Capitolo III - Il Mantello dell'Eroe
Capitolo III - Il Mantello dell'Eroe
Steve conta i secondi che passano da quando è sceso il silenzio e dal momento in cui la radiolina ha smesso di trasmettere, tra varie interferenze, la voce di Eddie Munson che canta una canzone. Tutti guardano quell'oggetto che, pochi istanti fa, in uno sbuffo che gli ha ricordato un ultimo respiro di morte, si è spento. El ha aperto gli occhi; si è accasciata sulla spalla di Mike, che l'ha presa al volo e le ha dato un bacio sulla fronte. Will ha distolto lo sguardo, ed è l'ultima cosa che Steve ha visto, nella sua visione periferica perché dopo quello nella sua testa è comparso il nulla.
Ha le mani ai fianchi e sente chiaramente gli occhi di Robin, dietro di lui, penetrargli la scatola cranica, forse in attesa di sentirgli dire qualcosa, come se fosse una sua responsabilità confermare – o meglio, ammettere che quello che hanno sentito è reale e non solo un sogno collettivo.
Ma non è lui, ad aprire bocca. È Dustin quello che, alla fine, rompe il silenzio.
«È vivo», dice solo, con un filo di voce, e poi lo guarda e Steve ricambia, ma non vede e non sente più niente. L'unico pensiero che gli tartassa la testa serpeggia come un virus nelle sue viscere, e risale lungo la schiena, si attorciglia intorno al collo e gli mozza il respiro, non riesce nemmeno a concretizzarlo. Si porta una mano sul collo, e sente ancora i segni dei tentacoli di Vecna che lo hanno quasi strangolato qualche giorno fa; un pensiero ancora troppo vivido per ricordarlo blandamente.
«Steve!», lo chiama Dustin, e gli schiocca le dita davanti agli occhi per risvegliarlo. Che cazzo di fastidio! Lui sussulta; sbatacchia gli occhi un paio di volte e rinsavisce dal peso dei ricordi. L'ultima immagine che gli resta impressa addosso è quella del braccio di Eddie che penzola mentre lui lo tiene sulla schiena per portarlo nel suo caravan. Un braccio privo di battito, che oscilla e il calore del suo corpo che diventa sempre meno vivo ogni istante che passa.
«Che c'è?», gli chiede. Tutti gli occhi allora si puntano su di lui e per un secondo, solo uno, si sente una bestia senza cuore. Solo che nemmeno Steve sa che accidenti sta succedendo nella sua testa e, alzando le sopracciglia, lascia cadere le braccia lungo i fianchi.
Dustin gli lancia un'occhiata sbieca. «Dio, ma stai bene? Che vuol dire Che c'è? Steve, abbiamo appena sentito la voce di Eddie attraverso il walkie talkie e tu mi chiedi cosa c'è?»
«Sì! Sì, è la domanda giusta! Che intenzioni hai, Henderson? Anzi, che intenzioni avete tutti quanti?» Gira un dito a mezz'aria per comprenderli tutti, uno per uno, poi si pianta di nuovo le mani ai fianchi e torna a guardare Dustin. «Non so se ve ne siete accorti, ma Hawking è letteralmente aperta in quattro parti, completamente allo scatafascio! Non sappiamo nemmeno noi cosa sta succedendo e prima o poi dovremo fare i conti con questa cosa, qui sopra, non là sotto! Non di nuovo lì, Dustin!»
«Tu sei completamente fuori di testa! Vuoi lasciare Eddie laggiù? Abbiamo la prova che è vivo e tu non vuoi fare niente?»
«Non possiamo sapere se fosse effettivamente lui!», risponde, alzando la voce, e El si stacca da Mike.
«Io l'ho visto, era lui. Nel suo letto, immobile e cantava guardando il soffitto. È vivo. Ne sono certa», spiega, e si alza in piedi. Si mette accanto a Dustin. Steve la guarda. È ancora difficile abituarsi a vederla con i capelli così corti, e sembra quasi di parlare con qualcun altro, ma è sempre lei. La stessa che ha permesso a Max di restare ancora tra loro, malgrado non ci sia molto da fare, a quanto pare, ma Lucas si sta occupando di lei, e Steve nutre ancora la speranza di vederla aprire gli occhi, prima o poi... lo fa silenziosamente, ma lo spera ed è l'unica consapevolezza che, in questi giorni difficili, gli ha fatto tenere i piedi saldi a terra.
