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2. A sangue freddo

A SANGUE FREDDO

Il giorno successivo il fermento per la morte di Agatha non è ancora scemato e, questa volta, anche io riesco a percepire il suo nome rimbalzare tra un banco e l'altro delle aule universitarie. Con la testa ancora piena di sussurri mi dirigo alla mensa, sperando con tutta me stessa di trovare pace almeno lì, e non appena faccio il mio ingresso individuo subito la chioma rossa di Rey al solito tavolo.

I cittadini di Fengwood sono all'oscuro della doppia natura che si cela dietro alla nostra apparenza umana, ma sono sempre stati bravi a discriminare chi proviene dal Campo, forse intimoriti dal nostro riserbo e dal legame che abbiamo con la natura. Sono cresciuta attorniata da bambini che puntavano il dito contro "le streghe", ignari che né Rey, né tantomeno io siamo mai state attratte da qualcosa di intangibile come la magia, ma nemmeno dalle pratiche del nostro naturopata, il signor Ian. Cerchiamo di integrarci alla società ignorando il velato astio che gli abitanti di Fengwood ci dedicano in ogni circostanza, ma solo pochi dei miei coetanei hanno deciso di continuare gli studi universitari. Per quanto mi faccia male ammetterlo, ancora meno sono i membri del branco che si siedono sempre con me e Rey. Al Campo siamo tutti legati come una grande famiglia, ma dopo il mio quindicesimo compleanno, notando la mia mancanza di trasformazioni, alcuni hanno iniziato a storcere il naso. Nessuno me lo fa mai intendere espressamente, ma sono consapevole che la mia prima mutazione stia tardando ad arrivare. Io ignoro il fatto, cercando di pensarci il meno possibile, gli altri invece ignorano me.

Raggiungo la mia amica e mi siedo tra lei e Clayton, il più grande del nostro gruppo, anche se la sua età anagrafica non è garanzia della sua maturità. Forse è proprio il carattere bonario e giocoso che lo contraddistingue a renderlo adatto all'incarico affidatogli dal Consiglio: da qualche anno Clay si occupa di assistere i lupi più giovani durante i primi mesi di mutazione e, per molti di loro, assume quasi il ruolo di un fratello maggiore. Nonostante io non sia ancora rientrata tra le sue schiere di lupacchiotti, Clayton è uno dei pochi che non mi ha mai discriminata.

Con loro ci sono anche le gemelle Jackie e Liza, che appartengono alla parte del branco con una posizione semi-neutrale. A seconda di come si svegliano, potrebbero decidere di rendere la mia giornata un inferno o lasciarmi in pace. Il mio trucco per distinguerle è notare chi delle due porta gli occhiali: Jackie, a differenza della sorella, sostiene che la montatura dorata la faccia sentire più vicina ai suoi amati autori ottocenteschi. Per il resto sono perfettamente identiche, dal taglio arrotondato degli occhi color mogano, alle unghie smaltate sempre di nero.

«Il signor Harris ha fatto venire uno della polizia a parlarci, ieri» mi aggiorna Clayton, mentre addento il mio panino.

Addio serenità, l'argomento Agatha mi perseguiterà anche durante la pausa pranzo.

«Anche la Hurts. Penso ci vogliano spaventare, più che aiutare» commento, ricevendo un'occhiata di rimprovero da parte di Rey per aver parlato con la bocca piena.

Lei e Clayton intraprendono una discussione sul lavoro che la polizia sta svolgendo. Nessuno del branco ha mai riposto troppa fiducia nella giurisdizione umana, né tantomeno nel ruolo delle forze dell'ordine, ma entrambi sembrano approvare la pista intrapresa dagli agenti, dal momento che tutto fa presupporre attacchi da parte di animali. Nel frattempo, anche Rey inizia a mangiare la sua razione di verdure: da quando ha mutato per la prima volta è molto attenta al suo regime alimentare e ciò significa niente carne e limitati alimenti di origine animale. Dice di fare già abbastanza danni sotto forma di lupo e io non posso che rispettare la sua scelta, anche se non rinuncerei mai al mio cibo preferito. Mentre anche le gemelle si uniscono al loro discorso, cerco il giornale nella tracolla e lo trovo spianato sul fondo, ma le grinze sono riparabili.

