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Capitolo 16

MARCO'S POV

"Fratello, cosa ci fai con lo smoking?" Mi chiede Roberto, con un sorriso che prevede un questionario peggiore di quello nei tribunali. È talmente curioso che a volte è insopportabile!

"Questioni di lavoro." Rispondo vagamente, anche perché non posso dirgli di Anna, non ora.

-Non vuoi!- Mi corregge il subconscio.

"Certo... C'entra una ragazza?" Chiede, sempre con quel sorriso alquanto beffardo. E allora mi arrendo.

"Non potrei dirti il contrario, quindi..." Affermo io, rimanendo comunque sul vago, anche perché non ho tempo.

"Ok, adesso vado. Non mi combinare guai mentre non ci sono! Ciao!" Gli dico, salutandolo.

Cammino per quei pochi metri che dividono casa mia da quella di Anna e diamine, ho un'ansia.
Ho timore di poterle far del male. Nella sua fragilità e nella corazza che contemporaneamente ha è così bella, ma è proprio questo suo essere così speciale e angelico ad incutermi il timore di poterle fare del male, gelare ancora di più quegli occhi azzurri, rafforzare quella corazza e, di conseguenza, renderla ancora più fragile.

Ma nella vita si può essere forte e deboli?
Si può essere tristi e felici?
Si può essere l'alfa e l'omega?
Si può essere sia una cosa che l'altra?
Si può essere due cose contemporaneamente le quali sono totalmente differenti l'una dall'altra?
Si può essere il tutto e il niente?
Si può sorbire tutto questo completamente e totalmente con le proprie forze?

Non so cosa pensare, anzi, ho tanti pensieri per la mente e, da questa massa indefinita di pensieri, non riesco ad afferrarne uno, neppure il più futile pensiero.

A cessare questo tsunami mentale ci pensa la porta della casa di Anna.
Suono il campanello e pochi secondi dopo mi ritrovo Afrodite fatta persona: Anna è semplicemente ed unicamente meravigliosa.
Quel vestito le sta d'incanto, quel leggero trucco le dona brillantezza ed eleganza, quell'acconciatura le dona bellezza. Il tutto rende Anna stupenda.
Alzo lo sguardo e  quegli occhi sono lì, che impazienti attendono di scontrarsi con i miei.
Più guardo i suoi occhi più, ogni volta, mi sento perso nel suo sguardo brillante, ma allo stesso tempo spento, cristallino, ma allo stesso tempo tormentato, eternamente puro, ma allo stesso tempo triste.

Non so per quanto tempo restiamo a guardarci in quella bolla che ci estranea da tutto, che rende protagonisti soltanto noi, ma quest'atmosfera viene interrotta da dei rumori provenienti dalla cucina.

Entra nella stanza una donna abbastanza alta, sulla quarantina, con una pelle candida, degli occhi verdi mozzafiato e dei capelli biondi leggermente mossi.
Credo proprio che questa donna sia la madre di Anna.

"Buonasera signora, mi chiamo Marco, Marco Collins. Piacere." Saluto la signora e le porgo la mano. Anche lei mi porge la sua, ce le stringiamo e, nel mentre, mi dice:"Piacere, Elena Ryan."
Volgo lo sguardo su Anna e vedo un piccolo sorriso sorgere sulle sue labbra. Le sorrido.

Sento altri passi. Alzo lo sguardo, e scorgo una ragazza che potrebbe avere circa venticinque anni. Ha dei capelli ramati e degli occhi che sono un misto tra verde e azzurro.

"Piacere, sono Marco Collins." Dico alla ragazza e faccio la medesima cosa che ho fatto con la madre di Anna.

"Piacere, sono Rebecca Brown." Mi risponde sorridendo, per poi lasciare la mano e chiedere il permesso di potermi rubare Anna per cinque minuti.

"Certo!" Dico io, ovviamente.

Intanto Elena mi dice di sedermi sul divano e inizia a farmi delle domande.

"Allora Marco, cosa fai nella vita?"

"Lavoro in un negozietto che affaccia sul mare, dove guadagno da vivere per me e per mio fratello." Spero soltanto che non mi chieda dei miei genitori, mi farebbe troppo male.

