La bambola
La stava fissando.
Se guardava bene era così.
Quella bambola la stava osservando, con quei suoi occhioni azzurri sembrava scrutare in profondità nel suo animo.
Era la sua preferita fin da quando era una bambina. Gliela aveva regalata la mamma per il suo compleanno.
Era bella, con le trecce bionde e il vestitino rosa a fiori.
Si era instaurato un feeling particolare tra loro, fin da subito, fin dal primo momento che l'aveva presa in braccio, dopo aver scartato quel pacco voluminoso dorato, l'involucro che conteneva quel delizioso giocattolo.
Si può dire che era cresciuta insieme a lei, erano inseparabili.
Fino a quando era diventata grande ed inevitabilmente le bambole e i giocattoli erano stati messi da parte in un angolo, anche se continuavano ad essere parte integrante del suo mondo.
Adesso, guardandola si sentì invadere da una strana inquietudine.
Quegli occhi inespressivi sembrava che la scrutassero dentro e le sembrò di cogliere in essi un lampo di coscienziosità.
Si riscosse e pensò di essere pazza.
Non poteva essere possibile una cosa simile, ecco l'immaginazione cosa poteva causare.
Era il frutto della sua fantasia, tutto qui.
Era sola in casa e la solitudine poteva giocare brutti scherzi.
Poteva chiamare qualcuno, magari una delle sue amiche, ma non ne aveva molta voglia.
Si sentiva in quello strano torpore, che precede sempre un'azione.
Guardò di nuovo la bambola, bella e indifferente nella sua immobilità perenne.
In effetti era sempre stata lei ad averle affibbiato e attribuito caratteristiche e comportamenti, che lei rifletteva su di essa, come un prolungamento della propria immagine, riflessa nello specchio del suo inconscio.
Quando l'aveva ricevuta in dono era una bambina piccola, aveva 5 anni e si sentiva felice, come può sentirsi felice un bimbo di quell'età, che gode appieno delle piccole cose della sua tenera vita. Era una bambina spensierata e fiduciosa, amante della natura, che voleva sempre stare fuori a giocare con i maschi.
Quella bambolina le piaceva, le dette subito un nome, Dolly, e la portava con sé anche a letto. Era diventata la sua inseparabile amica.
Ora che era cresciuta si rendeva conto di averla un po' trascurata.
Adesso non c'era più tempo da dedicare a lei.
In quel momento le sue priorità erano altre: le uscite con gli amici e soprattutto con i ragazzi, il sabato sera con le amiche e lo shopping del fine settimana, i primi amori. Il tempo delle bambole era ormai passato.
Intanto la bambola dal suo angolo continuava a far sentire la sua involontaria presenza.
Il suo sguardo cadeva sempre su di essa, come se avesse qualcosa di irresistibilmente magnetico.
Si alzò e come sospinta da una forza misteriosa la toccò.
Una forte scossa elettrica la pervase da capo ai piedi. Si sentì come fluttuare nell'aria e quando riaprì gli occhi si ritrovò in una stanza piena di specchi, che mandavano riflessa la sua immagine in tutte le direzioni.
Non capiva cosa fosse successo. Dove si trovava? Cos'era quel posto?
Stranamente sentì una voce che la rassicuro' dicendole di non preoccuparsi.
Guardandosi le mani e i piedi per verificare se era tutta intera si rese conto che tutto era successo nel momento stesso in cui aveva toccato la bambola.
Di cosa si trattava? Cos'era successo di preciso? Decise di dare una sbirciatina nei dintorni; tuttavia non c'era tanto da guardare. Lì c'erano soltanto specchi di varia foggia e dimensione, con o senza telaio, con cornici semplici o decorate. Si guardò nello specchio che aveva di fronte: vide la sua immagine riflessa, un'immagine sbiadita di sé stessa, quasi priva di colori.
Ma ecco che l'immagine si stava trasformando in un embrione. Vide un cordone ombelicale, un cuoricino che batte, quel suo pulsare ritmico e calmante come il rintocco di un orologio, che scandisce il trascorrere del tempo.
La nascita di una vita, unica, insostituibile e pura.
Un pancione rotondo, quello della sua mamma, all'interno del quale c'era lei che nuotava beata in quella sorta di liquido amniotico, che è acqua magica, linfa vitale che dà la vita.
La corsa fino all'ospedale, il dolore, il travaglio e finalmente aveva visto la luce.
Eccola, mentre faceva il suo ingresso nel mondo, strillando e piangendo, per riempire quei polmoni così piccoli di aria, aria, aria.
Tutto questo lo vide nello specchio.
Poi guardò di nuovo.
Voleva vedere altri attimi della sua vita inconsapevole, attimi che le donavano quella gioia inattesa della scoperta di una sé stessa che ignorava.
Piccola, com'era piccola e tanto gracile e magra, un corpicino minuto scosso e delicato, che si ammalò presto, prima di ittero e poi di broncopolmonite e gastroenterite.
