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Chapter Fifteen- It's my fault


Adrien era scosso mentre, con passo pesante, avanzava tra gli alberi, diretto verso il passaggio che lo avrebbe condotto al Rifugio.

Ciò che era successo, per lui, era totalmente incredibile. Non avrebbe mai immaginato che il legame tra compagni potesse spingersi talmente oltre e, in effetti, una parte di lui sperava che non lo facesse.

Nella sua testa le parole di Rebecca si ripetevano come un mantra, torturandolo fino allo sfinimento. Era sicuro che Xavier la stesse manipolando, e tutto ciò che lui poteva fare era aspettare comodamente tra le mura del Rifugio, a programmare l'incontro successivo. E nella sua testa l'idea che ogni volta sarebbe stata l'ultima con Rebecca lo tormentava.

Era legato a lei sin dall'infanzia, tra i banchi di quella che era una classe improvvisata e nell'ambito lavorativo. Si erano cresciuti a vicenda, influenzandosi e donandosi reciprocamente una parte di se stessi.

Avevano condiviso tutto ciò che di condivisibile avevano e l'idea di avere qualcosa di proprio li faceva sentire egoisti.

Se le cose fossero rimaste normali, piatte, le cose avrebbero preso una strada diversa, questo pensava Adrien, mentre scivolava agilmente nel passaggio sotterraneo.

La puzza di muffa ormai non gli recava più alcun fastidio, eppure riusciva a ricordare chiaramente la prima volta in cui era entrato in quel passaggio, assieme a Rebecca.

Tempi in cui il Rifugio era troppo stretto per loro, in cui le costrizioni ed i doveri erano solo capricci di adulti che, troppo impegnati in una battaglia loro, cercavano di coinvolgere anche i giovani.

Adrien ricordava come il tanfo del passaggio avesse fatto arricciare il naso a Rebecca e l'espressione di disgusto che si era dipinta sulla faccia di entrambi.

Entrambi avevano sentito il proprio stomaco ribellarsi e la bile salirgli in gola, eppure avevano scavalcato con euforia le radici morte, dirigendosi verso la fine del passaggio.

Adrien, al ricordo, dovette digrignare i denti per non urlare dalla frustrazione, mentre una meschina vocina nella sua testa gli ripeteva che era tutta colpa sua.

I ricordi scivolarono veloci nella sua mente e, sfidando se stesso, lì contemplò.

Quel giorno, lui e Rebecca, erano usciti per la prima volta dal loro Rifugio, e la puzza del passaggio gli si era impressa sui vestiti.

Erano rimasti fermi lì, seduti sull'erba verde di un prato rigoglioso, ad osservare la magnificenza di un Sole diventato un po' più grigio.

Era lì che Adrien l'aveva visto per la prima volta, con gli occhi rossi e le gambe piegate in un muto avvertimento. Il ragazzo che sostava dietro di loro, nascosto tra le foglie, aveva le labbra schiuse e il volto cereo, Adrien lo ricordava come se fosse un fatto di recente svolgimento.

Adrien era inorridito, mentre stringeva la mano di Rebecca, intimandole di tornare nel passaggio, senza mai staccare gli occhi dal ragazzo che ora era diventato un Alpha.

Quella fu per Adrien la prima volta in cui vide un Mannaro riconoscere la propria compagna, ma non lo capì subito.

Adrien scosse la testa, allontanando quel ricordo da se.

Era tutta colpa sua.

**

La ragazza che mi ha condotta all'ufficio di Xavier ora è sparita, lasciandomi sola a contemplare la porta d'entrata, senza riuscire a trovare il coraggio di entrare.

Le gambe mi tremano e il respiro sembra non volerne sapere di calmarsi, quindi mi sfrego i palmi sudati delle mani sui miei jeans, ispirando profondamente.

Non so quanti minuti sono passati da quando sono stata lasciata sola, ma ho intenzione di prolungarli all'infinito se servirà a non farmi incontrare Xavier.

La mia mente inizia a macchinare idee folli ed orribili, in cui Xavier rade al suolo il mio Rifugio come fosse un cumulo di foglie secche.

Il mio pensiero torna ad Adrien, e impallidisco pensando alla possibilità che Xavier possa averlo seguito, o visto durante il nostro scambio di corpi.

Mi torturo il labbro con i denti, sentendo freddi e lunghi brividi percorrermi la schiena. La sensazione di vuoto che mi stringe le viscere si dissolve quando vedo la porta dinnanzi a me spalancarsi.

La figura di Xavier è davanti a me, in tutta la sua stazza. I suoi occhi hanno un qualcosa di animalesco, e mi rendo conto che la sua mascella è così tesa che probabilmente gli farà male per molto.

