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Capitolo XV - Sigarette

Capitolo XV - Sigarette

«Steve?»

Appena sente quella voce familiare si volta di tre quarti e, per qualche strana ragione, sussulta. Ha le mani infilate nella lavastoviglie, intento a caricarla di tutti i piatti che hanno sporcato durante quella cena che, alla fine, si sono goduti a metà, perché parlare di Max fa sempre un certo effetto e cercare di fingere che le cose non siano precipitare tanto in basso, è difficile. Come è difficile non ammettere che ogni minuto che passa, ora, sembra scandire l'attesa della fine.

Nancy e Robin stanno sistemando il salotto, e Dustin guarda il notiziario, nel tentativo di scoprire di più sugli squarci attraverso le riprese aeree che, erroneamente, le definiscono ancora danni da catastrofe naturale.

Sulla soglia della porta c'è Eddie, con addosso ancora la sua maglietta gialla e un paio di jeans non troppo attillati e delle Converse nere ai piedi. I capelli ancora raccolti che gli liberano il viso e le orecchie, che Steve ha scoperto ricoperte di orecchini.

Non che si aspettasse niente di meno, ma vederli ha reso reale qualcosa che aveva immaginato e, a dire il vero, gli fa strano anche solo l'idea di aver cercato nella sua immaginazione le cose che Eddie non mostra.

Si sente sbagliato e sporco, ad averlo fatto.

«Ehi, non vai a riposare?», chiede.

«State tutti facendo qualcosa, mi sento un po' inutile», ammette Eddie, ridendo, poi si avvicina e gli porge un piatto sporco. «Ecco qua, ho fatto il mio», ironizza e Steve ride.

«È abbastanza per uno che dovrebbe stare a letto e riprendersi da quelle ferite, sai?»

«Ho dormito tre giorni, forse mi sono bastati e mi sento meglio. Non sono al top, ma sto meglio», risponde Eddie, e quando Steve alza un sopracciglio scettico, lui si mette sulla difensiva «Dico davvero!».

«Fingerò di crederti, ma sappiamo entrambi che non è così», lo rimbecca Steve e lui alza le spalle, poi si appoggia con la schiena al piano della cucina e incrocia le braccia al petto.

«Sai», inizia, incerto. Fa una pausa di qualche secondo, fissando dritto di fronte a sé e poi si muove nervoso. «Penso di essere un cretino. Ci ho quasi lasciato le penne e sembra che non sia servito a niente.»

«Che intendi dire?»

«Che mi sono buttato a capofitto in una missione suicida e alla fine Vecna ha vinto, Max è stata il suo quarto sacrificio e Hawkins è sull'orlo del collasso comunque.»

«Non è stato inutile, hai permesso a noi di entrare nella villa dei Creel, suonano quella canzone. Se non l'avessi fatto, non saremmo mai riusciti ad entrare.»

«Non parlo di quello. Parlo dell'altra cosa che ho fatto. Quando mi sono buttato in mezzo a quei cosi per darvi tempo.»

«Eddie...»

«Lo so, lo so. È autodistruttivo, quello che sto dicendo, ma mi sento un idiota. L'unica volta in cui ho tirato fuori del coraggio, ho toppato alla grande. Alla fine resto il codardo che sono sempre stato. E va bene così, non che pensassi qualcosa di diverso nei miei riguardi», dice, come a volersi giustificare del fatto che si stia piangendo addosso, cosa che Steve non pensa, ma sa che Eddie la percepisce così.

Si rimette in piedi, quando ha chiuso la lavastoviglie e l'ha azionata. Dopo qualche bip, l'elettrodomestico si avvia e, sospirando, Steve si appoggia al piano della cucina accanto a Eddie.

«Hai avuto coraggio in più occasioni. E ti sei rivelato essenziale. Non parlo solo dell'aver suonato il concerto più epico della storia nel sottosopra, ma anche di quando ti sei buttato dalla barca o l'aver fronteggiato i demo-bats quando mi avete salvato il culo. Non sei mai rimasto indietro, Eddie. E non mi va che pensi questo di te dopo che hai detto a me di darmi qualche riconoscimento. Non è valido, lo trovo scorretto!», risponde. Incrocia le braccia al petto, quasi indignato e, quando l'altro ridacchia, gli scappa un sorriso.

