Chapter one- The Escape
"Per favore, mostri il cartellino di identificazione." Come da routine obbedisco, sistemandomi il camice da lavoro sulle spalle esili. Sollevo quindi il mio tesserino, mostrandolo tacitamente alla guardia davanti a me.
Lo studia per qualche secondo senza realmente vederlo; svolgere controlli per ore, ogni giorno, deve risultargli estremamente noioso e quindi tenta di sbrigarsi.
"Signorina..." aspetta una mia risposta, mentre sfoglia dei fascicoli. Mi conosce, ovviamente, visto che mi vede passare di qui tutte le mattine eppure finge di non conoscere la risposta.
Viviamo tutti insieme eppure siamo degli estranei gli uni per gli altri, è quasi frustrante alle volte.
"Rebecca Flint," asserisco io mentre la guardia cerca il mio nome sui suoi documenti.
Sfoglia circa tre pagine di documentazione sulle quali sono annotate le funzioni di ogni membro, cercando il mio nominativo il più velocemente possibile.
"Bene. Stanza 375, interrogatorio con iniezione."
Con uno scatto afferra la penna che tiene nella tasca della sua camicia azzurra, scarabocchia una veloce spunta vicino al mio nome e alla mia funzione e poi richiude il tutto.
Sussulto, camminando mestamente per i corridoi della Centrale.
Il nostro non è un Rifugio molto grande, ma è organizzato. Si trova al terzo piano di un'ospedale chiuso ormai da anni e abbandonato da Dio.
Considero un miracolo l'esser riusciti a rifugiarci qui prima di sparire completamente dalla faccia della Terra.
Non siamo in molti e per questo il Rifugio risulta spazioso, sfruttabile per diverse attività.
Estraggo dalla tasca il mio pacchetto ormai consumato di sigarette, portandomi una Camel alle labbra ed accendendola.
Il primo tiro pare aprirmi a forza i polmoni, mi rilassa le spalle e per un attimo penso di star per tossire: non sono ancora abituata al fumo, forse non dovrei esserlo affatto.
A passo veloce supero le porte degli Istruttori Infantili, ascoltando solo una parte del discorso che le dottoresse stanno rivolgendo ai piccoli pazienti.
Narrano le storie delle rivoluzione e della semi-estinzione umana per istruirli, sin da bambini, a predicare l'odio verso la razza che ci ridusse in schiavitù anni fa.
Nonostante la nostra quasi sconfitta e la totale miseria in cui versavamo un gruppo di ribelli riuscì a scappare, rifugiandosi nelle profondità dei cunicoli di Parigi ed espandendosi in tutto il mondo, anche se in forma limitata.
E' questo ciò che siamo: l'ombra sbiadita di una razza che un tempo viveva incontrastata sulla Terra.
Come ratti siamo stati costretti a scappare, a vivere nelle fognature come animali costantemente braccati fino ad abituarci alla nostra situazione.
Incredibile come ci si possa adattare a tutto, persino allo stare male.
Nella nostra piccola comunità siamo divisi in quattro gruppi: gli Istruttori Infantili, i Perlustratori, i Dirigenti e, infine, i Curatori. Non è difficile capire le mansioni di ognuno, per questo siamo ben organizzati.
Questo è un Rifugio per noi umani scampati alla distruttiva ira dei licantropi ed ora, in questo esatto momento, sto per condurre un interrogatorio ad una di queste incredibili creature.
"Già qui, Becca?" Non distolgo lo sguardo dalla mia cartella, ignorando la persona davanti a me. Scorgo di sbieco una felpa grigia e due paia di gambe fasciate da stretti jeans neri.
"Dov'è il resoconto sul Mannaro?" Domando, guardandolo per la prima volta dopo svariati secondi. Gli occhi azzurri del ragazzo scintillano di ilarità mentre appoggia la schiena alla porta con espressione di scherno.
Ha sempre avuto un atteggiamento altezzoso, sarcastico, sin da quando era un bambino e nonostante mi costi ammetterlo mi ci sono positivamente abituata.
"Come mai ho la sensazione che tu mi stia ignorando, se non in ambito lavorativo?" Strabuzzo gli occhi, confusa, gettando il mozzicone della sigaretta nel posacenere lì vicino.
