𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 𝐕𝐈𝐈𝐈
La processione procedette lungo un percorso dritto, partendo dai cancelli orientali dove il Ghunar si fermò a raccogliere i fedeli accompagnato da un corteo di sacerdoti e cavalieri a far loro da scorta. I fedeli stringevano tra le mani delle candele, pazientemente raccolte da ognuno dei cinque santuari cittadini, mentre la scorta del Ghunar impugnava spade e ombrelli processionali. Tra di essi vi erano, a dividere il gruppo dei sacerdoti da quello dei fedeli, sette cavalieri che tenevano le lance tese in alto in diverse direzioni, come a voler imitare i sette raggi del sole.
Lo scopo del rito era quello di accompagnare il dio verso le sue terre natali al di là dell'orizzonte, emulandone il percorso. Secondo la tradizione, esso doveva compiersi quando il sole splendeva alto in cielo, in tutta la sua potenza. Una volta raggiunto il Tempio del Sole Calante, ultima tappa della processione, i fedeli avrebbero dovuto abbandonare le loro candele su un'immagine marmorea scolpita in terra e rappresentante un grande cerchio. Da quel momento in poi sarebbe iniziata una lunga veglia, che si sarebbe protratta fino al calar della sera.
Il corteo, nel frattempo, veniva accompagnato da antichi canti cerimoniali, un altro dettaglio di cui Tharanir non era a conoscenza. Tali canti non avevano né parole, né melodie. Vi era un solo uomo ad intonarla, alle spalle del Ghunar, e il resto dei cavalieri della scorta ne chiudevano le pause con una singola, lunga nota. Vi era un'aura sacrale e misteriosa che aleggiava in quel corteo; il brusio provocato dagli osservatori, curiosi o cittadini che non partecipavano direttamente al rito, pareva addirittura arrestarsi quando la testa del lungo serpente umano passava loro davanti. Il rispetto e il silenzio dedicato a quella processione, anche da parte di chi evidentemente non fosse devoto al dio guerriero, era notevole.
Tharanir osservava affascinato quella scena tra la folla ai lati della strada, provando uno strano senso di invidia. Non avrebbe mai potuto immaginare che Fendir lo avrebbe rimproverato così aspramente per una richiesta innocente. Il cuore gli batteva ancora forte per il confronto che i due avevano avuto poco prima, ma era consapevole del fatto che il guardiano non avesse tutti i torti: non erano stati quelli i patti. Prima di abbandonare la torre, incontratosi ai cancelli della tana, Fendir lo aveva più volte intimato di non iniziare a fare di testa sua. Doveva rientrare tutto perfettamente nei piani, altrimenti, con suo padre e il precettore a tenere le redini della magione in assenza dell'Oscuro Signore, se ne sarebbero accorti in un batter d'occhio.
A differenza del Gran Consigliere, infatti, i due uomini conoscevano benissimo i loro ragazzi, e sapevano quando qualcosa non andasse. Tharanir era solito svegliarsi a mezzogiorno, in quel periodo, e Fendir aveva comunicato al vecchio Galad Kadhùl che sarebbe stato fuori per delle commissioni e avrebbe fatto ritorno intorno a quell'orario. Se avessero tardato ulteriormente, il guardiano era certo che i due avrebbero iniziato a cercarli. Il giovane signore guardò l'altro sottecchi, osservandone il volto ancora contratto in un'espressione seria.
Gli aveva proposto di scappare.
La discussione di prima era degenerata così, e la sola idea aveva mandato il drow in bestia, che lo afferrò brutalmente per il braccio per trascinarlo via da quel posto e parlarne lontano da occhi indiscreti.
«Non so cosa vi sia saltato in mente prima, ma se speravate che concordassi con la vostra folle idea, vi sbagliavate di grosso»
Sussurrò improvvisamente il guardiano, facendo strada verso i cancelli occidentali per abbandonare la città definitivamente. Tharanir, che adesso sembrava aver accumulato troppo dalla discussione di prima, non restò in silenzio, ma decise di parlare più chiaramente all'altro.
«Vuoi davvero continuare a vivere come un servo tra quelle mura?»
«Tharanir, non ricominciare», incalzò il guardiano, che a quel punto non badò più ad alcuna formalità.