E forse è l'unico ad averlo fatto, sebbene ammetta a sé stesso che si tratti solo di un meccanismo di difesa: ancorarsi alla realtà è l'unico modo per non cadere nel fondo del baratro. Non totalmente, almeno.
Tiene a tutti loro, e tiene davvero a tutti loro come se fossero figli suoi. Però a volte si sente vulnerabile, e non sa esprimere i propri sentimenti e con Eddie... con Eddie è diverso.
Con Eddie ha paura per tante di quelle ragioni che non sa nemmeno se è in grado di elencarle tutte senza uscire di testa.
«E se fosse Vecna ch-»
«Henry», lo corregge Robin.
«Non eravamo d'accordo fosse One?», chiede Mike, che ora si è seduto vicino a Will, sul letto di El.
«Non... Non è importante, Cristo santo! Se fosse lui? Se fosse Vecna che sta cercando di farti andare lì e prenderti? Se fosse un suo piano?»
«E se fossi tu semplicemente quello disfattista?», chiede Robin, con una vocina giudiziosa che quasi gli fa rizzare i peli dietro al collo. Steve si volta a guardarla e lei si morde un labbro. Erano d'accordo che l'avrebbe aiutato a far rinsavire quei ragazzini, che avrebbero fatto gli adulti della situazione, che avrebbero dato loro dei motivi per desistere dalla folle idea di mettere in atto un piano suicida. Loro là sotto ci sono stati, e ci sono quasi morti e non hanno risolto un bel niente. Sono punto a capo ed è un miracolo che siano tornati. Loro non sono morti. Loro no. «E se fossi tu quello che non vuole crederci? Era lui, Steve, lo abbiamo sentito! Abbiamo passato abbastanza tempo con Eddie da essere certi che fosse lui, quello che stava cantando per sopravvivere.»
«Ed è lì da tre giorni! Tre... giorni!», scandisce Dustin, piantandogli tre dita davanti agli occhi.
Steve si ritrae scocciato. «Non possiamo saperlo, può trattarsi di una trappola, non puoi negare che non possa esserlo, Dustin.»
«No, non posso, ma fidati di me! Ho avuto la sensazione che fosse vivo sin da quando ce ne siamo andati, ora però ne ho avuto la certezza! Dobbiamo andare lì a riprenderlo, non possiamo lasciarlo solo, non possiamo lasciarlo così esposto nel Sottosopra! Come fai a non sentirti nemmeno un po' in colpa? Ogni istante che passa rischiamo di perderlo davvero!», lo rimbecca e Steve non batte un ciglio.
Scende di nuovo il silenzio e, mentre lui fissa Dustin, tutti fissano lui. In attesa. Come se tutto dipendesse dalla sua risposta, dalla sua scelta, quando lui non vuole più responsabilità su nessuno, perché quello che vorrebbe è solo una vita normale, dove trova un lavoro stabile, se ne va finalmente di casa, chiude i rapporti con i suoi genitori, diventa indipendente e si crea una vita a sua immagine e somiglianza, come l'ha sempre sognata.
Ma è impossibile non pensarci, al fatto che è così vago e nebuloso, quel futuro. Quasi come se non esistesse più. Quasi come se stesse sparendo dalle sue priorità.
E lo sa che, quel dolore che sente, è solo un enorme, gigantesco, mastodontico senso di colpa.
Quando Eddie è morto non c'era, eppure non riesce a togliersi dalla testa l'idea che, se fosse stato lì, avrebbe provato a salvarlo in ogni modo e forse ora non sarebbero lì a discutere sulla possibilità di tornare là e morire davvero tutti, stavolta e non risolvere un bel niente.
Il rischio è troppo grande e, sebbene vorrebbe dire loro che ci ha sperato anche lui – che ci vuole credere, stavolta non riesce a fidarsi di certezze che hanno basi così deboli. Astratte, quasi.
«È una trappola», ripete, e Dustin sospira. Si passa una mano tra i capelli e poi gli punta un dito contro il petto. Steve indietreggia, ma l'altro continua a seguirlo con fare accusatorio.
