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Capitolo 29

ANNA'S POV

Ho passato una notte orrenda e, tra lacrime e pensieri, sono riuscita a dormire un paio d'ore. È passata una settimana da quando siamo arrivate qui e ancora non ho chiesto nulla a mia madre di ciò che ha vissuto a Roma tanto tempo fa. Sento che oggi è il giorno giusto. I ricordi pulsano ancora, ma sta iniziando a viverci ed è ora che può parlarmene.

Mi dirigo nella stanza di mia madre e, tra ipotetiche frasi da dire e ricordi non graditi, busso alla porta e, entrata, sussurro un flebile e stanco "ciao".
La vedo affacciata alla finestra, di schiena alla porta. I capelli le scendono fluidi, ma lei è molto tesa. Vedo dal riflesso del vetro che le lacrime, ancora una volta, le rigano il volto e gli occhi rossi si fanno spazio nel suo viso che di lacrime ne ha viste molte, di sofferenza ne ha sofferta tanta.

Sta iniziando a parlare, è ora che si sfoghi.

ELENA'S POV

Inizio a raccontare ad Anna i ricordi che mi stanno logorando da più di una settimana e che tento di nascondere in qualsiasi modo.

Giulio era un fratello adorabile. C'era nel momento del bisogno, ma soprattutto era divertente come nessun altro. Quando vedo Anna, molto spesso rivedo Giulio: i suoi occhi e i suoi capelli mi ricordano tanto quelli di lui.
Ero particolarmente legata a Giulio, ero legata a lui come a nessun'altro. Avevo qualcosa di unico, o semplicemente il nostro legame era speciale. L'ho visto sempre come colui che mi proteggeva. Certo, c'erano i miei genitori, ma io e Giulio abbiamo avuto un rapporto che non ho avuto con nessun altro. Non so quante volte l'ho visto farsi in quattro per il mio bene. Eravamo inseparabili e ci volevamo un bene dell'anima.
Era un chiacchierone senza freni; a volte tentavo di tappargli la bocca con le mani e il suo sguardo era divertito, come a dire: "Non hai risolto il problema, sai?"
Era più grande di me di sei anni. È stato un maestro, anche. Mi ha insegnato così tante cose che a scuola non capivo. Quelle scale ne hanno visti di libri e ne hanno sentite di spiegazioni.
Con lui tutto diveniva più interessante. Amava la storia e ha fatto appassionare anche me; non so quante volte abbiamo fatto il giro delle attrazioni storiche di Roma insieme.
Voleva essere una guida turistica. Sapeva l'inglese e il tedesco benissimo oltre all'italiano e, prima della sua scomparsa già faceva la guida, non perché lo fosse davvero, ma perché la gente lo scambiava per tale e a lui non dispiaceva vestirsi della parte. Sapeva tutto sui monumenti storici della città e sapeva tutto sulla storia romana. Amava spiegare alle persone la storia di ogni piccola cosa.
Era fortemente presente in lui un patriottismo, un amore verso la propria città e la sua nazione che spesso lo si trovava a rivolgersi a degli estranei, così, all'improvviso e narrare loro tutto ciò che non sapevano.
Amava la storia. Diceva che la storia è ciò che ha portato all'esistenza dell'attuale società e che dovevamo studiarla per capire anche le cose che però nessuno ci diceva.
Era polemico, fortemente critico, diceva la sua, indifferentemente dai sentimenti altrui.
Era insistente, a volte anche stressante, ma era proprio il suo essere che mi spingeva a volergli un bene immenso.

E poi ci fu l'incidente. L'undici agosto del 1990 morì. Mi arrivò una telefonata di un poliziotto che mi diede la notizia dell'incidente. Stetti male per anni, ancora sto male. Dopo la morte, le settimane che trascorsi qui furono un inferno per me e per gli altri perché non ero io, non mi riconoscevo e neppure gli altri mi riconoscevano, ma continuavo a fare cose che non erano da me perché credevo che tanto in un modo sarei dovuta morire e volevo essere io a scegliere la modalità, senza che il Fato facesse scelte che spettavano a me. Dopo andai in America e lì vissi il resto degli anni in cui sono sparita e, ancora ora, immagino come sarebbe Giulio, ma il suo volto rimane immutato dai ricordi della giovinezza.

