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3. Ossa Rotte

Scar

Una volta rimasti soli il mio primo impulso fu quello di mandare il Secco a fanculo e andarmene da lì, e se non fosse stato per la sensazione di prurito che mi dava il microfono l'avrei fatto davvero.

Quel maledetto, piccolo aggeggio sembrava prendersi gioco di me, ricordandomi minuto per minuto che mi trovavo in quella situazione per un preciso scopo.

Era servito il ricordo della tomba di mio padre, quello del volto contratto di Jack e tutto l'istinto di autoconservazione che avevo per evitare di scagliarmi contro di lui.

L'immagine dello sbirro l'avrei rievocata anche in seguito, quando mi sarebbe venuto duro al ricordo delle cosce nude di quella ragazzina dai capelli rossi.

Era arrivata all'improvviso proprio mentre stavo inventando quella bugia su Logan. E forse era stato un bene, perché aveva distolto il Secco dal pensarci troppo e giungere alla conclusione che si trattava di una cazzata.

Sarebbe stato tutto fantastico, se non per il fatto che i capelli rossi mi mandavano in orbita il cervello e che gli uomini violenti con le donne mi facevano scattare.

Era un valore che per me non si poteva mai tradire, e il fatto che fosse successo ad una ragazzina così fragile aggravava la percezione negativa che avevo di quell'atto.

Certo, se una donna a cui ero molto legato fosse piombata senza preavviso coperta da una striminzita vestaglia di seta davanti ad uno con la mia faccia avrei bestemmiato anch'io, ma non avrei mai alzato le mani.

Era la prima volta che la vedevo, perché non avevo mai avuto il privilegio di bazzicare in quella casa. Da quando gli arresti erano aumentati il Secco aveva adottato diverse misure di sicurezza, impedendo ai suoi di raggiungerlo in un luogo così privato. Per sentito dire, sapevo che se riuscivi ad entrarci eri destinato a diventare il suo braccio destro, oppure a non uscirne più vivo... Io, quella sera, avevo buone probabilità di finire nella seconda categoria.

Walt mi schiacciò contro il muro, e la paura che attraverso i vestiti potesse percepire la presenza del microfono mi stava facendo letteralmente grondare di sudore. Quanto avrei voluto quella coca ghiacciata sulla fronte in quel momento.

Sebbene non fossi uno che si frenava quando c'era da menare le mani, la serie di circostanze in cui mi ero ficcato mi rendeva impotente. Fu per quello che alzai le mani in segno di resa.

"Walt, mi conosci..." Farfugliai nervoso. "Sai che effetto mi fa vedere certe scene."

"Lo so, lo so." Sibilò scuotendo compulsivamente la testa. "Abbiamo tutti un passato, ed è per questo che non ti spaccherò la faccia adesso." Sul serio?

Se volevo entrargli nel cuore dovevo ammettere che quella sera avevo svolto un pessimo lavoro, dimostrazione del fatto che fare la spia mi veniva una merda.

"Mi dispiace." Aggiunsi. "Non volevo mancarti di rispetto." Il Secco mi spiazzò, afferrandomi le spalle per stringerle in una sorta di rude carezza.

"Mi urta ammettere che ho apprezzato quello che hai fatto con Ella." Aggrottai le sopracciglia. Odiavo non riuscire a capire se stesse per uccidermi o per premiarmi. "L'hai difesa senza paura e questo ti fa onore." Poi si allontanò di un passo, concedendomi qualche centimetro di aria in più per poter tornare a respirare.

"Allora nessun rancore?" Ero incerto, ma azzardai comunque a porgergli la mano in segno di pace.

"Nessun rancore." Asserì accettando il mio gesto. Tuttavia, quando stavo per mollare la presa, lui sfruttò il peso del corpo per tirarmi contro il suo petto. "Però, vedi..." Con il pollice mi spinse indietro l'indice, e un sonoro crack annunciò il fatto che mi aveva appena spezzato il dito.