«Temo che Agatha potrebbe non essere l'ultima» ragiono ad alta voce, forse scossa dagli occhi della ragazzina che sembrano fissarmi attraverso la sua fotografia in bianco e nero.

Alle mie parole, Rey si rabbuia. Deve aver capito che la questione mi sta toccando più del lecito. Agatha è umana, è vero, ma ciò non toglie che io provi pena per la sua morte e per quella delle altre vittime. Anche gli altri si voltano verso di me, turbati dalle mie parole.

«Credi forse che dovremmo immischiarci con quello che sta succedendo agli umani?» chiede Liza con tono accusatorio, cercando sostegno nella gemella.

«Non intendo che dobbiamo agire noi in prima persona» sottolineo, rabbrividendo al solo pensiero di trovarmi di fronte a un qualsiasi pericolo. «Ma abbiamo sensi più sviluppati e potremmo rendere in qualche modo utili le nostre doti.»

«Non dovresti includere te stessa nel "noi"» sussurra Jackie, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.

Le gemelle mi regalano uno sguardo eloquente, facendomi intendere che non ho il diritto di esprimermi in merito. Aiutare gli umani non rientra tra le nostre prerogative, non se significa mettere a rischio il branco, e ne sono consapevole. Ma sarebbe davvero un pericolo sfruttare i nostri vantaggi?

Nessuno osa fiatare, se non Clayton che, stappando con foga la sua borraccia d'acqua, dà voce al pensiero che aleggia nelle menti di tutti.

«E come potremmo spiegare alla polizia in che modo abbiamo trovato il cadavere? Diremo semplicemente che abbiamo seguito l'odore del sangue?»

Stringo le labbra tra loro, lanciando un'occhiata all'articolo di giornale per capire come ribattere alla domanda di Clay. Oltre a esporre che Agatha proveniva da una famiglia di agricoltori, la cui fattoria si trova poco fuori Fengwood, non vengono date altre informazioni personali.

«È stato un escursionista a trovare Agatha. Possiamo farlo apparire un caso, confessare alla polizia quel che sappiamo senza che sia compromettente...» provo, cercando una soluzione plausibile. «Clay, dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri» asserisco alla fine, sconsolata nel notare i loro sguardi di biasimo.

Gli unici occhi che non mi giudicano sono quelli di Rey, ma sospetto che il suo silenzio non sia casuale. Jackie e Liza distolgono i loro volti identici contemporaneamente, mentre Clayton non sposta la sua attenzione da me e il cipiglio del suo sguardo rende evidenti i suoi pensieri.

Alla fine è di nuovo il ragazzo a prendere la parola: «Clark, capisco il tuo buon cuore, ma sai anche tu che non possiamo mettere a rischio quello che siamo, né possiamo esporre il branco».

Se ne stanno lavando le mani. Resto a guardarlo per alcuni secondi, incredula, poi mi alzo con forza dalla sedia facendola strisciare sul pavimento.

«Siete solo degli ipocriti» asserisco, abbandonando il tavolo e lasciandomi alle spalle tre sguardi feriti. Rey, ovviamente, si è affrettata a raggiungermi.

«Hanno solo paura, Clark» mi rassicura, afferrandomi per un braccio in modo da rallentare il mio passo.

La ragazza non si è espressa, durante la conversazione con gli altri, ma Rey è così: imperturbabile e razionale, assorbe tutto ciò che le sta intorno per poi giungere alla soluzione più fattibile e sensata. Le sue parole, infatti, mi confermano ancora una volta il suo pensare in modo logico, che poco si accorda con la mia impulsività.

«Clay ha ragione, noi non possiamo fare niente di concreto, non da soli. Ma possiamo comunque andare a parlare con gli Anziani, non credi?»

Annuisco sconsolata, non potendo fare altro che concordare con la sua proposta.

