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CAPITOLO 1 - C'ERA UNA VOLTA

C'era una volta...

Beh, forse non è il caso di cominciare questa storia come se fosse una fiaba perché, in effetti, non lo è. Non nel senso stretto del termine, comunque.

È piuttosto una storia di promesse ingannevoli e magia oscura, e il fatto che ci siano anche l'avventura, l'amore e una spolverata di buoni sentimenti è del tutto casuale. Se poi ci aggiungiamo anche una conclusione che non è il canonico lieto fine...

Ad ogni modo, c'era questo principe, il dove e il quando sono marginali, che si chiamava Hajime, l'ultimo della dinastia degli Iwaizumi del regno di Seijoh.

In quanto principe era consapevole di avere dei doveri, era un concetto che gli era stato inculcato nella testa sin da quando aveva memoria. Il dovere, verso il suo popolo e verso la corona, faceva parte dei suoi insegnamenti quotidiani e lo aveva fatto suo sin da bambino, così come aveva imparato a restare in sella ad un cavallo senza mai cadere, o come maneggiare ogni tipo di arma che il suo regno conoscesse e, in seguito, anche qualcuna nuova importata dai regni confinanti.

Non che avesse davvero bisogno di usarle, in quanto principe aveva sempre una scorta di guardie armate che si preoccupavano della sua incolumità.

Ed era proprio con una di quelle guardie – una molto speciale – che Hajime stava parlando, rochi sussurri tra le tenebre di una notte troppo corta, in attesa dell'alba che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.

La nave oscillava ancora nonostante la tempesta fosse ormai passata e la costa riconoscibile in una serie di puntini luminosi all'orizzonte, di minuto in minuto ingiustamente più vicini.

"Non devi farlo per forza." mormorò la guardia.

Hajime chiuse gli occhi e deglutì il groppo che gli stava bloccando il fiato in gola insieme alle parole, troppo amare per poter essere pronunciate in risposta a quella dolce preghiera.

"Mi basta solo una parola, lo sai." lo incalzò la guardia "Non hai che da dirlo. Dillo e prenderò in ostaggio il capitano della nave e la dirotterò verso le terre lontane dell'Itachiyama. Il principe Kiyoomi non ci negherà asilo per qualche giorno, e poi da lì potremo..."

"Tobio, ne abbiamo già parlato."

Le parole lasciarono le sue labbra in un sospiro, lo sguardo ancora puntato all'orizzonte dove si cominciavano a intravedere dei grossi falò che indicavano la linea di costa.

"Sì ma..."

"Ti prego, non dire altro. Non rendere tutto più difficile!"

Tobio si zittì immediatamente.

Conosceva ogni sfumatura della voce di Hajime e le amava tutte, quella roca e sfiatata che aveva dopo il sesso – la sua preferita – così come quella alta e vibrante che assumeva quando abbatteva la sua preda durante una battuta di caccia. E quella che stava usando con lui in quel momento era quella gelida e autoritaria, che usava quando voleva chiudere una discussione.

La guardia compì l'ultimo passo che ancora lo separava dal suo principe e si appoggiò al parapetto accanto a lui. Osservò le luci sulla costa come se fossero state le fiamme dell'inferno, e avrebbe tanto voluto dirglielo che per lui ci si sarebbe buttato senza pensarci nemmeno in istante, ma il suo principe gli aveva dato l'ordine di tacere e lui poteva solo obbedire.

La mano di Hajime si appoggiò piano su quella di Tobio, le loro ampie spalle così vicine che nascondevano quel gesto a possibili occhi indiscreti.

"Tu però stammi vicino come hai sempre fatto in tutti questi anni." mormorò il principe mentre intrecciava le dita con quelle della sua guardia.

Tobio poté solo annuire, le luci della costa che si facevano sempre più vicine e che scintillavano riflesse nelle lacrime intrappolate tra le sue lunghe ciglia scure.


👑


La nave attraccò in un porto grande e deserto, giusto un paio di navi da pesca malandate erano ormeggiate a qualche pontile di distanza.

La luce era fioca e lattiginosa, tipica di quell'ultimo scampolo di notte che precede l'alba. L'aria era immobile, pervasa da una strana atmosfera di decadenza e abbandono, le strida dei gabbiani l'unico suono che Hajime riusciva a percepire oltre al battito incessante del suo cuore che gli martellava nei timpani da quando la passerella era stata distesa fino al pontile.