Un bruciore lancinante si diffuse dall'osso al muscolo, mandando a fuoco tutto il resto dell'arto. Digrignai i denti, incapace di muovermi e accecato dal dolore che provavo alla mano. Mentre cercavo invano di contenere il tremore imbarazzante che mi stava portando a cedere sotto la sua stretta, la sua espressione si aprì in un sorriso sinistro.

"Non mi piace quando mocciosi che ho tirato su dal niente pensano di potersi prendere tutto." Sibilò glaciale contro l'arco del mio orecchio. "Io ti ho dato tutto perché volevo farlo, ma mi basta un attimo e tu torni al niente." Sentivo un gran caldo, ma l'adrenalina stava rimpiazzando il dolore ed io avevo iniziato a risvegliarmi dal torpore che provavo da quando ero stato arrestato. Poi lui mi assestò una pacca sulla spalla e le sue labbra liberarono una risata divertita che non coinvolse gli occhi.

"Se fa troppo male ti faccio medicare da Ella, se la cava bene con le ferite." Era impazzito? "Sarà divertente mostrarle gli effetti della mia forza sulla tua debolezza."

Proprio in quel momento Nick scese le scale e si fermò davanti alla cucina. Incurante di ciò che era appena successo, pronunciò una frase che fece inabissare l'ultimo residuo di quel sorriso compiaciuto: "Ella non c'è. Dev'essere scappata di nuovo."

"Ma allora vuole farmi incazzare davvero." Sbottò il Secco.

"Sarà tornata al cimitero, di solito va lì quando le cose si mettono male."

Walt mi spinse in avanti senza alcun riguardo.

"Vai a cercarla e riportala qui."

"Cosa?" Farfugliai intontito.

"Pensavo di averti spaccato un dito, non un timpano."

"Ti ha fatto quel giochetto del dito?" Nick era decisamente un coglione e la sua risata divertita mi faceva venir voglia di massacrarlo.

"Visto che hai avuto il coraggio di fronteggiarmi per proteggerla ho pensato che sarebbe un'ottima idea se ti affidassi l'incarico di tenerla d'occhio." Diceva sul serio o mi stava prendendo per il culo? "Ultimamente Ella è ingestibile, scappa di continuo e mi nasconde le cose. Prima ci pensava il Falco a controllarla, ma ora mi serve per il casino che ha creato Logan."

"Ho bisogno di un ospedale." Dissi confuso. "Non posso guidare in questo stato."

"Secondo me ce la puoi fare. Il bello di avere una moto è che non ti servono le dita per accelerare."

Capii dal suo sguardo che non avrei avuto altra scelta se non quella di obbidire. Prima avrei trovato la mocciosa e prima sarei riuscito a farmi medicare la frattura. Raggiunsi l'uscita con la voglia di spaccare tutti gli oggetti che mi trovavo davanti.

"Cosa vuoi che faccia?" Chiesi stringendo la maniglia con la mano buona.

"La porterai a scuola alle 8:00 e tornerai a prenderla alle 13:00, seguirai tutto quello che fa e non la perderai di vista un secondo. Ti avverto, è brava a scappare e sa come far perdere la pazienza, ma tu non la perdere." Iniziò ad avvicinarsi. "Se dovesse succedere qualcosa di spiacevole..." Sussurrò ad un passo da me. "E intendo dire uno sguardo di troppo, una carezza, un qualcosa che potrebbe turbarmi... In quel caso non avrai un'altra occasione per redimerti."

Ma figurati se mi mettevo a giocare con la sorella del diavolo. Mi bastava andare al Babilon per averne dieci già pronte a tornare a casa, maggiorenni e, soprattutto, senza casini alle spalle.

"Come faccio a tornare a casa?" La mia moto era rimasta parcheggiata su quell'ammasso di fango che chiamavo giardino. Il secco scrollò le spalle come se avessi appena fatto la domanda più stupida del secolo.

"Non è un problema mio."

"Afferrato." Se non volevano aiutarmi, tanto valeva levarsi di torno il prima possibile. Senza perdere altro tempo, spalancai la porta e allungai un piede verso l'esterno.

"Scar." Mi richiamò Walt. Quando mi voltai, scorsi sul suo volto lo sguardo cupo e inespressivo di un sicario. "La prossima volta che ti intrometti in una delle mie decisioni ti ammazzo."

