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-III-

22 gennaio, 19**

Lettera al passato n.3
(Visto che non si è arrabbiata, cara dottoressa, continuo così)

La lettera di ieri l'ho interrotta esattamente al suono della campanella della cena, e questo fatto mi ha indotta a pensare. Credo che sarebbe utile illustrarle ciò che facciamo qui (so che lei ci lavora, ma lo fa solo per cinque ore. Ha i suoi bambini, lo so)
La giornata inizia presto, qui dentro. Alle cinque e mezza suona la campana della sveglia, che è veramente portentosa. Voglio assolutamente capire come una campanella così piccola possa creare un suono così assordante. Probabilmente ci sarà un propagatore di suoni (esiste o l'ho appena inventato?)
Comunque, uno ha giusto il tempo di vestirsi prima della colazione.
Qui, mi sento seriamente in dovere di parlare del vestiario che offre l'Istituto.
Non sono una maniaca della moda, affatto, ma dobbiamo proprio indossare queste camicione enormi color mela marcia? Sono senza cuciture e pizzicano da morire, il che è alquanto spiacevole.
E le scarpe.
Oh, le maledette scarpe senza lacci. Le odio profondamente, soprattutto perché se qualcuno vuole correre non ci riesce, perché ti si sfilano dai piedi dopo neanche mezzo centimetro (infatti, quando corro, le tolgo prima)
Lei, cara dottoressa, dovrebbe proprio fare un esposto alla direzione di questo posto per i vestiti.
Dovrebbe proprio.
So che togliete i lacci per questioni di sicurezza, ma io posso assicurarle che non le utilizzerò per uccidermi o cose del genere.
Glielo assicuro!
In ogni caso, parlavo della colazione.
Qui la colazione consiste unicamente in porridge.
Porridge il lunedì, porridge il martedì, porridge il mercoledì...
E piatto speciale la domenica, porridge di mele.
Davvero un'ottima fantasia culinaria.
Comunque, a fine colazione ognuno prende la sua bella pasticchetta.
Anche io, e non faccio tutte quelle storie che fa Louise Williams, la vecchietta del terzo piano sempre agitata. Quella le pillole le prende solo se qualcuno degli inservienti gliele caccia in gola (il più delle volte, Robert, che è tremendamente paziente con lei)
Dopo le medicine, ognuno sa cosa fare.
C'è chi fa le sedute con il proprio medico, chi fa una passeggiata in giardino, chi ha la propria sessione di terapia.
Io ho la mia chiacchierata con lei (ma questo lo sa già) e sa bene che non ci liberiamo mai prima di mezzogiorno.
Deve essere forte scoprire quello che uno ha in testa e cercare di metterlo a posto.
Mi piacerebbe studiare quella roba, quando uscirò di qui, anche se penso che non ci riuscirò mai.
In ogni caso, dopo il pranzo (in genere terribilmente insipido) ognuno ha il suo pomeriggio libero. Io lo utilizzo per leggere libri della biblioteca, uscire in giardino e aggiornare questo diario, per cui niente di particolarmente interessante.
Comunque, dovrebbe fare un esposto anche alla biblioteca, perché i libri non sono così interessanti.
Perlopiù, si tratta di complicatissimi libri di psichiatria e tutta quella storia della psicoanalisi (che è, in sostanza, questo diario)
Niente avventura, niente fantasy, niente di niente.
In ogni caso, cerco di tenermi impegnata in qualsiasi modo, così evito di pensare al processo e alle indagini.
Immagino che lei lo sappia bene di cosa sono accusata.
Non è che l'ho capito molto bene, in realtà. Ah, forse dovrei parlare un po' della ragazza che è morta.
Si chiamava Emily Broschinsky, e aveva i miei stessi anni.
Abbiamo fatto la stessa scuola, la Wooded Hills High School, e facevamo Biologia insieme.
I Broschinsky sono pieni di soldi, e vivono in una mega villa a North Hykeham, la zona dei ricchi della contea (forse ci abita anche lei).
Emily era la classica ragazzina ricca; vestiva sempre alla moda e aveva i capelli lunghi, acconciati alla perfezione. I suoi genitori sono entrambi avvocati, e grandi amici di mio padre, e aveva anche una sorella minore di nome Katrina.
Dunque, era la ragazza perfetta.
Faceva la cheerleader ed era fidanzata con Cormac Odgson, il capitano della squadra di football (che la tradiva con Astrid McGowan).
Quindi, io e lei non avevamo assolutamente niente in comune.
Non capisco chi possa aver detto che sono stata io, davvero.
Ho saputo che era morta dai giornali, e dal fatto che la polizia criminale ha bussato alla nostra porta.
Inizialmente, mi hanno fatto un mucchio di domande su Emily e su cosa conoscessi di lei.
Io ho ripetuto tutto quello che ho detto anche a lei, ma loro non credevano a quello che dicevo, perché il testimone anonimo aveva già fatto il mio nome.
Comunque, mi hanno portata in commissariato e mia madre non poteva venire a prendermi col fatto del diner e un mucchio di altre cose.
I poliziotti seppero di tutte le difficoltà economiche che avevamo dall'Ufficio Assistenza per Minorenni, dal quale prendevamo qualche soldo.
Loro fecero firmare a mia madre un documento che attestava il fatto che, da quel momento, un assistente sociale nominato dalla contea doveva prendere la mia custodia legale e decidere dove dovevo risiedere.
A mia madre non fregava niente di dove mi mettevano, perché aveva capito che me la passavo male e lei doveva andare a lavorare, e aveva anche mia sorella.
L'assistente sociale l'ho incontrato solo una volta, il giorno dopo al commissariato. Mi ha detto che si chiamava Herbert Weller e che da quel momento era il mio tutore legale.
Poi, ha firmato il documento di ricovero volontario per sei mesi all'Istituto di cura per malattie mentali Mary Jane Losborgh.
Il giorno dopo, alle cinque, mi hanno svegliata e mi hanno fatto trasferire all'Istituto, dicendomi che era una situazione temporanea prima del processo.
Dovevano terminare le indagini e un mucchio di altre cose prima dell'inizio del processo, e che non potevano tenermi a casa, visto che il comitato scolastico non voleva più avermi a scuola, e nemmeno l'Organizzazione Genitori della città mi voleva in libertà.
Non ci sono case per ragazzi problematici qui, ma solo questo posto di cura, e hanno quindi ben pensato di mettermi in questo posto per tenere al sicuro la comunità.
Le ho raccontato tutto, anche se immagino che lei sappia già la maggior parte della roba che le ho detto, forse anche di più.
In ogni caso, mi è servito a ricordare qualcosa di ciò che succede fuori di qui.
A starci tanto tempo si perde la cognizione della realtà.
Tanto che, da due giorni a questa parte, mi ritrovo sempre a fantasticare di cose assurde in giardino. Castelli e roba simile, tanto per far passare il tempo.
La mano mi sta facendo malissimo, a scrivere tutto questo tempo. E immagini che non ho scritto nemmeno la metà di ciò che volevo, ma i pensieri mi frullano così velocemente in testa che scrivo solo il più veloce.
Immagino come se ci fosse un ingorgo stradale nella mia testa, e passi per prima la macchina più veloce e spregiudicata, lasciando indietro le più lente e timide.
Devo lasciarla adesso, dottoressa. L'infermiera Norman mi ha detto che è appena arrivata.
Corro a consegnarle questa nuova lettera.

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