"Magari soffri di paranoia," lui solleva le sopracciglia, sbuffando. Alla fine decide di passarmi il resoconto sull'ostaggio dietro la porta 375, anche se con qualche occhiataccia di troppo.
Soggetto non identificato.
Nome: sconosciuto.
Titolo: Alpha/Beta.
Età: sconosciuta.
Mi sorprendo della mancanza di informazioni e, infastidita, mi trovo a chiedermi come un possibile Alpha si sia fatto catturare da uno dei nostri. Non si organizzano spesso perlustrazioni o, anche peggio, attacchi, quindi questa cattura è piuttosto enigmatica.
"Adrien," lo chiamo, schioccando le dita davanti al suo viso per attirare la sua attenzione. Lui mi incita ad andare avanti con un cenno del capo, come se fosse abituato alle mie domande inopportune o non necessarie.
"Come avete fatto a catturarlo?" Adrien stringe le labbra in una linea sottile, innervosendosi. So che in veste di Perlustratore non potrebbe dirmi assolutamente nulla, ma lui sembra essere piuttosto incline nel condividere informazioni riservate con me.
È uno dei tanti lati positivi dell'avere un amico d'infanzia nei Perlustratori.
La cosa è però reciproca visto che riceve da me diversi medicinali e cure mediche immediate.
"Pallottole d'argento. Molte pallottole d'argento." Enfatizza sul 'molte' come se si sentisse in colpa; sono quasi sicura che gli dispiaccia più per le pallottole che per il Mannaro.
Rabbrividisco, socchiudendo gli occhi come ad accusarlo. Il lato negativo dell'essere un dottore è la quasi sicura empatia che si ha verso i propri pazienti o, in questo caso, prigionieri.
Lui si sporge verso di me per portare una mia ciocca di capelli dietro l'orecchio, consapevole della mia tacita accusa.
Non sono arrabbiata con lui ma lo sono con il mondo, con la piega che hanno preso le cose e con ciò che siamo costretti a fare per sopravvivere.
"Sono mostri, Becca, ed io ho fatto solo il mio lavoro. Ed ora tocca a te fare il tuo." Anche lui sembra accusarmi, ma con tono più dolce e così, con riluttanza, entro nella stanza 375.
La prima cosa che mi colpisce della stanza è la luce: forte e abbigliante, ma anche l'odore di sudore che impesta l'aria è facile da notare.
Il Mannaro è legato ad una sedia con catene solide, che spero reggeranno alla sua furia, ha i muscoli rilassati e il capo abbandonato contro la spalla. Mi accovaccio alla sua altezza, prendendomi un attimo per osservarlo.
Ringrazio mentalmente i Perlustratori che lo hanno sedato; non sarei riuscita ad avvicinarmi altrimenti.
Ha i capelli sporchi, probabilmente per lo scontro contro i Perlustratori, e neri. Porta una leggera barba scura e il suo corpo è semplicemente possente. Ha le spalle larghe e, ad occhio e croce, è alto quasi due metri. Potrebbe avere dai venticinque ai trent'anni. Annoto tutto sul mio blocco, tornando poi ad accovacciarmi davanti a lui.
Porto l'indice e il medio sotto il suo mento, alzandogli la testa per avere una piena visuale del suo volto. Con il pollice traccio la ferita ancora leggermente aperta sulla sua guancia, appuntandomi mentalmente che dovrò disinfettarla.
Essendo ancora incosciente afferro velocemente la mia mini torcia, aprendogli un occhio e puntandogli la luce dentro di esso.
La sua pupilla si espande per lo stimolo a cui è sottoposta ed io mi trovo ad ammirare inconsciamente il colore scuro dei suoi occhi. Una volta soddisfatta lascio la presa sul suo mento, posandogli lentamente la nuca sul retro della sedia.
Quindi gli afferro il braccio destro, girandolo un paio di volte per esaminare le ferite su di esso. Niente, assolutamente niente. Rimango interdetta davanti alla capacità di guarigione di questi esseri.
Sento le sue dita chiudersi attorno il mio polso e l'ansia mi attanaglia lo stomaco.
