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8. Magenta ✓

«Correre, correre! Vi state facendo doppiare dalle ragazze!» gridò Valerio battendo le mani.

«Corri, Fiorellino! Muovi quel culo!» disse beta Stefano tirando uno spintone a Tiziano.

Prima mattina di ritiro, primo allenamento. In compagnia della squadra femminile al completo. Si erano incontrati tutti alle nove nel campo sportivo che si trovava a qualche centinaio di metri dal villaggio scout. 

Le ragazze erano arrivate la sera tardi del giorno prima, quando Tiziano e gli altri avevano ormai già cenato ed erano rientrati nelle proprie stanze per un precoce coprifuoco. Tiziano le aveva incontrate solo la mattina dopo. Claudio, invece, si era dato appuntamento coi suoi beta ed era uscito dalla stanza di nascosto, non appena le aveva sentite arrivare. Era tornato in camera dopo circa mezz'ora, ma Tiziano aveva finto di dormire: l'ultima cosa che voleva era ascoltare i commenti sgradevoli e pecorecci del ragazzo. Ironicamente sgradevoli, già.

La prima notte in camera con Claudio era stata meno traumatica del previsto: di sera si erano cordialmente ignorati a vicenda, durante i quindici minuti trascorsi prima di spegnere la luce - Claudio "cazzeggiando" col suo cellulare, Tiziano leggendo un libro. La mattina dopo Tiziano si era fortunatamente svegliato per primo ed era uscito dalla stanza senza disturbare il suo compagno. La speranza era che lo schema interattivo non cambiasse.

Adesso stavano facendo tutti insieme dei giri di corsa intorno al campo e tra i ragazzi serpeggiavano commenti pronunciati a bassa voce.

«Ok, quella è 'n omo, chiaramente.»
«La bionda però è figa.»
«Nainggolan ci ha du' belle tette. E pure un bel culone.»

Si stavano riferendo a una ragazza che si allenava con la maglietta del centrocampista della Roma.

«Troppo grosso per i miei gusti...»
«E de faccia pare 'no gnomo...»
«'Na bella busta in testa e passa la paura!»

Tiziano venne superato da una ragazza di colore piuttosto alta, con una nuvola di capelli stretti in una coda sulla cima della testa. Mentre lo passava, lo urtò col gomito. «Ops, scusa!» Gli lanciò un fugace sorriso.

Tiziano sollevò una mano come a dire "fa niente".

Ebbe una sensazione di deja vu. La fissò per qualche secondo mentre si allontanava davanti a lui.

«Hai fatto colpo, Tizio?» gli chiese Gianluca.

«Come no!» commentò Tiziano.

«Fiorellino ha fatto colpo!» commentò qualcun altro.

«Fiorellino si è innamorato!»

«È pure carina!» gli disse sottovoce Simone affiancandosi a lui e dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Tiziano fece un mezzo sorriso. Gli aveva dato una pacca sulla spalla. Gli aveva dato una pacca sulla spalla. Gli aveva dato...

«Va be'. Carina, mo'. Non esageramo. Carina ner contesto» disse sprezzante beta Stefano.

«Non è male, dai» commentò Gianluca. «Ci ha giusto le gambe un po' grosse.»

«Se fossimo in un film ti ci dovresti mettere insieme» disse Andrea, che era il migliore amico di Gianluca.

«Sì... un film di vent'anni fa, magari. Oggi vanno di moda le coppie inter-racial

Andrea e Gianluca ridacchiarono. Avevano uno strano modo di scherzare, sempre sul filo della battuta politicamente scorretta, ma era un segno della grande confidenza che c'era tra loro. Spesso mettevano in imbarazzo i compagni, quando si spingevano troppo in là con la scorrettezza, e in pochi si permettevano di ridere in maniera troppo convinta, per paura di offendere Gianluca e sembrare razzisti. Tiziano ripensò al discorsetto che Claudio gli aveva fatto il giorno prima, sull'ironia delle sue battute.
Ecco, quella di Andrea e Gianluca, era ironia. Non quella dei beta e di Claudio. 

Claudio il coatto. Claudio i cui insulti preferiti erano "frocio" e "checca". Claudio che lo chiudeva negli armadietti. Claudio che... che conosceva Ovidio?

Ma no. Non era possibile che quel buzzurro sapesse che quella frase era tratta dalle Metamorfosi

Ha sparato il primo autore latino che gli è venuto in mente e ci ha beccato.

«'Na bottarella comunque ja 'a darei sur serio» disse Gianluca facendo un cenno con la testa in direzione della ragazza che li aveva da poco superati.

«Un consiglio...» la ragazza si girò su se stessa e fece qualche passo di corsa all'indietro. «I commenti fateli più a bassa voce, perché si sente tutto!» Poi fece un occhiolino e ricominciò a correre normalmente, distanziandoli.

