𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 𝐕𝐈
L'atmosfera giù in taverna si fece improvvisamente più calma e silenziosa quando il bel bardo iniziò a strimpellare le corde della sua lira. Lo sguardo del pubblico era tutto concentrato sulla sua figura eterea, seduta elegantemente sul bancone al fianco di un interessatissimo Caleb.
Adhara era un'elfa bianca. Era raro vederne una lasciare volontariamente le proprie terre per intraprendere un lungo viaggio. Gli elfi erano creature piuttosto isolate e riservate, ma non tutti erano così, vi erano anche parecchie eccezioni.
Adhara era una di quelle.
Proveniente da uno dei regni elfici dell'Ovest, viaggiava di paese in paese alla ricerca delle storie più interessanti per il suo repertorio. Era raro sentirla intonare canzoni popolari, conosciute da tutti. Lei amava sorprendere il suo pubblico con storie nuove e mai sentite prima. In alternativa, le piaceva proporre nuovi punti di vista, improvvisare strofe o inventare interi archi narrativi inediti, arricchendo leggende già conosciute. Era certamente una maestra nella sua arte, e il suo nome ed il suo bel volto oramai erano riconosciuti in molti posti. La sua ispirazione però arrivò a spegnersi all'improvviso: per una donna che aveva viaggiato in lungo e in largo, sembrava quasi che il mondo non avesse davvero più segreti o storie da raccontare. Già da qualche anno, il bardo viaggiava senza una vera e propria meta alla ricerca di una storia che potesse ispirarla a scrivere nuovi versi, ma senza successo. Nonostante ciò, Adhara non rifiutò di certo di esibirsi davanti a tutti quei pellegrini che, in quel periodo dell'anno, affollavano le strade di Kalkmar come immensi stormi migratori. Quando il taverniere gli fece la sua proposta, l'intero locale sembrò concordare e supportarne l'idea. Curiosi ed appassionati, abbandonarono i propri boccali per ascoltare la voce più armoniosa del Mondo Conosciuto cantare un pezzo proveniente dalla Saga dei Dodici, la storia preferita di Caleb. Nonostante il bardo non accettasse mai per principio di cantare storie così comuni, a causa della mancanza di ispirazione e dell'accoglienza calorosa dello gnomo, decise di accontentarlo.
Anche Tharanir conosceva bene quella storia e pareva piuttosto entusiasta di poterla sentire ancora. Ricordava di essersi innamorato di quell'antica leggenda grazie alla madre. Quando era molto piccolo, era solito sedere sulle sue gambe per ascoltarla cantare. La principessa Isabel aveva una voce calma e gentile, ma era anche molto brava ad immedesimarsi nei personaggi a cui prestava la propria voce quando ne cantava i versi. Crescendo, il ragazzo fu iniziato a uno studio dei classici e della letteratura molto ferreo, ed ebbe la possibilità di esplorare la Saga ancora più nel dettaglio, scoprendo di parti che sua madre non gli aveva mai narrato.
Lednar tuttavia non sembrava particolarmente avvezzo a soffermarsi su tali racconti: era sempre stato del parere che la letteratura non dovesse mai ridursi a semplici scopi di intrattenimento. Per cui, una volta assicurato che il ragazzo fosse capace di farne uso per arricchire il proprio linguaggio e utilizzare citazioni colte per allenare la propria retorica, smise di soffermarsi su tali storie e passò piuttosto ad incentrare il programma educativo sui punti più salienti: politica e strategia militare. Quella sera, Adhara avrebbe concesso a Caleb e al suo pubblico due pezzi: l'introduzione della Saga e una canzone a suo piacimento, che ovviamente non rivelò per assicurarsi l'effetto sorpresa. Tharanir non stava più nella pelle. Eccitato dalla novità, si girò contento verso Fendir che, invece, sembrava molto più concentrato a sorseggiare una pinta di birra.