«Touché», risponde Eddie, e gli fa la linguaccia. «Scusa, è tutto così schifosamente una merda che, ogni volta che trovo un lato positivo, inizio a scavare più a fondo per trovare qualcosa su cui lamentarmi. Mi piacerebbe tantissimo vedere lo zio, ma Dustin mi ha ricordato che forse ora non è il momento giusto e che lo metterei in pericolo. Capisci? Me lo ha detto Dustin, un ragazzino, e io non sono capace di pensare razionalmente alle conseguenze delle mie azioni, le faccio e basta.»

Steve sbuffa e scuote la testa, rassegnato. «Lo stai facendo di nuovo.»

«Lo so!», esclama l'altro, poi si copre il viso con le mani, disperatamente. «Sono un caso perso?»

«Tanto quanto lo sono io», risponde Steve, e gli dà un pugno amichevole sul braccio. Eddie finge che gli abbia fatto male, e lui gli dà dell'esagerato.

«Sembra che non ci sia via di scampo, non è così? Sono vivo ma sono tornato giusto il tempo per vedere la fine del mondo.»

«Vorrei dirti che penso che abbiamo una possibilità di farcela, ma è tutto talmente nebuloso che so che mentirei. Non so se ce la faremo o no, non sappiamo nemmeno cosa ci aspetta, però... cerchiamo di fare del nostro, d'accordo?», cerca di rassicurarlo, posandogli una mano sulla spalla e, quando lo fa, scende di nuovo lo stesso silenzio di prima, quando erano entrambi nella sua stanza. Con Eddie a petto nudo, pieno di ferite, e lui intento pazientemente a curarle tutte.

«Sai, Steve», lo chiama, e lui sussulta. Incrocia i piedi tra loro e poggia le mani al piano della cucina, con i palmi verso il basso. «Avrei veramente bisogno di fumarmi una sigaretta. Lo so, è stupido! Come quando vi ho chiesto la birra ma, credimi, mi aiuterebbe a rilassarmi un po'», giustifica quella carenza di nicotina con una scusa stupida, ma Steve sa che dopotutto ogni fumatore che si rispetti cerca scuse per non smettere mai. Eddie ha passato giorni senza fumare, pure mentre era a casa di Rick Spinello, eppure ora... in una situazione stabile e forse rassicurante, ha tempo di pensare a quanto è forte l'astinenza da nicotina in certi casi.

Steve ha smesso da un po', di fumare. Ogni tanto se ne concede una, ma mai in presenza di Robin – lei odia il fumo e i fumatori in generale, sarebbe capace di uccidere, per quello. O in presenza di Nancy che, anche lei, non ha mai visto di buon occhio quel vizio. E poi davanti a Dustin, o ai ragazzi in generale, ma solo per non dare loro un cattivo esempio.

Si sente sempre in dovere di dar loro solo lezioni che valgano la pena di essere impartite per crescere sani, e non una testa calda come è – come è stato lui.

Vorrebbe dirgli che non dovrebbe farlo, ma i suoi occhi sono come quelli di un bambino che gli sta chiedendo una caramella e, sconfitto dallo sguardo innocente di Eddie Munson, sospira.

«Ho un pacchetto di sigarette nascosto nel cassetto del comodino. Vado a prenderlo, appena andranno a dormire ce ne fumiamo una, okay?», dice, e l'altro sembra entusiasta. Annuisce rapidamente, proprio come un ragazzino di fronte ai regali di natale e, quando Steve sparisce in salotto, scopre con sorpresa e quasi sollievo che Nancy, Robin e Dustin si sono già addormentati sul divano.

Bene, pensa, non dovremo aspettare l'ora della nanna.

