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5. (Cinq)

Robin entra nell'aula di inglese e in alto vede Vittoria, Isabella e Antonio seduti ai loro soliti posti. Il senso di frustrazione che sente guardando Bella è mitigato dalla presenza di Antonio, il suo Toni. Non è esattamente suo, ma sa benissimo che senza di lui la sua vita non sarebbe la stessa. Così come non sarebbe la stessa senza Bella, per questo ha accettato le sue parole di ieri e ha deciso di continuare a essere semplicemente suo amico. Sale le scale mentre ancora qualche studente ritardatario entra di corsa in aula, per poi scoprire che il professore non è ancora arrivato. Evita per un pelo un ragazzo che si alza dalla sedia senza guardare chi potrebbe urtare e raggiunge i suoi amici, gli unici di cui gli importa davvero. Odia la gente, odia i lunedì mattina e odia doversi alzare così presto. Per lo meno, il lunedì mattina equivale sempre a sedersi accanto ad Antonio per tutta la durata delle lezioni che condividono.

Quando Bella vede Robin entrare dalla porta abbassa lo sguardo, cerca la mano di Vittoria, che è seduta accanto a lei e le rivolge uno sguardo decisamente stanco, che la rossa ha notato fin da subito alla prima ora di spagnolo. Ha passato quasi tutta la notte in bianco, tra i tormenti per quello che ha fatto all'olandese e il pensiero che oggi pomeriggio lo avrebbe passato interamente con Jean. Vittoria le rivolge un piccolo sorriso, ma la questione muore lì. Ora come ora non pensa ad altro se non al suo topino e quando a lezione finita lui si allontana per andare a lezione di tedesco, Bella lo raggiunge nel corridoio e lo ferma semplicemente per abbracciarlo. Un abbraccio che ripara i cuori di entrambi e fa sentire Bella più leggera, e tutto intorno a lei si fa più sereno.

"Bella, sto bene, davvero." mormora Robin nell'orecchio di Bella, mentre ancora è intrappolato tra le sue braccia.

"Scusami, penso che serva più a me che a te, non è stato facile dirti quelle cose ieri." risponde lei, la voce ovattata dalla manica della sua felpa dietro cui ha nascosto metà del viso.

"Stai bene?" Robin si azzarda ad abbracciarla a sua volta, la stringe piano per la vita, respirando il suo profumo.

"Sì, ti voglio bene topino." Bella sorride, e anche Robin lo fa.

"Anche io te ne voglio Johnny." i due si allontanano e si guardano negli occhi, sorridendo.

"Invitalo da te oggi quel portoghese, prima che arrivassi non faceva altro che parlare di quanto stare un giorno intero senza vederti gli abbia dato fastidio." la mora fa l'occhiolino all'olandese, e poco ci manca che lui non arrossisca. Ma Robin è un maestro nel tenersi per sè le emozioni e controlla con facilità l'afflusso di sangue alle sue guance. "Gli piaci da una vita, buttati, sul serio. Si vede da un chilometro che vi amate, nessuno dei due ha nulla da perdere, ci guadagnerete soltanto e finalmente tu avrai la felicità che meriti." sussurra Bella, nonostante Antonio sia già andato verso l'aula di portoghese e non possa sentirla.

"D'accordo, ci vediamo domani a letteratura inglese." Bella saluta Robin e torna da Vittoria, che la sta aspettando per andare a prendere un caffè e passare l'ora buca che hanno entrambe nell'orario del lunedì.

"Che cosa gli hai detto?" chiede la rossa, mentre la mora si gira e vede l'olandese allontanarsi verso un'altra ala del palazzo, prima di tornare con lo sguardo sulla sua amica.

"Gli ho detto di invitare Jo a casa sua e di buttarsi con lui, perché si vede da lontano un miglio che si sbavano dietro a vicenda." Vittoria sorride, insieme scendono la rampa di scale che porta alla zona break del piano terra.

"Hai ragione." commenta, Bella la rimprovera in modo dolce.

"Oh dai non fare la depressa, te l'ho detto che troverai qualcuno anche tu, Jean ha un migliore amico a quale scopo altrimenti? Sono sicura che riuscirà a farti dimenticare Antonio. Devo dirgli assolutamente di presentartelo."