E la porta mi si chiuse alle spalle.

Barcollai giù per le scale e imboccai il vialetto cercando di ignorare la macabra visuale del mio dito storto. L'indice formava un angolo innaturale, sporgendo verso l'alto come un ramo spezzato dal suo tronco principale.

Non ero nuovo a quel tipo di dolore, in fondo avevo la faccia sfregiata in modo irreparabile e da piccolo ero stato abusato fino a diventare uno che abusava.

Convinto sostenitore del fatto che non esistessero innocenti e corrotti, ma soltanto innocenti corrotti, avevo sempre pensato che se quelle cicatrici mi erano state fatte voleva dire che forse me l'ero meritate, che la pelle liscia e perfetta fosse destinata a chi non si era lasciato influenzare dalle cattiverie della vita diventando cattivo a sua volta.

Ero sempre stato un ragazzino incapace di crearsi buone amicizie e ritagliarsi un posto nel mondo.

"Oscar, non sei nato per restare solo. Hai tanto da dare, ma non hai ancora trovato qualcuno che sia in grado di tirartelo fuori."

Ed io la rimproveravo: dicevo alla mamma di sprecare le sue energie per curare le ferite che le coprivano quasi completamente la faccia.

Lei non era mai stata cattiva con nessuno, eppure non aveva una pelle liscia.

Era nato all'età di sedici anni il bisogno di iniziare il mio primo lavoretto in strada.
Al tempo, si diceva che il Secco avesse ereditato quel soprannome a causa di tutti quelli che, lavorando per lui, c'erano rimasti secchi.

La mamma non aveva più voglia di stare al mondo ed io quella voglia l'avevo già persa da un pezzo.

I suoi occhi non erano più lucidi: era come vedere una persona diversa nello stesso corpo e, per anni, mi ero tormentato al pensiero di aver dimenticato come mi facesse sentire averla accanto quando era ancora la donna di sempre.

Per tutta la vita avevo visto me e lei come due metà di un intero più grande, due parti di una mela che era stata attaccata da un verme e che pian piano stava marcendo.

Sebbene appartenessi ad una famiglia di morti di fame, iniziai quel mestiere non tanto perché avessi bisogno di soldi, quanto per il fatto che speravo, come tutti i miei predecessori, di restarci secco.

In fondo non avevo niente da perdere, perché l'unica persona che mi fosse mai appartenuta in quel mondo se ne stava andando inesorabilmente.

Con l'arrivo dei primi contanti, però, avevo iniziato a sperare di riuscire a fare una somma sufficiente a portarla via da quel posto di merda e farle cambiare vita.

Sfortunatamente, il tempo mi aveva tradito portandomela via troppo presto, e quei pochi soldi che ero riuscito a racimolare, alla fine, avevo dovuto usarli per pagarle quella merda di funerale a cui nessuno aveva partecipato.

A penalizzarmi era stato iniziare dal basso, prendendo la fetta più piccola tra tutti gli altri componenti del gruppo, una cifra così ridicola da non riuscire neanche a coprire la caparra di una squallida casa.

Mio padre era un figlio di puttana qualunque che aveva messo incinta una donna qualunque. Ed io ero solo un bambino qualunque che non aveva mai capito il gioco della vita.

Non mi distinguevo per l'intelligenza, non mi distinguevo per la bellezza, non eccellevo in niente di ciò che facevo e, a dirla tutta, non avevo neanche una passione o un sogno nel cassetto... Perché il mio unico desiderio era che le botte smettessero di farmi così male.

Ero l'esperimento sbagliato di una prostituta e un alcolizzato con la mente deviata, il sottile filo che ci teneva uniti non era mai stato saldo e non ci aveva messo molto a spezzarsi del tutto.

Quello che accomunava tutti i ragazzi del Buco Nero era l'infanzia di merda e l'assenza di appoggi familiari. Il sangue tradiva il sangue e gli occhi smettevano di piangere prima ancora di avere un motivo valido per farlo.