«Va bene. Ma non possiamo fingere che tutto questo sia normale.» Rey sogghigna alla mia osservazione. «Che cosa c'è?» le chiedo, non comprendendo il motivo della sua ilarità.

«Non so se ti rendi conto dell'assurdità della situazione: due mutaforma che discutono su quanto degli omicidi siano anormali.»

Scuoto la testa rassegnata. Rey ha sempre avuto un pessimo senso dell'umorismo.

***

Nonostante l'appoggio da parte di Rey e la promessa di recarci al Consiglio il prima possibile, sono tornata a casa delusa, consapevole di quanto il timore non sia un ostacolo facile da superare. La reazione di Clay, Jackie e Liza mi ha fatto intuire quale sarà la risposta da parte degli Anziani, soprattutto considerando che i miei coetanei hanno la mente molto più aperta della maggior parte del branco. Non biasimo chi dipinge quelli della nostra specie come dei mostri, nei libri e nelle leggende: abbiamo l'opportunità di aiutare, invece ci rifugiamo nella paura e nell'ombra.

La cucina in cui sono cresciuta, con i suoi mobili di legno chiaro e le luci calde, mi sembra estranea, sommersa dal silenzio della mia famiglia. Guardo mamma dall'altra parte del tavolo, proprio di fronte a me, e mi chiedo se lei sarebbe disposta ad aiutare gli umani, se questo significasse salvare delle vite. Mia madre è uno dei più giovani membri del Consiglio, se riuscissi a convincere lei dell'urgenza di fare qualcosa forse potrebbe sostenere me e Rey. Papà, che si trova a capotavola tra noi due, interrompe i miei pensieri.

«Kristen, che ne dici di fare a Scarlett la proposta di cui parlavamo oggi?»

Mia madre alza gli occhi cerulei dalla sua cena, cercando di catturare il mio sguardo.

«Pensavamo che potresti utilizzare l'auto per andare a lezione» sentenzia, portandosi i capelli dorati dietro le orecchie.

«Ci sono ancora giornate abbastanza tiepide, non posso aspettare la fine di ottobre?» ribatto ingenuamente.

Sono sempre andata a lezione con Rey passando attraverso Timeless Garden: è un percorso praticabile e non ha mai costituito un problema, molti del Campo lo seguono per non arrivare in centro con la macchina.

«Viste le circostanze, ci sembra più sicuro che tu raggiunga l'università in auto, piuttosto che dover attraversare ogni volta il bosco. Inoltre sta iniziando a fare buio, di sera, e so che hanno imposto il coprifuoco» mi spiega papà. «Sarebbe più sicuro» aggiunge dopo pochi secondi, passandosi una mano tra i capelli brizzolati.

Capisco le loro ragioni, ma sospetto che sotto ci sia più della volontà di rispettare il coprifuoco. Mi soffermo su entrambe le figure dei miei genitori, che hanno smesso di mangiare per guardarmi. Mamma, con il suo portamento fiero, i lineamenti giovanili e i capelli biondi a incorniciarle il viso, siede dritta sulla sedia, quasi fossimo a un pranzo regale; papà, invece, dagli occhi tanto chiari quanto gentili, mi sorride incoraggiante, un gesto che sottolinea le rughe d'espressione che ormai denotano gli anni passati. Sono sempre stati così: apprensivi. Il fatto che io non abbia ancora manifestato i miei super-poteri, poi, non aiuta. D'un tratto realizzo.

«Non è solo per il coprifuoco, vero? È perché io non ho ancora mutato. Avete paura per me» concludo.

Scommetto che se fossi stata come Rey, o come gli altri del Campo, non avrebbero sollevato alcuna questione a riguardo.

«No, Scarlett. È perché c'è un assassino a piede libero» asserisce mamma, abbandonando definitivamente il cucchiaio.

Imito il suo gesto, pulendomi la bocca prima di parlare.

«Questo lo so anche io, ma c'è Rey con me, e a volte anche Clayton e gli altri. Forse noi del Campo siamo quelli più al sicuro in tutta Fengwood: loro non permetterebbero mai che mi succeda qualcosa» replico serena, liquidando la questione con un'alzata di spalle.