"Perché domani non facciamo la nostra classica occupazione in biblioteca e invitiamo anche loro due?" propone Vittoria, ripensando a quando ogni tanto i quattro occupano tutti i posti del piano terra della biblioteca se si mettono a studiare insieme di pomeriggio.

"Sì, lo propongo a Jean e gli dico di trascinarci André, tu scrivilo sul gruppo." Bella sa già che non appena Robin e Antonio sentiranno la consueta proposta di occupare il pianterreno della biblioteca saranno già pronti ad appostarsi davanti al portone di legno all'una per prendere i posti alle scrivanie quando Marie riaprirà all'una e un quarto dopo la sua breve pausa pranzo. Già se li immagina che si mettono d'accordo sul loro gruppo di Whatsapp per saltare l'ultima ora di lezione e andare insieme verso il posto per studiare che ogni universitario e universitaria sogna di frequentare.

Vi siete mai chiesti che cosa ci sia nel nostro organismo, nel nostro subconscio, che ci spinge praticamente da un giorno all'altro a fidarci e a frequentare un completo sconosciuto? No, non sto parlando di attrazione, non sto parlando di amore, per quelle cose c'è tempo. Che cosa vi dice la vostra testa quando incontrate una persona? Parlate un po' con lei, venite a conoscenza, anche se scarsa, dei suoi gusti, di alcune sue caratteristiche comportamentali e dentro di voi scatta qualcosa che vi spinge a conoscerla meglio. La testa vi dice: "okay, lui/lei mi piace", ed è fatta. E poi è questione di un paio di caffè presi al bar o qualche incontro in biblioteca per passare dall'essere conoscenti ad amici.

Bella guarda dalla finestra di camera sua verso la strada da ormai dieci minuti abbondanti, tormentandosi una ciocca di capelli, l'aria di settembre inizia a essere significativamente più fredda dopo il temporale della notte appena trascorsa e anche le foglie sugli alberi del viale di casa sua si avviano ormai verso la loro prossima caduta. Il traffico di Parigi sembra quasi inesistente quando si guarda solo a Bvd Pereire, le auto scorrono senza intoppi da quando Bella si è trasferita a Parigi, non c'è stato un giorno che si ricordi in cui ha trovato traffico per arrivare a casa sua dal principio della sua via fino al parcheggio nel cortile interno del condominio. Ancora persa nell'osservare le auto che scorrono sotto casa sua, quasi non si accorge della macchina bianca che accosta esattamente in corrispondenza del vialetto che conduce al parcheggio del suo condominio. Una macchina bianca che ha visto solo una volta ma che, tra le altre centinaia uguali che girano per Parigi, Bella è certa saprebbe riconoscere all'istante se le chiedessero di farlo. Vede le quattro frecce accendersi e Jean scendere dal lato guidatore, con il cellulare in mano, addosso una camicia di jeans nascosta sotto un maglione bianco leggero e un paio di pantaloni neri abbinati a delle Nike dello stesso colore, sul naso un paio di occhiali da sole che nascondono i suoi occhi. Una notifica arriva sul cellulare di Bella in quello stesso istante, e ovviamente sa già che è lui. Si infila in fretta le scarpe e la felpa nera e recupera le chiavi di casa, il cellulare e il portafoglio, che butta distrattamente nello zainetto nero che usa sovente per uscire con gli altri. Esce di casa, suo padre è via dalla mattina e non lo vedrà fin dopo l'ora di cena, così non deve dargli spiegazioni su dove sta andando. Fuori dal portone vede Jean appoggiato contro la portiera della sua DS7 dal lato passeggero, che la aspetta scrivendo un messaggio con una mano mentre le dita dell'altra sono impegnate a sistemare i suoi capelli già perfettamente pettinati. Bella lancia uno sguardo alle sue spalle, verso lo specchio dentro l'ingresso del suo palazzo e pensa che i suoi capelli, per quanto lei provi a dargli ordine, non raggiungeranno mai il livello di quelli di Jean. Il sole che illumina il francese crea dei riflessi color miele tra i suoi ciuffi, Bella trova che gli donino ancora di più. Jean alza lo sguardo in quel momento e le rivolge un sorriso dolce, che lei ricambia subito, infilando poi il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni.

"Buongiorno." la saluta, senza spostarsi dalla macchina.

"Buongiorno, è una vita che non ti sento." lo punzecchia Bella.