Il suo cuore era quasi grato a quella molle quiete, non avrebbe potuto reggere la pompa magna di un benvenuto in grande stile; anche se, a voler ben guardare, i suoi studi sull'etichetta gli ricordarono che il comitato di accoglienza del regno di Shiratorizawa non era assolutamente all'altezza del suo rango.

Una dozzina di guardie armate nelle divise ufficiali bianco e porpora del regno di Shiratorizawa erano infatti disposte ai due lati del pontile principale; sorreggendo delle grandi torce fiammeggianti, illuminavano un paio di alti dignitari e un gruppo davvero esiguo di gente del popolo.

Oltre allo sdegno di non essere ricevuto con tutti gli onori, Hajime registrò anche una seconda sensazione; era un'emozione viscerale difficile da esprimere a parole, il suo cervello rettiliano che allertava tutti i sensi mettendo subito in moto la sua mente brillante e preparata da anni di studi di strategia militare.

In quel comitato di benvenuto c'era sicuramente qualcosa di strano, ed ebbe la conferma che la sua non fosse solo paranoia quando si accorse con la coda dell'occhio che Tobio, un passo dietro di lui, aveva già scostato il mantello dietro la spalla e aveva messo mano alla spada.

"Tobio..." mormorò ad un tono così basso che non era possibile dire se Tobio lo avesse davvero sentito o lo avesse semplicemente percepito attraverso il loro legame speciale.

"Sono qui!"

Tobio si affiancò al suo principe, le nocche bianche per quanto la mano stringesse forte l'elsa e i suoi occhi blu cobalto che guizzavano attenti in tutte le direzioni per scorgere qualsiasi potenziale pericolo.

Nessun'altra parola era necessaria tra loro, come era sempre successo negli ultimi dieci anni, da quando avevano iniziato a esercitarsi insieme, a tredici anni il principe e undici Tobio. Figlio di Yuto Kageyama, capitano delle guardie del re, Tobio aveva sempre espresso il desiderio di diventare la guardia personale del principe ed era stato cresciuto con quell'unico scopo, deciso e pronto a dare la sua vita per lui se mai fosse stato necessario.

"Principe Hajime, vi diamo il benvenuto a Shiratorizawa."

A parlare era stato un uomo alto e dinoccolato, dai capelli di un rosso vivace che sparavano un po' ovunque in ciocche ribelli. La sua voce era armoniosa per quanto una strana cantilena nel modo in cui pronunciava le parole le facesse sembrare quasi una presa in giro.

"Il principe Wakatoshi si scusa per non essere venuto a ricevervi di persona ma è indisposto. Vi prega di accettare il suo benvenuto in attesa di potervi incontrare questa sera al banchetto che si terrà in vostro onore."

Hajime fece un gesto di fermo alle sue guardie e si incamminò lungo il pontile seguito solo da Tobio, mentre l'uomo continuava a parlare.

"Sono Satori, il Primo Ministro."

L'uomo aprì la mano sinistra e la posò in mezzo allo sterno, proprio al centro della grande aquila dorata ricamata sulla ricca veste color porpora. Quindi piegò il ginocchio e si inchinò con un movimento fluido e aggraziato della schiena.

"Vogliate seguirmi alla vostra carrozza..."

"...soltanto voi." aggiunse quando vide che Tobio proseguiva al fianco del principe.

"Le vostre guardie verranno trattate con tutti gli onori, non dovete preoccuparvi di niente. Potrete ricongiungervi con loro al banchetto di questa sera." aggiunse ancora, dopo aver osservato lo scambio di sguardi tra Hajime e Tobio.

"Il principe Wakatoshi vi ha riservato una carrozza che vi condurrà alla nostra Sacra Sorgente. Dovrete essere da solo per compiere il Rito di Purificazione, che vi rimetterà in sesto dopo le fatiche del viaggio per mare e vi renderà degno sposo per le nozze di domani mattina."

Hajime annuì.

Non era al corrente delle usanze del regno di Shiratorizawa ma quanto spiegato dal Primo Ministro Satori era abbastanza logico.

In effetti, ben poche cose erano trapelate su quel regno misterioso dall'altra parte del mare, sembrava che nessuno che c'era stato ne volesse comunque parlare, e i pochi documenti ufficiali che si erano scambiati i due sovrani parlavano soltanto delle nozze, finalizzate a mantenere la pace e garantire la prosperità dei due regni, ma senza entrare mai nel dettaglio delle relative culture o usanze.

