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Capitolo 19

MARCO'S POV

"Grazie." Esordisco io, alzandomi e incitando Anna a fare lo stesso, visto che ora dobbiamo tornare a casa.

Si alza, unisce la sua mano alla mia e, quindi, ci dirigiamo alla macchina, per poi andare a casa. Giunti alla nostra strada, fermo la macchina, ma non apro lo sportello. Ci guardiamo per un po', lei fa per uscire, ma la blocco.

"Aspetta, io... È da maniaci voler stare ancora un po' con te?" Mi guarda comprensiva e davvero mi sento spoglio della durezza che di solito mi caratterizza, che però non metto in mostra con lei. Non ne sono capace.

"Marco, devi stare tranquillo. So che per te è stato difficile raccontarmi della tua vita. Posso capire il dolore, la paura che ti affliggono in questo momento, ma devi capire che..." Smette di parlare, mette una mano sulla bocca, esce fuori, allontanandosi e iniziando a far fuoriuscire quel poco cibo che aveva ingurgitato.

Esco fuori anch'io e le raccolgo i capelli, accarezzandole il collo leggermente. Quando finisce, ci dirigiamo verso casa sua, entro senza neanche bussare, la conduco verso il bagno, quindi le permetto di lavarsi, mentre io esco fuori dalla stanza, aspettandola.

È tutto così strano. Cioè, mi sento libero e tutto, ma qualcosa mi turba terribilmente, mi opprime il cuore. Ho come il presentimento che in questa famiglia succederà qualcosa. Ed ho paura, perché di solito i miei presentimenti equivalgono sempre a ciò che avverrà . Questo di solito accade con le persone a cui mi sento legato, perché sì, sono legato a lei in modo misterioso, in modo unico ed è questo filo che mi crea un sentimento enorme dentro, che mi sconvolge anima e cuore, e a questo sentimento il cervello non ha di che battersi. Questo filo, il viso di Anna, i suoi lineamenti delicati e soavi, i suoi modi di fare, i suoi modi di comportarsi hanno un che di speciale, di potente, di intrigante a cui io non riesco a resistere. Sono troppo legato a lei, nonostante il poco tempo che abbiamo passato insieme.

Però ho paura. Ho paura di essere io la causa di questo casino. Mi sento colpevole di qualcosa di cui non so l'essenza.

"Hey, hey. Hai una faccia terrorizzata! Davvero ti ho fatto così tanta paura?" Sento la voce di Anna dire, con un accento sarcastico nella voce.

"Nah... È che ora devo andare. È tardi e devo controllare mio fratello." Le rispondo io, freddo, con una decisione già presa in mente.

"Ah, capisco. Ti accompagno alla porta, un attimo."

Si toglie i tacchi e scende le scale insieme a me, facendomi dirigere alla porta e aprendola per farmi uscire.

"Allora ciao." Mi dice lei, con la perplessità negli occhi. L'ha notato. L'ha notato il mio cambio d'umore.

"Ciao." Le sorrido e inizio a camminare, ma appena sento la porta chiudersi, mi giro e la apro. Vedo Anna sobbalzare di fronte a me, così la prendo, la porto fuori, chiudo la porta e, appoggiandola ad essa, la bacio, imprimendo in quel bacio tutto ciò che ho dentro, sperando di farle intendere quanto io abbia bisogno di lei. La bacio con ardore e lei ricambia, sentendo il suo sapore sulle mie labbra, dolce e delicato.

"Non puoi andartene... Perché lo so, tu stai scappando da me, me lo sento. Mi stai abbandonando e mi hai mentito. Hai sempre detto quelle parole, hai sempre detto che c'eri e ora che fai? Scappi? Perché?" Mi chiede Anna e mi sento male dentro.

"Anna, io... Dio, non sai quanto io abbia bisogno di te, non sai quanto io senta il bisogno di starti accanto sempre, ma tu sei in pericolo. Ho il sesto senso che mi dice che succederà qualcosa di sconvolgente e che io sarò la colpa di questo qualcosa. Non voglio farti male..." Le dico, per poi girarmi e andare via.

Sento un urlo.