«Tu non segui?», gli chiese il giovane signore, un po' deluso dal comportamento altrui. Fendir si voltò quasi pigramente verso l'altro, asciugandosi le labbra con la manica, «Credo che passerò questa volta. Non mi piacciono i bardi».
Tharanir aggrottò le sopracciglia, confuso da quella sua ultima affermazione, e tornò a dedicare le sue attenzioni all'elfa che stava iniziando il suo racconto.
"Buio.
Freddo primordiale.
Le prime luci del sole riscaldano le terre vergini del mondo, dando vita alle prime nebbie.
Gli alberi grandi e maestosi riparano gli uomini dal caldo abbraccio dell'astro e dalle intemperie, respiro funesto della Madre Terra che ha accolto i progenitori delle tante umanità. Dai verdi labirinti alle distese sabbiose, dai cocuzzoli delle montagne e dai tappeti d'erba e roccia che attraversano il corpo della dea, iniziano ad accendersi i primi fuochi. Gli antichi cacciatori si dirigono coraggiosi al di là della generosa ombra degli alberi per esplorare il mondo. È tutto loro, e tutto gli è concesso, poiché Narathia ha donato loro le sue fertili spoglie, affinché essi possano beneficiarne con la stessa gentilezza con cui la divinità si è sacrificata per loro. Eppure, gli antichi abitanti del mondo non assomigliano del tutto a lei, né hanno ereditato la sua immensa bontà. Ben presto, i custodi del fuoco iniziano a farsi guerra tra di loro, reclamando questo o quel pezzo di terra, e costruendo recinti e cancelli per appropriarsi di quel bene che, un
tempo, era di tutti e per tutti.
Sono dodici le razze che abitano l'eredità della Dea Madre, e dodici gli dèi che il potente Padre Celeste richiama in appello a sorvegliare su di essi.
Laodeo, il dio del sole che brandisce sette lance quanti i raggi dell'astro dal quale trae i suoi poteri, fu messo a capo dell'assemblea divina per la sua illuminata imparzialità. Dio protettore dei guerrieri, mise il proprio scudo lucente a servizio della razza umana, la più vulnerabile ed avara di tutte.
Noctua, la placida dea della luna, scelse di tendere la propria mano alla razza elfica, la cui natura pacifica ricordava quella della silenziosa divinità, custode dei segreti dell'universo e protettrice dell'equilibrio del mondo.
Karnak, il dio delle tempeste e del vento che soffia audace contro le montagne per dar loro forma, si schierò dalla parte dei nani, lodandone la forza e il coraggio, badando a disciplinarne l'animo bellicoso.
Saeros, dio delle terre selvagge e delle foreste, prese sotto la propria ala protettiva il resto dei mezzi uomini e delle creature più piccole che abitavano le spoglie della Dea Madre, ispirando in loro coraggio e astuzia, affinché potessero affrontare qualsiasi sfida.
Ghadeesh, dea delle rocce e delle montagne, fu lesta a scegliere come sua prediletta la razza degli orchi, che già da tempo abitava le fredde grotte a lei sacre.
Gwynnar, dio delle distese d'acqua, offrì protezione alle creature marine e a tutti quei coraggiosi che vivevano ai confini con l'oceano e sui fiumi, attraversando impavidi le loro superfici.
Kadhaar, dea delle stelle e del tempo, diede la sua benedizione ai potenti draghi, eterni e maestosi come gli immensi cieli notturni.
Questi sono i nomi dei sette dèi dell'assemblea divina, a cui si unirono le ultime cinque divinità: fratelli e scudieri divini a sorvegliare ciascuno uno dei cinque continenti;
A Dekar, graziosa dea dell'alba, fu concesso il dominio sulle terre del Nord, dove il suo manto ricade deliziosamente alle prime luci del mattino.
A Maedhi, brillante dea del giorno, furono assegnate le terre del centro, affinché la sua luce potesse risplendere in tutta la sua potenza.
A Surtu, scudiero di Laodeo e dio del crepuscolo, toccarono le calde terre del Sud, ove riposa quando non accompagna il dio in guerra.
