Udinese - Felsina, secondo tempo: grida di rabbia UNCUT
Simone, con un fast forward, saltò al secondo tempo, direttamente all'ingresso delle squadre in campo.
Nel frattempo, Thomas e Mattia gli avevano mostrato un piccolo assaggio del quarto d'ora di web-fama di Claudio. La pagina Facebook Calciatori Brutti aveva indetto un contest di interpretazione del labiale "a cazzo duro" e creato poi delle gif animate con sottotitoli-didascalia.
Simone ne aveva vista una piccola selezione: su una c'era scritto "ammazzo il mulo", su un'altra "t'attaco al muro", su un'altra "m'arraffo il culo" su un'altra ancora "a razzo puro" («A razzo puro non vuol dire niente» aveva commentato Simone, ridendo).
Pensando a quanto Claudio si stava probabilmente divertendo a leggerle, Simone fu assalito da una tristezza inconsolabile. Claudio, il suo migliore amico Claudio, che lo odiava e probabilmente non l'avrebbe mai perdonato.
Oh, Claudio...
Quanto gli mancava! Se fossero stati ancora amici l'avrebbe chiamato e avrebbero riso insieme di quella cosa, e invece...
Simone cercò di concentrarsi sulla partita: non voleva ostinarsi su quei pensieri negativi.
«Amici di Rai Sport, bentornati per il secondo tempo di Udinese-Felsina, primo turno secco di Coppa Italia. Non ci sono cambi, si riparte con le formazioni iniziali. Vi parla Luca De Capitani, e qui accanto a me per il commento tecnico Mario Somma, a cui faccio subito una domanda: secondo te questo due a zero mette una pietra tombale sulle speranze del Felsina o la compagine bolognese ha ancora qualche possibilità?»
«La compagine bolognese ha più di qualche possibilità. Ha fatto vedere delle buone cose, nel primo tempo, ci sono stati tratti di partita in cui il divario tra le due squadre non sembrava così ampio. Secondo me vedremo un buon secondo tempo, Luca.»
«Il rigore sbagliato allo scadere del primo tempo secondo te può aver tagliato le gambe al morale della squadra?»
«Secondo me è un bene che siano andati subito negli spogliatoi, la pausa può averli aiutati a resettare per ripartire con nuove energie. Avrai notato anche tu come i giocatori si caricavano a vicenda, mentre uscivano dal campo...»
A cazzo duro, pensò Simone.
«Se tu fossi l'allenatore del Felsina cosa avresti detto alla squadra? Che indicazioni avresti dato per cercare di scardinare la difesa dell'Udinese?»
«Sicuramente di ricominciare come avevano finito: cioè con quel buon pressing coordinato che ha messo in confusione gli avversari negli ultimi minuti di gioco.»
«Vediamo come andrà. Nel frattempo sono partiti! L'azione comincia dal basso, dalla difesa friulana...»
Simone notò subito una differenza, rispetto al primo tempo. Lajovic doveva aver detto loro di fare esattamente ciò che aveva suggerito il commentatore Rai, ossia pressare di più la difesa dell'Udinese. Ma mentre alla fine del primo tempo l'azione di pressing era disordinata, ora sembravano più organizzati. E infatti ci furono subito un paio di occasioni per il Felsina, e il primo calcio d'angolo per loro. Fu un cross, su cui proprio Claudio incoccò un colpo di testa. Mal mirato, però: la palla uscì sulla destra.
L'Udinese reagì chiudendosi a catenaccio, almeno inizialmente, ma riuscirono a prendere le misure in fretta e dopo cinque minuti già si stavano facendo rivedere in attacco.
Il giocatore dell'Udinese che Simone aveva preso in antipatia all'inizio, il trequartista (autore di uno dei due gol), sembrava essere tornato in campo con nuove energie: stava chiaramente cercando di farsi notare dal proprio allenatore, facendo giocate sopra le righe che irridevano i difensori grezzi e un po' lenti del Felsina. Fortunatamente erano giocate spesso fini a se stesse, ma Simone lo seguiva con preoccupazione ogni volta che prendeva palla.