Sento Anna abbracciarmi da dietro e dirmi che andrà tutto bene. Poco dopo si divide da me e inizia a girarsi intorno, sotto il mio sguardo attento. Nota una scatola di legno... lì c'è un ricordo che lega me e Daniele. È una pietra su cui è incisa una margherita e, sui cinque petali, alternate, ci sono le lettere «E» e «D».
Ecco che i ricordi mi sovrastano di nuovo la mente. Io non posso fare altro che guardare di nuovo il panorama esterno e narrare ad Anna ciò che lega me ed Anna.

La «D» stava per Daniele. Daniele è stato l'amico e l'amore di una vita, ma siamo stati insieme solo un mese. Aveva degli occhi azzurri da mozzare il fiato, di quegli occhi che a guardarli ti senti un po' persa. Mi tranquillizzavano i suoi occhi, mi incantavano e mi rendevano felice.
Siamo cresciuti insieme sin da piccoli. Amici da tanto tempo, verso il secondo anno anno delle superiori iniziai a capire che di amicizia c'era ben poco da parte mia, era più amore, ma comunque io continuai a fingere di volergli bene. In fondo non mi soffermavo tanto sulle parole in sé. L'affetto era già era una grande cosa per me. Mi innamorai di lui non so come: saranno stati gli occhi, il suo sorriso, il suo comportamento socievole o le attenzioni che mi regalava. Non so cosa fu di preciso, ma mi innamorai e non sapevo gestire bene le emozioni: ad ogni suo "ti voglio bene" scappavo per non fargli vedere il mio rammarico. E lo so, non mi soffermavo sulle parole, ma l'affetto che le sue parole esprimevano non mi bastava. Volevo di più. Ogni volta che scappavo, Daniele mi seguiva e mi chiedeva come stessi, ma io rispondevo sempre quello stupido "bene" che bene non era. Non so quanti anni passai a nascondere il mio amore nel cuore per paura di essere rifiutata e per paura di rovinare i rapporti. Io, però, avevo dei limiti. Una sera mi disse "ti voglio bene" di nuovo e io scappai. Lui mi seguì e io gli urlai in faccia ciò che pensavo. Non mi importava, volevo togliermi il peso di dosso e darlo interamente a lui. Volevo sentirmi libera da me stessa.

«Senti Daniele, non ce la faccio più a nasconderlo.»

«Nascondermi cosa?»

«Sai, ho passato tanti anni della mia vita a nasconderlo per timore di rovinare tutto. C'ho provato, giuro, c'ho provato a convincermi che non poteva essere, c'ho provato a convincermi di lasciar stare, ma non posso più ingannarmi. Devo smetterla di mentirmi.»

«Elena, cosa mi hai nascosto?»

«Che ti amo» Glielo dissi guardandolo negli occhi, cercando di imprimere in quello sguardo tutto quello che provavo per lui. Lui ricambiava il mio sguardo, ma non proferì parola ed allora io continuai con ciò che avevo da dirgli.

«Ed io dovrei odiarti perché non sei mai stato capace di intuirlo, di accorgertene, di capire che ogni volta che scappavo era perché io non ti volevo bene, ma, sai, non ci riesco proprio. Non ce la faccio. Sai cosa? Vado via e ti lascio il tempo di assimilare il tutto perché sembri rimasto scioccato. Lo sei, anzi.»

Detto questo, andai via e, nonostante i suoi "aspetta" urlati a squarciagola, continuai a camminare con le lacrime agli occhi e poi mi diressi a casa. Mi sfogai con Giulio.