"Ci vediamo questa sera." mormorò Hajime cercando di trasmettere una sicurezza che non sentiva, e Tobio annuì, il disagio di Hajime chiaramente percepito come specchio del suo.

Hajime sperava che la sensazione di disastro imminente che sentiva in mezzo allo stomaco fosse legata al dolore di doversi separare definitivamente da Tobio, e Tobio stesso cercò di soffocare quel grido che sentiva salire in mezzo al petto man mano che passavano i minuti, l'istinto quasi irresistibile di disobbedire agli ordini di Hajime e prenderlo con la forza, e sparire da qualche parte dove nessuno potesse più trovarli.

Ma entrambi avevano un senso del dovere troppo sviluppato per un'azione di quel genere, e sapevano che il loro tempo insieme era ormai terminato.

Avevano fatto tesoro di ogni momento possibile in quelle due settimane in alto mare, cercando comunque di comportarsi con discrezione verso l'equipaggio e il resto delle guardie. Ma negli ultimi dieci anni erano sempre stati inseparabili, a Seijoh nessuno si era mai stupito del fatto che fossero sempre insieme in qualsiasi evento ufficiale o nei momenti liberi dai doveri.

E quindi, anche il fatto che Tobio dormisse nella stessa cabina del principe non aveva destato alcun tipo di pettegolezzo a bordo, consentendo ai due ragazzi di vivere insieme ogni istante che era ancora concesso loro, prima che le nozze col principe Wakatoshi mettessero per sempre la parola 'fine' al loro amore.

Perché Hajime era del tutto intenzionato ad essere fedele alla promessa nuziale per amore del suo popolo, e Tobio avrebbe fatto di tutto per lui, anche stargli accanto per tutta la vita senza poterlo più sfiorare, baciare, amare, guardandolo condividere ogni suo giorno e ogni sua notte con il principe Wakatoshi.

Con un piede già sul predellino della carrozza Hajime gettò lo sguardo dietro di sé un'ultima volta.

I primi raggi del sole nascente si riflettevano sul volto di Tobio, il cipiglio austero che Hajime aveva sempre amato, accentuato dalla sofferenza della separazione. I suoi occhi appena socchiusi per proteggersi dal sole erano allagati dalle lacrime, il blu profondo delle sue iridi che scintillava di mille riflessi come lo zaffiro sull'elsa della sua spada.

E fu quell'immagine di rara bellezza che Hajime fotografò mentalmente per custodirla per sempre nel suo cuore, prima di voltarsi e andare incontro con coraggio al suo destino.


👑


Hajime non riusciva ad aprire gli occhi.

Per quanto ci provasse erano come appiccicati, la testa così confusa e dolente che non avrebbe saputo dire se fossero gli occhi stessi a non aprirsi o era invece il suo cervello annebbiato che non riusciva a trasferire correttamente il comando.

Un'ondata di panico lo travolse, il bisogno innato di reagire e portarsi subito in posizione di difesa che non trovava riscontro nei suoi arti. Era come se le sue terminazioni nervose fossero a senso unico, il suo cervello non riusciva a trasmettere alcun comando, anche se registrava quello che accadeva attorno a lui.

Era infatti consapevole di essere sdraiato su qualcosa di morbido ed era completamente avvolto dal vapore, un vapore caldo e... profumato.

Mandorle.

Un sentore dolce e morbido, che penetrava nelle sue narici e si insinuava fino al cervello restituendogli a poco a poco calma e tranquillità, a dispetto della situazione assurda in cui si trovava.

Ma quel profumo era davvero meraviglioso, e cercò quindi di allargare le narici e aprire la bocca per inalarne ancora, ma ogni parte del suo corpo sembrava continuare a ignorare i suoi comandi.

"Nghhh..." gemette per la frustrazione.

"Shhhh..." fu un sibilo rassicurante accanto al suo orecchio.

Hajime percepì il fiato caldo che si infrangeva sulla pelle sudata del collo, innescandogli subito un brivido che percorse tutta la spina dorsale. O forse era la febbre che lo faceva rabbrividire.

E quello stesso calore sembrava quasi nascere dentro di lui piuttosto che fuori, e lo sentiva pulsare in vampate così invadenti da togliergli il fiato.

"Va tutto bene, stai tranquillo..."

La voce che aveva parlato era calda, il tono basso, graffiato, ruvido, come se chi aveva appena pronunciato quelle parole non fosse abituato ad emetterne.

