𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 𝐕
«Se ve ne siete già pentito, questo è il momento giusto per scappare»
Tharanir aveva affondato la testa tra le scapole dell'amico per la paura: ciò che in realtà lo preoccupava di più non era tanto il volo in sé - da piccolo infatti aveva cavalcato Ledha in compagnia del padre - ma della partenza.
Il vuoto si stagliava minaccioso sotto di loro. Visto da quell'altezza, a pochi passi da quella vacuità, quel panorama avrebbe fatto rabbrividire chiunque. E, con l'ausilio delle tenebre, che avanzavano sempre di più a divorare la valle a quell'ora del giorno, pareva di avere davanti un enorme gorgo pronto a divorare chiunque provasse a tuffarcisi.
A differenza di Ledha, Firin, il drago di Galad Kadhùl, era più piccolo e aveva una fisionomia diversa: il suo corpo era più agile e magro, dunque, stare in groppa a questo fiero drago del manto scuro era come cavalcare un cavallo alato. Per questo motivo, il giovane drow temeva di sentire più facilmente il distacco da terra.
Non sentendo alcuna reazione da parte del giovane signore, Fendir diede un colpo di tallone al fianco del drago e, immediatamente, questi iniziò a indietreggiare per prendere la rincorsa, fino a quando, con rapido balzo, non si ritrovò a planare in quel vuoto. Ammirandoli dall'oscurità della caverna, Elettra iniziò a spiegare le ali, incoraggiata dalla fierezza del drago più anziano, e provò ad imitarlo seppur in modo impacciato per seguirli.
La potenza del vento e i suoi ululati raggiunsero i due amici, che adesso si dirigevano controvento verso le mura della Città, seguendo con lo sguardo un percorso immaginario al di là delle nebbie mattutine. Nonostante la sicurezza che il giovane guardiano in qualche modo gli stesse trasmettendo, Tharanir sentì il suo corpo irrigidirsi fino a non rispondere più ad alcun comando. Sentiva il fiato mancargli e non riusciva ad esprimere il proprio timore all'amico, che si muoveva con una sicurezza invidiabile alle redini.
Una volta che i due draghi furono lontani abbastanza da poter ammirare l'immensa Torre di Loran nella sua integrità, Fendir ordinò a Firin di abbassarsi di quota per poter continuare a planare verso il sentiero che portava verso le mura esterne della cittadella. Il traffico, in quel momento della giornata, era particolarmente ridotto nelle strade che portavano a Kalkmar, per cui drago e domatore si ritrovarono a volare con più sicurezza.
«Tutto bene la dietro?» si azzardò a chiedere il guardiano, con un tono meno formale del solito. Il ragazzo sembrò esitare un po' prima di rispondere, cercando di alzare la voce per sovrastare l'ululato del vento.
«Potrei stare meglio»
«Volete tornare a terra?».
Tharanir si voltò istintivamente verso Elettra, che volteggiava intorno al drago del vecchio guardiano, permettendosi ogni tanto qualche acrobazia. Nonostante la visibilità ridotta a causa della luce crepuscolare, poteva notare chiaramente l'espressione della creatura, i cui occhi brillavano di una luce diversa, quasi magica. Quasi, gli dispiaceva interrompere quel momento.
«No», disse più a sé stesso, «Dovrò abituarmi anch'io a queste altezze prima o poi».
Il giovane guardiano non rispose, si limitò soltanto a dare istruzioni al drago.
Quando l'ultimo raggio di sole abbandonò definitivamente il mondo per dar spazio alla sorella luna, i due erano già atterrati su una collinetta a sud-est dalle mura della città. Proseguirono per un po' a piedi, finché la potenza della luce estiva serale non glielo permise. Infine si fermarono a pochi passi dalla loro meta, per riposare.
«Ci siamo, come vi sentite?»
«Non saprei dirtelo al momento. Sono... terrorizzato?».