A Deona, dea del vespro, furono consegnate le terre dell'Ovest, dove il sole saluta il mondo al di là di un freddo orizzonte.
Ad Astrea, dea della notte, restarono le terre dell'Est, da dove presenzia il rito del passaggio tra giorno e notte.
I dodici dèi custodirono con saggezza le spoglie della Dea Madre, ma le creature che le abitano si ribellarono presto al loro giogo, bramando avidi più di quanto spettasse loro.
Giorno dopo giorno, era dopo era, le guerre dilaniarono i resti di Narathia, attirando le ire di Barathi, il Padre Celeste.
Le tenebre tornarono a regnare nelle ere più sanguinose del mondo finché, nel nome di un'antica e perduta armonia, dodici eroi sguainarono le proprie armi per riportare la pace nel Mondo Conosciuto... "
Mancavano dei versi alla sua storia, e Tharanir ne era pienamente consapevole, ma ciò non gli fece storcere il naso: lo immaginava. Esistevano parecchie versioni di quel incipit, e tra le meno conosciute vi era quella che riportava il vero motivo per cui i dodici custodi del fuoco si contendevano così aspramente le terre del Mondo Conosciuto. Era anche la storia della dea Seshat, e della tredicesima razza dimenticata dalle dodici divinità: la razza dei drow. Finito di intonare quei versi, Adhara parve strimpellare una melodia improvvisata con la lira, fino a chè non iniziò a cantare dei versi che tutti non tardarono a riconoscere. Era la Ballata degli Amanti, una delle parti più delicate della Saga, nonché la più malinconica.
Nonostante la voce melodiosa del bardo, che aveva ipnotizzato il suo pubblico con la sua musica, Tharanir iniziò pian piano a distrarsi, tormentato da una domanda che avrebbe voluto porre all'elfa. Voleva capire se una persona così colta come lei conosceva anche la storia dell'eroe drowish e delle loro origini. Fendir si alzò dal tavolo con nonchalance, portando una mano sulla spalla dell'altro per attirarne le attenzioni.
«Io salgo in camera. Tu resta pure qui se vuoi continuare ad intrattenerti».
Tharanir non capiva come mai il guardiano fosse davvero così poco interessato a tutto, ma immaginava che avesse alzato un po' troppo il gomito. Annuì silenziosamente, osservandolo raggiungere le scale che portavano al resto delle stanze. Non appena ebbe l'opportunità si avvicinò alla folla che circondò il bardo dopo la sua esibizione. Si rese conto che, in quella confusione, fosse davvero difficile provare a rivolgerle la parola. Decise dunque di aspettare l'occasione giusta, che si presentò nel momento in cui Caleb, come promesso, le offrì la cena.
«È stato uno dei migliori spettacoli a cui abbia mai assistito», affermò il taverniere, scacciando gli altri affinché l'elfa potesse finalmente rifocillarsi, «Ciò che si dice sul vostro conto, me lo avete confermato già dalle prime note».
Adhara sorrise cordialmente allo gnomo, poggiando il proprio strumento sul bancone dove si era esibita.
«Anche la tua ospitalità è stata all'altezza delle aspettative. Dammi del tu. Sono una semplice cantastorie»
«Semplice», ripeté lo gnomo, sbuffando una risata, «La vostra fama vi precede. Per un attimo ho temuto di non avere sedie abbastanza per contenere tutto questo pubblico!»
«Vorrei solo aver potuto cantare qualcosa di nuovo»
«Sono certo che abbiate reso felici molte persone stasera. Non ho sentito alcuna lamentela: erano tutti rapiti dalla vostra narrazione»
Intavolato il discorso, Tharanir, che si era tenuto in disparte per tutto quel tempo, decise di farsi avanti per intromettersi.