Sale le scale e, poco dopo, ritorno al piano di sotto, dove Eddie lo aspetta ancora in cucina. Lo trova immobile, lo sguardo fisso, le braccia incrociate e un ciuffo ribelle che gli ricade sul viso. È così assorto nei suoi pensieri che non lo sente nemmeno arrivare.

«Ehi», lo chiama, e lui sussulta sulle spalle, risvegliandosi chissà da quale sogno a occhi aperti. O chissà quale incubo. «Eccole qua. Possiamo andare ora, dormono tutti», comunica, alzando il pacchetto e mostrandoglielo.

«Perfetto!», esclama Eddie, e insieme escono dalla porta finestra della cucina.

Un leggero venticello fresco li avvolge; è per via della foresta appena dietro la villa che, la sera, regala un po' d'aria fresca e che profuma di erba bagnata. Il giardino non è illuminato, così Steve preme un interruttore e si accendono solo le luci della piscina, che poco dopo scoperchia del suo telo. L'acqua è pulita e, proprio per questo, decide di togliersi le scarpe e sedersi al bordo, girando i pantaloni fino quasi al ginocchio e immergendo i piedi in acqua. Si volta verso la finestra e Eddie è ancora lì, a guardarsi intorno, un po' perso e un po' ammirato probabilmente dalla grandezza del

«Eddie?»

«Sì, arrivo», dice, e quando si avvicina lo imita. Si toglie le scarpe, arrotola i pantaloni e, con un mugugno di approvazione, infila i piedi in acqua. «Pensavo fosse fredda! Sono partito prevenuto, mi è quasi preso un colpo!»

«I bagni notturni sono i migliori proprio perché l'acqua è calda.»

«Oh, scusa tanto, nel mio caravan è già tanto se abbiamo una doccia!», esclama Eddie, dandogli una gomitata, e lui gliela restituisce divertito, poi gli porge una sigaretta e ne prende una per sé. Saranno mesi che non ne fuma una e, stranamente, il bisogno di farlo è riaffiorato dentro di sé come un virus che lo colpisce all'improvviso.

Si sente sempre un po' in colpa quando cede alla nicotina, ma ha l'impressione che, quel pacchetto, forse non arriverà nemmeno alla fine.

«Non sei mai stato a un party in piscina?», gli domanda Steve, giusto per dire qualcosa, anche se forse la risposta la conosce già.

Eddie sbuffa via una risata senza entusiasmo che gli fa capire quanto grossa l'ha sparata. «Party in piscina? Devo ricordarti come mi chiamano? Eddie il mostro? Non sono tipo da festicciole a bordo piscina.» Si volta verso Steve, che ha in mano l'accendino. Lui prontamente lo usa per accendetgli la sigaretta, poi fa lo stesso con la propria. Aspira la nicotina nei polmoni e, quando riemerge dall'apnea, butta via il fumo con gli occhi chiusi. Non vorrebbe ammetterlo a sé stesso, ma fumare gli è mancato. E non come mancherebbe a un fumatore incallito, più come mancherebbe a qualcuno sull'orlo di una crisi di nervi e che non ce la fa più a tenere incollati i pezzi della propria vita..

«Sei tipo da rituali satanici, a detta loro», cerca di ironizzare Steve e Eddie caccia via il fumo dalla bocca con lentezza. Anche lui si gode quel tiro e poi guarda la sigaretta stretta tra pollice e indice, come se non ci credesse nemmeno lui.

«Solo il mercoledì, gli altri giorni sfrutto ragazzini per giocare a D&D, ma il weekend per lo più vado a suonare in qualche pub. Sai, per guadagnare qualche soldo, quel tanto per togliermi qualche sfizio. A parte vendere droga, ogni tanto, ma a volte è pericoloso. Però frutta parecchio, come business, ma tendo a non esagerare sotto quel punto di vista e, ora come ora, non credo che tornerò nel giro.»

«La usavi?», chiede Steve, e non può non ammettere a se stesso che, se c'è una cosa che non gli piace, sono le persone che fanno uso di sostanze stupefacenti in modo pesante, andando oltre la linea di demarcazione della decenza. Uno spinello ogni tanto ci sta, è capitato anche a lui in passato, ma la roba pesante... tende a spaventarsi solo all'idea, in più è uno sportivo, e questo lo ha sempre tenuto ben lontano da quel mondo.