«Come vuoi. Io andrò, e chiunque vorrà venire con me è il benvenuto. Quindi se pensi che sia una trappola, preparati a sentirti una vera merda quando torneremo con Eddie dal Sottosopra e a chiedergli scusa per essertene strafregato come lo stronzo che sei. Chi è con me?», chiede infine Dustin, e Steve vede Mike e Will guardarsi e poi annuire. Eleven posa una mano sulla spalla di Henderson e non c'è altro da dire.
Steve poi guarda Robin e capisce immediatamente che, ora come ora, è completamente da solo. Lasciato al suo destino e al suo tentativo di fare l'adulto della situazione.
Ma chi ha mai detto che lui lo è, un adulto?
«Mi dispiace, Steve, ma io sono con loro», risponde Robin, e si avvicina anche lei a Dustin, che le sorride grato per la fiducia che gli sta dando.
È assurdo. È tutto troppo assurdo per essere vero. Sembra l'unica persona dotata di un minimo di buonsenso, in quella stanza e non gli piace che sia così. Non possono farlo davvero! Non possono tornare lì sotto e rischiare la vita per un'incertezza così grande. Semplicemente non possono. È troppo pericoloso e quello... quello non è detto che fosse Eddie. Non è detto, non è certo, è troppo rischioso.
Troppo rischioso. Non ne vale la pena.
Sospira, poi alza le braccia. «Fate come vi pare, io me ne tengo fuori e non ne voglio sapere niente. Non devo le mie scuse a nessuno, men che meno a chi ho espressamente detto di non fare l'eroe», risponde e, senza aspettare una loro risposta, sentendosi una vera merda per quello che la sua bocca è riuscita a partorire con tanta cattiveria, infila la porta e se ne va. Sente la voce di Dustin chiamarlo, e sovrasta quella di tutti gli altri che stanno facendo lo stesso ma, alla fine, si ritrova fuori dal cottage di Hopper e subito dopo in macchina, da solo, silenzioso, verso la via di casa e un peso sul cuore che continua a dividerlo in due.
Sa che sta fuggendo dalla possibilità di salvare qualcuno, ma ha troppa paura di non riuscirci per la seconda volta, dopo Max. Se questo è essere adulti, allora forse non è pronto a diventarlo.
•••
Quando arriva a casa, come sempre, non c'è nessuno e tutto quello che gli resta da fare è sospirare, un po' di sollievo e un po' per la solitudine che non è ancora riuscito a rendere parte della propria routine. Ormai è abituato, è vero, i suoi sono praticamente sempre fuori e ora, con questa situazione dove la città è divisa in quattro parti, spaccata letteralmente, hanno molte più cose da fare al lavoro, o almeno così dicono e Steve è grato che sia così.
Ha perso il lavoro alla videoteca, e anche Robin: troppe assenze; hanno lasciato il negozio chiuso per molto tempo, quando sarebbe dovuto essere aperto al pubblico. Non importa, ne troveranno un altro, sempre che ci sia ancora qualcuno che ha bisogno di braccia giovani, ora come ora. Dopotutto, poi, chi noleggerebbe mai un film ora, nella situazione in cui si trovano? In quello scenario apocalittico che è molto più di quel che avrebbe potuto immaginare la sua mente.
Sospira e sale le scale che portano al piano di sopra, gettando le chiavi della macchina e di casa su un mobile antico appena all'entrata. Raggiunge la sua camera e, senza dire una parola, si butta di schiena sul letto e incrocia le braccia dietro alla testa, fissando poi il soffitto come se, da un momento all'altro, potesse piovergli dal cielo un po' di serenità, o un po' di quiete nella testa.
Non riesce a spegnere il cervello nemmeno per un secondo e, di sottofondo alla matassa di pensieri che lo stanno letteralmente strangolando, c'è la voce di Eddie che canta tremando intrappolato nel sottosopra.
Non è vero che pensa che sia una trappola; o almeno non è vero in parte. Ci crede che quello sia Eddie, ma la sua mente non riesce a elaborare la cosa, solo perché aver avuto l'onore di prenderlo in braccio e portarlo nel suo caravan per lasciarlo riposare nella pantomima horror di casa sua, gli ha lasciato il segno e ha cercato il suo respiro ad ogni occhiata che gli ha lanciato, senza mai sentirlo. Persino quando si è allontanato dal suo corpo ha cercato un battito stringendogli il polso, e non lo ha trovato.