Posso batterlo, penso tra me e me, mentre il Mannaro non accenna a fare altri movimenti. Lancio uno sguardo verso la porta, deglutendo e, con una calma che non credevo di avere, mi sposto all'indietro, facendo intensificare la morsa del Mannaro attorno il mio polso.
E' legato e sotto l'effetto di farmici, deve essere spaesato, nauseato e debole. Ma anche con ciò, non avrei speranze. Tutti i miei pensieri ottimisti svaniscono quando sento la sua mano tirarmi giù, a terra.
Pensare, devo pensare. Sento l'adrenalina percorre velocemente ogni minimo spazio del mio corpo, pompando il mio sangue molto più velocemente. La camera, essendo usata per gli interrogatori, è insonorizzata, quindi a meno che io non riesca a raggiungere la porta, sono spacciata.
Vedo le palpebre dell'uomo aprirsi di scatto, mentre cerca di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Sento il rumore delle catene sbattere contro il ferro della sedia e sobbalzo, trattenendo un urlo.
Gli occhi dell'uomo vagano in giro per la stanza, per poi fermarsi su di me. Le sue narici si allargano, come se stesse percependo la mia paura, il mio profumo. Un ringhio animalesco gli fa vibrare il petto, mentre scioglie la presa sul mio braccio.
Indietreggio barcollando, cercando una qualsiasi arma a mia disposizione. I muscoli del moro si tendono, gli occhi gli si tingono di rosso, mentre mi mostra le zanne. Il mio sguardo scatta sulle catene che, a malincuore, stanno per cedere. Il suo petto vibra ancora, questa volta con più forza, mentre si sporge verso di me.
Mi paralizzo, con le lacrime che mi inumidiscono gli occhi.
"Devi calmarti." spiego, alzando in aria le mani, facendogli vedere che sono disarmata. Lui ride, un misto tra un gemito ed ringhio. Le vene sul suo collo pulsano furiosamente, così decido di avvicinarmi, devo riuscire a calmarlo in qualche modo.
Lui sembra piuttosto scioccato dal mio repentino cambiamento di umore, e lo sono anche io. Ma se uscissi dalla porta, chiedendo aiuto al gruppo di guardie che sorveglia la zona, lo ucciderebbero. O peggio, lui ucciderebbe loro e la mia gente.
La sua espressione, per un attimo, si rilassa, mentre ispira con avidità. Mi sta annusando, cercando di fiutare un qualche segnale negativo.
"Se non ti calmi le guardie entreranno qui dentro e ti uccideranno. Voglio solo aiutarti," sibilo, facendo un altro passo avanti.
Lui trattiene un ringhio, l'ennesimo, assottigliando gli occhi. Forse, la verità, è che sto cercando di farlo tacere solo per scopi egoistici, non per aiutare lui, ma me stessa.
"Perchè dovresti?" la sua voce mi travolge in pieno. E' roca e sensuale, quasi inebriante. Sento le ginocchia diventare deboli mentre deglutisco. E' questo l'effetto che fanno i Mannari, sugli umani?
"Perchè non voglio morti, non nel mio reparto." quando sono abbastanza vicina a lui, mi fermo. Sarei davvero una sciocca ad avanzare più del limite del consentito, eppure una vocina nella mia testa mi prega di avvicinarmi, quasi come se la breve distanza tra i nostri due corpi fosse impossibile da sopportare.
Si raddrizza, con quello che penso sia un sorriso, mentre inclina la testa di lato, scrutandomi. So che mi sta studiando, giudicando le mie parole e soppesandole con indulgenza. Non può fidarsi di me, probabilmente è questo ciò che pensa, lo capisco perché è esattamente ciò che penso io.
"Liberami," purché il suo sia un'ordine, cerca di mascherare il tono con una nota dolce, quasi come se mi stesse chiedendo di sciogliere le catene che lo legano alla sedia.
"Non posso, non so cosa saresti in grado di fare una volta libero da quelle catene."
Il suo sguardo torna cupo, mentre strattona un'altra volta le catene.
Durante il mio studio dei Mannari ho capito che, legarli e intrappolarli, è ciò di più devastante che può subire il loro corpo e la loro psiche. Questo perché sono animali bisognosi di spazio, di movimento.