«I versi erano tutti giusti, ma Astrea non era soltanto ricordata per essere la dea della notte. Era l'ancella di Noctua, e la accompagnava nel suo percorso notturno dal tramonto all'alba. Infatti c'è un passaggio molto triste che narra di come le due dee, una volta assegnate le loro mansioni divine, furono costrette a separarsi e andare ognuna per la sua strada. E ciò spiegherebbe come mai possiamo ammirare la luna anche quando-»
Durante la sua spiegazione, Tharanir si vide addosso lo sguardo dell'elfa e dello gnomo addosso. Le loro espressioni erano confuse e sorprese allo stesso tempo. Il ragazzo, sentendosi fuori luogo, non riuscì a completare la propria spiegazione, ma per sua fortuna Caleb lo interruppe al momento giusto.
«Riprendi fiato, ragazzo, sei partito come un fulmine! Di quale verso stai parlando?»
Adhara non parve esprimersi a riguardo. Piuttosto sembrò cercare lo sguardo del ragazzo che si nascondeva sotto il cappuccio. I suoi occhi verde smeraldo lo osservarono con una certa insistenza, cosa che mise il giovane signore piuttosto a disagio.
«Siete piuttosto colto per essere un comune viaggiatore», notò lei, facendogli cenno di levarsi il cappuccio.
Tharanir non obbedì immediatamente. Aveva ancora addosso quell'insensato timore di essere riconosciuto.
Fu Caleb a convincerlo, con un caldo sorriso.
«Tu di certo non lo saprai, carissima Adhara, ma questo ragazzo qui è un appassionato della Saga dei Dodici come me. Infatti, il suo nome è lo stesso di uno degli eroi della storia. Perché non ti presenti, Ceyl?»
Sentendosi decisamente più a suo agio, Tharanir fece un passo avanti per rivolgere un leggero inchino al bardo, rivelando finalmente il suo volto. Tolto il cappuccio, l'elfa sembrò sorpresa di riconoscere nell'altro dei tratti a lei incredibilmente familiari.
Il Gran Consigliere di Kalkmar non era un drow dalla pelle particolarmente scura. L'intera famiglia aveva ereditato questa particolarità genetica: volto grigio fumo, occhi e capelli neri come l'ossidiana, erano i tratti più distintivi dei Renol'Anon. Tharanir, che aveva ereditato molto dalla madre umana, aveva un aspetto ancor meno drowish. La sua pelle, infatti, era di un colore più pallido, e il bardo non poté fare a meno che compararla a quella degli elfi della notte: una razza elfica che abitava le gelide terre del Nord. A quella realizzazione, qualcosa parve brillare negli occhi di Adhara.
«Da dove venite?»
Poiché il ragazzo fosse ancora un po' intimidito, fu lo gnomo a rispondere per lui.
«È l'apprendista di un mio caro amico, un aspirante domatore di draghi!»
Il ragazzo annuì alle parole del taverniere, ma Adhara non sembrò averlo ascoltato del tutto. Era presa dalla novità, tanto che dovette alzarsi dalla sedia per guardarlo meglio negli occhi ed analizzarlo da capo a piedi. Tharanir si sentì così imbarazzato da piantare lo sguardo a terra.
«C'è qualcosa che non va?», chiese lui, calando nuovamente il cappuccio sul volto, come d'istinto.
«Voi siete un elfo della notte?», domandò il bardo, tornando lentamente al suo posto.
Tharanir adesso comprendeva il perché della curiosità altrui. A dirla tutta, non era la prima persona a paragonarlo a tale etnia. Gli elfi della notte, a differenza delle altre razze elfiche che abitavano il Mondo Conosciuto, possedevano delle caratteristiche ben riconoscibili: pelli chiare come la neve, chiome ed occhi scuri, grandi e profondi. Il ragazzo era ben consapevole del fatto che il suo aspetto potesse trarre facilmente in inganno, ma si trattava di una pura casualità genetica. Una sorta di albinismo ereditario, mescolato al ben più forte gene umano, che aveva provveduto ad addolcirne i lineamenti e a conferirgli un colorito più tenue. Di certo, se il ragazzo avesse rivelato di essere un mezzo drow, nessuno lo avrebbe preso in parola per via del proprio aspetto. Inoltre, si sarebbe rivelata una mossa davvero sciocca: era un indizio troppo importante sulla propria identità.
