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Documento 3

Ufficio della dottoressa Hannah Mosey, psichiatra dell'Istituto di cura per malattie mentali Mary Jane Losborgh di Wooded Hills, North Carolina.

Al giudice M. Sullivan e alla Corte dello Stato del North Carolina.

Egregio signor giudice
È stata richiesta da parte della Corte la mia testimonianza riguardo al caso Warner, di cui si è molto parlato e discusso nei giornali e in televisione.
In quanto psichiatra, lavoro presso il centro Mary Jane Losborgh da quasi dodici anni, a stretto contatto con tutte le spiacevoli conseguenze legate alle malattie mentali.
Secondo la mia etica professionale, seguo ogni caso con la dovuta delicatezza e discrezione, conoscendo a fondo tutte le dinamiche familiari e sociali implicate in casi così gravi. Quest'etica mi impone di avvicinarmi prima ancora come amica che professionista, in modo da stabilire rapporti quanto più fiduciosi e sinceri possibile, al fine di poter proseguire con successo nella terapia di cura.
Quando Emeraude Lullaby Warner venne per la prima volta nel mio studio, mi trovai di fronte ad un alto muro di indifferenza e scoramento.
La ragazza era stata condotta in Istituto su insistenza della scuola e dell'Ufficio assistenza per Minorenni, ritenendola incapace di intendere e di volere.
Questo lo trovai piuttosto strano.
In casi di persone così giovani, è preferibile condurre una terapia costituita da incontri privati nello studio del medico, piuttosto che un vero e proprio ricovero ufficiale.
Mostrai i miei dubbi al funzionario dell'Ufficio Assistenza, ma egli rispose che la situazione della ragazza era a dir poco particolare, e che dunque il ricovero si vedeva non solo come necessario, ma addirittura obbligatorio.
Poi, con un sussurro, mi rivelò che la giovane aveva ucciso una coetanea.
Data la mancanza di case correzionali nella contea, si vedeva necessario il ricovero della ragazza in attesa della decisione del giudice minorile in merito al presunto omicidio commesso.
Durante la permanenza della ragazza, veniva richiesta una terapia di cura temporanea e un accertamento sulle reali condizioni mentali, in modo da fornire nuovi elementi alla Corte.
Fui io a sottoporla alla terapia, e fui sempre io la sua principale confidente all'interno delle mura dell'Istituto.
Ricordo che Emeraude Lullaby Warner era una ragazza dall'aspetto delicato e fine, quasi eterea. Nell'Istituto non aveva amici, non si lasciava avvicinare da nessuno degli altri pazienti e trascorreva numerose ore in giardino, in solitudine. Mangiava poco o nulla, e seguiva scrupolosamente la terapia farmacologica che ritenni opportuno somministrarle, non creando problemi alle infermiere incaricate di distribuire le pillole.
In ogni caso, quelle pasticche non avevano effetti su di lei.
Il suo comportamento rimaneva il medesimo, e non vi erano cambiamenti sostanziali della sua condizione mentale.
Rispondeva alle mie domande con sincerità, e ai test di verifica del quoziente intellettivo otteneva risultati a dir poco straordinari.
Leggeva a lungo, divorava letteralmente i libri a disposizione dei pazienti, e trascorreva le sue ore libere in biblioteca.
Passarono circa due mesi, e finalmente giunsero i documenti necessari all'avvio del processo.
Mi venne inviata una copia del referto del medico legale sul corpo della vittima, presumibilmente assassinata dalla ragazza che avevo in cura.
Il referto affermava che la vittima era stata uccisa a colpi di mannaia, dodici in tutto, alla schiena.
Il motivo di tale accanimento è ignoto, perché la vittima era una adolescente equilibrata e felice, per nulla turbata da eventuali minacce, a detta di familiari e amici.
In ogni caso, veniva accusata la mia giovane paziente in quanto era stata vista sul luogo del delitto da parte di un testimone anonimo, che giurava di averla vista sgaiattolare dal giardino sul retro della vittima con le mani insanguinate e gli occhi spiritati. 
Non dirò, signor giudice, di aver avuto fiducia in tale testimonianza, ma posso affermare senza ombra di dubbio di aver seguito le direttive del tribunale in tutto e per tutto, cercando di intavolare con la paziente una conversazione riguardante gli omicidi nel tentativo di scoprire qualcosa.
Non sono un detective, ma una psichiatra, e scoprii unicamente ciò che concerneva la mia professione. Posso affermare, utilizzando i risultati di terapia, le discussioni e l'osservazione comportamentale, che Emeraude Lullaby Warner non era instabile mentalmente, né soffriva di una qualche patologia mentale tale da giustificare un atto grave quanto quello dell'omicidio.
In cuor mio, ritengo impossibile che la ragazza possa essersi macchiata di un tale reato ma, come detto poc'anzi, mi limito a riferire i risultati della terapia portata a termine.
Allego i documenti relativi alla permanenza in Istituto della ragazza e tutti gli oggetti ritrovati nella sua stanza, compreso il diario che le chiesi di scrivere, nella speranza di essere stata utile alla corte.

In fede
                      

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