Prologo
Serafina aprì gli occhi in modo lento e annoiato. Quando vide la sua solita vecchia stanza si tirò su certa di star per trascorrere un'altra noiosa giornata. Imprecò accorgendosi che nessuna cameriera era lì, pronta a servirla. Con riluttanza si alzò dal letto e si avvicinò allo specchio dove guardò il suo meraviglioso corpo.
Serafina.
Aiuto!
Sorrise nel vedere le sue morbide curve al mattino presto. Dormire nuda era diventata un'abitudine, le donne di alta società non facevano quel genere di cose.
"Schiena dritta, portamento, timidezza: sono queste le leggi dell'etichetta".
Sua madre era sempre stata una gran rompi scatole. Nessuno in quella casa la sopportava, quello con suo padre era stato solo un matrimonio di interessi. Quando aveva saputo della sua morte, aveva, infatti, tirato un sospiro di sollievo. Ringraziava sua madre solo di una cosa: di averle donato un viso così attraente e un corpo così perfetto.
Suonò con insistenza la campanella fin quando le si presentò una cameriera tozza, impacciata e dall'altezza ridotta.
- Sono sveglia da oltre dieci minuti! Mio padre vi paga solo per restare a vegliare su di me e per essere pronte ad ogni mia esigenza- mormorò risoluta.
La cameriera guardò in basso e domandò cosa le servisse.
- Di cosa credi abbia bisogno? Ovviamente di vestirmi- sbuffò.
La giovane allora, velocemente, prese tutto l'occorrente. Ci volle un po' per infilarle il corsetto ma alla fine riuscirono nell'intento.
- Siete sicura di non volere una taglia più grande?-
- Cosa vuole intendere? Che sono forse ingrassata?-
- Oh no... Semplicemente che questo corsetto lo indossava anche a tredici anni: è normale essere diventata un po' più robusta-.
La dama sbuffò davanti ad un'atteggiamento così duro di comprendonio.
- Questo corsetto mi mette in risalto le mie bellissime curve. È inutile starti a spiegare per cosa devo mostrarle. Conoscendo voi cameriere, sarai una povera verginella-.
E rimase a fissare lo specchio.
La cameriera aspettò un ordine che, però, non arrivò.
- Si può sapere cosa attendi?-
- Beh ecco io non so...-
- I vestiti! Dobbiamo scegliere i vestiti! Senti, come ti chiami?-
- Dru... Drusilla-
Serafina girò gli occhi.
- È la prima volta che mi aiuti non è così?-
Drusilla annuì.
- La mia routine è molto precisa. Io mi sveglio verso le 7:15. Tu dovrai vegliare su di me dalle 23:00 all' 01:00 e dalle 06:00 fino al mio risveglio.
Devi essere pronta ad ogni mia necessità. Una volta sveglia mi sistemi il corsetto e mi mostri i miei vestiti. Poi mi vesti e mi trucchi mentre ordini la mia tisana. Devo essere pronta già alle 07:35 per fare colazione con mio padre. La tisana me la devi servire calda, ma non troppo calda... Mi raccomando che non sia tiepida e non ti azzardare a portarmela bollente o fredda! La berrò in camera con una zolletta di zucchero. Tutto chiaro?-
La cameriera si guardò intorno come smarrita.
- Muoviti adesso! Avrei già dovuto aver scelto il vestito-.
Drusilla deglutì e annuì, poi si diresse verso l'armadio di tronco di quercia. Lo aprì e trovò sette vestiti ricoperti d'oro. Per poco non svenne davanti a tutto quel luccichio.
- Quelli sono troppo esagerati. Nel cassetto in basso ci sono dei vestiti più consoni alla giornata di oggi. Prendi quelli verdi, voglio sceglierne uno di codesto colore-. Quando finalmente Serafina scese erano le 8:00 in punto. Si era colorita le guance con un bel rosa tenue, mentre aveva ridato vita alle labbra a cuore con un bel rosso spento. Un maggiordomo alto, dai capelli chiari e gli occhi verdi, la accompagnò fino in cucina e una volta arrivata lei gli sfiorò leggermente la coscia. Poi con un sorriso innocente lo congedò e guardò suo padre. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo quanto bene conosceva la servitù maschile presente in quella casa.
- Buongiorno papino- sussurrò mangiando una ciliegia. L'uomo sulla cinquantina la guardò leggermente arrabbiato.