Fendir lo guardò sorpreso, grattandosi la nuca, «Come sarebbe a dire "terrorizzato"? Non era quello che volevate?».
Il giovane drow sospirò, sedendosi a terra, tra i fili d'erba selvaggi a solleticargli i fianchi e le ginocchia.
«Non so cosa aspettarmi una volta oltrepassati i cancelli. Il fatto di vedere con i propri occhi qualcosa che si ha sempre visto da lontano, fa un certo effetto»
«Beh, non è poi così diverso da come sembra, forse siete solo intimorito dal fatto che là dentro vi sia un mondo diverso»
«Esattamente, è proprio questo ciò che mi tormenta» affermò, volgendo lo sguardo alla Torre, accorgendosi per la prima volta di quanto fosse grande vista da quella prospettiva, «Chissà se gli abitanti di Kalkmar si siano mai chiesti come sia il mondo lassù, sulla Torre di Loran»
«Vi sono molte cose che non sanno»
«Credo che lo stesso valga per me».
I due rimasero ad osservare l'oscura magione dominare minacciosa quel paesaggio per un po', assorti ciascuno dai propri pensieri.
«Volete proseguire per la città? Conosco un amico che può ospitarci per la notte»
Il ragazzo sembrò interessato all'offerta del guardiano e annuì, «Chi sarebbe questo tuo amico?»
Fendir sorrise, lasciando il giovane perplesso, «Un vecchio amico di famiglia; sono certo che ti piacerà».
Il guardiano porse una mano al suo signore per aiutarlo a rialzarsi, ma prima di incamminarsi verso le mura, il ragazzo lo fermò, chiedendo cosa ne sarebbe stato dei due draghi.
«Non preoccuparti, Firin si prenderà cura di Elettra mentre saremo via: gli ho detto di riaccompagnarla verso casa e di aspettarci qui».
Tharanir sembrò esserci rimasto deluso: avrebbe voluto continuare a camminare al fianco del drago ancora per un po', finché gli fosse concesso, ma sapeva che per una creatura così giovane poteva essere molto pericoloso stare a contatto con troppi sconosciuti.
Ironicamente Tharanir pensò lo stesso di sé.
Che cosa lo avrebbe aspettato al di là del varco? Come si sarebbe sentito in mezzo a così tante persone?
Non che non fosse mai stato a contatto con folle e calche prima d'ora: annualmente il padre teneva spesso delle cerimonie dedicate alla loro dea nella magione. Vi era una sala, nel lato Ovest del palazzo, dedicata esclusivamente ai cerimoniali e ai riti. Il punto era che quella restava comunque casa sua, e che quelle persone conoscessero benissimo il giovane erede dei Renol'anon. Laggiù, nell'immensa città fortificata di Kalkmar, era tutto nuovo e avrebbe dovuto ricominciare da capo.
Assorbito da tali pensieri, Tharanir non si accorse nemmeno del muso del drago, che andò a colpirgli un fianco per attirarne le attenzioni. Sembrava che Elettra volesse rivolgergli un ultimo saluto prima di andare. Le labbra del giovane signore si incresparono in un sorriso. Si abbassò alla sua altezza, allungano le mani ancora un po' timidamente verso il collo del drago.
«Ci vediamo domani», gli disse il ragazzo, quasi sussurrando.
Una volta separatosi, Elettra gli rivolse un ultimo sguardo prima di seguire Firin, che spiegò prontamente le ali per prendere la rincorsa. Elettra imitò ogni movimento del più anziano e, finalmente, riuscì a prendere quota al suo fianco.
Rapito da quello spettacolo, Fendir pensò bene di ridestare l'amico con una pacca alla nuca, decisa e ben assestata, per farlo tornare con i piedi in terra.
«Andiamo», si limitò a dire il guardiano, iniziando a fare strada. Dopo qualche minuto di camminata, arrivati fino alla meta, Tharanir osservò l'edificio di fronte a loro, notando una grossa insegna in legno far capolino immediatamente sopra l'entrata. La scritta a caratteri rossi recitava "La Luna Ubriaca". Il ragazzo non ci mise molto a capire in che posto era stato trascinato: era una taverna.