«E se non fosse solo uno?» insiste mamma. «Se fossero in tre, o quattro, e attaccassero Rey? L'essere lupo non basterebbe nemmeno a noi, contro più uomini. Magari sono armati.»

Le sorrido con affetto. Il loro desiderio di protezione nei miei confronti è lusinghiero, ma non ho bisogno di essere tenuta in una campana di vetro: potrei ferirmi cadendo dalle scale, o essere investita fuori dall'università. Una passeggiata nel bosco di meno di un'ora, in compagnia di Rey, non è di sicuro tra le attività più pericolose che faccio, soprattutto se rispetto il coprifuoco e non mi attardo tra gli alberi.

Papà mi allunga un leggero calcio sotto il tavolo per esortarmi a rispondere e, alla fine, mi lascio convincere dallo sguardo serio di mamma. In una discussione con lei non potrei uscirne vincitrice e, tutto sommato, non voglio che passino le giornate a preoccuparsi per me più del dovuto. Sono già abbastanza apprensivi per natura.

«Tre giorni?» le chiedo però cantilenante, giungendo le mani in una supplica.

Ottobre è il periodo in cui gli alberi cambiano colore ogni giorno, mutando l'aspetto infuocato di Timeless Garden fino a che, con l'arrivo di novembre, le foglie fiammeggianti lasciano spazio all'incombere della fredda stagione.

«Starò attentissima, torniamo prima che faccia buio.»

Mamma lancia uno sguardo rassegnato a papà, poi annuisce.

«Solo questa settimana, poi userai la macchina e deve sempre esserci Rey. Fino ad allora» mi guarda, obbligandomi a tenere gli occhi nei suoi, di un blu così diverso dal castano dei miei e, allo stesso tempo, così familiare, «state attente.»

***

«Pensi che riusciremo mai ad andarcene da qui?» mi chiede Rey in un sussurro.

Nonostante il mio desiderio di poter tornare a casa a piedi, la preoccupazione dei miei genitori deve avermi influenzata e mi accorgo di essere distratta quando Rey è costretta a ripetere la sua domanda, facendomi distogliere lo sguardo dagli alberi che ci circondano. C'è davvero una minaccia, tra le chiome di Timeless Garden?

Stiamo tornando a casa dopo le lezioni del primo pomeriggio, attraversando il tratto di bosco che porta direttamente al Campo; mi volto verso Rey, sistemando meglio la cinghia della borsa che mi sta logorando una spalla.

«Perché dovremmo andarcene? Qui ci piace» le rispondo.

So che, finiti questi primi quattro anni di studi, dovrò sostenere il Medical College Admission Test e alcuni colloqui per essere ammessa in una scuola di Medicina lontana da Fengwood, ma mancano ancora due anni a questo momento e non è un problema di cui mi voglio occupare ora. Rey mi guarda con la coda dell'occhio, ma posso notare l'incredulità dipinta sul suo viso.

«Non hai mai sognato di uscire da questo buco? Di vedere cosa c'è fuori?» insiste, fermandosi in mezzo al sentiero.

Un venticello leggero inizia a insinuarsi tra i nostri capelli, costringendomi a sistemare le ciocche ribelli che mi solleticano il viso. Ci penso un attimo, storcendo la bocca: il branco è famiglia, non mi sentirei mai a casa lontana dal Campo e Fengwood offre ottime opportunità di lavoro anche per chi non completa gli studi.

«Tra un po' dovrò affrontare il MCAT, ma non mi esalta l'idea di studiare lontana per altri quattro anni. Qui ho tutto quel che mi serve e poi c'è il branco. Non abbandonerei mai il branco.»

Alla mia affermazione, Rey diventa ancor più seria di quel che già non era. So dove sta il problema: la mia età. Nella norma, avrei già dovuto entrare a far parte del branco anni fa.

«Clark, non puoi restare attaccata a qualcosa che...»

Improvvisamente si ferma. Lo fa con tale impetuosità che quasi mi spavento. Con sguardo impassibile si volta alla sua destra, da dove tira il vento, dandomi le spalle.