"Per quanto tempo avevi intenzione di rimanere ferma davanti alla porta?" Mi domanda lui, e la sua voce mi fa tremare da capo a piedi. Il suo sembra un ringhio, talmente feroce da farmi sbarrare gli occhi. Tutto il suo corpo esprime furia e delusione.

Non rispondo, limitandomi a guardare il terreno. Non devo sentirmi in colpa, non è giusto che io mi ci senta, perché ciò che sto facendo è il meglio per me e per la mia gente.

Eppure tutto il mio corpo mi urla che sto sbagliando.

Provi ciò che prova lui, i sentimenti che pensi di provare non sono reali.

Le parole di Adrien mi rimbombano nella testa, aspettando solamente che io le accetti come verità.

Xavier mi fa cenno di entrare, ed io non lo contraddico, avanzando.

La porta viene chiusa con un calcio del Mannaro, che evita i miei occhi quasi con disgusto.

"Non credo che ci sia bisogno che io ti spieghi ciò che è successo questa mattina." Lo dice quasi con ilarità, come se mi stesso prendendo in giro.

Scuoto la testa, osservandolo mentre si siede sulla sua poltrona, davanti ad un'ampia scrivania. La stessa sulla quale mi ha mostrato la Mappa.

"È l'ultima possibilità che ti do, Rebecca: dimmi la verità. Qualsiasi essa sia, non importa quanto possa essere terribile, voglio che tu mi dica cosa cazzo sta succedendo." La sua voce ora è bassa, le sue mani sono tra i suoi capelli in un gesto di esasperazione, e il suo tono di voce è talmente malinconico da stringermi il petto.

Provi ciò che prova lui, i sentimenti che pensi di provare non sono reali.

È ciò che ha detto Adrien, ma come possono essere sentimenti appartenenti solo a lui, se in questo momento riesco a condividere le sue stesse emozioni?

Decido quindi di fare la cosa più semplice e moralmente giusta, scacciando via quegli aghi affilati che sembrano volermi perforare il cuore.

"Ero con Matt," inizio io, lavorando sul resto del discorso. Xavier stringe la mano attorno il fermacarte sulla sua scrivania, incitandomi ad andare avanti. "Non avevo intenzione di rimanere chiusa in camera, così Matt mi ha detto che sarei potuta uscire solo accompagnata da una guardia."

Le mie parole non sembrano scalfire Xavier, o se lo fanno non ne da l'impressione.

"Volevo vedere la neve, non l'ho mai vista, così Matt si è offerto di portarmi fuori, a patto che non mi allontanassi mai dal suo fianco."

Xavier soppesa le mie parole con lo sguardo di chi sta buttando l'ultima carta che gli resta, come un giocatore che ha appena puntato tutto su un numero ben preciso.

Peccato che sia destinato a perdere.

**

Ho il vago sospetto che la porta della mia camera sia stata chiusa a chiave, ma non ho provato a verificare. Non che mi serva uscire, in questo momento.

Xavier non mi ha rivolto parola dopo ciò che gli ho detto, probabilmente troppo assorto dai pensieri che ora invadono la sua testa.

Eppure è un predatore, lo è per natura, è abituato a fiutare segnali negativi come se fossero aromi percepibili anche dagli umani.

So che non mi crede, l'ho capito quando ha scosso la testa, sorridendomi aspramente come se stesse ingoiando un boccone amaro eppure, tacendo, è uscito dalla stanza, ordinando a delle guardie di portarmi nella sua camera.

Mi sento sporca, come se mentire avesse posato un'alone nero su di me. Mi gratto le braccia con forza, cercando di far svanire la sensazione opprimente, ma nulla sembra accadere. Così faccio pressione con le unghie
grattandomi fino a quando la pelle non mi si arrossisce, rendendomi dolorosamente impossibile continuare.

Mi chiedo se si senta così anche Matt, o se con il tempo abbia imparato a convivere con la sensazione che il tradimento ti lascia addosso.

La porta della mia stanza si apre, non dopo il leggero clic della serratura, facendomi voltare.

Xavier indossa una giacca pesante e le mani sono sprofondate nelle tasche. La sola visione del suo corpo mi fa sentire ancora più sporca, così mi affretto a coprirmi con i capelli.

"Alzati e mettiti la giacca." Mi dice, sempre con tono burbero, quasi fosse un'ordine, e probabilmente lo è.

Continuo a non muovermi, caparbia. Lui inarca un sopracciglio, come a volermi ricordare che è colpa mia, e che non ho il diritto di replicare.

Poso i piedi sul pavimento, alzandomi titubante, senza però degnare di uno sguardo la giacca.

"Dove dobbiamo andare?"

I suoi occhi si illuminano per un breve istante, mentre lo vedo gonfiare il petto come a voler nascondere un gemito di frustrazione.

"Hai detto che non hai mai visto la neve, quindi ora alzati e mettiti quella fottuta giacca prima che smetta di nevicare."

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