La guardo negli occhi e noto che mi sta scrutando dentro, facendomi sentire così spoglio della maschera che mi creo.

"Ok... Tuo fratello quanti anni ha?" Mi chiede lei ed ora so che le devo un favore.

"Sedici anni ed è un ragazzo d'oro." Ed è grazie a lui che sono cambiato, vorrei aggiungere, ma mi trattengo.

"Sono felice che voi abbiate un bel rapporto, almeno ci spero." Mi guarda comprensiva e mi pone una domanda che mai mi sarei aspettato:"Come stai?"

Domanda da un milione di dollari.

"Sono felice di poter uscire con Anna." Le dico, guardandola intensamente, affinché possa capire che non deve farmi più domande simili. Non posso rispondere.

-Non vuoi.- Il subconscio dice.

"Spero solo che tu non faccia soffrire mia figlia." Mi dice con tono comprensivo, protettivo e va in cucina. Poco dopo ne esce con delle bevande, dei bicchieri e un qualche cioccolatino.

"Vuoi?" Mi chiede con un bel sorriso, ma con lo sguardo assorto.

"Certo. Grazie." Affermo e lei poggia tutto su un tavolino presente nella stanza.

"Cosa vuoi da bere?"

"Dell'acqua basta, ti ringrazio." Lei mi da l'acqua e poggia i cioccolatini su un tavolino di fronte al divano.

Passano due minuti e sento che devo dire qualcosa.

"Grazie, sei una donna comprensiva. Pensavo m'avresti fatto domande su domande, invece me n'hai fatte poche per capirmi. Non so come tu ci riesca, signora Elena, ma grazie ancora." La guardo con sguardo curioso, sentendo che quest'estate sarà diversa.

"Non chiamarmi signora!" Mi rimprovera amorevolmente. Sento una porta aprirsi, così alzo il mio sguardo e vedo quello di  Anna curioso, assorto, pensiero, triste.

"Andiamo?" Le chiedo, guardandola.

"Certo." Risponde, salutando l'amica e la madre insieme a me, per poi uscire.

Ci dirigiamo in macchina in silenzio, ma dopo essere partito le chiedo:
"Cosa ti ha detto Rebecca?"

"Nulla che ti riguardi." Mi risponde in tono freddo, come mai aveva fatto.

Fermo d'improvviso la macchina e le chiedo:
"Cosa ti ha detto?" La guardo e noto i suoi occhi lucidi.

"Non posso dirtelo." Dice con voce a malapena udibile.

"Non puoi o non vuoi?"

"Marco, andiamo dove dobbiamo andare."

"No Anna. Non riesco a vederti così. Dimmi." Le dico, mantenendo a stento la calma.

"Marco, andiamo."

"Andare per vederti così? Cosa ti ha detto?"

"Marco, davvero... non me la sento di dirtelo... davvero."

"Cosa ti ha detto Rebecca?" Non risponde, ma sento un pianto irrompere nel silenzio della macchina.

Il suo.

ANNA'S POV

Io e Rebecca entriamo nella dispensa e mi dice:
"Devo dirti una cosa... tra di noi non ci sono segreti e proprio per questo devo dirti questa cosa che so ti farà male." Comincia Rebecca.

"Dimmi." Dico io, intimorita dalle sue parole.

"Ecco, non vorrei che ti rovinassi la serata."

"Dimmi, Rebecca."

"Ecco, oggi, prima di incontrarci, ho visto... tuo padre."

Ed è qui che vedo tutto nero.
Non può essere.
Non è vero.
Sta andando tutto in frantumi.
Non è possibile.

"È uno scherzo di cattivissimo gusto, Rebecca."

"Mi dispiace, non è uno scherzo."

"Ma com'è possibile? Lui era andato all'estero. Lui non dovrebbe essere qui. Non è vero."

"Mi dispiace..."

Sento che niente è più come prima. Sento che questa vacanza non è come la immaginavo. Sento il vuoto più vuoto di prima. Abisso.

"Mia madre..."

"Dovremmo dirlo ad Elena più tardi o più in là?"

"Più in là." Rispondo, cosciente del dolore che le provocheremmo se venisse a sapere della sua presenza qui.