"Solo da stamattina per dirti a che ora sarei arrivato." la mora lo guarda fintamente imbronciata, e Jean ride, risata che contagia anche lei. "Prometto che mi farò sentire di più." continua, con voce soave.

"Le tue natiche hanno intenzione di restare incollate alla tua macchina per tutto il pomeriggio o credi che si possa andare?" lo rimbecca, facendolo scoppiare a ridere di nuovo. Si allontana dall'auto, la voce resa cristallina dalla risata.

"Si può andare direi." risponde, facendo il giro e raggiungendo la portiera del lato guidatore. "Sali." Bella lo prende in parola, lasciando subito lo zainetto ai suoi piedi. Affonda la schiena nel morbido sedile e si volta a osservare Jean, che dopo aver aperto la portiera si sfila il maglioncino, gesto che fa sollevare quasi completamente la sua camicia, rivelando la cintura dei jeans e il bordo dei boxer che spunta lì sopra, oltre alla pelle olivastra dei suoi addominali leggermente scolpiti. Jean posa il maglione sul sedile posteriore e si sistema la camicia, lasciandola fuori dai jeans, Bella distoglie lo sguardo da lui, rivolgendolo fuori dal parabrezza, in fondo lui non saprà mai che lei lo stava osservando, il montante superiore della macchina l'ha nascosta alla vista del francese mentre lui si sistemava. Si morde delicatamente il labbro inferiore, sorridendo appena, mentre lui si siede accanto a lei.

"Dove andiamo?" chiede la mora, voltandosi verso di lui, che si toglie gli occhiali da sole e li posa nel portaoggetti in mezzo ai due sedili.

"Fuori città, ti porto in uno dei miei posti preferiti." Bella quasi non si aspetta che l'auto di Jean cominci a muoversi, non è abituata al silenzio di un'auto elettrica, e il sospiro di stupore lo sente chiaramente anche il francese. "Tutto bene?" chiede, sorridendo sotto i baffi.

"Sai, non è che mi capita tutti i giorni di partire con l'auto spenta." lo punzecchia, e lui sorride, cercandola con la coda dell'occhio. Il francese si dirige verso la sopraelevata di Parigi, più in periferia ma non distante da casa di Bella. "Volevo farti una proposta."

"Dimmi."

"Domani io e gli altri andiamo a fare occupazione in biblioteca, a te e ad André andrebbe di unirvi?" sul viso di Jean inevitabilmente spunta un espressione interrogativa. "Nel senso che occupiamo tutte le scrivanie del piano terra e studiamo tutti insieme in gruppo, non è una vera e propria occupazione."

"Ti prego dimmi chi ha avuto questa idea geniale." ridacchia il francese, rilassandosi sul sedile mentre entrano in tangenziale.

"La prima volta in assoluto è stata mia. Devi trascinarci André, Vittoria lo vuole conoscere." la risata di Jean riempie l'abitacolo.

"Sei incredibile Bella, non ti facevo così intraprendente." ammette lui, mordendosi il labbro. Allunga il braccio per accendere lo stereo e abbassa il volume, musica lo-fi si diffonde per l'auto, Jean posa la mano sulla sua gamba e tiene l'altro braccio appoggiato al finestrino con la mano sul volante. "Obbligherò André a venire allora. Immagino che Vittoria sia single."

"André non lo è?" chiede innocentemente la mora, senza togliere gli occhi dal francese.

"Sì, lo è, tranquilla."

"Dimmi qualcosa di lui."

"Ha trent'anni, è tedesco, è alla sua seconda laurea e ha lavorato anche lui prima di tornare sui libri."

"Seconda laurea? Cavolo deve piacergli davvero studiare."

"La sua laurea precedente in realtà è una magistrale, quindi diciamo che questa è la terza." Jean sorride, poi si sistema un ciuffo di capelli che gli è sceso sull'orecchio dandogli fastidio, portandolo al posto in cui dovrebbe stare. "Prima studiava economia politica, ma qualche anno fa ha capito che lavorare in quell'ambito non era la sua strada, e ora è al dipartimento di lingue."

"Come vi siete conosciuti?"