«La droga? Nah, non sono il tipo. Mentirei se ti dicessi che non l'ho provato ma... sai, Steve, certe volte ti ritrovi in giri strani e a volte, anche se non lo sei, le persone credono che calzi perfettamente un ruolo. La compravo per rivenderla a un po' di più perché, credimi, c'è sempre un offerente disposto a darti il doppio di quello che l'hai pagata, se è veramente disperato ma no, a parte qualcosa di leggero, e nemmeno sempre, non sono un drogatello. Lo faccio solo per i soldi. A casa Munson scarseggiano, e mio zio da solo non ce la fa per tutti e due. È l'unico business che mi permette di concedermi qualche premio in più ma, ad essere sincero, mi sono cagato sotto più di una volta, mentre la vendevo. Hopper mi ha beccato non sai quante volte, ma lui sa che situazione c'è a casa mia e chi è mio padre. Non lo ha detto, ma sa che da che famiglia vengo, sa che mio zio è lontano da quel mondo, che si è completamente distaccato e che mi ha preso con sé non appena hanno buttato mio padre in galera. Sarà anche uscito, ma non penso gli importi molto di tornare a prendermi e io, sinceramente, non ci tengo un granché. Mi vergogno pure di essere suo figlio, e lui si vergognerà di essere mio padre. Dopotutto non sono diventato un poco di buono come lui, e questo è grave, per la stirpe e il buon nome dei Munson, come ti dicevo l'altra volta.» Il viso di Eddie è rivolto altrove, puntato sulla recinzione di legno che separa il bosco dalla casa, ma Steve sa che non la sta guardando davvero. La sua mente è altrove, in un altro tempo, poi si risveglia e gli lancia un'occhiata rammaricata. «Dio santo, non volevo ammorbarti! Solo che non parlo da tre giorni!», si giustifica, ironizzando come sempre per smorzare la serietà del momento.

Steve resta in silenzio, e ha l'impressione che Eddie avesse bisogno di esternare tutte quelle cose, di raccontargli chi è, perché ha preso certe strade nella vita e quasi giustificarsi delle cazzate che ha fatto in passato. Come se ce ne fosse bisogno, dopotutto. Ha già dimostrato abbastanza di essere la persona che non vuole essere e, ad essere onesti, Steve non pensa di aver conosciuto una persona più genuina e innocente di Eddie. Gli dispiace che, per colpa dei pregiudizi, la gente lo abbia preso subito come capro espiatorio, come vittima del villaggio ma, dopotutto, funziona così nelle piccole comunità dove si conoscono tutti.

Ma, dopotutto, nemmeno lui all'inizio ha creduto alla sua innocenza. Eddie, ai suoi occhi, non è mai stato un mostro, ma sa che dentro di sé si è tenuto alla larga da lui pensando che, dopotutto, una possibilità che potesse esserlo vi fosse; è felice di aver scoperto di essersi sbagliato.

È meno felice di aver capito che sta iniziando a piacergli in un senso che ha poco di amichevole.

«Penso che tu abbia già ripulito il nome dei Munson con ben altre gesta.»

«Solo che lo sapete voi e nessun altro. Non posso vedere lo zio, non sarebbe una buona idea, ma so che mi crederebbe. Anzi, so che mi crede, che sa per certo che non ho niente a che fare con la morte di Chrissy e... buon dio, Chrissy!», si blocca e guarda in alto, mordendosi le labbra. Poi con la mano libera dalla sigaretta si copre gli occhi e tira un via un sospiro che sa di gelidi sensi di colpa. «Non riesco nemmeno a pensarci. Sembra passato un secolo, ma non riesco a dimenticare quella notte! Cristo, sarà un fantasma che mi perseguiterà per sempre.»