"Sediamoci." Mi consiglia lei ed io lo faccio subito, seguita da lei.

"Come ti senti?" Mi chiede lei, abbracciandomi.

"Male. Ho paura. Ho un dolore cane al cuore.
Sento il vuoto.
Sento dolore e vuoto alternarsi, come se fosse possibile.
Sento l'esigenza di sparire.
Sento l'esigenza di piangere.
Sento l'esigenza di scappare, di nuovo.
Voglio andarmene da questo posto, ma non posso. Ho paura..." E non riesco a finire perché la voce mi viene a mancare. Inizio a sentire gli occhi lucidi.

"No tesoro... non piangere... ci sono io con te. C'è tua madre ed ora credo ci sia Marco..." Mi dice, guardando la porta e facendomi capire che è ora di andare. "Perdonami se te l'ho detto stasera... perdonami..." Continua con tono affranto.

"Grazie Rebecca per esserci... resti stasera?" Le chiedo con voce supplichevole, tralasciando le sue scuse.

"Ti serve la mia compagnia, certo che rimango." Afferma e mi abbraccia. Poco dopo mi sussurra:
"Ti aiuterò, ci sono io con te."

"Lo so.. usciamo di qui?" Le chiedo, dandole un bacio sulla guancia.

"Usciamo." Mi dice ed apriamo la porta.

Vedo Marco e mia madre parlare e, dopo i saluti, io e Marco andiamo in macchina in un silenzio terribile esternamente, ma dentro ho un miscuglio di pensieri, di emozioni, di sensazioni.

Lui inizia a guidare senza aprir bocca e io inizio a pormi delle domande: cosa ci fa qui? Perché proprio qui? Perché noi? Perché nel destino mio e di mia madre c'è segnato il dolore? Perché non la felicità? Perché la nostra vita è dovuta inciampare in lui? Perché lui? Perché dobbiamo soffrire ancora?

"Cosa ti ha detto Rebecca?"

Non dirò niente a lui.

-Lo dovrai fare.- Mi dice il subconscio.

-Non lo farò.-

-Lo farai.-

Lo farò perché sono troppo debole, perché ho bisogno di piangere, perché non riesco a tenermi tutto dentro, ma ora non lo farò, non ci riuscirò.

"Nulla che ti riguardi." Gli rispondo nel modo più distaccato possibile. Non posso mostrargli la mia fragilità. Non posso dirgli nulla.

All'improvviso sento la macchina fermarsi e la sua voce chiedermi nuovamente:
"Cosa ti ha detto?"

Non posso tenermi tutto dentro, sento gli occhi lucidi.
Sento che quel baratro ha il potere di risucchiarmi più di quanto non lo faccia già.

"Non posso dirtelo." Rispondo con voce rotta e flebile a causa di quegli occhi lucidi che integri non sanno rimanere.

"Non puoi o non vuoi?" Insiste lui, guardandomi.

Non voglio.

-Devi.-

-Non voglio.-

"Marco, andiamo dove dobbiamo andare."

Non posso, non voglio.

Ma perché la vita deve essere così difficile?

"No, Anna. Non riesco a vederti così. Dimmi." Gli sento dire e non so chi dei due scoppierà prima.

Lui esige delle risposte da me.
Anch'io le esigo, ma non so a chi porle le domande.

Al tempo? Al Fato? A Dio?

A chi le devo chiedere io?

Non voglio dirgli nulla.

"Marco, andiamo."

"Andare per vederti così? Cosa ti ha detto?"

"Marco davvero... non me la sento di dirtelo... davvero."

Sto per scoppiare, non ce la posso fare.

"Cosa ti ha detto Rebecca?"

Non ce la faccio... Inizio a piangere tutte le lacrime che da troppo tempo trattengo. Piango.

La vita fa schifo.

Sento delle braccia circondarmi ed io mi aggrappo al suo collo, quasi come se fosse la mia ancora di salvezza. Quasi a sorreggermi. Non ce la faccio. Passano vari minuti e poi sento la sua voce dire sommessamente:
"Ti va di parlarne?"