Aver assistito ad un altro episodio di violenza domestica non mi stupiva per niente, ma mi sbatteva in faccia vecchi ricordi che a stento ero riuscito a soffocare.

La mocciosa aveva le curve di una donna e lo sguardo di una ragazzina. Della sua immagine erano stati i piccoli dettagli a colpirmi di più. Quella miriade di piccole lentiggini dorate, per fare un esempio.

Le sue occhiaie tendenti al viola che le rendevano lo sguardo talmente triste e spento da lasciarmi lì, inchiodato al muro a chiedermi se quegli occhi avessero visto le stesse cose a cui avevo dovuto assistere io. Non era l'espressione vacua di una tossica, ma quella di una che tirava avanti a campare e invece avrebbe preferito morire.

E poi, più di tutte le altre cose, mi aveva colpito quella cascata di capelli ramati che le scendeva sulle spalle in modo disordinato.

La mamma aveva i capelli di un rosso talmente intenso da riuscire ad illuminare il mondo circostante e, quando la si guardava, sembrava di vedere un pezzo di sole caduto sulla terra.

C'era voluto un attimo per collegarle e rivivere tutti gli schiaffi che da piccolo le avevo visto incassare. In un secondo mi ero messo in mezzo, guadagnandomi la rabbia del Secco, un dito rotto e il compito di inseguirla come se fosse una mia responsabilità.

Non avendo ricevuto alcun passaggio, fui costretto ad affidarmi ai cartelli stradali, sparandomi una decina di isolati a piedi per raggiungere casa e prendere la moto.

Quando finalmente mi accomodai sulla sella e spinsi la chiave nel quadro, cercai di fare il possibile per evitare di accasciarmi contro il quadrante a causa della stanchezza.

Mentre ruotavo il polso sulla manopola dell'acceleratore ripensai, mio malgrado, alla proposta di Jack, arrivando alla conclusione che forse avevo agito in maniera avventata accettandola.

Quando mi immisi sulla corsia per raggiungere il cimitero, poi, maledissi l'istante in cui mi ero intromesso nel loro idilliaco quadretto familiare.

Era fuori discussione che entrassi al cimitero, mi ero sempre rifiutato di annusare quell'odore di cadaveri e inginocchiarmi davanti ad una vecchia foto ingiallita in cui il defunto, un tempo, era stato immortalato in una posa spensierata.

Erano i fiori lasciati a seccare in vasi pieni d'acqua melmosa a turbarmi, o forse quella fila di candele finte avvolte dalla plastica rossa. Quei cipressi ben curati che formavano il viale tra le tombe. Quell'infinita serie di lettere che indicavano le iniziali dei nomi in maniera ordinata e rendevano il posto simile al reparto di un ospedale...

Tutti si erano preoccupati di ricreare un fantastico luogo vacanze per i morti e nessuno aveva mai pensato a buttar giù le case popolari in cui vivevamo per sostituirle con villette decenti. Come potevo sentirmi a mio agio se tutto ciò che si trovava in quel posto mi faceva incazzare?

Mi bastava guardare le loro lapidi gelide per piombare nell'angoscia, soprattutto se due di quelle riportavano il nome di chi mi aveva messo al mondo.

Non avevo un bel ricordo del funerale dei miei, ero stato costretto a celebrarli entrambi perché non avevo potuto abbandonare il corpo di mio padre all'obitorio. E quello di mia madre, invece, era stato talmente massacrato dalla lama di un coltello che avevano dovuto cucirne i vari pezzi con del filo di cotone.

Più mi avvicinavo, più la testa si affollava di ricordi spiacevoli. Raggiunsi il luogo in dieci minuti, ma ne avrei impiegati soltanto cinque se non fosse stato per il bisogno di tardare il più possibile il mio arrivo.

Quando spensi la moto rimasi ad attendere contro la fiancata laterale. Il dito pulsava e la pelle intorno alla contusione si era gonfiata e arrossata. Potevo sistemarlo da solo, se in giro avessi trovato una stecca. Almeno avrebbe smesso di fare così male.