Tharanir sentì le mani tremare al solo pensiero. Tutti i nobili Drow e i membri della sua famiglia parlavano di questo genere di posti come se fosse una concentrazione di guai e ripugnanti scenari. Se da un lato la cosa lo infiammava di curiosità e voglia di trasgredire le regole, dall'altro lo preoccupava parecchio. Aveva sentito dire che nelle taverne le risse fossero molto comuni; di certo questa era l'ultima cosa in cui voleva essere coinvolto.
Attraversata la soglia, il ragazzo prese a seguire l'amico come un'ombra. Era visibilmente spaventato, e terrorizzato dall'idea che qualcuno avesse potuto scoprirne la vera identità, dunque calò istintivamente il cappuccio per celare il suo aspetto. Era certo che non sarebbe mai stato riconosciuto, ma il solo gesto gli infuse un inaspettato senso di calma e sicurezza.
Fendir nel frattempo si avvicinò al bancone con una certa disinvoltura, come se frequentasse quei posti da sempre. Poggiò il gomito sul bancone in legno e chiese di un certo Caleb Occhiotorvo. La risposta non tardò ad arrivare, ma non fu immediatamente riconducibile a nessuno nelle vicinanze.
Tharanir lo poté sentire chiaramente: qualcuno prese a ridere, avendo riconosciuto la voce del guardiano, e continuò a parlare da non si sa quale angolo del bancone.
All'improvviso, una sedia sembrò spostarsi da sola, come per magia, e in men che non si dica un esserino si arrampicò su di essa per guardarli meglio negli occhi.
Caleb era uno gnomo strabico. Le rughe in volto e il mezzo sorrisetto accentuavano particolarmente quest'ultimo dettaglio: pareva quasi che la sua faccia fosse divisa a metà tra un espressione giocosa e una più maliziosa.
Nel complesso pareva dubbioso, quasi scettico, ciò era dovuto dal fatto che avesse un sopracciglio più basso rispetto all'altro, per colpa di una malformazione in fronte.
«Giovane Fendir Khadùl, che sorpresa! Era da tanto che non ti vedevo bazzicare nei dintorni, che fine avevi fatto?»
Il guardiano, in tutta risposta, sorrise alle parole dello gnomo. Pareva si conoscessero da parecchio tempo.
«Sono venuto per i draghi: lo sai, mantenerli è proprio una faticaccia»
A mentire, pensò Tharanir, il suo amico era proprio bravo. Non come lui, che non riusciva mai a trovare delle scuse plausibili.
«Oh, capisco! Beh, non ti biasimo affatto; onestamente non è un lavoro che farebbe chiunque».
Lo gnomo dovette voltarsi un attimo per rispondere alle richieste di un altro cliente, che gli chiese di passargli un altro boccale per un suo amico.
La taverna era un luogo parecchio frequentato: guardandosi intorno, Tharanir notò avesse una certa affluenza. Oltre a viaggiatori umani, scorse anche qualche mezz'uomo e addirittura un mezzorco, chino a consumare grosse quantità di cibo. Immaginava fossero arrivati tutti per il peregrinaggio. La cosa più incredibile era come ognuno di essi fosse talmente occupato nelle proprie faccende da non aver neanche fatto caso ai due nuovi arrivati: gli unici due drow in circolazione, tra l'altro. O almeno, così pareva.
«Chi è il ragazzo che ti sei portato dietro?».
La domanda del taverniere riportò il giovane signore alla realtà.
«È il mio apprendista» rispose prontamente Fendir, «Mi segue da poco. Gli sto insegnando un paio di cose per quanto riguarda l'equipaggiamento che andremo a comperare prima delle processioni».