La partita proseguiva, e gli spazi per il Felsina erano sempre più chiusi. L'Udinese, dal canto suo, non sembrava aver intenzione di dilagare, e probabilmente si sarebbe accontentata di quel 2-0.
Al quarto d'ora, a conferma di questa ipotesi, l'allenatore dell'Udinese fece un cambio conservativo, togliendo un attaccante per un difensore.
I cronisti sembravano annoiati dalla partita e cominciarono a raccontare i tipici aneddoti tappabuchi che tutti i cronisti raccontavano quando c'era poco da dire su ciò che accadeva in campo. Si concentrarono sui giocatori del Felsina, essendo i più sconosciuti. Passarono dai problemi con la giustizia di Mangiante, alle origini friulano-giuliane del capitano Gus (Simone scoprì che Gus non era il diminutivo di Gustavo, come pensava, ma di "gusele", una parola friulana che significava "ago", a indicare l'aspetto filiforme del giocatore).
Su Marco non raccontarono nulla. Approfittarono invece di una sortita offensiva di Claudio per raccontare qualcosa di lui.
«Claudio Barazzutti è un ragazzo interessante. È romano, dei Castelli, e fino all'anno scorso giocava in Eccellenza. È stato uno degli uomini chiave per la promozione della sua squadra in Serie D. Oggi gioca contro una squadra di serie A: un bel salto, direi!»
«Un bel salto davvero, Luca! Se posso permettermi, si vede che è ancora un po' indietro, come livello tecnico, rispetto ai suoi compagni di squadra. Ma finora è stato uno dei più propositivi: capisco perfettamente perché l'allenatore abbia scelto di farlo partire titolare!»
«E ho un'altra notizia curiosa, su di lui... indovina con chi ha giocato per diversi anni, nell'under diciotto di una piccola squadra dei Castelli romani?»
Simone sentì il cuore che accelerava e sudori freddi alle mani: solo pensare a Tiziano lo metteva in subbuglio.
«Con chi, Luca?»
«Con un giocatore che potrebbe affrontare al prossimo turno, se il Felsina dovesse vincere oggi... Tiziano Camporese della Lazio.»
«Questa è davvero una notizia interessante! Se si dovessero affrontare sarebbe una specie di reunion!»
Simone sprofondò nel divano, sotto gli occhi perplessi dei suoi compagni di appartamento.
«Tra l'altro, quella squadra è stata un'ottima fucina di talenti, perché insieme a loro giocava anche un altro ragazzo che ha fatto una buona carriera da professionista: Simone Pietrangeli, che oggi gioca come trequartista nel Modena in serie B.»
Urla di incitamento e pacche sulle spalle. «Grande Simo!»
«Sei una star!»
«Per fortuna non hanno detto che mi hanno messo fuori rosa per alcolismo...» mugugnò Simone, zittendo i propri compagni.
Da quando era successo quel brutto episodio non ne avevano più parlato, ma Simone era riuscito a stare lontano dagli alcolici anche grazie al loro aiuto, che avevano silenziosamente svuotato la casa di qualsiasi traccia d'alcol. Simone aveva apprezzato il loro sforzo: non erano due forti bevitori, ma durante i pasti ogni tanto una birra o un bicchiere di vino lo prendevano volentieri, e da una settimana, per colpa sua, si erano dati all'astinenza totale, almeno in sua presenza.
Gli aneddoti su Claudio erano nel frattempo terminati. I cronisti stavano parlando di Konjuh, il centrocampista croato, quando si interruppero bruscamente, perché Marco (proprio lui! Marco!) era riuscito a rubare palla al trequartista funambolo rompiscatole.
