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Capitolo 6

ANNA'S POV

Corro per tornare a casa. Devo correre per sfogarmi. Non ho la chitarra e devo tornare a casa per sfogarmi veramente: devo scrivere. Scrivere pagine su pagine, piene di lettere, piene di parole, piene di pensieri repressi.. tutto.
Stavolta nemmeno il mare mi tranquillizza. Questo è quel tipo di casino dove la mia valvola di sfogo è la scrittura. In fondo lo è sempre stata.
Tornata a casa, saluto mia madre e vado subito in camera mia per scrivere.

* * *

Dopo circa quattro ore, sento la voce di mia madre che mi intima di scendere perché è pronta la cena.
Quando arrivo giù, mi siedo a tavola e inizio a mangiare, consapevole delle occhiate che mi rivolge di tanto in tanto mia madre. Fa così quando mi vuole chiedere qualcosa e cinque minuti sono più che sufficienti per farmi spazientire.

"Spara. Tanto ti conosco. Devi chiedermi qualcosa. Di'." Sbotto.
È fin troppo stressante stare con lei se deve comportarsi così. Tanto lo so, mi farà il terzo grado. È inevitabile.

"Che ti succede?" Inizia mia madre... perchè è solo l'inizio.

"Nulla di che."

"Ti conosco più di me stessa Anna, so che ti è successo qualcosa qui in questo posto e oggi, quando sei tornata, ti osservavo e osservavo nei tuoi occhi la stanchezza. Non la stanchezza fisica, quella emotiva.
Poi te ne sei andata e non ti ho visto per le successive quattro ore.
Mi sento uno schifo.. non voglio farti passare la vacanza che tanti agognavi in questo stato di tristezza. Quindi adesso ti obbligo a dirmi quello che ti è accaduto. Perché sono sicura che è accaduto qualcosa con quel Marco. Vero?"
Mi chiede lei e io né affermo né nego.

"È successo quello che non doveva succedere. Punto." Dico, sperando di chiudere il discorso.

Le voglio un bene immenso, ma ora come ora voglio soltanto che questa giornata termini il più presto possibile per potermi rintare nei sogni.

"Anna, non puoi cercare di concludere il discorso in questo modo. Voglio aiutarti, ma aiutami anche tu ad entrare in te."
Mi chiede e so che lo fa con tutte le buone intenzioni esistenti sulla faccia della Terra, ma oggi non ho voglia di aprirmi. Scoppierei a piangere, non per quello che è successo oggi, o almeno in parte, ma a causa di tutte quelle cose per cui non ho pianto. A causa di tutte quelle cose per cui volevo aprirmi, ma non ce la facevo. Mi sembrava anormale per me. Sentivo che la maschera doveva restare ancora lì, come adesso. Non voglio toglierla.

Sono fermamente convinta che Pirandello avesse ragione quando disse che ogni persona indossa una sua maschera e convive con essa: le persone non riescono ad essere sincere, o non vogliono.
Io non ci riesco e tanto meno voglio. Voglio restare in quella mia apatia che a volte scompare, ma che comunque è presente.
Talvolta provo odio verso di essa perché a causa sua non riesco a mostrare quello che provo, e non riuscendo a mostrare quello che provo, non riesco a dire cosa penso... ma dentro non ci sono barriere per i pensieri: ti inondano la mente e non ti lasciano andare mai...

"Avrai anche ragione, so che mi sono aperta con te non poche volte, ma adesso non ne ho voglia. Ti voglio bene, ma preferisco tenere tutto dentro ancora per un po'."
Dico io, dando risposta all'esortazione di mia madre. Spero che abbia recepito il messaggio: non ho voglia e non ce la faccio ad aprirmi. Voglio che tutto resti dentro ancora per un po'.

"Mamma, possiamo cambiare discorso?" Le chiedo, perché o parliamo d'altro o sbotto di brutto con lei e non voglio che accada.
Lei è l'unica che c'è stata nei momenti negativi e non potrei farle questo torto, nemmeno se la terra fosse quadrata e non ci fosse nessuno ad abitarla: le farei del male.
C'è stata per me, nonostante il suo dolore: ha messo il mio per primo, ma invece di essere guarita io, è guarita lei... e io sono rimasta fratturata nel profondo del mio cuore: ho delle crepe che lo caratterizzano.
Ma fino a quando questo cuore riuscirà ad essere intero e a non rompersi definitivamente?