Iniziai a guardarmi intorno poco prima che il telefono iniziasse a vibrare in tasca, spezzando l'unico attimo di pace che ero riuscito a ritagliarmi in quella giornata infernale.

"Jack." Risposi freddo.

"Abbiamo la registrazione."

"Quindi sai che ora posso contare solo fino a quattro." Lo sentii sospirare.

"Mi dispiace per il dito, dovresti passare al pronto soccorso." Alzai un sopracciglio, innervosito dal suo totale disinteresse.

"Tu credi?"

"Oscar..." Mi interruppe lui. Stava per arrivare la strigliata del capo? "Hai fatto un ottimo lavoro."

"Cosa?"

"Ora che abbiamo scoperto che ha un punto debole così grande possiamo lavorare su questo."

"Cioè?"

"Devi sfruttare la sorella per scoprire il più possibile su di lui." Mi venne da ridere.

"Ma voi non dovreste fare qualcosa per tirarla fuori da lì?"

"E fargli fare una notte in cella per poi esser costretti a rilasciarlo? Pensi che aiuterebbe quella ragazza? Rispetto alla violenza domestica, un reato per droga potrebbe tenerlo dentro per anni."

"Quindi è questo il tuo piano? Farmi fare da balia ad una mocciosa?"

"Funzionerà." Ne era così convinto?

"Non lo so, Jack. Mi sembra una cazzata."

"Il gioco lo conduco io, tu devi solo ricordare quello che rischieresti se abbandonassi l'accordo. Il dito rotto è la dimostrazione del fatto che sei vivo soltanto perché hai scelto di prender parte a questo complotto." Era vero, se non avessi accettato a quell'ora sarei già morto.

"Smettila di ripetermelo. Sei più fastidioso di questo microfono..." Mi lamentai grattandomi il petto. "Mi sta dando la morte."

"Il microfono? Ma se ti sei fatto tatuare dalla testa ai piedi." Stavo per dirgli che il dolore di un tatuaggio era sensibilmente diverso dal senso di frustrazione che provavo nel sentirmi una spia degli sbirri, ma poi notai di sfuggita una ciocca ramata.

"Io chiudo. Ci sentiamo dopo."

"Mi racc..." Buttai giù.

La mocciosa mi riservò appena uno sguardo scocciato, mentre mi sorpassava ignorandomi intenzionalmente. Di sicuro aveva capito che ero lì per lei, perché la vidi accelerare il passo con l'evidente intenzione di evitarmi.

Il profumo delicato e femminile sprigionato dai suoi capelli ebbe uno strano effetto analgesico sul mio nervosismo e, d'istinto, mi ritrovai ad abbandonare la moto per seguirne la scia.

Un passo dei miei era lungo il doppio di uno dei suoi, e in due falcate coprii la distanza che ci separava.

Quella giornata mi aveva provato così tanto che, una volta raggiunta, le afferrai il braccio con la mano sbagliata, finendo per urtare l'osso rotto contro la piega del suo gomito. Il dolore che ne derivò mi fece ansimare in maniera imbarazzante.

Lei si voltò e posò lo sguardo sul dito malconcio.
"Lasciami indovinare..." Sussurrò assorta. "Frattura scomposta della falange e gonfiore diffuso al dorso della mano. Non ti è proprio venuto in mente di metterci del ghiaccio?" Strinsi gli occhi in due piccole fessure, non poteva fare sul serio.
"Scusa se ero impegnato ad inseguire una quindicenne latitante."

Lei passò un polpastrello sulla contusione. "Diciassette..." Farfugliò distrattamente mentre seguiva i bozzi dell'infiammazione, portandomi a rabbrividire sotto il suo tocco. Quello che avrebbe dovuto disgustarla sembrava incuriosirla, e mi ritrovai a pensare che fosse più svitata del fratello.
"Cosa?" Chiesi confuso.
"Ne ho diciassette." Non che cambiasse particolarmente.