«Lo so. E so che non ci crederai, ma ti capisco. Io e Nancy... sai, la storia di Barb Holland. Beh, ci riteniamo responsabili della sua morte, in qualche modo e anche lei è morta per colpa del sottosopra. Non avremmo potuto farci niente, in realtà ma... quella sera eravamo assieme e invece di assicurarci che fosse tornata a casa sana e salva,, ce ne siamo fregati. Lo so che eravamo dei ragazzini ma... è morta. E quando qualcuno muore e ne sei implicato, anche solo marginalmente, ti senti sempre un po' responsabile, ma non è così.» Evita di dirgli che è successo proprio lì, in quella piscina, dove loro hanno appena infilato i piedi, ma non c'è alcuna correlazione; non ci sono portali, non ci sono ombre, è stato solo un momento sbagliato per tutti, facile da credere come una coincidenza se lo non l'hai vissuta. Difficile da pensare che non sia colpa loro, da diretti interessati. «E quando l'abbiamo trovato là sotto non è stato un sollievo, ma solo la prova della nostra colpevolezza. Sai, per questo io e Nancy non... ecco, tra me e lei...», balbetta, e comincia a muovere i piedi nudi nell'acqua, avanti e indietro. Li guarda deformarsi per via delle onde dell'acqua e non riesce a pensare ad altro.

«Tra te e lei...», lo sprona Eddie, e si è sporto verso di lui, curioso, anche se lo ha fatto con una certa delicatezza.

«Quel giorno nel sottosopra, quando mi hai detto di riprendermela, non ho pensato un solo istante che questo fosse possibile e non solo perché lei non ne vuole sapere più nulla di me, sotto quell'aspetto e anche io non provo più niente per lei da un po' ma perché tra me e lei ci sarà sempre Barb, a dividerci. Non voleva venire qui da sola per questo, no? L'ha detto a casa di Hopper. Non voleva ricordare quel fatto, e ha voluto Robin, e forse per questo ha chiamato Dustin, stasera. Non voleva stare sola, dormire sola, ma allo stesso tempo non vuole più che nessuno di noi resti da nemmeno tu, per questo è venuta qui. Ti vuole proteggere, come non ha fatto con Barb e... e, ovviamente, è lo stesso per me.»

Steve alza la testa, poi si gira verso Eddie che lo guarda e le sue labbra sono aperte leggermente, come se volesse dire qualcosa ma non sapesse cosa, o come dirlo.

Poi prende un respiro lunghissimo. «Credevo che tu e lei...»

«No, no!», si affretta a dire, alzando le mani. Così convinto di dover negare con più vigore possibile, di essere convincente, di essere onesto e di essere creduto, soprattutto. Perché è importante che sia così, non vuole che Eddie pensi che tra lui e Nancy c'è ancora qualcosa. Non deve. Gli dà fastidio solo l'idea. «Siamo amici platonici con la P maiuscola. Come me e Robin.» Ridacchia, divertito nel citare quella solita frase che lui e Robin hanno coniato per dire alla gente che no, malgrado la chimica, non stanno insieme. Sarebbe più semplice dire che a Robin piacciono le ragazze – e che probabilmente le piace Nancy ma, ehi, la gente non la prenderebbe proprio bene. Le persone come Robin, dopotutto, non sono proprio ben visti dalla gente e questo, in qualche modo, gli fa una rabbia infinita.

«Difficile credere che ci sia di più tra te e Robin. Insomma, vi comportate come due migliori amici che, per dimostrarsi affetto, si trattano di merda!»

Steve ride e non può non ammettere a se stesso che è così che va tra di loro. «Immagino che sia la prima regola tra due migliori amici, quella di trattarsi prevalentemente male a vicenda, ma correre con una pala e un sacco nero, nel caso ci fosse bisogno di nascondere un cadavere insieme.»

Eddie sorride e, con la sigaretta a mezz'aria, lo guarda un po' malinconico. «Sembra bello. Avere un migliore amico, intendo!»