"Non posso. Ti trascinerei nel mio baratro." Dico con varie esitazioni a causa del pianto.

"Cosa ti ha detto Rebecca?" Mi chiede per l'ennesima volta, ignorando completamente quello che ho detto io.

"Ci sto male. Otto anni non mi sono serviti a dimenticarlo." Dico con voce sottile.

"Dimenticare chi?"

"Mio padre... lui mi ha rovinato l'esistenza. Da piccola si comportava con me come un padre gentile, affettuoso, ma non so cosa successe e dopo un po' iniziò a bere, a fumare... Picchiava mia madre e a volte anche me... Ci insultava... Ci minacciava... Ci diceva che eravamo soltanto degli sbagli. Ci diceva che avremmo avuto un destino buio e pieno di tristezza. Lo odio. Lo odio... Lo odio!!" Urlo in preda alla tristezza, al dolore e in preda alle lacrime.

"Ed ora è qui. E con qui intendo qui a Long Beach.
Mi fa male sapere che la mia vita passata sia tornata nel presente.
Mi fa male sapere che potrei rivederlo nuovamente.
Mi fa male ricordare lui con questa consapevolezza.
Vorrei non fosse mai esistito.
Vorrei poter sapere che lui non sia nato.
Vorrei tanto sparire, scappare...
Vorrei tanto poter andare via avendo la certezza che nulla possa ferirmi, farmi del male.
Voglio solo un po' di felicità!
Perché la mia vita deve essere così crudele con me?
Perché? Perché devo sopportare così tanto?
Perché non posso essere felice?" Chiedo ormai con rassegnazione.
Nulla ha più senso. Non mi appartiene più niente.

Marco non dice nulla, ma il suo abbraccio vale più di mille parole.

"Non avere paura, ci sono io con te." Mi rassicura con le stesse parole di quando ci demmo il primo bacio, guardandomi dolcemente negli occhi.

Si avvicina a me, lentamente, come se avesse paura, ma io mi fiondo sulle sue labbra che mi mancavano terribilmente.
Sento la dolcezza e il calore delle sue labbra.
Sento che con lui sono al sicuro:
sento che con lui non dovrò temere nulla, almeno lo spero, altrimenti non saprei dove buttarmi.
Sono già rotta di mio.
Vorrei soltanto essere felice.
Dio, ti chiedo solo una cosa: dammi un po' di felicità da condividere con chi più amo.

MARCO'S POV

Siamo qui a baciarci ed io sento le sue mani dirigersi sulla testa e stringere i miei capelli con una delicatezza tale da farmi fare un piccolo gemito gutturale.
Poggio la mia mano sulla sua guancia per asciugare le lacrime cadute a causa dei ricordi raccontatimi.

Vorrei non fosse successo a lei. Perché la vita deve essere così meschina? Perché con lei, poi?

Sento le mani di Anna appoggiarsi sul collo mentre io continuo a toglierle le lacrime dal viso.

Ora so che questa è la perfezione. O quasi.

Lei è diventata importante per me da quando ci siamo scontrati in mezzo a quella strada, da quando poi abbiamo ballato e parlato, da quando abbiamo litigato la prima volta e la sera quando non abbiamo fatto nulla di fronte a quella fontana.
Tutte le cose con lei, che riguardano lei sono diventate importanti per me.

Anna si stacca dalle mia labbra e io vorrei tanto riavvicinarmi per darle un altro bacio, ma voglio essere cauto. Almeno spero di riuscirci.

"Marco..." Inizia lei dopo qualche minuto "Grazie per tutto quello che fai per me. Sei così paziente e..." La blocco mettendo due dita sulle sue labbra. Faccio un sorrisino quando mi accorgo che questo contatto le provoca molti brividi.

Sento che non potrei resisterle più, così la bacio di nuovo. Mi fa sempre quest'effetto stare con lei: mi rende dipendente da lei e non riesco a resisterle, seppur avendo la paura ora raddoppiata.

Anna porta le sue mani sul mio petto e io sulla sua testa, ma lei si stacca dalle mia labbra per guardarmi negli occhi difatti, quando li apro, mi ritrovo il suo oceano a fissare i miei occhi e capisco che non c'è nulla di migliore.
Sento che i miei occhi, anzi io potrei affondare nel suo sguardo e che non c'è nulla di migliore.