L'estremità della sua unghia corta si fermò sulla parte più gonfia della mano, esercitando una leggera pressione sulla pelle sensibile.
"Che fai?" Gemetti.
"Cerco di capire per quanto tempo dovrai portare la fasciatura..."
"Dobbiamo tornare a casa." La interruppi.
Lei sollevò lo sguardo e in un attimo compresi due tremende verità: non avrebbe mai ceduto alla mia volontà e non aveva pianto dopo l'episodio dello schiaffo. Fredda, cinica... Un bel contenitore fuori, che però era vuoto dentro.
"Tornaci tu, a casa."

"Non senza di te." La vidi arricciare le labbra. Si stava innervosendo?
"Quindi adesso sei tu il mio nuovo babysitter?" Realizzai che forse sarebbe stato più difficile che trattare con il Secco.
"Questa novità non piace neanche a me, ma dobbiamo farcela andar bene."

Ad occhio e croce il suo braccio aveva la stessa circonferenza di quello di un bambino, e a giudicare dai lividi che indossava ero certo che ci sarebbe voluta più di una minaccia per corromperla a tornare.

Non ero tipo da ragionamenti, così optai per la forza, circondandole il polso sottile con l'intento di tirarmela dietro. Tuttavia, quando feci per tornare alla moto, lei impuntò i piedi come una bambina capricciosa.

"Se non mi lasci mi metto a strillare." Sputò cinica.

"Davvero?" Inarcai un sopracciglio. "Pensi che qualcuno si metterà contro di me per salvarti?"

Lei si voltò, liberandosi dalla mia presa con estrema facilità. L'avevo forse lasciata fare?

Subito dopo mi guardò con disprezzo.

"Pensavo che Walt li avrebbe scelti con un po' più di criterio i suoi ragazzi, sembri uno che è appena uscito di galera."

Che poi, in effetti, era vero.

"Il mio aspetto non deve piacerti." Perché in realtà avrebbe dovuto spaventarla, e invece tra noi due sembrava lei quella più calma. Mentre cercavo di capire da che verso prenderla, il mio telefono vibrò ancora. Quando lessi il numero 10 sul display alzai gli occhi al cielo esasperato.

"Devo rispondere." Commentai, ed Ella spostò il suo peso da un piede all'altro con fare irritato.

"È lui, vero?" Chiese velenosa. "Siete proprio tutti uguali. E dire che eri partito così bene prima, quando l'hai affrontato. Peccato che adesso gli corri dietro come un cane al guinzaglio." Sollevai l'indice per zittirla e risposi al telefono.

"Mi dai cinque minuti?"

"Cinque minuti?" Grugnì il Secco. "È più o meno il tempo che impiegherò a spezzarti il collo, se non porti il suo culo qui adesso." E riattaccò. Intanto Ella si era voltata per andarsene, ed io persi qualche istante a chiedermi quale dei due fratelli fosse il più irritante.

"Dove vai?" Le urlai dietro. "Ti riporto a casa."

"Apprezzo l'offerta, ma... Indovina un po'?" Mi alzò il dito medio. "Conosco già la strada." Strinsi i denti, ormai prossimo alla crisi di nervi.

"E dai, ti compro un gelato." Lei continuò a camminare. "Un lecca-lecca?" Stava accelerando il passo? "Un che-cazzo-ne-so di cosa piace ai mocciosi?" Mi ero sottomesso a Walt perché non avevo avuto altra scelta, ma non avevo intenzione di farmi calpestare da una bambinetta mestruata.

"Potrei giurare di essere più matura di te. Il lecca-lecca infilatelo su per il culo." Ero già abbastanza agitato a causa della frattura. In più, avevo iniziato ad odiarla da quando mi aveva costretto a tornare al cimitero. E poi di solito le donne mi correvano dietro, non ero io quello che le inseguiva come un cagnolino.

Sconfitto dalla sua testardaggine feci per tornare alla moto, l'avrei seguita a passo d'uomo bestemmiando tutto il tempo.

Ma poi una macchina si accostò al marciapiede e da un finestrino abbassato proruppe un casino di musica techno che, dalle mie parti, si poteva definire il frastuono dei tossici. Quando mi voltai notai che dallo sportello del passeggero usciva una nube di fumo denso.

"Ehi, tesoro, vuoi uno strappo?"