«Sì! Ben ti sta, giocoliere del cazzo!» esultò Simone battendosi un pugno sul palmo della mano.
Marco avanzò un po', tirò un filtrante a destra, verso Fabrizio Volandri, il terzino sinistro, che stava avanzando rapidamente sulla fascia.
Simone pensò per un attimo ai suoi deboli sospetti riguardo al fatto che quel ragazzo potesse avere una relazione con Claudio.
Ma fu un pensiero fugace: l'azione sullo schermo era troppo interessante.
«La difesa dell'Udinese è posizionata come il proverbiale autobus di murinhana memoria, ma Volandri vede un varco! Barazzutti sulla linea del fuorigioco riesce a penetrare la difesa, tira! Addosso al portiere che respinge coi pugni, attenzione! La palla è ancora in gioco! Carambola tra i piedi dei difensori e... goool! Gol del Felsina! Raul Mangiante, il loro...»
Simone non sentì più una parola della telecronaca, stava urlando con tutto il fiato che aveva in gola, fino quasi a graffiarsi le corde vocali.
«Oddioooo! Hanno segnatooo! Non ci credoooo! Dajeeeee!»
Anche Thomas e Mattia applaudivano. «Ma che pirla i difensori dell'Udinese!» commentò Thomas.
«Vedi a giocare con le riserve? Poi perdi contro le squadre di C!»
«Che significa perdi?» Simone si girò di scatto verso Mattia.
«Ehm... volevo dire: prendi gol!»
Simone glielo lesse negli occhi: l'aveva colto in fallo. «Ti odio, cazzo!» Un vortice di emozioni gli fece quasi venir voglia di vomitare. «Mo' se vincono ti odierò perché mi hai spoilerato. E se perdono ti odierò perché mi hai illuso.»
Mattia non ribatté, si limitò a ridacchiare.
Simone guardò il resto della partita mangiandosi le unghie dal nervosismo, desiderando disperatamente qualcosa da bere per calmarsi, in attesa trepidante di un gol che non arrivava.
Il Felsina giocò benissimo. Creò occasioni su occasioni che non entrarono perché l'Udinese praticamente giocava con dieci uomini in difesa. Marco si superò coi suoi passaggi intelligenti. Claudio tentò almeno una decina di tiri, tutti purtroppo mal calibrati. Mangiante dribblava che era un piacere e si prese persino gli applausi del non troppo gremito stadio su un passaggio a scavino che faceva sombrero a un inetto difensore dell'Udinese.
L'allenatore dei friulani gridava come un ossesso indicazioni inascoltate, e si giocò due cambi che non ebbero alcun effetto positivo sull'organizzazione della squadra, che chiaramente non si aspettava un simile assalto da un gruppo di due categorie inferiore.
Anche il Felsina fece due sostituzioni. La prima per Konjuh, il centrocampista croato che era stato uno dei più svogliati del Felsina, la seconda, con rammarico di Simone, per Marco, che al trentacinquesimo era ormai visibilmente a corto di fiato. I cronisti gli fecero dei grandi complimenti e Simone si perse qualche istante ad ammirare un bel primo piano stanco e preoccupato che la regia Rai gli regalò.
Era il quarantunesimo quando accadde ciò che Simone aspettava. All'ennesima azione offensiva del Felsina, a Mangiante riuscì un dribbling particolarmente brillante: Simone era ammirato dall'energia che sembrava avere dopo quasi novanta minuti, nonostante la stazza robusta. Mangiante saltò tre giocatori di fila, ed era in area, solo davanti al portiere quando un terzino dell'Udinese lo falciò brutalmente.
«Rigoreee!» gridò Simone.
Questa volta l'arbitro fischiò subito, non ebbe bisogno della VAR.
Per giunta era fallo su chiara occasione da gol: il terzino, che era già ammonito, dovette uscire dal campo.
«Udinese in dieci! Oddio... se giocano i supplementari in dieci vince il Felsina!» disse Simone.