«Qui puoi essere quello che vuoi, nessuno ti dirà nulla!»
«Qui non avremo comunque scampo. Ti verranno sicuramente a cercare ed io potrei anche rischiare la vita per avere assecondato i tuoi capricci infantili. Capisci in che guai mi hai costretto? Comprendi la gravità delle tue azioni?»
«E allora perché hai accettato di aiutarmi se sapevi di correre un rischio del genere?»
«Perchè mi facevi pena», ammise il guardiano, sorprendendo l'altro che comunque non demorse.
«Non ci credo. La verità è che quel avventuriero che è dentro di te non è ancora morto. Lo so che in fondo volevi scappare anche te»
«Non puoi sapere cosa penso»
«Siamo cresciuti insieme, ti conosco meglio di chiunque altro»
Fendir osservò il ragazzo per qualche istante prima di riprendere il discorso.
Era difficile scrutarne l'espressione sotto il manto oscuro che ne proteggeva l'aspetto, e per qualche motivo era grato di non poter incrociare il suo sguardo. Sapeva cosa fosse in grado di fare la magia nera, ma non era sicuro se il ragazzo fosse così subdolo dall'utilizzarla in quel modo, perché in quel momento Fendir sentì il suo animo vacillare a quelle affermazioni.
Che avesse ragione?
Che fuggire fosse davvero il suo più grande desiderio?
Fendir sentì come l'impulso di tendergli la mano e fuggire insieme a lui, lontano da Kalkmar, lontano da tutti, per non essere mai più ritrovati. Poi gli tornarono in mente gli occhi gelidi dell'Oscuro Signore, e molte altre immagini infauste a farlo rinvenire da quella strana sensazione. Davanti ai suoi occhi, la cui luce in quel momento sembrava provenire tutta da un unico, piccolo sole, passò dinnanzi un'ombra. Il suo volto si contrasse in un'espressione severa.
«Torniamo a casa, non voglio sentire altre storie»
Disse, voltandogli di spalle, non aspettandosi il gesto altrui: non appena Fendir mosse il primo passo, Tharanir si mise a correre nella direzione opposta, all'improvviso, imboccando il primo vicolo che trovò. Quando il guardiano sentì i passi del ragazzo cambiare rotta, si voltò esterrefatto e iniziò a rincorrerlo con la lancia in mano. Non poteva credere a quello che stava succedendo.
«Hai perso il lume della ragione? Torna subito qui!»
Tharanir non sembrò affatto ascoltarlo: nonostante la poca agilità, la forza della disperazione lo aiutò a superare ogni ostacolo di sorta: persone che si muovevano solitarie tra i vicoli inanimati a quell'ora del giorno, mercanti e non fedeli che smontavano prima della veglia, e le bancarelle esposte che ingombravano la strada. Per quanto si sforzasse, però, Fendir restava comunque più agile e veloce di lui. Era una guardia ed era stato addestrato fisicamente e con dedizione per anni. Per quante scorciatoie riuscisse a trovare, Fendir era sempre a un passo da lui.
Il fiato iniziava a mancare, e Tharanir sapeva che non avrebbe resistito a lungo. Era matematico: una volta rallentato, Fendir lo avrebbe afferrato e riportato di peso a casa. Fortuna volesse che le guardie, comunque, non avessero terminato il loro giro di pattuglia. Non appena due sentinelle videro il drow armato di lancia inseguire una persona, non persero tempo a bloccargli la strada con le proprie armi.
Incrociate le lunghe aste delle lance, Fendir si ritrovò immobile ed incredulo davanti ad esse. Provò a convincerli, mentendo sul fatto che la persona che stesse inseguendo fosse un misero ladruncolo, ma non gli fu dato ascolto: la sua pelle restava sempre scura, e i suoi capelli bianchi come la neve. Avrebbe dovuto aspettarselo, lì a Kalkmar.
Tharanir nel frattempo continuò a correre a perdifiato, sperando che le guardie dietro di sé avrebbero trattenuto il guardiano abbastanza da potergli concedere un netto vantaggio. Il ragazzo dunque si voltò indietro per capire quanto lontano fosse riuscito a correre rispetto all'altro, ma nel momento in cui sentì il proprio corpo rallentare il passo, avvertì una mano afferrarlo per le vesti e trascinarlo in un vicoletto adiacente.