Ci guardiamo ancora per un po' e poi le chiedo:
"Dove vuoi andare?"

"Che cosa avevi organizzato?" Mi domanda lei.

"Un'uscita ad un ristorante sulla spiaggia e su questa una passeggiata."

La guardo ancora per un po', per poi ritornare al mio posto e accendendo la radio, sapendo che ora sicuramente ci sarà una canzone bellissima.

Si inizia a sentire il suono di un tamburo. Appena sento la sua voce, sento che devo un favore a Mengoni.

E levo questa spada alta verso il cielo

Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo

Solo sulla cima

Tenderó i predoni

Arriveranno in molti

E solcheranno i mari

Oltre queste mura troverò la gioia

O forse la mia fine comunque sarà gloria

E non lotterò mai per un compenso

Lotto per amore, lotterò per questo

Io sono un guerriero

Veglio quando è notte

Ti difenderò da incubi e tristezze

Ti riparerò da inganni e maldicenze

E ti abbraccerò per darti forza sempre

Ti darò certezze contro le paure

Per vedere il mondo oltre quelle alture

Non temere nulla io sarò al tuo fianco

Con il mio mantello asciugherò il tuo pianto

E amore il mio grande amore che mi credi

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi

E resterò al tuo fianco fino a che vorrai

Ti difenderò da tutto, non temere mai

E amore il mio grande amore che mi credi

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi

E resterò al tuo fianco fino a che vorrai

Ti difenderò da tutto, non temere mai

Non temere il drago

Fermerò il suo fuoco

Niente può colpirti dietro questo scudo

Lotterò con forza contro tutto il male

E quando cadrò tu non disperare

Per te io mi rialzerò

Io sono un guerriero e troverò le forze

Lungo il tuo cammino

Sarò al tuo fianco mentre

Ti darò riparo contro le tempeste

E ti terrò per mano per scaldarti sempre

Attraverseremo insieme questo regno

E attenderò con te la fine dell'inverno

Dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente

Io sarò con te e sarò il tuo guerriero

E amore il mio grande amore che mi credi

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi

E resterò al tuo fianco fino a che vorrai

Ti difenderò da tutto, non temere mai

E amore il mio grande amore che mi credi

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi

E resterò al tuo fianco fino a che vorrai

Ti difenderò da tutto, non temere mai

Ci saranno luci accese di speranze

E ti abbraccerò per darti forza sempre

Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo

Veglio su di te, io sono il tuo guerriero.

Sento le parole della canzone, capisco il significato di esse è guardo Anna negli occhi, sperando che possa capire ciò che silenziosamente sto cercando di dirle.

Io la guardo con un sorriso fiero, lei con un sorriso nostalgico, come se la canzone le abbia fatto ricordare qualcosa della sua infanzia.

Mentre le guardo gli occhi, noto un cambiamento repentino in essi. Dalla nostalgia passa alla freddezza in cinque secondi.
Mi si raggela il cuore.

"N... non devi.. non devi cambiare d'umore repentinamente con me, non in questo modo. Non farlo." Dico io, balbettando a causa dello stupore del suo repentino cambiamento.

"Io non capisco. È tutto così diverso da come mi ero programmata. Avevo piani diversi da ciò che è successo. Volevo andare al mare con mia madre app..." Dice lei, iniziando una lista che io interrompo:

"Sai qual è il problema? Hai programmato troppo.
La vita non è solo programmare, un fare questo prima di quello...
La vita è anche fare cose che non ci si aspetterebbe, lasciarsi andare..."

"Non voglio lasciarmi andare..." Dice lei a labbra strette.

"Perché?"

"Perché voglio evitare di essere illusa."

"Perché vuoi evitare di vivere nel mondo. Di cosa hai paura, Anna?"

"Delle persone. E so che tutto questo è così deprimente, ma io sono deprimente, quindi..."

"Non sei deprimente... sei solo delusa dalla vita a cui tu hai dato troppo, suppongo."

"Io voglio scappare dalla vita."

"Non è possibile."