«Chi l'ha detto che ci arrivano, ai supplementari?» lo provocò Thomas.
«Se quel ciccione demmerda sbaglia un altro rigore, ti giuro...» Simone strinse il pugno.
«Non essere cicciofobico...»
«Non ce l'ho coi grassi. Ce l'ho con quello lì. Che tra parentesi Claudio m'ha detto è uno stronzo di prima categoria...»
Quando Claudio ancora ci parlava, con me...
«Vediamo Mangiante con il pallone in mano... ma attenzione! Sta consegnando il pallone a Barazzutti!»
«Gran bel gesto di stima nei confronti del compagno!»
Mangiante odiava Claudio, Simone lo sapeva. Cosa significava quel gesto? Aveva improvvisamente cambiato idea su di lui? Aveva troppa paura di sbagliare di nuovo? O sperava di fargli fare una figuraccia in diretta tv?
Claudio accennò un sorriso a Mangiante, un sorriso amichevole, non strafottente. Prese il pallone e disse una frase, battendoselo sul petto. «Ci penso io!»
«O merda, no...» mormorò Simone. Era per quello che Claudio era diventato famoso sul web? Perché aveva fatto lo sborone col compagno e poi sbagliato pateticamente il rigore? Era diventato uno zimbello?
«Ho l'impressione che Claudio imparerà a sue spese che deve mettere la mano davanti alla bocca, quando parla coi compagni davanti alle telecamere...» mugugnò Simone.
Era una cosa che Simone aveva imparato prestissimo, quando ancora era alla Primavera della Lazio. All'uscita dal campo, alla fine di una partita, aveva fatto delle battutacce un po' gradasse su dei loro avversari. Le partite della primavera erano trasmesse da Lazio Channel, il suo labiale era stato interpretato e i giornalisti laziali gli avevano chiesto conto di quelle frasi scherzose per mesi. Non aveva mai più ripetuto l'errore.
«Il nove del Felsina sembra piuttosto sicuro di sé» disse De Capitani.
«Sì, Luca. Se non ho visto male ha appena detto a Mangiante "ci penso io". Una dichiarazione d'intenti importante che spero non gli si ritorca contro...»
«A' jettatore!» urlò Simone al televisore.
«Fino all'anno scorso giocava in Eccellenza, la pressione è tanta, per un ragazzo di soli ventun'anni, da poco compiuti... Ecco che piazza il pallone sul dischetto.»
Simone si chiese se avrebbe tirato come tirava sempre, ossia alla Diego Perotti: rincorsa camminata guardando il portiere in attesa che si buttasse. Simone aveva sempre pensato che fosse un modo folle, coraggioso e difficilissimo, di tirare i rigori, ma Claudio diceva sempre che era "una cazzata". E non lo diceva per minimizzare, lo pensava davvero.
Gli fecero un primo piano: i capelli sudati, i suoi occhi chiari un po' segnati, ma sicuri e concentratissimi.
E lo fece.
Camminò verso la palla. Il portiere si buttò una frazione di secondo prima che Claudio tirasse nell'angolo opposto.
Claudio gridò e si mise a correre, inseguito dai compagni.
E Simone urlò con lui. Urlò di gioia pensando quanto Claudio dovesse essere felice. Urlò di tristezza, perché ripensò a tutte le volte che lo aveva fatto segnare coi suoi assist, e Claudio la prima cosa che faceva, la prima!, era correre verso Simone per abbracciarlo ed esultare insieme. Era così bello giocare insieme, Simone, Claudio, Tiziano, in quei pochi mesi in cui tutto era stato un sogno perfetto. E poi era arrivata la Lazio a separarli, e niente era stato più come prima. Simone avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro a quel tempo, per essere di nuovo amico di Claudio. Perché Claudio e Tiziano stessero ancora insieme, e Tiziano non fosse diventato ciò che era diventato.
No, no... non è possibile che sia diventato così!