"Non ti agitare" mormorò ancora, un po' più sicuro questa volta "vedrai che presto starai meglio."

Hajime cercò di muovere le mani, voleva toccare il ragazzo – perché dalla voce gli sembrava un ragazzo – che gli stava parlando, ma anche quelle erano fuori uso.

Emise un gemito frustrato e poi l'oscurità lo inghiottì un'altra volta.


👑


Fu ancora il profumo di mandorle a svegliarlo, ma questa volta gli occhi riuscirono pian piano ad aprirsi.

Hajime inspirò e sbatté ancora le palpebre, e finalmente riuscì a intravedere qualcosa nella penombra che lo circondava.

Roccia.

Roccia scura, intervallata qua e là da chiazze di muschio e punteggiata da morbidi bagliori.

Lucciole forse.

Il buio era quasi totale, Hajime realizzò che le lucciole erano l'unica fonte di illuminazione dell'ambiente in cui si trovava, oltre ad un tenue chiarore che proveniva dal suolo alla sua sinistra.

Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in preda al panico, eppure quel profumo così dolce era in qualche modo rassicurante e, per la prima volta in maniera cosciente, si chiese da dove arrivasse.

Si sollevò su un gomito e dovette subito strizzare gli occhi per la fitta che gli attraversò il cranio come una folgore che squarcia le nuvole.

Sibilò tra i denti prima di riaprire lentamente gli occhi e finalmente riuscì a dare un'occhiata attorno a sé.

Le pareti di roccia lo circondavano completamente, così come era ancora roccia, roccia e un folto tappeto di muschio, che ricopriva il pavimento su cui era sdraiato.

L'ambiente era grande, di sicuro più grande della sala del trono di suo padre, le pareti frastagliate con imponenti rocce disseminate qua e là lungo il perimetro. La luce delle lucciole illuminava solo pochi metri dal suolo, il resto era buio e non riusciva a vedere il soffitto, ma immaginava di trovarsi in una grande caverna; l'aria era immobile e tiepida, satura di vapore, e non sembrava esserci alcun ricambio d'aria con l'esterno.

Hajime si mise finalmente seduto e sollevò le mani davanti a sé; aprì e chiuse le dita ed emise un profondo sospiro finalmente realizzando che era in grado di poter controllare di nuovo il suo corpo.

Un lieve movimento accanto a lui catturò la sua attenzione.

Era così intento a cercare di mettere a fuoco l'ambiente da non prestare attenzione alla sagoma che giaceva accasciata accanto a lui.

Era in corpo di un ragazzo, la testa reclinata sui suoi stessi avambracci incrociati su un grosso baule di legno, le lunghe gambe chiare raccolte sotto al corpo. Era vestito con una corta tunica bianca che sembrava arrivare alle ginocchia, esattamente uguale – registrò in quel momento – a quella che indossava lui stesso.

Il ragazzo sollevò piano la testa e sbatté per un istante le lunghe ciglia scure. Anche i suoi capelli erano scuri, morbide onde che incorniciavano un viso liscio e armonioso che si aprì subito in un sorriso.

"Ti sei svegliato..."

Forse era un'impressione ma le lucciole sembravano essersi avvicinate a loro, riflettendo un po' della loro morbida luminosità sul viso del ragazzo e rendendo il suo sorriso radioso.

Hajime non aveva mai visto un ragazzo così bello.

La sua pelle sembrava seta e i suoi lineamenti erano così morbidi e delicati che sarebbero potuti appartenere a una ragazza, e avrebbe quasi pensato di essersi sbagliato sul suo conto se non fosse stato per la sua voce. Quella voce, dal timbro roco e leggermente graffiato, che gli riattivò in un istante il ricordo delle ore precedenti in cui non riusciva a muovere un muscolo.

"Chi..." Hajime dovette schiarire anche la sua, di voce "Chi sei? Dove siamo? Cosa è successo...?"

"Risponderò a tutte le tue domande. Ma prima... come ti senti?"

Hajime fece un rapido check.

"Meglio, immagino. La testa mi fa ancora male ma almeno riesco a muovermi..."

"Passerà anche quello."

"Forse ho la febbre, sento caldo ovunque."

Il ragazzo sorrise e abbassò lo sguardo prima di mettersi seduto a gambe incrociate accanto a Hajime.

"Da quanto tempo sono qui?" chiese il principe.

"Quattro giorni."


👑

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