Restai a casa per settimane, a piangere. Piangevo un po' per tutto, però non ero io quella. Elena non si abbatteva, così decisi di passeggiare in città con mio fratello, riscattandomi dell'esilio in casa che mi ero imposta. Lo trovai seduto su una panchina davanti al Colosseo con sguardo vuoto, dispiaciuto, triste, arrabbiato anche. Uno sguardo che non avevo mai visto. Certo, era normale, aveva perso un'amica ed era arrabbiato con se stesso.

«Non sarà il caso di andare a parlargli, Elena?» Chiese Giulio e, timorosa, annuii. Iniziammo a camminare. Lo superai di pochi passi. Poi mi prese il polso e mi fermai. Restai dov'ero, immobile: lo sguardo e i piedi piantati a terra. Sentivo l'aria farsi asfissiante e Giulio si dileguò, lasciandoci l'opportunità di sciogliere questa tensione. Daniele mi fece sedere sul lato opposto della panchina, tirandomi. Stetti zitta per non dire nulla di sbagliato, perché in quel momento non era come prima che io gli dicessi tutto. Era tutto troppo complicato, troppo teso. Però, inaspettatamente, parlai prima io.

«Perché mi hai fermata, Daniele?»

«Perché dobbiamo parlare.»

«Allora parla.» Gli dissi io, voltandomi e trovandomi i suoi occhi a fissarmi. Non erano gli stessi. Conoscevo i suoi occhi a memoria. Le emozioni che vagano nelle pupille mi erano ignote.

«Dovrei odiarti, Elena.»

Risi amaramente. «Sapessi io!»

«Perché ti comporti così, Elena?»

«Così come?»

«Sii te stessa con me.»

«Lo sono sempre stata.»

«Non è vero.»

«Si che è vero, Daniele.»

«Siamo stati sempre qualcosa in più io e te, non siamo stati mai amici e tu l'avevi capito da tempo. In queste settimane in cui non ci siamo visti né parlati, ho sentito un vuoto e non potevo far altro che pensare a te, a quello che mi hai detto. Mancava un pezzo dentro di me. Sono stato male...» Iniziò a dire, ma io non lo lasciai finire: mi alzai e iniziai a camminare verso Giulio. Iniziai a camminare perché tutto era troppo bello, tutto era troppo strano per me.
Però Daniele mi prese per la vita, mi girò e mi baciò. Senza preavviso. Non gli resistetti perché, nonostante tutto, lo amavo.

Dopo vari avvenimenti ci fidanzammo e per un mese tutto era perfetto, ma con la morte di Giulio, cambiai radicalmente. Lo stato deprimente in cui mi crogiolavo ogni giorno fece allontanare tutti, ma Daniele rimase e mi stette vicino. Io, però, volevo andarmene. Tutto riportava a Giulio e alla storia. Perfino un sampietrino mi ricordava che probabilmente esso aveva più anni di me. Allora iniziai ad allontanare anche Daniele e i miei genitori. Con la decisione di andare in America, iniziai a litigare con tutti e tre al fine di interrompere i legami. Con il dolore e le lacrime ad attanagliarmi la vista mi diressi all'aeroporto per andare a New York, un volo andata senza ritorno.

"Il dolore che provavo per la morte di Giulio mi fece compiere molti errori di cui amaramente oggi mi pento. Però ora io non posso fare niente. Sono passati venticinque anni e credo e spero che Daniele si sia rifatta una vita. Ho commesso molti errori, ne ho pagate le conseguenze ed ancora oggi sconto la mia pena. La cosa che più mi fa soffrire e che mi ricorda che ho sbagliato ad andar via, però, è il ricordarmi ogni singola parola, ogni singolo momento di quello che abbiamo vissuto. Ho sbagliato, ma voglio ricominciare, ma soprattutto non voglio che tu ripeta i miei errori, Anna."

Si sbaglia sempre. Si sbaglia per rabbia, per amore, per gelosia. Si sbaglia per imparare. Imparare a non ripetere mai certi sbagli. Si sbaglia per poter chiedere scusa, per poter ammettere di aver sbagliato. Si sbaglia per crescere e maturare. Si sbaglia perché non si è perfetti, si è umani.

Bob Marley

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