𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 𝐈𝐈
Il suo odore, un misto di fiori e strani agenti chimici. Le vesti dai bordi ricamati da complessi intrecci dorati. I capelli, scuri come quelli del padre e leggermente arruffati per la sua poca cura.
Il guardiano ci mise un po' di tempo per capire chi fosse l'intruso, ma quando lo riconobbe lo liberò immediatamente dalla stretta, spingendolo in avanti.
«Questa sì che è una bella sorpresa, se m'aveste avvisato prima della vostra visita vi avrei accolto diversamente»
«Sì, lo immagino» borbottò il ragazzo, tenendo lo sguardo basso.
«Andiamo, Tharanir, stavo solo facendo il mio dovere»
Sorpreso dall'improvviso cambio di registro, il ragazzo alzò finalmente lo sguardo, severo, per ricordargli della sua autorità. Il guardiano riconobbe l'errore, ma non sembrò farsene un grosso problema: era lui quello fuori luogo, in quel momento.
«Cosa ci fate qui, in piena notte?»
Il giovane non trovò il coraggio di rispondere; effettivamente non sapeva che scusa inventarsi.
«Finalmente avete deciso di darvela a gambe? Non me l'aspettavo da voi»
Tharanir spalancò gli occhi, sorpreso; come faceva a saperlo?
«Fammi entrare nella tana» gli ordinò, con un tono spezzato dall'adrenalina che gli scorreva ancora in corpo.
«E cosa ci dovreste fare là dentro, di grazia?»
«Fammi entrare, è un ordine!»
Il giovane guardiano alzò le due braccia in cielo, chinando leggermente la testa, «Va bene, mio signore, come desiderate», e lo condusse fino all'entrata, senza alcun indugio, entrando per un piccolo cancello aperto su un fianco del muretto, dal quale probabilmente il guardiano era uscito per evitare di aprire quello principale. Se solo Tharanir avesse saputo prima dell'esistenza di quel comodo passaggio, avrebbe evitato di mettere in atto un piano così sciocco. Per fortuna il guardiano si era mostrato molto più clemente di quel che pensasse. In effetti la cosa lasciò Tharanir parecchio perplesso.
Che fosse una trappola?
Una volta schiusa la vecchia porta in ferro nero, il ragazzo notò delle scale in pietra che scendevano a spirale lungo un cieco abisso di oscurità. Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui fece visita a Ledha, il drago del padre, e quasi non ricordava di quel sinistro passaggio. Fendir afferrò una torcia appesa sulla parete e procedette a guidare il suo signore lungo l'angusta scalinata. I Drow erano in grado di poter vedere chiaramente al buio, ma il guardiano non era sicuro che l'altro potesse fare altrettanto. Dopotutto Tharanir era per metà uomo.
Durante la discesa, dei gorgoglii provenienti dal fondo dell'abisso raggiunsero i due ragazzi che si fermarono ad ascoltare.
«La madre e i cuccioli stanno dormendo», commentò Fendir, notando un'espressione di timore nell'altro. L'ultima volta che aveva visto quei cuccioli, Tharanir si era ritrovato lì per la schiusa delle uova, per pura casualità, ma da allora aveva smesso di visitare la tana del drago. Il pensiero di avvicinarsi a quei draghetti, ormai grandi, lo intimoriva: Ledha lo avrebbe certamente riconosciuto, ma i piccoli non lo avrebbero fatto. Era risaputo quanto i draghi verdi potessero essere aggressivi e pericolosi con i volti sconosciuti. Erano diffidenti di natura, ed estremamente territoriali.
Una volta raggiunta la tana, una grossa grotta sotterranea che si affacciava su un fianco della collina, Tharanir rimase immobile dietro Fendir, che già brandiva la lancia. Ledha era lì, maestosa e bellissima, che giaceva a terra mansueta, respirando pesantemente.