Quando lo gnomo posò lo sguardo su Tharanir, il tempo parve fermarsi per un istante. Il suo cuore prese a battere velocemente, cosciente del fatto che da quel momento in poi sarebbe toccato a lui continuare la farsa che l'amico aveva già inscenato. Doveva presentarsi, e non poteva di certo rivelargli il suo vero nome. Sebbene quella persona non l'avesse mai visto in faccia, avrebbe di certo riconosciuto il nome dell'erede del Gran Consigliere drowish di Kalkmar.
Lo sguardo incerto del giovane si posò prima sul guardiano, che lo fissava in silenzio, e poi sullo gnomo dal sorriso ambiguo che stava solo aspettando le sue presentazioni. In quel momento un solo nome gli balzò in mente. Senza pensarci troppo, decise di inscenare la sua prima bugia imitando la sicurezza e la baldanza dell'amico guardiano.
«Mi chiamo Ceyl» esclamò il ragazzo, allungando audacemente la mano verso lo gnomo. Quest'ultimo, dopo aver fatto lo stesso collegamento del ragazzo, scoppiò in una fragorosa risata prima di stringergli la mano.
«Ceyl? Come l'impaziente eroe draconico della Saga dei Dodici? È proprio un nome azzeccato, considerando che anch'io porto il nome di uno dei protagonisti, che coincidenza!».
Nonostante la reazione positiva del taverniere, Tharanir si voltò pentito verso l'amico, che dall'espressione delusa pareva non volesse affatto commentare l'improvvisazione.
«Allora, Fendir, prenderai la solita?»
Chiese all'improvviso lo gnomo, ritirando la mano callosa.
«Se non è stata già occupata da nessuno, mi faresti un enorme favore».
Tharanir osservò l'interazione tra i due incuriosito. Quasi scordò di dover passare la notte fuori dalla Torre di Loran. Prima di seguire i due, che già si dirigevano a recuperare la chiave della stanza, si rese conto di quanta gente vi fosse effettivamente là dentro e di quanta, molto probabilmente, avrebbe alloggiato lì.
Il posto era decisamente molto grande, ma Caleb pareva sempre riservare con una certa dovizia il posto per il guardiano.
A quel punto la domanda sorse spontanea.
Tharanir si chiedeva se i due non avessero un rapporto di amicizia tale da poter contare vicendevolmente l'uno sul servizio dell'altro, o se la bontà dello gnomo non fosse in realtà un cenno di rispetto verso una persona che lavorava per l'Oscuro Signore. Il nome del padre faceva eco ovunque a Kalkmar e la gente, da quel che aveva appreso, si asteneva dall' evocarlo così casualmente, come se il solo pronunciarlo potesse far tremare il cielo e la terra.
Il mezzo drow si chiese che tipo di effetto avrebbe fatto il suo nome in futuro. Lo avrebbero temuto a tal punto da cambiare atteggiamento una volta nominato, o ne avrebbero fatto un uso diverso, di scherno magari, per infangare il nome dei Renol'Anon? Tharanir vide di non dare troppo peso alla cosa. Era ancora tutto da decidere e, soprattutto, non aveva le forze per immaginarlo.
Caleb nel frattempo condusse i due ragazzi verso una stanza al piano superiore. Si trattava di una camera abbastanza spaziosa con due letti, due cassapanche e una finestra che dava all'entrata della taverna, dal quale si poteva scorgere la Torre da lontano. Tharanir immaginava che Fendir scendesse spesso al paese col padre o con qualche altro servo per delle commissioni speciali, e ciò spiegava il perché dei due letti. Anche se l'assurda idea di lui che condivideva la stanza con il drago del padre lo faceva sorridere.
«Se avete bisogno di qualcosa sapete a chi chiedere», aggiunse lo gnomo, restando in piedi sull'uscio della porta.
«Ti faremo sapere», rispose semplicemente Fendir, allungando la mano e abbassandosi alla sua altezza per farsi consegnare la chiave. Lo gnomo però ritirò all'improvviso la mano, guardandolo con uno sguardo giocoso.