"RESTA!" Dice quest'urlo. "Resta! Ho bisogno di te! Diamine, mi sei entrato dentro e tu ora scappi, vai via? Avevi detto che ci saresti sempre stato, ma evidentemente mi sbagliavo, ti sbagliavi ed io ero sciocca a crederci alle tue sciocche parole. Non posso fidarmi di nessuno, neppure della mia ombra. Anche tu mi stai facendo male, mi stai distruggendo anche tu e non ne posso più di questa vita che presta dieci e che pretende mille. Basta. Basta con questa vita che troppo pretende e che nulla regala. Perché sei entrato nella mia vita se dovevi farmi male anche tu? Non puoi capire quanto tu mi stia facendo male, quanto quella fiducia che in te riponevo, che nelle tue parole riponevo mi stia distruggendo. Dovevi restartene dov'eri, non venire e rovinarmi ancor di più. Dio, perché tutto a me? Io.. io.." Urla lei con le lacrime agli occhi e non ce la faccio più a sentirla così, mi fa troppo male.

"Non volevo farti star male, non volevo distruggerti. Non capisci che neppure io voglio andar via? Adoro il tuo essere così speciale e mi dispiace essere io la causa dei tuoi ulteriori mali, quando avevo promesso di esserci sempre, di non ferirti."

"Vedi? Quella canzone di Mengoni mi ha illusa(Guerriero, per chi non lo ricordasse). Te l'ho detto:"Vacci calmo con le parole", tu no! Tu no. Giorni che mi illudi con le tue parole e ti dovrei odiare". Ed inizia a darmi a pugni sul petto. " Ti dovrei odiare per il semplice fatto che ora anche tu scapperai. Scappi perché io sono troppo difficile come persona. So che sono diversa, che sono cattiva, dura, che non valgo nulla, che non ha senso la mia esistenza, ma intanto esisto. Voglio solo vivere con un po' di felicità, ma mi è proibito. Mi hai fatto male anche solo con la tua decisione ancora non attuata. Il tuo averci pensato mi ha già ferita." Esordisce lei e perciò non riesco a trattenere le lacrime.

Piango perché faccio star male le persone a cui tengo di più. Sento quel dannato e impellente bisogno di scomparire.

Piango perché le ho fatto del male.

Piango perché non volevo, però l'ho fatto, nonostante le mie volontà.

"Sparisci." Sussurra lei.

La guardo e sobbalzo. Sobbalzo perché vedo una tale freddezza e delusione causate dai miei pensieri che mi fa paura. Sobbalzo e mi odio perché mi rendo conto di essere un perfetto idiota. Continuo a guardarla, cercando un contatto visivo a cui lei sfugge ogni volta.

"Guardami" Esordisco io.

"Sai qual è la cosa peggiore? È l'averci creduto veramente in te e nelle tue parole. Devi andare, vuoi scappare? Vai, scappa: la sai la strada." Dice lei, non guardandomi ma facendomi capire che ho fatto uno sbaglio grande, enorme.

"E ora sparisci, lasciami! Sparisci! Vai via! Smetti di farmi del male! Vai via!" Urla, dandomi dei pugni sul petto e piangendo lacrime che ho causato IO.

"Io ho paura di farti del male! Ho paura di andarmene perché voglio essere io a proteggerti, a toglier le lacrime, ma ho paura di farti male. Sono un codardo, lo so, ma ho un disperato bisogno di vederti protetta, di saperti al sicuro. E quel posto sicuro lo vedo situato tra le mie braccia. Io ti voglio più di bene, ma ciò che so per davvero è che ora mi sento di fronte ad un bivio: andar via e farti soffrire o rimanere e soffrire ugualmente?" Esordisco io, rendendo vera la mia paura.

"Ecco, appunto. Visto che sei di fronte ad un bivio, decidi la strada da intraprendere e poi casomai mi fai uno squillo rendendo chiara la tua decisione." Spara lei, non guardandomi, ma avendo la consapevolezza di essere osservata.

Le do un bacio sulla guancia, trattenendomi per alcuni secondi per respirare il suo profumo, le sussurro un buonanotte e vado via, cosciente del problema che ho causato, ma ignaro di ciò che succederà l'indomani.

Perché poi non sai se fidarti delle persone, se dare loro la possibilità di scoprirti. Però se c'è una cosa che ho capito è che poi si deve andare avanti, inesorabilmente. Purtroppo io non ci riesco ad andare avanti, a percorrere il resto del percorso. Lo osservo, come se fossi uno spettatore. Lo osservo come se fossi qualcuno estraneo a me. Lo osservo come si fa con le stelle: da lontano.

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