«Oi, Simo! Piangi di già? Hanno solo pareggiato!» Thomas gli diede una pacca sulla spalla, sorridendogli. Simone si vergognò di essersi lasciato sfuggire quelle lacrime davanti a loro, le asciugò.
«Stai pensando al fatto che a gennaio te ne andrai?» disse Mattia, con la sua solita aria un po' annoiata.
Simone ingoiò il groppo in gola. «A dire il vero no» disse. «Stavo pensando che... mi manca il mio migliore amico. Perché ho litigato con Claudio, una settimana fa, e...» Le lacrime sgorgarono di nuovo. «Cristo santo, non ne posso più di piangere! Sono una fontana ultimamente!»
«Dai, dai... su...» Thomas lo abbracciò e Simone si lasciò abbracciare, cercando di calmarsi. «È per quello che hai avuto una ricaduta?»
«È un periodaccio, regà... un periodaccio... Sono successe tante cose... e 'sta litigata con Claudio è stata la ciliegina sulla torta di merda. E mo' sto pure fuori dalla squadra, ma sinceramente tra tutte le cose è quella di cui mi frega di meno.»
«Secondo me Luciano cambia idea e rimarrai con noi» disse Mattia, facendo spallucce.
«Non credo...»
«Ma sì. Lo vedo come ti guarda, ad allenamento. Gli è piaciuta un sacco 'sta cosa che vai a fare gli alcol test dal medico sociale due volte al giorno. Non lo dice ad alta voce, ma gli è piaciuta. Lo vedo.»
Simone scosse la testa e si asciugò le guance. «Dai, basta parlare del Modena. Stasera mi voglio concentrare sul Felsina.»
La partita era ricominciata. Mancavano pochi minuti alla fine, e il Felsina stava tenendo testa ai tentativi di attacco dell'Udinese. Quando l'arbitro fischiò la fine dei tempi regolamentari, dopo ben cinque minuti di recupero, Simone tirò un sospiro di sollievo. «Supplementari! Dio... che emozione!»
Fece fast forward sulla breve pausa, per ricominciare dove riprendeva il gioco.
Lajovic si giocò il cambio rimanente proprio all'inizio dei tempi supplementari: un centrale difensivo in più: da tre quattro tre a quattro tre tre: stava chiaramente puntando a difendere il pareggio per arrivare ai rigori, nonostante quelli dell'Udinese fossero rimasti in dieci.
I due tempi supplementari furono ingarbugliatissimi: entrambe le squadre avevano paura ad attaccare e si andava avanti di catenaccio in catenaccio e di contropiede in contropiede, con entrambi gli allenatori per nulla soddisfatti che urlavano dalla panchina indicazioni ai propri giocatori. Più di una volta Simone si alzò dal divano, sicuro che la palla sarebbe entrata in rete, sia da una parte che dall'altra, ma non accadde e l'arbitro fischiò finalmente la fine.
«Ci siamo, Mario. È la lotteria dei rigori» disse De Capitani. «Ora chiunque può vincere.»
«Sì, e ti dirò, Luca: secondo me il Felsina è leggermente favorito: hanno dalla loro la fiducia. Può essere importante, in situazioni in cui la psicologia ha maggior rilevanza delle capacità tecnico-tattiche.»
Il sorteggio fu a favore dell'Udinese, che scelse di tirare per prima (scelta sempre vantaggiosa). Il Felsina, in mancanza di meglio, scelse la porta sotto la curva dei propri tifosi: lo stadio era praticamente vuoto, come sempre capitava per un turno pomeridiano infrasettimanale contro una squadra poco importante, e il manipolo di tifosi bolognesi si era fatto sentire durante tutta la partita, quasi più del tifo friulano.