- Sei in ritardo di ben venticinque minuti-.
Lei gli sorrise.
- La nuova cameriera non è brava a fare il suo lavoro-
- Lo sai che oggi è un gran giorno, hai già vent'anni, occorre un uomo al tuo fianco-.
- Lo so benissimo papà, secondo te perché avrei indossato questa perla di vestito?-
Lui le rivolse un'occhiata, come se l'avesse vista solo in quel momento per la prima volta. Sorrise.
- La gonna ti cade lungo le gambe in maniera alquanto sublime. Sono felice anche del fatto che hai ascoltato il mio consiglio: i capelli legati coperti da un elegante capellino ti danno un'aspetto aristocratico-.
Finirono di mangiare in silenzio, poi la giovane donna si alzò ed uscì per passeggiare. Gli alberi sussurravano parole a lei incomprensibili mentre gli uccellini cinguettavano.
Serafina.
Si diresse verso la sua cavalla già pronta per essere domata: era di color marrone chiaro dai riflessi ambra. La accarezzò un po' e salì.
- Ma signorina, forse non è il caso di montare proprio adesso. I signorini staranno per arrivare, cosa direbbero di lei?-
La ragazzina osservò la sua nuova cameriera con un filo di compassione: quanto poco doveva saperne della vita.
- I cavalli sono gli animali più eleganti e dignitosi di questo mondo. Essere donna non significa solo curare il proprio aspetto ma anche imparare le discipline fondamentali della vita. Non appena arriveranno i signorini, noteranno una donna abile e aggraziata. Ogni animale nasconde gli aspetti dell'anima di ognuno di noi-.
Si girò velocemente e cavalcò per un po'.
Quando tornò a casa era serena e felice di poter intraprendere nuove "amicizie".
- Tesoro, appena in tempo! Ben quattro gentiluomini desiderano conoscerti. Come ogni volta passerai un po' di tempo da sola con loro e sceglierai colui con cui vorrai approfondire il rapporto- affermò il padre indicando gli uomini.
- Vi presento Il Signore della lontana Aripi-. Serafina osservò appena quel duca, in realtà tutta la sua attenzione era stata catturata da un elegante uomo muscoloso e alto. Gli occhi azzurri erano in perfetta armonia con i riccioli biondi, la mascella era imponente e le labbra sottili.
Il misterioso duca la guardò e le sorrise freddamente.
Poco dopo era fuori a passeggiare con quell'uomo dagli occhi blu di nome José.
Serafina si sedette dolcemente sull'altalena sulla quale giocava da piccola. Era di legno di quercia, i fiori e i rampicanti l'avevano totalmente circondata dando l'impressione di essere in una favola. José si sedette nell'altalena accanto a lei.
- Non sembrate molto interessato- mormorò la donna.
- Cosa ve lo fa credere?-
- Non emanate alcuna emozione, non mostrate gioia né curiosità. Più che altro sembrate arrabbiato, nei vostri occhi vedo solo tristezza e rancore. Ditemi, vi ho per caso offeso in qualche modo?-
Lui la guardò e mostrò un sorriso forzato.
- Penso al nostro strano mondo. Sono arrabbiato con esso perché non posso seguire i miei sogni, né posso stare con la donna che amo-.
Serafina lo guardò dolcemente, lei non conosceva il vero amore né la vera libertà. Era uno spirito ribelle ma non abbastanza da lasciare il castello. Sapeva che di lì a massimo tre mesi, suo padre avrebbe smesso di sostenerla e avrebbe voluto un matrimonio... E lei glielo avrebbe concesso. Fino a quel momento però, voleva solo divertirsi. Le sembrava inutile pensare a ciò che non avrebbe mai potuto avere.
Serafina.
La ragazza tentò di rimanere concentrata e di ignorare quelle voci. Odiava quella parte di lei, quella parte oscura che nascondeva. Da piccola seguiva le voci che la chiamavano, seguiva il suo istinto ed il suo corpo, ma la scena finale era sempre una: lei su un animale ricoperto di sangue.
Per molto tempo era stata considerata pazza, fin quando il dottore non disse che stava lentamente guarendo. In realtà aveva semplicemente smesso di rincorrere e seguire le voci. La notte non dormiva, avvolta da incubi e spasmi e, durante il giorno, cercava solo il rapporto corporale per distrarre la propria mente.