«Lo senti?» mi chiede in un veloce sussurro.

«Chi?»

Rey scuote la testa.

«È forte e pungente, Clark, non puoi non sentirlo.»

Capisco che sta parlando di un odore quando la vedo inspirare. Imito il suo gesto, permettendo all'aria frizzante di passare attraverso il naso e riempirmi i polmoni. Non percepisco nessuna fragranza, se non quella delle foglie autunnali e del balsamo al cocco di Rey. Mi posiziono di fronte a lei, superando una radice umida.

«Rey, così mi spaventi» dico, guardando i suoi occhi dove, ormai, il verde che li caratterizza è oscurato dalla pupilla completamente dilatata.

La mia amica pare riscuotersi e torna a rivolgermi la sua attenzione, anche se la percepisco lontana.

«È sangue, Clark. Tanto. Dobbiamo andare.»

Rey mi afferra per la manica della felpa e inizia a trascinarmi attraverso gli alberi. Sembra quasi attratta dal canto di una sirena, mentre segue una pista che io non riesco a identificare.

«Forse dovremmo avvertire gli altri...» mi lascio sfuggire, mentre sono ancora trascinata dalla forza della ragazza.

Lei non pare avermi sentito e, alcuni metri dopo, rallenta. Ormai ci siamo inoltrate tra i tronchi, lasciandoci alle spalle il sentiero che stavamo percorrendo. Rey lascia vagare lo sguardo sulle cortecce, fino a che si immobilizza con gli occhi puntati alle mie spalle.

«Da questa parte» dice solo.

La seguo, un po' riluttante, fino a che non arriviamo in una piccola radura. Gli alberi lasciano spazio al sole pomeridiano, che filtra tra le foglie e arriva a riscaldare il terreno, dando all'ambiente una colorazione arancione.

Mi immobilizzo non appena la vedo. Prima che possa anche solo realizzare ciò che è dipinto davanti a me, mi piego sullo stomaco e vomito il pranzo che mi sono concessa poche ore fa. Rimango appoggiata con una mano a un pino e tengo le palpebre serrate con forza tra loro, con l'intento di eliminare dalla mia mente ciò che hanno scorto. Premo i polpastrelli sulla corteccia e mi concentro sulla sua superficie ruvida, aggrappandomi con urgenza a qualcosa che sia reale. Cerco di calmare il respiro e, quando sento che Rey si è allontanata troppo da me, mi faccio coraggio.

Alzo lo sguardo, apro le palpebre.

Un singhiozzo abbandona le mie labbra quando la sua immagine si ripropone, come uno schiaffo crudele, ai miei occhi. Ogni particolare viene sbavato dalle lacrime che mi ornano le guance, ma ormai è troppo tardi per dimenticare l'orrore che mi scuote le membra.

I rami bassi di un albero abbracciano con premura il corpo nudo di Rose, ammantata solo dal suo sangue vermiglio. La testa della ragazza ha assunto un'angolazione inusuale, che ne ha tramutato la bocca in una voragine vuota. È la sua gola, esposta alla luce del tramonto, a mozzarmi il respiro: il collo è decorato da uno squarcio scuro e regolare, un gioiello prezioso del tutto sbagliato.

Della dolce ragazza che vendeva fiori al negozio dei genitori, nella piazza del Campo, con i capelli ribelli e le lentiggini a scaldarle il viso, non rimane più nulla.

Ora, sul suo volto è dipinto solo orrore.


*** Per chi non conoscesse come funziona il percorso per diventare medico in America: i primi quattro anni si frequenta un programma pre-medical, dove lo studente ha la responsabilità di scegliere i corsi ritenuti "obbligatori" – come biologia, chimica, matematica, ecc. Con gli esami sostenuti si dovrebbero avere i requisiti per entrare poi nell'effettiva Med School, a cui si accede superando un test (MCAT) e dei colloqui: seguono quindi quattro anni di scuola di medicina (simile a quello che poi si fa da noi in università) e, in fine, ci sono altri tre/quattro anni di specializzazione – o un lungo tirocinio a seguito del quale c'è un esame.

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