Non appena il guardiano puntò la torcia verso di essa, il drago aprì gli occhi e osservò la scena in silenzio, serena, avendo riconosciuto i due intrusi. Battè le palpebre due volte prima di chiudere definitivamente i grandi occhi gialli che si illuminavano al buio, ma il suo atteggiamento rilassato non fu abbastanza per rassicurare i suoi cuccioli che, allarmati, iniziarono ad alzarsi in piedi per studiare la situazione, ad uno ad uno.
«Dunque, cosa dovreste fare con i draghi?» domandò il guardiano, avanzando cautamente verso di loro.
«Voglio imparare a cavalcarne uno»
L'espressione di Fendir, che fino a quel momento ostentava un lungo sorriso beffardo, parve cambiare all'improvviso, come se un'ombra gli fosse passata davanti.
«E allora perché non l'avete chiesto prima a vostro padre? Mi sembra che stiate nascondendo qualcosa»
«Non sono cose che ti riguardano»
«E da quando non lo sono più? Un tempo ero il vostro unico confidente».
Tharanir alzò gli occhi in cielo; da che ricordasse, Fendir era sempre stato bravo a procurargli sensi di colpa e a rigirare le situazioni in suo favore.
«Voglio scappare dalla torre perché non ce la faccio più, e non so come fare, ti basta come risposta?»
Dopo un attimo di silenzio, il guardiano sbottò a ridere, offendendo inevitabilmente il suo signore.
«Cosa ci trovi di così divertente? Sono davvero arrivato al mio limite di sopportazione!»
«Dunque avevo ragione», lo ignorò l'altro, continuando a ridere, «Finalmente vi sento dire qualcosa di sensato!»
Il ragazzo si fermò ad osservarlo, interdetto, «Come, scusa?»
Fendir lo afferrò per una spalla e lo condusse verso i cinque draghi, che si allontanavano, infastiditi dalla presenza dello sconosciuto.
«Va bene, mio signore, allora volete che questo umile servo vi insegni a cavalcare uno di quei draghi?»
«Onestamente, vorrei che tu mantenessi il segreto e non lo raccontassi a nessuno».
Il guardiano gli rivolse un inchino, enfatizzando l'ironia delle sue stesse parole: «Certamente, volete anche che tenga la bocca chiusa quando verrò torturato da mio padre e dal vostro per non avere adempiuto ai miei doveri?»
«Non starò fuori per molto tempo, mi basterà un solo giorno»
«Un giorno per far cosa?»
La loro conversazione si interruppe improvvisamente a causa dell'agitazione dei draghetti, che iniziavano ad avvicinarsi minacciosi verso Tharanir, costringendo Fendir a cacciarli via con la lancia. Erano ancora piccoli e indisciplinati. Alcuni di loro, infatti, mostrarono i denti aguzzi al guardiano in tutta risposta, ma non sembrarono ribellarsi più di tanto.
«Cavalcare un drago non è una passeggiata, dovete anche sapervi fare rispettare»
«Insegnami, allora»
I due rimasero a fissarsi un attimo, prima di accorgersi che nulla fosse davvero cambiato tra loro.
«Se è ciò che desiderate... »
Fendir batté la lancia a terra e allungò una mano verso i draghi, pregando il suo amico di precederlo. Era un gran testone, ed era consapevole che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea. Tanto valeva fargli mettere le mani in pasta e vedere come se la sarebbe cavata.
«Innanzitutto non mostratevi mai titubante, ma non siate nemmeno superbo: dovete essere naturale».
Tharanir si avvicinò ai draghi, cercando di contenere la paura, e li guardò negli occhi uno ad uno.
Sembravano tante copie in miniatura della madre, solo più sproporzionate poiché fossero ancora troppo piccoli.
«Non mostrandovi ostile inizieranno a incuriosirsi e vi studieranno, ma se non saranno interessati vi lasceranno perdere e vi ignoreranno».
I cinque draghi lo circondarono minacciosi, annusando l'aria intorno e osservando il ragazzo da capo a piedi. Poi, a poco a poco, iniziarono ad allontanarsi, tornando al caldo abbraccio della madre.
Il guardiano rise sotto i baffi.