Difatti, i mezzi drow erano una rarità a Kalkmar. Nonostante gli elfi scuri abitassero la Valle di Ëon da molti anni, e rappresentassero il più prezioso alleato per le milizie di Kalkmar, tra le due razze non sembrava scorrere ancora buon sangue. Inoltre, la vicinanza del ragazzo a un servitore dell'Oscuro signore, avrebbe certamente sollevato qualche dubbio ai due interlocutori: tre le rarissime eccezioni, la più nota di tutte era il figlio del Gran Consigliere e della principessa Isabel, unico ibrido riconosciuto dalla corona. Fu così che Tharanir decise di mentire, annuendo alla domanda dell'elfa, o almeno di provarci.
«Allora, a quanto pare, non sono l'unico elfo in circolazione»
Scherzò improvvisamente Adhara, alleggerendo la tensione. I drow, seppur geneticamente molto vicini agli elfi, non venivano considerati facenti parte della stessa famiglia, per una serie di ragioni storiche, territoriali e di svariate discriminazioni. Tharanir le rivolse un sorriso in risposta come il bardo lo invitò ad accomodarsi a prendere posto accanto a lei e il taverniere.
«E cosa vi porta ad addestrare draghi qui a Kalkmar? le terre di Londör sono molto lontane da qui»
Il giovane si grattò la nuca, cercando una scusa plausibile. In quanto domatore di draghi non era poi così credibile: aveva pochissima esperienza sul campo, ma ormai Fendir si era inventato quella storia e non poté fare altro che seguire il copione. All'improvviso però gli venne un'idea. Convinto di poter arricchire quella farsa con dettagli verosimili, Tharanir iniziò a raccontare una nuova vicenda.
«In realtà sono un alchimista. Viaggiavo alla ricerca di diversi elementi per i miei studi. Poi sono incappato in un drago»
In quel momento, il ragazzo poté sentire lo sguardo dei due piantati increduli su di lui.
Che avesse esagerato?
Eppure lo gnomo e l'elfa sembravano pendere dalle sue labbra. Per non destare sospetti, Tharanir continuò con la sua narrazione, incoraggiato dal taverniere che sembrava incredibilmente interessato.
«Non ne avevo mai incontrato uno prima di allora. Le mie gambe si erano completamente paralizzate alla sua vista. I suoi occhi gialli mi scrutavano con una strana insistenza. Restammo a fissarci in silenzio finché non fu il drago a fare la prima mossa: allungò il collo verso di me, guardandomi dall'alto in basso. Istintivamente, la mia mano si allungò verso di essa e ne toccai le scaglie lisce e brillanti»
«Incredibile!», esclamò Caleb, interrompendo la narrazione, «e poi avete fatto amicizia col drago?»
Tharanir annuì.
«Non avevo idea di come ci si approcciasse effettivamente a un drago. Avevo sentito dire che a Kalkmar vivessero molti domatori, così siamo venuti qui, in cerca di aiuto»
Improvvisamente, Tharanir sentì le mani di Adhara sulle proprie. I suoi occhi adesso erano tutti per lui. Era questa la storia che stava cercando da tempo. Finalmente, l'aveva trovata.
«Non avevo mai sentito parlare di una cosa del genere. Sarei lieta di ascoltarla più approfonditamente, se ne aveste voglia»
Il ragazzo osservò il bardo con un certo timore. Era chiaro che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di quanto aveva affermato, ma a ripensarci stava iniziando a pentirsene. Come poteva dissuaderla? Non aveva idea di come continuare, aveva improvvisato tutto sul momento! Doveva trovare una soluzione, o avrebbe messo in pericolo sia lui che l'amico quella sera.
- 𝕰𝖓𝖉 𝖔𝖋 𝖙𝖍𝖊 𝖈𝖍𝖆𝖕𝖙𝖊𝖗 -
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