La Cisterna - Ultima parte
Tu vieni da qui giù, dalla Cisterna. E qui ritornerai!
Niente salone di bellezza. Niente vestitino della comunione. Niente Brun né Miguel. Corpi. Corpi nudi, lì sotto, nella Cisterna. Gocce in un oceano. Da lì viene. Solo un corpo tra corpi, una Carcassa in mezzo a tante altre Carcasse. Identiche. Nessuna storia, nessun passato, nessun futuro proprio.
Chiude gli occhi e li riapre, a bocca chiusa. Il pendaglino tintinna contro la monetina. E quegli schiaffi, pugni, le mani feroci che l'hanno spogliata e quasi sembrava volessero strapparle di dosso pure la pelle, ora non esistono più. Non esiste più quella carne brutale che la spacca ad ogni spinta. Non esiste più quel dolore acido e pungente.
Adesso... Adesso la stanza va in dissolvenza.
Solo pilastri e luci verdi: la Cisterna. Questo vede, se si sforza di aprire gli occhi. Questo, sovraimpresso sulla realtà finta di quell'illusione. Di quella stanza che è solo una proiezione. Uno degli altri inferni creati ad arte per dare soddisfazione ai servitori. Un palcoscenico.
Isabela, invece, non la smette. Aggrappata alle bugie di una vita pompata a furia, una serie infinita di qualsiasi cosa sia stata premuta in una testa vuota. Ogni strillo che le fugge dalla gola eccita quei due, gli spruzza adrenalina dritta nella schiena. Ubriachi di sangue, saliva, lacrime. Nocche che si stampano sul viso. Gragnuole di pugni. Se Estrella ci prova, non li conta più. Perchè più Isabela grida, più soffre e lo fa vedere, più quelli si fanno duri, brutali, affamati.
Isabela: le mani di uno dei due strette sulla faccia a girarle il collo con un colpo secco.
"Adesso me la godo meglio... Almeno la smette di mordere!"
Gli occhi vuoti di Isabela, la testa un'appendice fuori controllo. La bestia urla eccitata. L'altro se la gode nel corpo morto, strozzandosi una bestemmia in gola.
"Quando hai finito vieni a darmi una mano..."
Chi l'ha detto? Importa davvero?
Poi, verso quello che tiene lei da dietro, qualcuno smozzica mezze parole: "Che c'è Javier? Non riesci a fartela da solo?"
Sente la belva, lì dentro, infuriarsi e colpire più forte. Nulla. Nemmeno quando le caccia qualcosa di freddo dritto nel fianco. Una lama? Sente quella cosa fredda che le gira dentro. La belva s'accanisce feroce. Uno strappo in un vestito, niente di più. Non era la sua, quella carne.
"Troia, grida! T'ammazzo, puttana lurida... Grida!"
Altri colpi dietro la nuca. Feroci. La bestia che adesso ha di fronte le sputa in faccia e scalcia: la punta dello stivale dritta sul labbro. Serra i denti. La monetina! Il pendaglio! Deve tenerli stretti in bocca.
"Vacca di merda..."
Sente quello dietro spruzzarle dentro. Rantolare schifato.
Quiete. Il tempo di un respiro. Poi lo schianto. La Smith&Wesson che vomita piombo, feroce. La testa che si sfascia, il sangue che inonda il pavimento, la rete rugginosa contro il muso morto.
"Hai finito tu?"
Quell'altro rantola un no a mezza bocca scalciandola da dietro.
"Non dirmi che non t'è piaciuto! Non sai che gusto farsi ciucciare quando le teste... Ma che hai Javier? Non t'ha preso?"
"Una merda! Safari premio del cazzo... Quando torno di là mi sentono! Ti sbatti come un cane un anno intero su... Dov'è che lavoriamo? Terra 87? Sì... Ti sbatti un anno intero per scendere quaggiù a goderti il premio produzione e ti ritrovi davanti una merda difettata... Nemmeno un fiato ha fatto, che cazzo!"
Lo sente distintamente: le sputa addosso. Odore selvatico di maschio, odore schifoso, piscio e sudiciume. Le passa qualcosa tra i capelli. Sfrega. Si ripulisce così le vergogne dalla carne.
"Credimi, giuro... Ho più fame di prima!"
Estrella non c'è più. Una cosa rotta per terra. Siràn, da lì dentro prova a chiudere gli occhi. No! Prova ad aprire la bocca. Niente! Congelata in quella posa sconcia. Irrigidita, come un corpo vero. Il pendaglino. Almeno Grigor avrebbe avuto quel che voleva. Si chiede solo se avrebbe ricordato, tornata giù nella Cisterna.
Scalpiccio in uscita, poi la porta sbatte. Le voci dei tre continuano a lamentarsi o vantarsi, a seconda di quanto abbiano mangiato, o come il suo siano rimasti a digiuno. Sfumano in dissolvenza, lontane.
Minuti e silenzio. Il battente si riapre, cigola. Passi. Ombre. Quattro braccia la sollevano, portandola via.
"Ma guarda tu! 'Ste due vanno rimpastate da capo. Ma tu guarda... le hanno sporcate dappertutto, cazzo."
Il pavimento le sfila sotto il muso. Le palpebre ferme raccattano schegge e polvere.
"Ma che cazzo... Toh, vedi? A questa hanno pure fatto saltare la testa, porca miseria. No, inutile! Queste davvero me le segno di straordinario... Questione di principio!"
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