- Tu credi nelle creature mistiche?- domandò José. La ragazza lo fissò ignorando le voci che la attiravano nel bosco.
Aiuto!
Serafina vieni qua.
Giochiamo insieme?
La ragazza non resistette più, si lanciò sull'uomo e lo baciò con foga mentre le mani già indugiavano sulla camicia. José all'inizio rimase fermo, poi ricambiò e cominciò a lasciare morbidi baci lungo il suo collo.
- Ahi!- mormorò Serafina staccandosi. Aveva sentito un forte dolore alla gola, come se l'avesse morsa. Si toccò in cerca della ferita ma lì non c'era nulla.
L'uomo guardò la sua gola rassegnato e si alzò.
- Forse è meglio andare piano- e andò via.
Il resto della giornata trascorse in modo parecchio strano per Serafina. Sentiva sempre uno strano male al collo mentre le voci nella sua testa erano sempre più forti.
- Dimmi cara, come è andata?- domandò la sera il padre.
- Ti ha convinto? Sarà lui l'uomo che sposerai?-
La ragazza non aveva la forza di fare nulla, le urla che si ripetevano nella sua mente, le provocavano una continua angoscia.
- Allora?-
Serafina annuì, non riusciva più a scacciare la sofferenza che si faceva largo in lei. Neanche la tattica della distrazione sembrava funzionare, improvvisamente il sesso non la faceva più sorridere. Riusciva solo a pensare a quanto la vita fosse vuota.
Suo padre la guardò con un po' di scetticismo, ma non fece domande, mostrò un sorriso a trentadue denti e non proferì più parola.
La sera si cambiò lentamente e si sdraiò sul letto. Quando vide la cameriera che la fissava, si sforzò di parlare:- Cosa ci fai qui?-
- Devo rimanere a vegliare su di voi- sorrise nervosa. Temeva di aver sbagliato ancora.
- E chi l'ha detta questa stupidaggine?-
Drusilla la guardò confusa:- Voi, lo avete detto voi-.
Serafina si girò di lato e annusò il cuscino.
- E chi sono io per dirvi cosa fare?-
- Beh ecco...-
- Non importa quanti soldi io abbia, se sia povera o ricca. Maschio o femmina. Anche se la storia di ognuno di noi ha un diverso prologo, l'epilogo e lo sviluppo è sempre lo stesso. Ci sposiamo con qualcuno che a malapena conosciamo e per cui non proviamo nulla, mettiamo al mondo altre creature, viviamo una vita infelice ed, infine, moriamo. La nostra vita è come una goccia di agonia in un mare di sofferenza... Niente di più. Quindi va via, dormi serenamente e sogna-
Drusilla abbassò gli occhi e, non sapendo cos'altro dire, affermò:- Io la notte non sogno-.
Serafina continuò a guardare il vuoto, sorrise leggermente e chiuse gli occhi.
- Tanto meglio, abituati a quell'oscurità, abituati al nulla. Tanto quello è il finale della nostra triste storia: il nulla. Nessuno paradiso, nessun purgatorio, nessun inferno e nessuna reincarnazione, solo il vuoto- e dicendo questo, sentì Morfeo tirarla a sé. Distrattamente percepì Drusilla che le sistemava le coperte e usciva dalla stanza.
La notte Serafina sognò di uscire di casa per seguire le voci. Erano come un faro nell'oscurità e lei si sentiva una falena.
Serafina
Aiutaci!
Per favore non farci del male!
Mostro!
Serafina
Serafina tentò di riprendere le redini della sua mente, tentò di svegliarsi da quell'incubo. Dentro la sua testa lei urlava disperata avvolta da un'agonia senza fine, eppure erano urli vuoti, muti. Niente arrivava in superficie. Lottò contro il suo subconscio per riprendere il controllo. Eppure più si avvicinava, più le urla si facevano largo dentro di lei.
All'improvviso, qualcosa catturò la sua attenzione: una specie di boato la fece svegliare di botto, ma non appena aprì gli occhi in maniera cosciente, non era più in camera sua.
Si guardò intorno spaventata per qualche minuto, prima di capire di essere in giardino. Dondolava nell'altalena cigolante. Tutto era buio, non si sentiva nessun rumore: perfino le urla nella sua testa tacquero improvvisamente.