"Appassionato di auto e patito dell'elettrico. L'ho seguito nel suo drive test quando due anni e mezzo fa è venuto a provare la DS7 Crossback E-Tense che poi si è portato a casa praticamente quello stesso giorno. Suo padre lo ha iniziato al motorsport e aveva una piccola collezione di auto che lui ha ereditato, le tiene qualche anno e poi le rivende, la sua collezione è in continua evoluzione, ma quella DS ha detto che non la lascerà per nessun motivo al mondo."

"E così siete diventati amici per la pelle." Jean sorride di nuovo, annuendo, Bella non può fare a meno di fermare il suo sguardo sul profilo delle labbra del francese, scendendo sul mento e la linea della mandibola, leggermente nascosta dalla barba sempre perfettamente curata.

"Che c'è Bella?" la mora distoglie subito lo sguardo, abbassandolo sulle sue mani seminascoste dalle maniche della felpa.

"Niente." mormora, con un leggero sorriso in volto. C'è che sei bellissimo, pensa, alzando lo sguardo sul paesaggio che scorre veloce fuori dal finestrino.

Bella darebbe qualunque cosa pur di poter leggere nella mente di Jean in questo istante. Questo istante eterno che la vede con lo sguardo su Jean, mentre lui sta con la testa appoggiata al finestrino, a guardare fuori la pioggia che scende sul vetro e sulle piante sotto alle quali il francese ha fermato la macchina. Lo vede perdersi nei suoi pensieri, il maglione di nuovo addosso, le mani una dentro l'altra tra le sue gambe, un sospiro che gonfia e sgonfia il suo petto. Bella si rannicchia sul sedile accanto a lui, le gambe piegate di lato sulla seduta, facendo attenzione a non sporcare gli interni dell'auto, lo guarda a braccia strette attorno al suo stomaco, i capelli portati dietro la schiena così che non le diano fastidio. Se una settimana fa le aveste detto che oggi si sarebbe trovata in una macchina parcheggiata in un terreno semi abbandonato appena fuori da Parigi a osservare uno semi sconosciuto guardare la pioggia, probabilmente vi avrebbe detto che non è la Bella a cui fate riferimento nel vostro discorso. Si azzarda a posare una mano sul suo braccio, e questo piccolo gesto sembra farle ottenere l'attenzione di Jean, che le prende la mano delicatamente e spostandola dalla sua spalla intreccia le dita alle sue. Il movimento di Jean spiazza Isabella, ma lei non lascia andare la sua mano che le stringe appena le dita tra le sue, il suo cuore accelera un po' a quel contatto inaspettato. Jean si gira verso di lei con il corpo e la sua mano libera si posa sulla spalla opposta, la testa appoggiata al poggiatesta, gli occhi dei due che non sembrano voler vedere altro che le rispettive iridi.

"Se non te la senti non devi per forza." mormora lei, abbozzando un sorriso.

"No, va bene, ho promesso che ti avrei raccontato." risponde Jean, poi abbassa lo sguardo. Rimane qualche secondo in silenzio, prima di iniziare. "In realtà io provengo da una realtà leggermente diversa da quella che forse credi tu, correvo in Formula E anni fa, ma ho dovuto smettere. Questa parte però vorrei raccontartela più avanti. Quando ho iniziato per la prima volta l'università avevo vent'anni, come te adesso, ma non è stato per nulla come me l'aspettavo." Sospira, giocando con il polsino della felpa di Bella mentre con l'altra mano continua a tenere quella di lei. "Sembrava andare tutto bene, se non fosse stato per Leroux, che sicuramente avrai avuto anche al primo anno di lingua. Lui non mi ha mai preso in simpatia, non dico che avrebbe dovuto farlo, ma... diciamo che la vita con lui è diventata un incubo quando ho iniziato a preparare il suo esonero che a metà novembre mi avrebbe garantito di andare a gennaio a sostenere l'esame con una parte in meno del programma. Non so spiegarmi perché, ma era come se mi odiasse, sapeva quello che ero stato prima di iniziare l'università e ingenuamente continuavo lo stesso a sperare che il fatto di aver corso per soltanto una stagione non mi avesse messo troppo sotto i riflettori, ma evidentemente con lui non mi è andata di fortuna. Ogni giorno era un continuo accanimento su di me, prese in giro davanti all'intera classe, all'esonero di novembre scoprii di avere avuto delle domande assurde, cose non presenti nel programma, domande che aveva specificamente creato per me, per mettermi in difficoltà e farmi andare all'esame con tutte le parti da preparare." la voce di Jean trema appena, ma Bella cerca di non darci troppo peso. "Mi sono maledetto per le tre settimane successive per aver messo piede all'esame. Avrei dovuto capirlo subito che non ci sarebbe stata speranza per me. Odiava me, odiava chi ero stato e niente e nessuno lo avrebbe mai distolto dai suoi intenti. Penso sia inutile dirti che l'esame mi lasciò una scia di devastazione psicologica non indifferente... forse poco meno devastante di quel che successe e mi costrinse al ritiro dal mondo dei motori." il francese alza lo sguardo su Bella, ma lei non sa trovare le parole per dargli una risposta sensata.