Si vide con la testa tutta piena di aghi, dentro ad una cuccetta di vetro, con gli occhi chiusi.
Chissà cosa aveva provato in quei momenti, lontana dalla mamma, sotto quella luce gialla implacabile, che sputava addosso quel bagliore accecante ma benefico, sulla pelle giallognola, sugli occhi accuratamente bendati.
Chiusa in quella campana di vetro, sola, inerte.
Chissà cosa avrai pensato in quel momento povera bambina?
Dove avrai sotterrato quella sensazione primordiale, che è sempre ben celata in te, perché l'hai vissuta in prima persona?
Per la prima volta hai avvertito cosa vuol dire essere staccati da chi si ama, per la prima volta hai avvertito quella solitudine amara, quella condizione di confusione e disorientamento, insieme ad un calore benigno, forte e tonificante, ma artificiale.
Poi cos'era successo?
Vedi i tuoi genitori affranti, tuo padre con il viso stanco, tua madre esausta e tua sorella che non rendendosi ben conto della situazione dice guardandoti: "Ma quanto è brutta!"
Ti chiamavano Barbarella ed i dottori, ogniqualvolta i tuoi genitori domandavano di te, rispondevano: "Chi la Barbarella?"
Dicevano sempre di aspettare perché la prognosi era riservata.
Non sai cosa hai provato in quei momenti, se ti rendevi conto che la tua vita era appesa ad un filo sottile, che poteva spezzarsi da un momento all'altro.
Tuo padre, un bell'uomo di 42 anni era disfatto, le guance scavate, il viso stanco e tutti i giorni, nonostante lavorasse tanto, faceva da spola tra Pistoia e Firenze, per andare a trovare la sua bambina.
Ti hanno tolta dalla lampada, ma adesso ti sei ammalata di nuovo.
Ti è venuta la broncopolmonite e la gastroenterite e hai bisogno di essere curata con una terapia d'urto. Hai bisogno di fare punture, ma non sanno neanche dove fartele perché il tuo sederino è così minuscolo che non si vede.
Hai avuto bisogno di una trasfusione.
Poi ti fecero credere che era stato tuo padre a donarti il suo sangue perché te e lui avete lo stesso gruppo sanguigno. Ma non fu così.
A te hanno dato il sangue di qualcun altro, uno sconosciuto che ti ha salvato la vita.
Mia madre me lo diceva sempre, quando la facevo arrabbiare:" Ti hanno dato il sangue di un individuo poco raccomandabile".
Mio padre donò anche lui il suo sangue, per ringraziare per quello che ti avevano fatto.
Intanto i giorni passavano lenti, inesorabili e tu piano piano guarivi, ti rimettevi ed i medici non dicevano più che eri in pericolo di vita.
Così piccola, eppure così forte, ce l'avevi fatta e non lo sapevi neppure di questa battaglia che hai dovuto combattere per sopravvivere, quando ancora eri troppo piccola per rendertene conto.
Te l'hanno raccontato dopo, quando tu eri incredula che una cosa simile fosse capitata proprio a te.
Sei nata guerriera e così sarai per sempre.
Nel frattempo ti sei commossa, una lacrima scende a bagnarti il viso
Continui a guardare.
Vedi una bambina di pochi anni con il caschetto con i suoi dentini da latte, ma tanto vivace che canta con la sorella la sigla di Sandokan: "scorre il sanghe nelle vene" e che ripete all'infinito la parola "FARFALLA" e non FALFALLA, come dicevi tu, perché non ti riusciva pronunciare quella erre benedetta.
Vedi una bambina un po' movimentata che giocava sempre con i maschi.
Ti piaceva un sacco giocare con i tuoi cugini nel grande giardino dell'asilo nido, che era sotto casa tua.
Durante il periodo estivo l'asilo non c'era e potevate baloccarvi tutto il giorno con i giochi che erano lì a disposizione di chi volesse.
C'erano altalene, scivolini e qualsiasi cosa che potesse attrarre le fantasie di un bambino.
Il prato era sempre fiorito e pieno di un'enorme quantità di erbe selvatiche, fiori e piante. E poi c'erano le farfalle. Ti specchi e ti vedi bambina rincorrere quelle farfalle colorate. Ce ne sono un po' di tutti i colori: nere con i pallini rossi e bianchi, gialle, bianche e azzurre.
E se le prendevi con le dita ti rimaneva impresso un bel numero sui polpastrelli.
Quanta bellezza c'era allora. Tutto era avvolto da un alone di magia e positivismo.
Ecco nello specchio l'immagine di una bambina che va a scuola, che impara a leggere e a scrivere in fretta. Le tue prime letture!
Com'eri veloce.
Poi però in un'altra immagine sei sofferente: non stavi bene, non mangiavi più e ti sentivi sempre stanca.
I dottori non ci capivano più niente, fino a quando ti portarono da un chirurgo qualificato che sentenziò il verdetto "Appendicite" ed era da operare. Che brutta parola.