Steve nota quella sorta di velo triste che gli ha appena spento un po' la sua solita luce negli occhi e, alzando le spalle, inclina la testa di lato. «Non sempre. È proprio una rompipalle, certe volte. Se mi beccasse qui a fumare con te, probabilmente mi ucciderebbe. E poi... tra te e Dustin non è lo stesso? E gli altri ragazzi dell'Hellfire Club.»

«Non penso di aver mai sperimentato cosa significa avere un migliore amico. I ragazzi del Club sono più delle... pecorelle da salvare; Dustin lo sento più come un», si blocca e poi ride, scuotendo la testa, prima di proseguire. «Una specie di figlio? Lo so che è una cazzata, ma è l'unico paragone che mi viene in mente!»

«No, no, non è una cazzata! È così che lo sento io, quel saputello del cazzo. Un figlio. A volte un palo infilato su per il culo, ma i figli sono anche questo, certe volte», ironizza Steve, e sa perfettamente cosa prova Eddie nei confronti di Dustin. E sicuramente per Dustin è la stessa cosa. Il padre se n'è andato quando era piccolo, sua madre ha scelto di vivere da sola la maternità e di crescere suo figlio, il più delle volte buttandogli addosso l'ansia di perderlo e altre paura che sono capaci di rovinare la crescita di un ragazzino. Steve si è un po' sentito quella figura che gli è mancata, e ha cercato di colmare quel vuoto, anche se è qualcosa che si tiene dentro e di cui non ha mai fatto parola con nessuno.

Per Eddie è lo stesso e, forse, entrambi cercano di essere migliori dei loro padri, con Dustin, e si sono presi la briga di crescerlo nel miglior modo possibile.

È fieri di lui, e ci può scommettere che anche per l'altro è così.

Ridono entrambi, e forse si sono capiti senza dover per forza esternare come si sentono, nei riguardi di quel piccolo genio rompipalle.

Poi Eddie sospira. «Sai, Steve, mi sembra ancora assurdo. Io e te che parliamo, quando non abbiamo fatto altro che ignorarci sin dalle elementari. Eddie il mostro e Steve il Re. Si vede che il mondo si è capovolto letteralmente», osserva, poi spegne la sua sigaretta in un posacenere che Steve ha messo tra di loro poco fa.

«Fa strano anche a me», sorride, sincero, «Ma non così tanto a dirla tutta. Ne sono successe, di cose, durante questi anni e, credimi, questa non è la più eclatante.»

«Vuoi dire che io non sono eclatante!? Santo cielo, Harrington, questa la prendo sul personale!»

«Mi dispiace, ma i mostri del sottosopra, la base Russa e Vecna ti battono a mani basse. Sei appena sotto di loro, però. Non è un risultato tanto denigrante, Munson», lo provoca e Eddie alza le sopracciglia, indignato.

«Che testa di cazzo che sei! E io che pensavo fossi diventato una brava persona! Mi rimangio tutto quello che ti ho detto là sotto!»

Steve alza le spalle, fingendosi noncurante, ma senza smettere un secondo di rispondere alle sue provocazioni. È un gioco che ha appena alleggerito tutta la tensione che si era creata e si sente più leggero, ora. Quasi come se, in qualche modo, tutto il resto non esistesse nemmeno, al di fuori di quel momento spensierato. «Mi dispiace che tu sia così poco sportivo e che la realtà ti ferisca così tanto», risponde e cerca di mettergli una mano sulla spalla per consolarlo, ma Eddie lo scansa via, stringendogli il polso con la mano.

«L'unica cosa che mi ferisce è il tuo ego gigantesco che mi stai sbattendo in faccia senza un briciolo di umiltà!», replica Eddie, e Steve gli prende al volo il polso della mano che sta per rifilargli un pugno sul braccio per scostarlo e, quando lo strattona verso di sé e si ritrovano a pochi centimetri l'uno dall'altro, smettono di ridere, e di dimenarsi, e di provocarsi e di flirtare.

Perché sì, Stevie, state flirtando da quando siete usciti lì fuori, e non te ne sei nemmeno reso conto. O forse sì?