«Figura di merda!» Risatine sommesse.

«Oh, mica amo detto che è 'n cesso... je stavamo a fa' i complimenti!»
«E statte zitto, cojone!»

Dopo mezz'ora di riscaldamento a secco arrivarono finalmente i palloni. Valerio e l'allenatrice della squadra femminile decisero di accoppiare ragazzi e ragazze per fare un po' di passaggi. La ragazza di colore si avvicinò a Tiziano.

«Io con Fiorellino!» disse allegramente. Che meraviglia: aveva già imparato il suo soprannome.

Dal gruppo di ragazzi si levarono degli «uuuuh» e ci fu qualche risatina maliziosa anche da parte delle ragazze.

Tiziano porse la mano: «Piacere...»

«...Tiziano.» finì lei. Gli strinse la mano e Tiziano la guardò perplesso. «Non mi riconosci?» disse. E sorrise. Due fossette si disegnarono sulle sue guance e fu in quel momento che capì chi era.

«K-Karen?» tentennò stupito.

«Che cavolo, non è che ci siano tante ragazze nere in giro da queste parti! Pensavo che mi avresti sgamata subito!»

«Ma che ne so? Tu odiavi il calcio!» Tiziano rise. «Oddio, sono secoli! Quanto...?»

«Sette anni. Ne avevamo nove! Senti... ma tua madre ti chiama ancora Fiorellino o è un soprannome che ti porti dietro dalle elementari?»»

Tiziano si lasciò travolgere dai ricordi e da un piacevole profumo di nostalgia. Non era cambiata per niente: sempre la stessa faccetta furba e gli stessi occhi luminosi.

«Ma tu odiavi il calcio!» ripeté Tiziano. «Lo detestavi!»

Lei rise, mentre stoppava di coscia la palla che l'allenatrice le aveva appena lanciato. «Me l'hai fatto piacere tu.»

«Ma vuoi vedere che Tizio rimorchia?» commentò qualcuno a mezza voce.

«Tizio sì e io no? Che vita di merda.»

Tiziano finse di non aver sentito.

Karen tirò su il pallone col piede e iniziò a palleggiare. «Quando mi sono trasferita a Roma ho scoperto che c'era una squadra femminile che si allenava vicinissimo a casa mia. Con tutti i palloni che mi hai fatto tirare e soprattutto parare ho pensato: i fondamentali li so, perché non provare? Ed ecco come sono diventata il miglior portiere del campionato femminile under 18!»

Era agile, col pallone, anche con i piedi, cosa non comune per un portiere, soprattutto ai livelli bassi. Niente a che vedere con la bambina imbranata che rimandava controvoglia i tiri di Tiziano nel cortiletto di casa. Si era allenata, decisamente.

«Anvedi» disse qualcuno dei ragazzi. Karen aveva cominciato a fare giochetti freestyle: punta, tacco, rivoluzioni al volo. Ci fu qualche fischio e qualche applauso.

«Fiorelli', daje che finalmente impari quarcosa» disse Claudio lanciando il suo primo pallone alla ragazza con cui era accoppiato, la bionda carina su cui avevano già messo gli occhi tutti. Probabilmente anche Claudio, che di lì a qualche sera l'avrebbe portata in camera e "girata come un hamburger".

«Tiziano, tua!» gridò Karen calciando verso di lui un passaggio alto dopo l'ennesimo palleggio.

Il panico lo assalì. Il blocco psicologico.

La palla era alta, doveva saltare e stopparla di petto.

Ce la posso fare. È solo uno stop di petto, su un tiro lento. Chiunque potrebbe farlo. Anche uno che a calcio non ci gioca.

La parabola della palla era quasi al culmine. Tiziano saltò.

Basta un minimo di coordinazione. Un minimo. Devo solo ammortizzare il colpo.

Ma mentre saliva capì di aver preso male il tempo. La palla era ancora leggermente distante da lui quando il suo salto era alla massima altezza, e gli si stampò in faccia nel momento in cui i suoi piedi toccarono terra. Il colpo, anche se non era forte, gli fece perdere l'equilibrio e Tiziano cadde all'indietro, tra le risate di tutti. Persino delle ragazze.

Alzò lo sguardo. Tutti stavano ridendo, tutti tranne due persone.

Karen, che aveva uno sguardo tra lo stupito e il preoccupato.

E Simone.

Simone che, come sempre, lo guardava con pena, compassione.

Una rabbia sorda, nutrita dall'umiliazione, gli montò dentro.

«Tutto ok?» chiese Karen, incerta, avvicinandosi a lui. «Scusa, te l'ho lanciata un po' all'improvviso... eri distratto?»