Ti ricoverarono all'ospedale. La cosa più bella di quel periodo fu la vicinanza delle persone care e i loro doni: una lavagna magica con le rotelline, con la quale potevi disegnare; un libro dell'orsetto e del topolino che andavano a raccogliere le castagne e poi non sapevano come cucinarle, finché Orsetto Rosso non gli disse che ci voleva la padella bucherellata e così dopo averla presa, gustarono tutti insieme le castagne in allegria.
Tornasti a casa, ora stai benone, ti è venuto un appetito.
Continui a guardare la tua infanzia scorrerti davanti agli occhi, come in un film di cui tu sei la protagonista. La conosci a memoria la tua storia, ma ti piace lo stesso riguardarla dall'esterno, come spettatrice. Quella bambina che sognava tanto, adesso dov'è? Che fine aveva fatto?
Quella magia che aleggiava intorno dov'era andata a finire? Sentivi di provarla ancora.
Continui ad osservare nello specchio. Vedi una bambina spensierata, allegra che amava tanto giocare e che faceva del prato e dei suoi piccoli abitanti tutto il suo mondo. Sugli alberi ci sono tante rondini, svolazzano attorno, hanno fatto il nido sotto quel grande palazzo, dove tu abiti. Ti piacciono le rondini, ami vederle volteggiare libere nel cielo, ad annunciare quella stagione meravigliosa che è la primavera. Ti osservi bene, quanto brillano i tuoi occhi di bambina e quanti sogni avevi. Volevi fare la giornalista ed andare in America, sognavi di diventare una scrittrice, tuo nonno te lo diceva sempre perché avevi tanta fantasia e la maestra leggeva sempre i tuoi temi ad alta voce e anche nelle altre classi perché scrivevi bene. Eri così piena di vita, uno scrigno da riempire, con tutte le gioie che possono fare stare bene.
Le rondini avevano fatto il nido sotto al tetto del palazzo, ce ne erano così tante e la cosa che più ti piaceva era vederle volare di mattina presto, vederle sfrecciare nel cielo, con quella coda bianca e nera. Le amavi, avresti voluto tanto raggiungerle e volare insieme a loro. Questo sogno ad occhi aperti si infranse presto. Nello specchio vedi uomini buttare giù con delle canne quei nidi costruiti con tanto amore, con i rondinini dentro, perché sporcavano il muro appena imbiancato. Fu una decisione di tuo nonno. Sul marciapiede vedi quei piccoli rondinini lamentarsi, ne prendi uno e lo porti in casa. Noti quanto sia piccolo. E' così tenero, non sai cosa fare. Per giorni lo tieni al caldo e lo nutri. E' minuscolo, fa tenerezza e scompare nella tua piccola manina. Un giorno la mamma ti dice che bisogna rimetterlo sull'albero, così potrà ritrovare la sua mamma. Tu non ci credi tanto ed hai timore che possa essere mangiato da qualche gatto. Ma poi un bel giorno attorno all'albero dove avevi messo il rondinino, vedi volare tante rondini adulte e dentro di te cresce la speranza che il tuo rondinino sia stato salvato.
Com'è stato tutto bello! Sogni, sogni e ancora sogni e i libri, i tuoi preferiti, quelli che ti fanno stare bene come Piccole donne o i cartoni animati che ti accompagnano sempre. Vorresti inventare la macchina del tempo e tornare là in quel preciso momento, circondata da quell'affetto, circondata da quel calore amorevole di chi ti sta attorno. Non tutti però, tuo padre no, ha da lavorare, non c'è mai tempo. Per cosa poi? Quel calore non sarà mai più recuperato e ne sentirai la mancanza per tutta la vita.
Ti specchi, vedi una bambina che continua a crescere, adesso sei arrivata al momento della tua Prima comunione, il prete ti ha scelto per leggere un brano, ma tu ti ammali di morbillo e allora devi startene a letto. Passerai a comunione due mesi dopo. Che disdetta! Va beh, tanto ti stava quasi pensiero leggere davanti a tutti. La magia di quel tempo non verrà restituita più. Non hai più voglia di guardare nello specchio, perché quello che succederà dopo porrà fine all'infanzia dorata che ti eri portata dietro. Non vuoi vedere più niente, ma gli specchi continuano implacabili a rimandare immagini che non avresti voluto vedere. Le medie, il periodo più brutto di umiliazioni, sconfitte, ferite nell'anima. Basta! Non volevi guardare più. L'unica cosa positiva, la tua band preferita dell'epoca che hanno dato un senso a quel periodo così buio. Le loro canzoni, le ricordavi sempre a memoria. Don't save a prayer for me now, save it till the morning after. Vuoi tornare a casa e nel momento in cui lo pensi vieni di nuovo catapultata nella tua stanza, accanto alla tua bambola, che continua a fissarti con quello sguardo e quel sorriso enigmatico.
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