"Cristo, ti giuro che non toccherò nessuno ma ora slegami, cazzo." punta i suoi occhi nei miei, mentre uno strano luccichio brilla in essi.
Mi avvicino a passo lento, aggirandolo. Il suo sguardo non smette mai di ancorarsi alla mia figura, mettendomi a disagio. Sento la paura sfarfallare nel mio stomaco, e per un attimo penso seriamente di dover vomitare.
Quando arrivo alle sue spalle mi fermo, poggiando una mano sulla sua spalla. Deve annusarmi, e percepire dall'odore se sia il caso di fidarsi o meno. So di emanare paura, ma non sono assolutamente a conoscenza di cosa possa leggere nel mio odore.
Gira la testa lentamente, posando la punta del naso sulla mia mano, per poi chiudere gli occhi. Resta così per quelli che mi sembrano minuti interminabili, fino a quando non passa la guancia sulla mia mano. La ritraggo di scatto, facendolo ringhiare, infastidito.
"Sei deliziosa," sussurra, forse più a se che a me. Arrossisco, lanciando uno sguardo alla porta. Potrei correre verso di essa e chiamare Adrien, chiedergli di mettere a tappeto l'uomo davanti a me, senza ucciderlo. Ma ci vorrebbe troppo tempo e non sono sicura di quanto riusciranno a resistere le catene.
Estraggo una chiave universale dal mio camice, inginocchiandomi davanti al lucchetto. Infilo velocemente la chiave nella fessura, e la giro verso sinistra.
Il lucchetto si apre con un clic, facendo crollare a terra le catene. Rimango ferma al mio posto, deglutendo. Sto facendo la cosa sbagliata, ne sono sicura.
L'uomo rimane fermo anch'esso per qualche secondo, sfregandosi il polsi e allungando le gambe, cercando di riprendere mobilità. Piano piano riprendo il controllo di me stessa, aggirandolo lentamente per poi dirigermi verso la porta, senza mai dargli le spalle.
Quando si alza mi trovo a barcollare di fronte alla sua stazza. Ha un ghigno famelico in volto, mentre i suoi occhi si illuminano. Gira la nuca verso di me, osservando con fastidio la mia mano, poggiata sulla maniglia della porta.
Fa un passo avanti, e poi un altro e un altro ancora fino a raggiungermi. Per guardarlo devo alzare la testa.
"Devi andartene," sussurro, con la tensione che mi attanaglia le viscere. Lui sorride, piegandosi alla mia altezza con fare aggressivo. Un secondo dopo lo sento rilasciare energia dal suo corpo, per scaricarla su di me.
Non è un'energia cattiva, ma dolce. Mi ritrovo a distendere i muscoli e a chiudere gli occhi, sospirando. Ondate dolci mi travolgono, facendomi rilasciare tutta la tensione che avevo accumulato.
Il mio subconscio mi urla di rimanere vigile, che quello è solo un trucco per lasciarmi senza difese. Mi strofino gli occhi, facendo lentamente un passo di lato per allontanarmi da lui. Un'ondata più forte mi colpisce, e inizio a sentire il mio corpo sempre più pesante.
Le sue labbra si posano sul mio orecchio, mentre con il naso si dedica a ponderare il mio odore.
"Tu vieni con me." è tutto ciò che sento, prima di sentire le gambe cedermi.
A T T E N Z I O N E
Questa storia è stata scritta nel 2017/ inizio 2018 e da allora non l'ho mai revisionata per bene (lo so, sono una persona estremamente pigra). Prima o poi credo che la modificherò completamente, annullandone la pubblicazione per ricominciare da capo, ma fino ad allora ci tengo a precisare che:
1. Troverete errori grammaticali o di battitura
2. Sono abbastanza certa che ci siano dei buchi di trama.
Detto questo: se la cosa vi da fastidio, non leggete (o almeno, non fatelo fino a quando non avrò sistemato tutto).
Le critiche sono sempre ben accette ma solo se costruttive e non offensive. Non vado fiera del modo in cui scrivevo, ma questo libro ha contribuito ad aiutarmi a migliorare, per questo ci sono affezionata.
Spero che possa piacervi, un bacio!
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