«Sceee-mo! Sceee-mo!» cominciò a scandire beta Federico.

«Non ero distratto!» grugnì Tiziano pulendosi i gomiti dall'erba, in un tono molto più irritato di quanto avesse voluto.

I ragazzi continuavano a ridere. Il coro di "sceee-mo" aumentò di volume.

«Eddai, non te la prendere! Ricominciamo!» disse Karen sorridendo a Tiziano con aria imbarazzata. Gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi. 

«No» disse lui. Scosse la testa e abbassò lo sguardo. Le risate continuavano, ormai tutti cantavano: «Sceee-mo! Sceee-mo!», tutti: i beta, gli altri compagni, Claudio, il caro Claudio che sapeva cos'era giusto e cos'era sbagliato. Probabilmente lo stava cantando con ironia.

Tutti tranne il solito Simone. Che stava in piedi in disparte con le braccia conserte e lo sguardo cupo.

Perché lo faceva? Perché sembrava soffrire per lui? Claudio gli aveva fatto notare che anche Simone era come tutti gli altri: faceva le stesse battute, si comportava allo stesso modo in spogliatoio. E allora perché faceva quelle scenate? Lui che era così bravo a calcio, forse trovava la goffaggine di Tiziano patetica. Tanto patetica da causargli pena. Era questa la verità?

«Che succede qui?» chiese Valerio avvicinandosi a Tiziano.

Nessuno smise di cantare, e il coro e le risate riecheggiarono nel cervello di Tiziano come un boato assordante. Tiziano fissò Simone, che gli rimandò l'ennesimo sguardo penoso.

Cantalo anche tu, cazzo! Smettila di guardarmi in quel modo. Non voglio essere patetico. Non voglio farti pena.

«Non ascoltarli, sono dei cretini. Cosa è successo prima?» chiese Karen, la mano sempre tesa verso di lui.

«È successo che sono una pippa, ecco cosa è successo!» gridò.

Il coro di scherno si fermò quasi di colpo. Karen si ritrasse spaventata. Qualche risata si prolungò per qualche secondo. Si sentì un: «Uuuh» e un: «Finalmente l'ha capito».

«Ragazzi, basta!» ordinò inutilmente Valerio, quando ormai il chiasso si era placato.

Il viso di Tiziano era in fiamme.

Simone continuava a guardarlo. Si stava mordendo un labbro.

«E tu che cazzo hai da guardare?» sbottò Tiziano. Simone sgranò gli occhi. «E togliti quell'aria da martire infilzato!» proseguì Tiziano, con amarezza nella voce.

Voltò la testa perché gli era ormai diventato insopportabile guardarlo, ma si rese conto all'istante di essere stato immotivatamente duro con lui. 

Si alzò e uscì dal campo.

Senza correre, senza piangere. A testa bassa.

Nessuno provò a fermarlo, nemmeno Valerio.

Torno a casa. Prendo il treno, me ne vado.

Si chiese che senso avesse continuare.

Perché sono venuto? Perché continuo a giocare? È ora che mi arrendo all'evidenza: sono una pippa e non migliorerò. Mai.

E mentre camminava, a passo sempre più rapido, verso gli alloggi, ripensò a Sibilla Cooman. Ai suoi ridicoli occhiali steampunk. Ai desideri. Alla sigla dell'incantevole Creamy. Al genio blu di Aladdin. Allo schermo magenta. A Simone. Alla sua bravura a calcio. Al suo sguardo pietoso. A Claudio, che sapeva cos'è giusto e cos'è sbagliato, ma faceva comunque la cosa sbagliata. A Karen, che ormai l'aveva superato in bravura. All'autogol di due giorni prima (erano passati solo due giorni? Sembrava un secolo). Immagini, suoni, colori, emozioni, in un vortice di pensieri che gli diede la nausea.

Si ritrovò a correre gli ultimi metri che lo separavano dalla piccola baita che era costretto a condividere con Claudio. Spalancò la porta, tirò fuori il borsone da sotto il letto, frugò al suo interno con frenesia e alla fine lo trovò: il cellulare. Il cellulare incantato. Rise senza allegria.

Pronunciò la formula magica. Senza nemmeno sentirsi ridicolo. Si sentiva solo esasperato.

Lo schermo si accese di un rosa intenso.

Voglio che i miei compagni mi rispettino.
Voglio che Simone non mi guardi più dall'alto in basso.
Voglio essere più bravo di lui.

Come avrebbe dovuto pronunciare il desiderio? Con parole precise, inequivocabili. Ci pensò qualche secondo, ansimando per la corsa e per l'emozione, e infine scandì: «Voglio essere più bravo di Simone nel gioco del calcio.»

Lo schermo si spense.

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