Poi un rumore le giunse facendola sobbalzare: il boato che l'aveva fatta tornare in sé. Si girò per vedere da dove provenisse, ma ciò che vide la pietrificò. Poco lontano da lei, si ergeva un grosso lupo nero di cui si distinguevano solamente gli enormi occhi blu. L'essere ringhiava e, il ringhio, faceva tremare la terra. La paura invase Serafina impedendole di fare solo un passo. Poi la luna, quella sera piena, raggiunse il suo epicentro e il lupo ululò. In quell'esatto momento mille grida si fecero largo nella testa di lei che intanto piangeva. Pochi secondi dopo correva in mezzo agli alberi mentre sentiva i passi dell'enorme lupo farsi sempre più vicini. Il cuore gli batteva come non aveva mai battuto e le lacrime le scendevano in un fiume di paura. Quegli alberi che di giorno le sembravano tanto belli, di notte si trasformarono in veri incubi: i rami, i cespugli e le foglie le graffiavano violentemente il viso e le gambe. A coprirla c'era solo una sottoveste corta che di solito si toglieva una volta a letto. Ringraziò il cielo per non averlo fatto quel dì. Nel frattempo, le voci nella sua testa, man mano che correva erano sempre più forti. Ad un certo punto le grida furono talmente elevate da annebbiarle la vista. Cadde a terra in preda agli spasmi mentre metteva a fuoco lo spettacolo davanti a lei. Decine di corpi umani erano squartati, buttati a terra privi di vita. Su di loro si ergeva una figura misteriosa dalla chioma lunga e nera. Avrebbe subito pensato ad una donna se non fosse stato per i pantaloni stretti che indossava — esattamente non consoni ad una signorina —. La figura si alzò e si voltò, a quel punto Serafina, non solo ebbe la certezza che non fosse donna, ma fu certa che non fosse umana. Il contorno dei suoi occhi era scavato da occhiaie profonde e nere, gli occhi non presentavano bianco, bensì erano neri e le iridi rosse come il fuoco. Le labbra erano spaccate e ricoperte da uno strano liquido fluido rosso che ricopriva anche i canini appuntiti.
La ragazza la guardò impietrita mentre le urla dei morti continuavano a echeggiare nella sua mente.
- Mo... Mostro- mormorò.
A quel punto qualcosa le afferrò la gamba e la trascinò.
Serafina gettò un urlo pieno di disperazione e angoscia. Un urlo che conteneva anche le grida che tanto la tormentavano. La figura misteriosa si tappò le orecchie e inarcò la schiena in un gesto inumano. Gli alberi si sradicarono da terra e caddero con un tonfo al suolo. Serafina si girò e si accorse che il lupo era accovacciato a terra che guaiva dal dolore. Lentamente, e trascinando la gamba ormai fuori uso, si alzò e si diresse verso la sua casa. Fece qualche passo ma non riuscì nell'intento di scappare. Una figura le si parò davanti. Era vestita come il mostro dagli occhi neri, ma il suo viso era diverso: aveva l'aspetto di una ragazza della sua età dagli occhi nocciola e i capelli scuri. Nessuna traccia del nero o del rosso fuoco.
Serafina prese aria per urlare ma, la donna, con uno sguardo triste, le tagliò di netto la gola usando solamente le proprie dite. La ragazza cadde mentre il dolore la invadeva: le mani erano poggiate sul collo, cercando, inutilmente, di impedire al sangue di uscire. Dopo qualche secondo non sentì più alcuna sensazione, perfino respirare le sembrava futile, le voci erano cessate e, in quel critico momento, molte domande si facevano largo nella sua testa. L'enorme lupo le annusò il viso e lei riconobbe quegli occhi azzurri. Lo guardò vagamente mentre nella sua testa ripeteva il vero nome di quell'animale: José.
Negli ultimi attimi della sua vita guardò i mostri che l'avevano uccisa, i corpi stesi a terra e gli alberi caduti. Tutto questo non le faceva che aumentare il volume delle domande che si poneva: Come facevo io a sentire le voci dei morti? E come ha potuto, il mio urlo, distruggere questi alberi? Sono un mostro come loro?
Chiuse lentamente gli occhi sentendo che qualcuno la tirava a sé, stavolta però, non era Morfeo. Mentre la Morte la avvolgeva piano piano, lei non faceva altro che ripetersi: Cosa sono io?
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