Il ragazzo si ritrovò con la schiena appiattita contro un muro, senza più fiato. Una sorda sensazione di paura mandò una scossa lungo la sua colonna vertebrale. Come i suoi occhi si posarono sul misterioso sequestratore, il giovane signore sembrò ritrovare la calma.
«Adhara, che ci fate qui?»
L'elfa portò un dito sulle labbra, chiedendo al ragazzo di stare buono mentre osservava la situazione al di là del muretto. Accertatosi che nessuno fosse sulle loro tracce, tornò a lui.
«Conosco un posto dove potete nascondervi»
«Come fate a sapere che-»
«Vi ho osservato. Eravate troppo poco convincente come elfo della notte. Dopotutto l'arte del dominio draconico non è affatto estranea al loro popolo»
Tharanir si passò una mano in fronte. Come aveva potuto dimenticare un tale dettaglio? In pratica aveva inventato una storia che non stava affatto in piedi.
«Qualunque cosa tu sia», affermò all'improvviso il bardo, facendogli cenno di seguirla lungo la strada principale per imboccare un altro vicolo, «Sono qui per ascoltarti e manterrò il segreto, ma non chiederò nulla senza averti dato qualcosa in cambio»
Tharanir comprese le parole dell'elfa. Era genuinamente curiosa, e anche inaspettatamente onesta. Sentiva di potersi fidare di lei, nonostante fosse una completa sconosciuta.
I due si avviarono a passo svelto verso una scorciatoia stretta e deserta, che li avrebbe condotti ancora più a sud.
«Dove mi state portando?»
«Una mia vecchia conoscenza potrà offrirvi riparo per la notte al monastero di Surtu. Partirà domani per le campagne di Ëon. Se il vostro desiderio è quello di fuggire, credo sia l'occasione giusta»
Tharanir si fermò all'improvviso, il suo sguardo vagò oltre gli alti tetti dei palazzi che li circondavano imponenti.
L'elfa si fermò con lui, confusa.
Il giovane signore si sentiva in colpa per Fendir. L'aveva messo in un bel guaio, nonostante avesse accettato di accontentarlo. A dirla tutta, se non fosse stato per lui, non sarebbe neanche arrivato a quel punto, a un passo dalla sua tanto agognata libertà. Tirò un lungo sospiro e cercò di non pensarci. Era certo che avrebbe fatto i conti con quella sensazione quella notte stessa, adesso non aveva più tempo da perdere.
I due arrivarono nel punto più a sud di tutta Kalkmar. Le alte mura facevano da sfondo al paesaggio cittadino circostante. Il monastero si presentava come un luogo sereno e lontano dal caos urbano, circondato da una fila di alberi a fargli da scudo. Quella vista riportò nella mente del ragazzo una serie di ricordi legati alla madre, che riceveva gli ospiti del castello al di là di una tenda leggera, che ne copriva l'elegante figura.
Secondo la cultura drowish, gli uomini non avevano il diritto di guardare negli occhi le matrone. Era un privilegio che solo le donne della famiglia potevano permettersi in quella società matriarcale. Tharanir era un'eccezione, perché era il figlio e non era ancora ufficialmente adulto, e ciò, in qualche modo, lo faceva sentire speciale. La matrona della famiglia Renol'Anon era venuta a mancare tanti anni prima della nascita di Tharanir e dunque, quando la Principessa Isabel fu data in sposa al padre, fu insignita di tale onore, essendo l'unica donna della famiglia, sebbene appartenesse a un'altra razza.
Attraversata la barriera di alte fronde che assicurava un'aura di serenità attorno all'edificio, Tharanir e Adhara si avviarono verso le porte spalancate del monastero, dove due figure discutevano in cima alle scale in pietra che accoglievano i visitatori al portale. Quando gli occhi del mezzo drow incontrarono quelli del cavaliere in alta armatura, sentì dentro di sé una sensazione di pace che mai aveva sentito prima d'ora. Un curioso calore familiare lo avvolse e si sentì più a suo agio quando l'uomo e il sacerdote che aveva accanto rivolsero loro un sorriso.
- 𝕰𝖓𝖉 𝖔𝖋 𝖙𝖍𝖊 𝖈𝖍𝖆𝖕𝖙𝖊𝖗 -
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