"Mi dispiace Eric..." sussurra, tanto che quasi teme che lui non l'abbia sentita. Con la mano libera traccia il profilo del Cartier di Jean che spunta dalla manica del suo maglione bianco, cerca di scacciare quella sensazione di pesantezza che sente al livello dello stomaco, ma dopo una confessione del genere sa che le ci vorrà un po' per mandare giù la cosa.

"Non ho mai capito le sue ragioni e so che non le capirò mai. Ho deciso di lasciare l'università allora, perché il mondo mi era crollato addosso di nuovo. Ho vissuto per mesi a casa dei miei senza uscire, senza quasi mangiare, non sentivo i miei amici praticamente mai, niente per me aveva più senso per la seconda volta nella mia vita. Poi ho preso la decisione di riscattarmi, mi sono rialzato e la DS mi ha accolto quando pensavo che nessuno avrebbe mai offerto un posto di lavoro a un pilota che non può più guidare; non posso più farlo, ma loro mi hanno assunto come test driver, sapevano quello di cui ero capace e sapevano che con me il lavoro sarebbe stato semplice. La cosa bella è che mi lasciano usare il simulatore in fabbrica ogni tanto." sul viso di Jean spunta un sorriso un po' malinconico, che Bella ricambia come può.

"Perché sei tornato in università?"

"Sentivo che dovevo fare qualcos'altro per me, che in fondo erano gli studi che volevo fare perché mi piacevano, così ho cambiato lingue di studio e sono diventato intoccabile, non mi ha più potuto fare o dire niente. È stato allora che ho scelto di studiare italiano. Poi André mi ha detto di quella libreria bianca. E infine ho incontrato te." gli occhi di Jean cercano subito quelli di Bella, lei sorride, quasi incapace di sostenere il suo sguardo.

"In fondo io sono ancora una sconosciuta per te." risponde lei, cercando quegli occhi color cioccolato a cui non ha mai smesso di pensare. "Avresti potuto semplicemente lasciarmi sotto casa e non farti mai più sentire, e io avrei avuto un numero fantasma in rubrica e un follow su Instagram di una persona incontrata una volta e mai più nella vita."

"Vero, ma ho preferito romperti le scatole e tu hai risposto, nonostante anche tu avresti potuto decidere di non farlo, o di non presentarti in biblioteca il giorno dopo." i due sorridono, le mani ancora unite sulla finta pelle del portaoggetti che separa i loro sedili. "Ma non sarai più una completa sconosciuta dopo oggi, per favore, Bella, dimmi qualcosa di te." e a quella voce melodica Isabella sa di non poter proprio resistere.

L'amore invece è quella cosa che nessuno può dire di capire al cento percento. La scienza dice che è una reazione chimica, chi non ci è abituato dice che è una finzione, che non esiste. Eppure come te la spieghi quella cosa che senti nello stomaco, nella testa e nel cuore quando ti ritrovi a voler dare ogni cosa pur di vedere quella persona felice, e faresti di tutto per essere la fonte della sua felicità? Come te lo spieghi quando senti la sua storia, a volte nemmeno serve saperla tutta, e avresti voluto essere lì con lei molto tempo prima per far sì quello che ha passato di male non accada più, anche a costo di rimetterci tu stesso? Forse non capiremo mai l'amore, è un meccanismo strano. Le farfalle nello stomaco, il cuore che batte incontrollabilmente, la testa sempre su un unico pensiero. Ed è un altro essere umano a farci sembrare degli idioti totali quando dobbiamo parlare di lui in pubblico, sorridendo come stupidi, irrimediabilmente e follemente immersi fino al collo in questo sentimento così incredibile.

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