Tharanir sospirò, sconfitto: forse era destino che rimanesse lì per sempre.
«Suvvia», provò a distrarlo l'amico, col solito umorismo pungente, «potete sempre provare a buttarvi sul fiume e vedere se riuscite a raggiungere la valle a nuoto»
«Se non riesco nemmeno ad attirare dei cuccioli di drago... », borbottò il ragazzo, «Come potrò mai convincere qualcuno, quando erediterò il titolo di Oscuro Signore?»
Fendir sembrò fermarsi un attimo a riflettere, poi gli diede un leggero colpo sulla testa con l'asta della lancia, e gli indicò un punto davanti a sé.
«Certamente non potete definirvi un uomo carismatico, ma credo che stasera abbiate comunque fatto colpo su qualcuno».
Uno dei cinque draghi se ne stava immobile a fissarlo, con la testa leggermente piegata. Tharanir sentì quasi l'esigenza di approcciarsi a quella piccola creatura, e così fece: si avvicinò lentamente verso di essa, tendendo una mano e abbassandosi al suo livello, fino a quando il drago non allungò il collo e gliela annusò. Le sue scaglie verdastre brillavano alla luce della torcia.
«Si chiama Elettra» affermò Fendir, rompendo quella magia per qualche istante, «è l'unica femmina della cucciolata, ma è anche la più curiosa».
Una volta che gli occhi dorati del drago incontrarono quelli scuri del ragazzo, si sedette sulle zampe posteriori, ribadendo così il suo interesse.
«Sapete, per certi versi vi assomiglia», continuò il guardiano, osservando la scena.
«Che cosa vuoi dire?»
il guardiano fece un movimento brusco con la torcia, spalancando gli occhi in un'espressione sinistra, e il drago sobbalzò, indietreggiando per la paura. Anche Tharanir, sorpreso, finì per trasalire.
«Che siete entrambi facilmente impressionabili!».
Il giovane signore emise un sospiro, sinceramente offeso, e tornò a cercare lo sguardo del drago, che nel frattempo si era appoggiato alla parete, rivolgendosi truce al guardiano. Era incredibile come entrambi avessero provato la stessa paura e si fossero offesi nello stesso istante; forse era davvero il drago perfetto per lui, pensò ironicamente.
«Le sue ali sono molto forti e ha un buon equilibrio in volo, ma è da un po' che non le spiega»
«Va bene, Fendir, abbiamo capito l'antifona: io e questo drago siamo due disastri viventi»
«Non era quello che stavo cercando di dirvi», lo sguardo del guardiano cambiò nuovamente, «Non credo che si lascerà cavalcare così presto da qualcuno, specie se non si fida ancora: dovete guadagnarvi la sua stima»
«ma non ho tempo!»
«Beh, allora avreste dovuto pensarci prima»
«Non potresti semplicemente insegnarmelo in tre giorni?».
Il guardiano aprì la bocca per rispondere, ma si fermò subito dopo; era inutile ragionare con lui.
«Saranno passati anni, ma rimanete lo stesso bambino viziato»
«E tu non sei d'aiuto!»
«Sentite» cercò di chiudere lì quella parentesi, «Non posso fare miracoli in tre giorni. I draghi non sono affatto creature empatiche, perciò fareste prima a dirmi dove dovete andare e io vi ci porterò»
«E tu lo faresti davvero per me?»
Fendir lo guardò dritto negli occhi, osservandolo in silenzio per qualche istante. Poi sospirò.
«Non ho altra scelta: siete il mio signore e siete anche testardo come un mulo: conoscendovi vi mettereste solamente nei guai. Con me almeno avremmo una scusa bella e buona»
«E che scusa sarebbe?»
Il guardiano gli rivolse un sorriso beffardo, infine poggiò una mano sulla spalla, «Che domande: quella con cui avete provato invano a prendermi in giro».
- 𝕰𝖓𝖉 𝖔𝖋 𝖙𝖍𝖊 𝖈𝖍𝖆𝖕𝖙𝖊𝖗 -
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