"Certo tesoro!" Dice e mentre pronuncia quelle due parole le si illumina il viso. Quanto la adoro!
"Sai, avrei in mente di andare in spiaggia stasera, giusto per una passeggiata." Mi informa, tralasciando l'argomento e comprendendomi nel modo in cui solo lei sa fare.

"Certo mamma. Grazie di tutto. Ti voglio bene." Le dico, cercando di imprimere in quelle parole tutto l'affetto che provo per lei.

"Ti capisco, tesoro. Non preoccuparti. Ti voglio bene anch'io." Mi conforta e le sono
immensamente grata.

Finiamo di cenare e andiamo in spiaggia per goderci la sua tranquillità al tramonto.
Mi ricordo di quand'ero piccola e sognavo di poter avere serate come queste mentre c'era il casino a casa.
Mi ricordo che amavo la tranquillità, che amavo la pace e che fui felice quando in quella casa c'eravamo solo io e mia madre. Quelle quattro mura erano silenziose, ma nonostante ciò il legame che univa me e mia madre non si era spezzato. Sarebbe potuto accadere se non fosse stato per la sua tenacia nel dimostrarmi, sempre e comunque, il suo amore nei miei confronti.

"Siamo arrivate!" Mi comunica mia madre.

"Wow! Mamma è una vista stupenda! Grazie mamma!"
Dico emozionata, la abbraccio e sento che il muro sta crollando, la maschera sta cedendo, ma non m'importa minimamente.
Quindi i rubinetti si aprono e finalmente capisco che non voglio che quel muro mi allontani dall'unica persona a cui voglio bene e a cui darei il mondo se me lo chiedesse.
Le devo tanto.
Le devo la forza con la quale mi alzo e vado avanti, tentando di scacciare i ricordi. Le devo il bel sorriso (falso) che mi stampo ogni giorno sulle labbra. Le devo me stessa.

"Oh tesoro!" Esclama mia madre, stupita dalla mia apertura.

E rimaniamo lì a stringerci per un tempo che può sembrare infinito a chi non sa chi sono io. Ringrazio la parte debole di me per avermi fatto aprire.
Mi mancavano gli abbracci che mi dava mia madre, mi mancava l'essere me stessa con lei. Mi mancava la vera me, quella che non riesco a far scoprire per paura che venga maltrattata e fatta a mille pezzi.
Anche mia madre ha vissuto quest'inferno, ma lei è più forte di me. Lei ha avuto il coraggio di alzarsi dopo essere caduta, di aiutare anche me e farci andare avanti. Le devo tutto.

"Oh mamma!" Le lascio un bacio sulla guancia e mi stacco.

"Solo il cielo sa da quanto tempo io aspettassi di vedere la tua vera io." Mi confessa e la guardo negli occhi. Quegli occhi marroni profondi, che amo fissare per tantissimo tempo. Gli occhi di mia madre.

"Anch'io lo aspettavo."

Mi da un altro abbraccio e ci dirigiamo verso la riva. Il mare è così tranquillo, così sereno nella sua semplicità, così profondo.

Se c'è una cosa che ricorderò sempre di me stessa è il mio cuore. Lotta e non si ferma. Sta diventando una macchina: una macchina che giorno dopo giorno consuma sempre più carburante fino a farmene rimanere senza. Il mio cuore sta iniziando ad essere carente di forze, si indebolisce sempre più, però c'è la testa che spesso mi aiuta. Mi esorta ad andare avanti, a continuare, mi convince che ce la posso fare, mi supplica di continuare a lottare.
E poi c'è mia madre che è sempre presente.

"Grazie per esserci sempre." Ripeto a voce alta, perché nonostante sia una cosa che le ripeto sempre, sento che è importante ricordarlo.

"Anch'io ero come te e so come ci si sente ad essere due persone. So che vuoi essere spesso la vera Anna, la ragazza felice, la ragazza che alla fine di un romanzo si emoziona, la ragazza che guardando il mare al tramonto si emoziona, la ragazza che vuole abbracciare spesso sua madre, ma che non vuole mostrarsi per paura di essere ferita e distrutta.
So come sei perché io ero come te."

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