Cera di una candela rossa
Era una fiamma ardente,
ma fragile
Come quella di una candela.
Una candela
che troppa cera ha disperso;
la cera è uscita dal candelabbro,
la cera ha bruciato
le sporche mani
di chi reggeva il candelabbro,
sicure che mai nessuna goccia,
caduta dalla candela,
potesse mai colpirlo.
Quando successe
si infastidì
e decise di far spegnere
la fragile candela:
ordinò di prenderla,
ordinò di tranciarla,
ordinò di spegnere la fiamma
e fondere la giovane candela;
fonderla sulla ferrovia,
legata a del tritolo,
farla brillare,
come un grande cero pasquale,
e far credere
che si vergognasse
della sua fiamma,
della sua esile fiamma rossa
che ancora amore
avrebbe dato,
che altre sporche mani
avrebbe scottato.
Ovviamente questa poesia é un omaggio al ricordo del compagno Peppino Impastato.
Invito chi non conoscesse il nome di questo giovane che ha lottato per anni contro la mafia ad informassi quale grande persona fosse, anzi, È ancora.
Peppino non è morto, lui vive, vive e lotta con noi, vive tra di noi, nei nostri canti, nelle nostre riunioni sindacali... vive nell'antimafia siciliana che ha sempre bisogno di uomini e donne come lui.
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