I giocatori del Felsina erano visibilmente tesi. Vagavano intorno alla panchina, chi bevendo, chi mangiandosi le unghie. Gus girava di compagno in compagno dicendo brevi frasi alle orecchie, anche Konjuh, con un cipiglio frustrato in volto, batteva qua e là pacche sulla schiena che, Simone notò, sembravano essere accolte con irritazione. Colpa della tensione, sicuramente.
Quando l'arbitro fece segno che si poteva iniziare, il Felsina al completo, titolari e riserve, si spostò nell'area d'attesa.
Partiti. Il primo rigore dei friulani entrò in porta, col portiere che si buttò dal lato opposto.
Il primo del Felsina fu tirato da Gus, il capitano, e segnò anche lui. Simone applaudì piano. «Dai, dai, daje...»
Secondo rigore dell'Udinese. Parato! «Sììììì! Dajeeeee! Wohooo!» Come buona parte dei rigori parati, il tiro non era stato fortissimo, ma ben angolato, non facilissimo da parare: il portiere aveva avuto un ottimo riflesso.
Toccava al Felsina: era il turno di Fabrizio Volandri. A Simone non piacque la sua faccia: sembrava nervosissimo.
E infatti sbagliò. Clamorosamente. La tirò alta sopra la traversa. Si mise le mani nei capelli. «No...» disse Simone sconsolato.
Il terzo rigore dell'Udinese entrò, così come quello del Felsina. Erano pari: due segnati, uno sbagliato.
Quarto rigore dell'Udinese: il portiere del Felsina si buttò dal lato giusto, e la toccò con la punta delle mani, ma il pallone entrò lo stesso: prima di tornare dai compagni tirò un calcio di stizza al palo.
E quarto del Felsina: Simone sbiancò quando vide chi è che doveva tirarlo.
Mangiante.
«Oddio, noooo! Nooo! Mo' lo sbaglia.»
Posizionò la palla sul dischetto. Prese la rincorsa.
E tirò.
«Sììì! Goool! Ma non poteva tirarlo prima così bene? Rigore spaziale!»
Aveva tirato una bomba centrale sotto la traversa: rischioso, ma efficacissimo. Gli si leggeva in faccia che era alle stelle.
Quinto rigore dell'Udinese. Era lui: il funambolo insopportabile. Fece persino un sorrisetto al portiere, prima di prendere la rincorsa.
E fece la più grande figuraccia della sua vita: tentò un cucchiaio. Un tristissimo cucchiaio che finì praticamente in mano all'immobile portiere del Felsina. «Ahaha! Sììì! Ti sta bene, stronzo!»
Il ragazzo si allontanò dall'area, sconsolatissimo.
«Ci siamo, Mario. Se il Felsina segna questo gol è ai quarti di Coppa Italia e affronterà la Lazio.»
«Tocca a Barazzutti. E chi sennò? Si tengono sempre i migliori come primo e ultimo.»
«Rifarà la rincorsa lenta? O tenterà un approccio diverso?»
«Oddio... oddio che ansia...» disse Simone tappandosi per un attimo gli occhi con le mani. «No, no, devo vedere.» Sentiva il cuore in gola, le mani sudate, neanche dovesse tirarlo lui, quel rigore. A una finale dei Mondiali.
Simone tirò su i piedi sul divano e si abbracciò le ginocchia. «Daidaidaidaidai...» cominciò a sussurrare, come un mantra.
Claudio mise il pallone sul dischetto. Per la seconda volta in quella serata.
Il suo volto, ora, tradiva un po' di paura. Deglutì. Drizzò le spalle e alzò un po' la testa. Poi fece un po' di passi all'indietro.
L'arbitro fischiò.
Stavolta corse, guardando a terra.
Corse e tirò. Fortissimo. Angolato. Alto.
Finì nel sette.
Il portiere era rimasto immobile, in centro allo specchio.
Claudio si bloccò. Non corse. Rimase immobile e portò le mani in faccia, e quando le tolse stava gridando.
E a Simone sembrò un grido di rabbia, più che di gioia.
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