Stavo già per innervosirmi, ma poi lei fece una cosa che mi mandò su tutte le furie, perché si sporse per aprire la portiera del coglione che l'aveva approcciata. Voleva farci ammazzare entrambi?

Mollai il mezzo a bordo strada e tornai velocemente dalla stupida, che nel frattempo aveva allungato una gamba verso la vettura.

Con il palmo richiusi lo sportello di scatto, facendo inclinare la macchina sotto il peso del mio corpo.

"Levati dal cazzo." Lui rise divertito.

"È il tuo fidanzato, piccola?" Ella protestò, provando a spingermi da dietro.

"Perché non te ne torni da mio fratello?" Mugolò affannata. Stavo per dirle che tanto non sarebbe riuscita a spostarmi neanche di un millimetro con quelle mani minuscole, e invece fui interrotto dal coglione, che mi sputò una nuvola di fumo grigio in faccia.

Forse non aveva capito che la giornata pietosa che avevo avuto mi stava portando ed esplodere, o forse era troppo fatto per elaborare un pensiero intelligente.
"Puoi avere di meglio, secondo me." Affermò indicandosi.

In un attimo feci il giro della macchina per raggiungere la sua portiera. Quando la aprii per afferrargli la maglietta, annusai la puzza di alcol che emanava e arricciai le labbra disgustato.

"Un tossico del cazzo. È questo che vuoi, Ella?" Lo gettai a terra senza il minimo sforzo e feci per tirargli un pugno in faccia, ma lui usò le mani come scudo e iniziò a piagnucolare.

A quel punto sarebbe stato inutile infierire, percui tornai ad ignorarlo e mi trascinai lentamente verso la causa di quel casino. Prima che potesse aprire bocca per protestare mi abbassai e le circondai le ginocchia, tirandomela addosso per sollevarla sulla spalla.

Come se non fosse già abbastanza difficile fare tutto con l'uso di un solo braccio, Ella iniziò a strillare e dimenarsi contro il mio petto.

"Mettimi giù!" Urlò con i pugni chiusi.

"Guarda che se continui a scalciare questa mano potrebbe finire più su, mi basta qualche centimetro per capire se oltre al cervello hai anche le forme di una bambina." Dissi disegnando con il pollice un cerchio contro la sua coscia inesistente.

"Che fai?" Si allarmò lei. "Dove tocchi?"

Avevo il suo culo praticamente attaccato all'orecchio e una voglia di matta di rimetterla in riga. Una combinazione letale, per uno come me... Eppure, arrivati alla moto, la misi giù senza far niente.

"Sali senza discutere." Quell'ordine non la portò soltanto a mettere il broncio, ma anche a trafiggermi con uno sguardo colmo di inquietudine.
"Anche tu farai il serpente con me?" Era decisamente più svitata di quanto pensassi.

Per non lasciarmi influenzare da quegli occhi tristi mi aggrappai all'istinto di sopravvivenza. Era il lato animale che salvava gli uomini dalle situazioni più difficili. La parte morale serviva soltanto a farsi fottere dagli altri.

"Farò quello che Walt mi dirà di fare." Risposi massaggiandomi distrattamente il collo. Poi mi ricordai che se non mi fossi sbrigato a portarla indietro avrei potuto anche perderlo, quel collo. E allora la incalzai: "Dai, facciamo il giro lungo..." Era così che si trattava con i mocciosi?

"Se torniamo adesso farà molto più male a me, che a te." Disse lei.
Mi avvicinai di qualche passo, Ella invece indietreggiò, finendo intrappolata tra il mio corpo e la fiancata della moto.

"Ah sì?" Sarebbe stato immorale lasciarsi attrarre da una bocca così sensuale, eppure non riuscii ad impedirmelo. "E tu cosa ne sai del mio dolore?"

Il suo sguardo spento mi sfiorò le linee della mandibola e si soffermò un po' troppo a lungo sulla cicatrice che mi attraversava le labbra.

Poi mi diede le spalle e, con un movimento aggraziato, si tirò a sedere sulla sella.
"Andiamo a casa." Disse in un sussurro. "Tanto a te non frega un cazzo del mio dolore."

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