L'idea di mettergli la chitarra accanto è stata sua, ma non ha dato voce a quella intenzione, lo ha fatto e basta. Poi lo ha guardato. Gli ha tolto la bandana dalla testa e l'ha infilata dove è sempre stata: nella tasca posteriore dei suoi jeans. Così i capelli di Eddie si sono sparsi per tutto il cuscino, gli ha chiuso gli occhi e ha finto di avergli solo dato la buonanotte, mentre in sottofondo c'erano i singhiozzi di Dustin e quelli di Nancy e Robin a distruggere quella fantasia alla quale avrebbe tanto voluto aggrapparsi.
Lo ha guardato a lungo, e tutti i sensi di colpa a cui poteva pensare sono emersi dalla sua psiche e lo hanno distrutto dentro, pezzo per pezzo, all'idea che non ha fatto niente per salvarlo o per dargli più tempo per mettersi in salvo. Eddie è morto, è l'unica cosa a cui riesce a pensare, eppure la sua voce intrisa di paura che ha sentito poco fa in quel walkie talkie, gli sta raschiando il cuore, come se volesse restituirgli un po' di buonsenso e convincerlo a muoversi da quella fase di stallo e ad andare a salvarlo.
Si gira su un lato e, quando i suoi occhi incontrano la sedia girevole della scrivania, ha un sussulto. Si alza a sedere sul letto, senza mai distogliere lo sguardo da dove l'ha lasciato e, quando le sue gambe riescono a mettersi in posizione eretta, malgrado la sua testa gli stia dicendo di rimanere lì, Steve si avvicina alla sedia e prende tra le mani l'oggetto che vi ha posato sopra qualche giorno fa: un gilet di jeans che non è suo, ma che qualcuno gli ha prestato e che ha tentato disperatamente di dimenticarne l'esistenza.
Lo tiene tra le mani con gli occhi sbarrati. Gli tremano le dita.
Rivede Eddie che glielo tira letteralmente addosso e la sua faccia mentre lo fa, con quel velo contrariato appoggiato sul viso.
«Per la tua decenza, Harrington.»
Gli scappa un mezzo sorriso, a quel ricordo, che però svanisce immediatamente.
La verità è che non sa che cazzo gli è successo, da quando Eddie è entrato nella sua vita ed è arrivato esattamente nel momento in cui aveva deciso di lasciar stare con le persone, di non affezionarsi più a nessuno e invece è successo, e non sa darsi una spiegazione di come sia potuto accadere in maniera tanto repentina e naturale, con qualcuno di cui sapeva niente, e di cui ora conosce persino le paure più profonde.
Gliele ha raccontate lui, di sua iniziativa. Si è esposto, si è fidato di king Steve, e questo lo ha colpito più di qualunque altra cosa. Non ha più certezze, da quel giorno.
Sa solo di avergli detto di non fare l'eroe, di non fare niente di stupido, di scappare se necessario, e di non morire.
Resta così abbastanza tempo, a fissare la stoffa di jeans strappata in più punti e ci rimane abbasta perché la sua mente diventi una nuvola di vapore, poi sospira e, senza dire una sola parola, prende la giacca con sé, la infila in uno zaino insieme a una torcia, delle batterie e una bandana. Raccatta dal fondo dell'armadio una mazza chiodata e un accendino zippo.
Esce di casa e riprende la macchina, raggiunge di nuovo casa di Hopper. C'è anche l'auto di Nancy, ora, posteggiata lì di fronte e, quasi come se lo aspettasse, non batte ciglio.
Si avvicina alla porta, pronto a bussare, quando questa si apre prima che lui possa farlo. Dustin, di fronte a lui, ha uno zaino sulle spalle e lo tiene saldamente per le bretelle tra le mani; dietro di lui ci sono Robin e Nancy, quest'ultima con un fucile che le spunta dalla schiena.
Si guardano tutti come se fosse appena arrivata l'apocalisse, e forse è così.
«Che ci fai qui?», chiede Dustin, e lui li scruta tutti, poi lancia le chiavi dell'auto in aria e le riprende con una certa sicurezza.
Ha ancora paura che nulla di tutto questo sia reale, ma vuole vederlo con i suoi occhi e... ha un conto in sospeso con Eddie, semmai lo troveranno vivo.
«Salite in macchina», esordisce, poi si piazza le mani ai fianchi «Andiamo a prendere Eddie.» E a ridargli il suo mantello dell'eroe.
Fine capitolo III
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