"Non è vero. Io lo faccio ogni sera, sc..." Si blocca all'improvviso, quasi per timore di dire qualcosa di errato.

"Sc? Sc che?" Chiedo io, guardandola.

"Sc niente..." Volge lo sguardo nel vuoto e io non so se fermare di nuovo la macchina e parlare come si deve o continuare a parlare tra un fuggire di sguardi e parole non dette.

"Anna... Sc che?" Chiedo ancora.

"Non lo dirò a nessuno."

"Piena di misteri la ragazza."

"Piena di cose da dire mai dette." Mi riprende lei e allora capisco immediatamente con "sc" che intende, ma non le dirò che ho capito. È un segreto che lei vuol tener nascosto.
Lei scriveva quella sera del primo bacio.

Lei scrive.

La guardo per un po' e, per evitare di fermare la macchina e non arrivare più a questa benedetta spiaggia, distolgo lo sguardo e chiedo:

"Vuoi andare solo al mare o in questo ristorante al cui padrone avevo promesso di far sedere su una delle sue sedie una bella ragazza?"

"Grazie, ma... ti offendi se ti dicessi di voler andare al mare soltanto?"

"No, hai bisogno di tranquillità, lo capisco. Più di quanto tu possa immaginare."

Ci guardiamo per un istante per poi non parlarci per l'intero tempo che impiego per arrivare al mare.

Arrivati, ripenso a quello che mi ha detto del padre, alla canzone e, senza rendermene conto, dico:

"Ti difenderò da incubi e tristezze, ti riparerò da inganni e maldicenze e ti abbraccerò per darti forza sempre, ti darò certezza contro le paure."

"Attento a quel che dici: le parole scatenano sogni irrimediabili dopo la loro pronuncia. Vacci piano che le parole, le promesse se vengono fatte o dette, vanno mantenute."

Scendiamo della macchina e andiamo verso la riva del mare.

La guardo negli occhi e, cosciente della verità delle sue parole, mi volto verso il mare.

"Sai quel senso di vuoto, di dolore, di estrema tristezza, di rassegnazione? Quella malinconia, quella nostalgia dei ricordi belli, quel desiderio di vicende che mai avverranno? Quello sperare e credere nelle persone e nelle cose in modo illecito ed errato?
Sai quel senso di pesantezza dovuto a ciò che è difficile portarsi nella mente perché troppo pesante, quelle situazioni difficili da gestire, quelle emozioni difficili da mostrare? Bene, questo è. Questa sono, questo provo." Mi dice tutto d'un tratto.

Ripenso mentalmente al suo discorso e so per certo che lei ci soffre più di quanto non dia a vedere.

"So cosa vuoi dire, lo so più di quanto tu possa immaginare." Mi guarda, la guardo e so che non c'è cosa più bella al mondo di lei.

"Smettila di guardarmi." Mi rimprovera lei, ma non ci riesco. Non riesco a non guardarla.

"È un problema per te?" Le chiedo con sguardo fisso su di lei.

Pian piano lei sussura:

"È uno sbaglio per il mio non so cosa, un'occasione per la mia coscienza, un qualcosa di profondo per il mio cuore che non so spiegare."

"E per te? Cos'è per te?" Le chiedo avvicinandomi e poggiando una mano sulla sua guancia.

"Io... io... io non voglio dipendere da te come dalla droga!" Urla balbettando, scansandosi da me, togliendosi i tacchi e iniziando a correre.

"Io voglio solo proteggerti. Voglio poter dire che ci sono io a proteggerti, a difenderti, a volerti bene e non un altro! Voglio avere la possibilità di viverci e poter viaggiare dentro te!" Urlo, guardandola da dietro.

Non so se con "volerti bene" intendessi qualcos'altro.

"Per te è solo amicizia?" Mi chiede lei, guardandosi intorno e guardandomi confusa.

La notte fa da paesaggio, così calma e pacifica, ma noi siamo tutto tranne che calmi e pacifici.

La calma è così illusoria. Attraverso di essa osserviamo le cose con un punto di vista differente.
Con essa amiamo la vita e ciò che ci pace.
Da essa impariamo, ma per essa ci illudiamo.

La calma è così illusoria.

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