simili di quanto pensiate."

Per Nunù, non cominciare a sbuffare o urlare dopo un'affermazione del genere, risulta una sfida molto ardua, che supera solo grazie al profondo rispetto che nutre per quest'uomo.
Quest'uomo che, davvero come un padre con un figlio, l'ha raccattato dal brutto giro di smercio di rame in cui stava finendo e, senza denunciarlo alla polizia, quella notte che l'ha colto in flagrante nel deposito della fabbrica, gli ha semplicemente messo in mano un contratto di lavoro e nessuna pressione addosso.

Lui la sua strada l'ha trovata così, proprio quando rischiava di prenderne un'altra che forse l'avrebbe condotto a scontare almeno un quarto dei suoi 24 anni in qualche carcere della Capitale.

Cosa può mai avere in comune un disadattato del genere con uno come Simone Balestra?
Nato con la camicia - personalizzata per giunta!, riflette rivedendo davanti agli occhi quelle due letterine che sembrano perseguitarlo alla stregua di fantasmi - e cresciuto in un ambiente culturalmente stimolante, ben diverso dal suo fatto di case popolari dai tetti in eternit e mura di cartongesso sfatto.

Mentre Nunù a 15 anni lasciava la scuola per dedicarsi a lavoretti saltuari e disonesti che avrebbero permesso a lui e la madre di non essere sfrattati di nuovo, Simone probabilmente veniva premiato in qualche liceo privato come studente modello, per poi proseguire la sua brillante carriera all'università, arrivando ai ruoli apicali che ora riveste, fiero e sicuro del suo posto nel mondo, senza timore di finire col culo per strada da un momento all'altro.

Quindi ne è certo, loro non possono avere niente in comune, ma è sempre per quel profondo rispetto di cui prima che prova comunque a porre la domanda.

"E che ce dovremmo avé di simile io e su figlio?"
La risposta che arriva è tutto fuorché ciò che si aspettava.
Forse perché non è nemmeno una risposta.

"Sai perché Simone ha la scorta ogni volta che viene in azienda e io no?"

L'impulso di additare l'accompagnamento forzoso al carattere rigido e terribile che contraddistingue il giovane Balestra è molto forte, ma il ragazzo è ben consapevole di non poter usare le parole precise che gli sovvengono alla mente, perciò "immagino sia uhm... perché anche suo figlio è una figura di spicco ormai..." elabora non sapendo bene che dire e "poi lei si era anche candidato con la DC lo scorso anno, la vostra famiglia è in vista insomma..." aggiunge alla fine ricacciando indietro il conato di vomito che gli risale quando pensa a quel determinato partito politico.

Il gesto non sfugge a Dante, il quale abbozza un sorriso bonario e "diciamo che è anche per quello" replica tornando poi serio "o meglio, la mia candidatura ha finito per acuire delle tensioni che Simone in realtà già stava affrontando..."
"Tensioni?"
Che tensioni può affrontare mai uno che-
"Ha subito un'aggressione... mio figlio dico... Qualche settimana fa, in pieno giorno per altro... lui la scorta nemmeno la voleva, ma io ho insistito e-"

E qualcosa nel cervello di Nunù si rompe.
Ogni collegamento neurale viene tranciato da questa informazione che si propaga in cerchi concentrici sempre più ampi, inquinando tutti gli angoli della sua mente.

Dante parla, anzi si sfoga, come se finalmente rilasciasse un fardello tenuto per troppo tempo dentro di sé.
Racconta di come abbiano tentato di malmenare il ragazzo mentre usciva dal cinema dove "era andato come Simone, il 23enne con la curiosità vivace per questo nuovo regista dal cognome italiano... Scorsese mi pare... e non come Simone il figlio del dirigente di una grande azienda."
Trema, continuando nella sua narrazione che va avanti per minuti interminabili nei quali tutto quello che Nunù vorrebbe fare è chiedere perché è successo e invece si limita ascoltare in religioso silenzio, annuendo di tanto in tanto.

Scopre così di un giovane interessato e interessante, prodigo verso gli altri, ma con un atteggiamento a volte strafottente usato come scudo protettivo.
Degli studi in economia fatti con grande interesse, della naturale scelta di rimanere nell'azienda di famiglia per cercare di dare un mano al padre che ormai anela solo la pensione e, appunto, dei tanti pomeriggi trascorsi nei cinemini di periferia.

"Quello che più mi tormenta" mormora Dante "...è che è successo mentre stava facendo l'unica cosa che non lo fa sentire schiacciato dal peso del nome che porta."

E Nunù ci prova a ricordarselo, ma proprio non lo sa quando, in tutto questo fiume di parole, ha iniziato a rivalutare un po' Simone.
Sa solo che è passato dal detestarlo visceralmente a voler forse, forse conoscerlo meglio.
Chiedergli se effettivamente quel De Niro del quale tutti parlano è meglio di Al Pacino e Robert Redford.
O magari discutere della riforma delle pensioni sempre presente nei comizi elettorali del partito che, stando a quanto dice il Professore, pure il figlio detesta.

Alla fine della conversazione, anzi del monologo, ci arrivano sfiniti entrambi come se anche lui avesse svuotato ogni suo tormento su quel divano il cui olezzo continua a nausearlo.
E quando al calar della sera, e in perfetto tempismo con la conclusione della giornata lavorativa dei suoi colleghi, Dante lo lascia libero di andare via, il ragazzo si accorge che di tutti gli uffici che compongono l'azienda solo in uno la luce è rimasta accesa.

Ancora una volta sono le iniziali SB, qui però incise su una targa in legno lucido, ad attirare in modo quasi ossessivo la sua attenzione.
Prima che se ne renda conto, o forse prima che possa cambiare idea, compie gli ultimi passi che lo separano dalla porta chiusa e bussa.

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