Ci sono occhi dentro occhi, in questo momento, che non trovano l'uscita e restano lì, in un labirinto fatto di stelle e luci al neon riflesse nelle pupille. Le mani strette intorno ai polsi, poi, trovano altre dita e si intrecciano.

Lo sguardo di Steve cade per un attimo sulle labbra dell'altro, semiaperte, e quando torna a scontrarsi con i suoi occhi, tutto sembra aver trovato un senso, ma sa che di non essere preparato. Non è pronto. Perché lo sa, cosa sta per succedere. Sa che sono arrivati ad un punto di non ritorno, dove fare un passo indietro significherebbe distruggere ogni cosa; ha la sensazione che, se distogliesse lo sguardo da quello di Eddie, l'acqua della piscina comincerebbe a vorticare nello scarico e a tirarlo giù; allora resta ancora lì, in quei due occhi che lo stanno un po' salvando, e un po' maledicendo.

Tuffati, Stevie. Tuffati, non hai altra scelta. È la prima volta nella tua vita dove non ci sono bivi e dove non devi scegliere. Hai già scelto, e anche lui. Hai baciato altre volte, un numero che nemmeno ricordi. Sai come si fa e non hai mai indugiato tanto come questa volta. Forse perché è un ragazzo?

No, no. Non è per quello. Ha smesso di pensare a quel fatto da un bel po'.

Prende un grosso respiro, si avvicina prontamente alle sue labbra e chiude gli occhi. Le tocca leggermente, e Eddie non si sposta.

È un buon segno, Harrington. È un buon segno.

Libera una mano dalla stretta con la sua e, alzandola verso la sua guancia, la carezza fino ad infilare le dita tra le ciocche tirate su dei suoi capelli e, quando le labbra di Eddie si muovono sulle sue, lo tira di più a sé, quasi senza eleganza.

Non ne ha bisogno. Non ne hanno bisogno. È così chiaro che quel momento era lì, in un angolo, in attesa che qualcuno si decidesse a fare una mossa, che quasi gli viene da ridere. Hanno ritardato quell'istante il più possibile e, alla fine, come un bicchiere troppo pieno, le emozioni sono strabordate e non c'è stato più scampo.

Sentire il sapore dell'altro nella sua bocca, leggermente pungente per via della nicotina, gli provoca scosse telluriche lungo tutta la schiena. Sente il calore fondersi in quel bacio così goffo e impaziente, che gli scalda il cuore, le ossa e l'anima.

Eddie gli stringe le braccia intorno al collo, poi, nella foga e dandogli modo di approfondire quel contatto e Steve, quasi meccanicamente, gli prende i fianchi tra le mani. Scivolano giù, per terra, ed è un secondo ritrovarsi tra le gambe dell'altro e provare l'irrefrenabile desiderio di conoscerlo di più, di scoprire altro, di scoprire una carne di cui non ha memoria, e che vorrebbe esclusivamente per sé.

Quel bacio dura ore, forse un'eternità, e la testa di Steve è così vuota che nemmeno i fantasmi del suo passato trovano il modo di tornare a perseguitarlo.

Quando si staccano sembra quasi che la forma delle labbra di Eddie gli sia rimasta addosso come una bruciatura, ma che non fa male.

Ne vorrebbe ancora.

Si fissano e, sorridendo, Eddie gli scansa una ciocca di capelli da davanti agli occhi per guardarlo meglio. Steve poggia i palmi delle mani a terra, ai lati della testa dell'altro, la cui coda si è aperta sul pavimento umido del bordo piscina. Non riesce a uscire da quel labirinto di stelle che alberga i suoi occhi.

«È stata... una sigaretta davvero piacevole», dice Eddie, ad un tratto e Steve sbatacchia gli occhi un paio di volte, preso alla sprovvista da quella battuta stupida che solo uno come lui avrebbe potuto partorire dopo un momento del genere. Scuote la testa, fingendosi indignato.

«Sta' zitto, Munson!», risponde, schioccando la lingua scocciato. Poi, senza aspettare oltre, torna a divorargli le labbra, convinto che, quella notte, non la dimenticherà mai più.

Fine Capitolo XV

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