«A proposito, non so se ne eravate al corrente: questa sera verrà ad esibirsi un ospite d'eccezione giù in taverna. La bella Adhara di Altemura ci delizierà con la sua lira e i suoi racconti, sarete dei nostri?»
Fendir, che non sembrava affatto irritato da quel gesto improvviso dello gnomo, preferì rivolgere lo sguardo a Tharanir prima di dare una risposta definitiva.
«Tu che dici?»
Lo sguardo del mezzo drow oscillò tra l'espressione divertita dello gnomo e il ghigno ambiguo dell'amico.
Era curioso, non poteva negarlo, ma non capiva come mai i due lo stessero guardando in quel modo, come se gli avessero posto una domanda a trabocchetto. Annuì in risposta, un po' timidamente, e finalmente i due distolsero lo sguardo dalla sua figura incappucciata.
«Ti raggiungiamo più tardi», affermò Fendir, prima di chiudere la porta e scaricare quelle poche cose che i due si erano portati dietro.
Si trattava di un semplice zaino in cuoio dove Tharanir supponeva vi fossero oggetti di prima necessità. A contrario suo, le uniche cose che il ragazzo si era portato dietro erano delle boccette che aveva preparato qualche ora prima della partenza e il ciondolo incantato. Tharanir era consapevole di essere stato un po' sprovveduto, dopotutto non aveva idea di cosa si potesse portare in un viaggio. Eppure, ciò che gli bastava era il sapere di avere con sé una pozione per qualsiasi eventualità. Era una cosa che lo faceva sentire più sicuro: non vi era nulla che quelle miscele alchemiche potessero risolvere, almeno per lui. Una volta riposto tutto nelle cassapanche, Tharanir si avvicinò un po' titubante all'altro, volendosi liberare di un dubbio che lo stava assillando da un po'.
«Come mai hai deciso di assecondare la mia richiesta?»
Fendir alzò un sopracciglio, girandosi in sua direzione mentre si approcciava nuovamente alla porta.
«Cosa intendete dire?»
«Insomma, se qualcuno dovesse scoprire che mi hai portato fin qui, senza un valido motivo, non credo che tuo padre o il resto delle guardie si asterranno dal darti una punizione esemplare».
Il guardiano restò immobile, con la mano ancora tesa a stringere la maniglia mezzo arrugginita della porta. Uno strano silenzio calò all'interno della stanza che insospettì il giovane signore. Ciò di cui Tharanir non poteva sapere era che Fendir non lo avesse pienamente fatto per lui. Si trattava di una sorta di senso di colpa e di immedesimazione che aveva nei confronti altrui. Dopo il rito di passaggio all'età adulta, Fendir era cambiato totalmente. Ciò che aveva visto aveva ucciso la sua innocenza così brutalmente da tormentarlo per molto tempo. Eppure poteva sopportarlo, seppur a stento. Era sempre stato un ragazzo forte, e aveva sempre avuto la sua famiglia dalla sua parte. Tharanir era un altro discorso.
Era fragile e solo, e aveva un peso sulle spalle che non immaginava ancora. In sostanza, gli sarebbe dispiaciuto vedere l'ultimo briciolo di purezza in quelle quattro mura a cui erano entrambi costretti svanire nello stesso, crudele modo con cui Fendir aveva dovuto rinunciare alla sua.
«Mi sembra ovvio», esordì il guardiano. Le sue labbra si incurvarono in un sorrisetto malizioso, «per tenervi in ostaggio. Immaginate quante cose potrei chiedere alla vostra famiglia in cambio?».
Tharanir sospirò, permettendosi di dare un colpetto alla schiena altrui, invitandolo ad uscire.
«Ma fammi il piacere!»
Ed abbandonarono la stanza per assistere allo spettacolo del bardo.
- 𝕰𝖓𝖉 𝖔𝖋 𝖙𝖍𝖊 𝖈𝖍𝖆𝖕𝖙𝖊𝖗 -
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